Atto III

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Atto II Atto IV

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Appartamento di Semiramide.

Nino e Cleonte.

Nino. No, mi trattieni invano.

Cleonte.   Fermati, al tuo periglio
Non ti espor da te stesso. Ascolta il mio consiglio.
Nino. Troppo finor soffersi. Vuo’ rintracciar l’ingrata:
Di Zoroastro in faccia la vuo’ chiamar spietata.
Rimproverarla io voglio del tradimento indegno,
A costo anche di perdere la libertade e il regno.
Cleonte. Ma dove hai tu fondato sì torbido sospetto?
Nino. Mille ragion mi dicono: l’empia cangiò d’affetto.

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Cleonte. Via, di mille ragioni dimmene alcuna almeno,

Onde in te giusto io vegga di gelosia il veleno.
Nino.   Sai dove sia Semira?
Cleonte. Poc’anzi fu veduta
Favellar col regnante.
Nino.   Oh mia speme perduta!
Oh inutile mio pianto! oh affetto mio schernito!
L’empia col mio rivale? Cleonte, io son tradito.
Cleonte. Se le ragion che vanti de’ tuoi crucciosi affanni,
Hanno il valor di questa, credi, signor, t’inganni.
Sai pur di che si tratta. Sai che la tua Semira
Aggiugnere al tuo regno quel de’ Battriani aspira.
In Babilonia io stesso venni a proporre il patto;
Si concertò il disegno, e il primo passo è fatto.
Cento amici ho sedotti; pronti saranno all’opra:
Ma è necessario il sangue, quando l’idea si scopra.
Sai che l’accorta donna a maneggiare è intesa
Senza il rumor di guerra la perigliosa impresa.
Sai che per te s’impegna, sai che t’adora e il vedi,
E gelosia ti offusca, e all’amor suo non credi?
Nino. Ah! sì, per me talvolta credo che amor la sproni,
Ma temo ogni momento si penta e mi abbandoni.
Temo un rival possente che oltre il fulgor del regno
Vanta il sublime dono di peregrino ingegno.
Donna per uso è vana, e ambizion sovente
Più d’ogni altra passione in femmina è possente.
Vincere non la puote talora un bel sembiante;
Chi adula il suo talento, la vince in un istante.
Ella inalzarsi aspira sopra il comun del sesso:
Viltà crede il legarsi, viltà l’amore istesso.
In lei divampa e s’agita la fantasia per poco:
Vuol dominare il mondo, vuol sopra tutti il loco.
E se a scoprire arriva qualche notizia arcana,
Non cape il di lei spirito entro la spoglia umana.
Lo studio non le basta del mondo e dei costumi,

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Vuol penetrar nei cieli, vuol ragionar dei Numi,

E colla scorta infida di un precettor mendace
Par che trionfi e goda nel comparire audace.
Spirto fra noi si vanta illuminato e forte,
Colui che crede il caso autor di vita e morte;
E per sfuggir la tema dell’avvenir fatale,
Nega la provvidenza di un essere immortale.
Gli empi che non ritrovano seguaci al nero eccesso,
Procurano il veleno stillar nel debol sesso;
E la fragile donna che ascolta e non intende,
Di novità si appaga e a delirare apprende.
Quindi libera e sciolta da ogni obbligo si crede.
Essere non le sembra costretta a serbar fede.
Regola ai propri affetti forma il desio soltanto;
Follia chiamar non dubita della costanza il vanto.
E spento quel rimorso che all’anime fa guerra,
Rimproveri non teme dal cielo e dalla terra.
Cleonte. Spirto non ha Semira sì fiacco e mal accorto;
Tu fai alla gran donna co’ tuoi sospetti un torto.
E, mi perdona, un torto fai delle donne al sesso:
Tutte cader non veggonsi nel pregiudizio istesso.
V’è fra di lor chi allettasi di così fatto errore,
Ma delle saggie e docili il numero è maggiore;
Ed è di cotal numero la valorosa e forte
Donna che solo aspira al ben della tua sorte.
Nino. Voglia il Ciel che m’inganni il mio timor protervo.
Chi è colei che addrizzata a questa volta osservo?
Cleonte. Nicotri, principessa di real sangue nata,
Sposa di Zoroastro.
Nino.   Promessa, ovver legata?
Cleonte. Del regal nodo il giorno credono a lor vicino;
Ma alle sperate nozze sovrasta altro destino.
Nino. Oimè! credi tu forse che di Semira il volto
Il cor di Zoroastro abbia da lei disciolto?
Cleonte. Oh debolezza umana! oh fragile natura!

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Che dove il ben ci cela, ogni suo mal figura.

Il destin che può sciogliere del nodo lor l’impegno,
Sta nel nostro felice e prospero disegno.
Se a lieto fin conducesi l’impresa nostra ardita,
Perderà Zoroastro e regno e sposa e vita. (parte

SCENA II.

Nino, poi Nicotri.

Nino. Qual mi combatte in seno orror, tema e sospetto?

Ogni passione aspira a prevedermi in petto.
Ambizion di regno rende il mio core ardito:
A compassion mi desta pietà d’un re tradito;
E l’inquieto amore m’agita a cotal segno.
Che non conosco il bene di conquistare un regno.
Nicotri. Stranier, sei tu seguace della vedova assira?
Nino. Sì, del novero i’ sono.
Nicotri.   Dov’è la tua Semira?
Nino. L’attendo impaziente.
Nicotri.   Troncar non seppe ancora
Col perduto regnante l’amabile dimora?
Nino. Credi tu Zoroastro della guerriera amante?
Nicotri. Chi dubitar ne puote? È acceso, è delirante.
Nino. (Oimè!) Di’, di Semira mirasti nell’aspetto
Qualche verace segno di scambievole affetto?
Nicotri. Sembra che amor soltanto l’abbia fin qui scortata;
Vidi, conobbi ai detti la donna innamorata,
Che simulando meco il suo geloso affetto,
Mescere mal sapeva coll’umiltà il dispetto.
Nino. Ah perfida! ah inumana! Questa è la fè, l’amore...
Nicotri. A te forse Semira avea promesso il core?
Nino. (Ah! mi perdo). L’ingrata fede promise a Nino.
Reggea quell’infedele sua vita e suo destino.
Del re Babilonese piango l’atroce affanno,

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E della rea detesto lo sconoscente inganno.

Nicotri. Chi sei tu che al monarca vanti cotanto affetto?
Nino. Tal son io che di Nino lo stesso core ho in petto.
Comune è il voler nostro:1 pari è l’età, il costume;
E di due spirti un solo feo d’amicizia il nume.
Nicotri. Non sarà pari il sangue.
Nino.   Vanto nel seno mio,
Quanto vantar può Nino, sangue reale anch’io.
Nicotri. Il tuo nome?
Nino.   Cambise.
Nicotri.   Il grado tuo?
Nino.   Vicino
Molto più che non pensi a Zoroastro e a Nino.
Nicotri. Hai tu regno, hai vassalli?
Nino.   Ho regno in altro stato.
Ora soffrir m’è forza il dover di privato.
Nicotri. Chi abbandonar ti astrinse il tuo nativo impero?
Nino. La più barbara legge del faretrato arciero.
Nicotri. Ami tu dunque?
Nino.   Amai per mia sventura e pena.
Nicotri. Non ami più?
Nino.   Non amo. Infranta ho la catena.
Nicotri. Perchè irato lo dici?
Nino.   Perchè risento il danno.
Nicotri. Sei nemico d’amore?
Nino.   Aborro il fier tiranno.
Nicotri. E se di risarcirti prendesse amor l’impegno,
Sarebbe un altro oggetto delle tue fiamme indegno?
Nino. (Ah! m’offre una vendetta contro l’indegna il fato).
Nicotri. (Ah! vendicar potessi l’onta di quell’ingrato).
Non rispondi?
Nino.   Chi invano da amor sperò mercede,
Alle lusinghe incerte di un menzogner non crede.
Nicotri. Creder potresti a donna che la costanza onora.

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Nino. Donna costante in terra non ho trovata ancora.

Nicotri. Non insultare il sesso; tutte non hanno in petto
L’orgoglio di Semira e il simulato affetto.
Nino. Anima senza fede; barbaro cuor ferino!
Nicotri. Par che per lei ti lagni.
Nino.   Piango il destin di Nino.
Nicotri. Pensa a te; e se ti cale donna trovar sincera,
Cercala in questo regno; ama costante, e spera.
Nino. Amar, sperar dovrei senza veder l’oggetto?
Nicotri. Sarai, se a te si scopre, senza pietade in petto?
Nino. Ah! pietoso anche troppo è il tenero cor mio.
Nicotri. Ah! men di te, Cambise, non son pietosa anch’io.
Nino. Sei tu forse?...
Nicotri.   T’accheta. Il grado mio ti è noto.
Nino. Non mi è il tuo grado oscuro, non m’è il tuo nome ignoto.
So che tu sei Nicotri, d’almo regal lignaggio.
So che sposar tu devi...
Nicotri.   Non sposerò un malvaggio.
Nino. Tal Zoroastro appelli?
Nicotri.   Tal chiamo un traditore
Che per la donna Assira arder vid’io d’amore.
Nino. Ah! che del par mi adiro contro quel core indegno.
Nicotri. Tanto furor ti accende?
Nino.   Pel mio signor mi sdegno.

SCENA III.

Semiramide e detti.

Semiramide. Nicotri, il re tuo sposo seco ti brama e invita;

Ma a compagnia sì amabile non ti credeva unita.
Lo conosci il garzone di grazie e virtù pieno?
Sai con chi tu favelli?
Nino.   Sì, mi conosce appieno.
Sa che io sono Cambise, ch’io son di regio sangue;

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Sa che per donna infida freme il mio core e langue.

Semiramide. Povero sventurato!
Nicotri.   Tu prendi amore a gioco,
Tu che ti senti ognora disposta a cangiar foco.
Semiramide. Regola amor nostr’alme, siamo incostanti a forza,
Quando il destin talvolta a delirar ci sforza.
Tu confessar dovresti più di ciascuna il vero,
In faccia alle violenze di un guardo lusinghiero.
Nicotri. Se sciogliere tentassi il cor dai lacci indegni,
Tu somministri il modo; tu l’incostanza insegni.
Semiramide. Plausibile è il pretesto, quando diletta e giova;
E il cambiamento è giusto, se quest’eroe l’approva.
Nino. No, non approvo, ingrata, scordar l’affetto primo:
Mancar altrui di fede vil trattamento estimo.
Barbara, su te cada il più feral destino.
Semiramide. Perchè meco tant’ira? (a Nicotri
Nicotri.   Riscaldasi per Nino.
Semiramide. Nino?
Nino.   Sì, l’infelice che vive in questo seno,
Benché lontan, mi dice: ardo di sdegno e peno.
La perfida Semira per ambizion m’inganna:
Quella che fu mio nume,2 crudele è mia tiranna.
Volubile, incostante, donna di fè nemica,
Per un desio novello scordò la fiamma antica.
Son dallo sdegno acceso, son dal dolore oppresso.
Semiramide. Guarda se non rassembra ch’ei parli per se stesso.
(a Nicotri
Nicotri. Tutto può l’amicizia.
Semiramide.   È ver, chiaro si vede
Che il saper di Nicotri ogni sapere eccede.
E giurerei ben anco che Zoroastro stesso
Tanto sa, quanto apprese col dimorarti appresso.
Nicotri. Mi dileggi, Semira?
Semiramide.   No, non sarei sì ardita.

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Nicotri. Ti pentirai, tei giuro, se il labbro tuo m’irrita.

Semiramide. Anzi ti compatisco, e il venir mio pavento
Sia la cagion più vera di un simile lamento. (a Nicotri
Partirò, se vi aggrada. (a tutti due
Nino.   Va; Zoroastro aspetta.
Nicotri. Va a ritentar quel core che i tuoi desiri alletta.
Semiramide. Duopo non ho di voi, se ritornar mi cale.
Degnami Zoroastro del suo favor reale.
Ma il favor d’un regnante rispetto, e non ne abuso,
E qual voi, per amore, a delirar non uso.
Nino. L’arte conosco appieno, onde condur ti vuoi:
Gli altrui deliri accusi per iscusare i tuoi.
Tu sei la menzognera, tu sei la mancatrice:
Nino per te sospira, Nino è per te infelice.
Col labbro mio ti chiama donna crudel, spergiura,
Che l’amor, che la fede, che il giusto Ciel non cura...
Semiramide. Ah! con tai note indegne non insultarmi, ingrato;
Meglio le mire intendi di un animo onorato.
Amo, e più che non credi, son fida al primo foco:
Occupa un solo affetto tutto in quest’alma il loco.
Sarò, se al labbro mio, se alla mia fè non credi,
Pronta a versare il sangue, pronta a morirti a’ piedi.
Nicotri. Parli così a Cambise?
Semiramide.   Parlo così a colui,
Che gli affetti di Nino ha epilogati in lui.
Nicotri. Perfidi, non vi credo. Troppo l’affanno eccede:
Troppo su i labbri vostri fervido il cuor si vede.
Costui che sol per Nino vanta geloso affetto,
Tradirà ’l suo monarca punto d’amore il petto.
E tu che ti giustifichi col prence e col regnante,
Sei con entrambi infida, e di nessuno amante,
Chi ti guidò, superba, di Zoroastro al soglio?
Fede, amor, tenerezza, o vanità ed orgoglio?
Sì, sì, cogli occhi miei le trame ho conosciute:
Base de’ tuoi trionfi saran le mie cadute.

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Ma il cader dell’affetto di un mancator indegno

Non farà mai ch’io perda le mie ragioni al regno.
Opera per te stessa, o pel monarca assiro,
No, non sarai felice fino ch’io vivo e spiro.
(a Semiramide
E tu che le menzogne di tal maestra apprendi,
Miserabile frutto dalle lusinghe attendi. (a Nino, e parte

SCENA IV.

Semiramide e Nino.

Semiramide. Udisti?

Nino.   Udii pur troppo.
Semiramide.   Per tua cagion, scortese,
Deggio soffrir gl’insulti, deggio soffrir l’offese.
Nino. Di’ che per te piuttosto sono a perir vicino:
Di’ che tu mi guidasti al barbaro destino:
Che della mia rovina m’apri il fatal sentiero.
Parla in Nicotri un nume, e mi predice il vero.
Semiramide. Perfido, sì, quel nume che ti favella al core,
Quel che parla in Nicotri, è il tuo novello amore.
Credi a lei che ti piace, alla mia fè non credi,
Ma il cor mio non conosci, ma il di lei cor non vedi.
Come! A me di Nicotri prevaleran gli accenti?
Quest’è l’amor che vanti, questa è la fè che ostenti?
Vissi per te finora fra la speranza e il duolo;
E di mie cure il merito perdo in un punto solo?
Della nemica il volto tanto ti piacque e tanto,
Che ti formò nel seno sì poderoso incanto?
Va, seconda quel nume che abbandonar t’inspira,
Che a tradir ti consiglia la tua fedel Semira.
Torna al tuo patrio regno; di Babilonia il Irono
Offri alla mia rivale, offri a Nicotri in dono.
Temi di Zoroastro il primitivo impegno?

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Di far sì ch’ei la ceda, ecco la via t’insegno.

Svelagli i miei disegni. Di’ ch’io t’aprii il sentiero
Coll’acquisto di Battria a dilatar l’impero.
Digli che amor verace cieca mi rese a segno
D’ingannar un monarca per acquistarti un regno.
E per te Zoroastro, salva la regal sede,
Cedati la sua sposa per premio e per mercede.
Sagrifica me sola; compra la tua fortuna,
Al prezzo de’ miei danni, senza esitanza alcuna.
Rea son io, lo confesso, rea son d’aver tentato
Con arte men che giusta la sorte d’un ingrato.
Ah! sì, temea pur troppo il ciel vendicatore,
Ma non credea che Nino fosse il mio punitore.
Nino. Deh! non più, mio tesoro.
Semiramide.   Vanne, più non ti ascolto.
Nino. Perdona, idolo mio.
Semiramide.   Più non mirarmi in volto.
Nino. Sei fedel, lo conosco.
Semiramide.   Sei menzogner, lo vedo.
Nino. Ti crederò, mia vita.
Semiramide.8 Io ai labbri tuoi non credo.
Nino. Vuoi ch’io mora?
Semiramide.   La morte a me non è lontana.
Se la tua mi precede, segui la legge umana.
Nino. Ah! di me non ti cale?
Semiramide.   No.
Nino.   Come mai cangiasti
Tanto amor in tant’ira?
Semiramide.   Tu a infierir m’insegnasti.
Nino. Deh! se punir miei sdegni con i tuoi sdegni intendi,
Da me medesmo, o cara, il pentimento apprendi.
Semiramide. No, precettor sublime; dagli animi imperfetti
Più assai delle virtudi si apprendono i difetti.
Tu m’insegnasti ad essere fiera sdegnosa irata;
Una lezion non basta per rendermi placata.

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Fammi veder col tempo che il pentimento è vero,

E d’imitar l’esempio forse col tempo io spero.
Nino. Dimmi che far degg’io per espiar l’errore?...
Semiramide. Discepola non puote dar legge al precettore.
Nino. Deh! se tu vuoi ch’io creda la fede tua sincera,
Non deridermi ingrata, non mi parlar sì austera.
Desti ragion tu stessa a’ miei sospetti interni,
E persuadermi or credi coll’onte e cogli scherni?
Semiramide. No, mio re, non intendo mancare al mio rispetto:
Scusa l’incauto labbro, scusa il natio difetto.
So il mio dover, conosco fra noi la differenza;
Non mi privar del bene di tua real clemenza.
Nino. Parli così a un amante?
Semiramide.   Tal parlo al mio sovrano.
Nino. Ah! più che mai m’offendi.
Semiramide.   Meco ti sdegni invano.
Nino. Semira.
Semiramide.   Mio signore.
Nino.   Cangia lo stil, spietata.
Semiramide. Tu a comandar nascesti, io ad obbedir son nata.
Nino. Ah! che quel volto amabile, ah! che quel ciglio altero
Sul mio poter medesimo ha un assoluto impero.
Tu mi puoi dir ch’io viva, tu mi puoi dir ch’io mora;
Pende da te ’l mio fato, t’amo nemica ancora.
Deh! per pietà, concedi grazia, perdono, amore,
A chi per te, mia vita, nutre di speme il core.
Barbara, se di sangue, se d’infierir sei vaga,
Eccomi a’ piedi tuoi. (s’inginocchia
Semiramide.   (Or l’ambizione è paga), (da sè
Alzati.
Nino.   Invan lo chiedi, se il tuo rigor non muti.

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SCENA V.

Zoroastro e detti.

Zoroastro. Come! ai piè di Semira? (da sè

Semiramide.   Ecco il re; siam perduti.
(a Nino che si alza confuso
Zoroastro. Olà, perchè costui gettossi alle tue piante?
Dimmi, è di reo quest’atto, o di geloso amante?
Nino. (Che dirò? che risolvo?) (da sè
Semiramide.   (Ambi siam rei, s’io taccio.
Necessario è il ripiego, ed il più pronto abbraccio).
(da sè
Zoroastro. Ti confondi, Semira?
Semiramide.   Signor, dubbio pensiero
Di tacer mi consiglia, o di svelarti il vero.
Ma risolvasi il meglio; con mio rossore il dico,
Costui ch’è mio seguace, scoperto ho tuo nemico.
Nino. (Ah! perfida).
Zoroastro.   L’audace qual nutre empio disegno?
Venne a destar congiure, per involarmi il regno?
Nino. Sì, la congiura è desta... (a Zoroastro
Semiramide.   Non mascherar l’oggetto
Che i tuoi desiri infiamma e ti riscalda il petto.
Io svelerò l’arcano. Giovane sconsigliato,
Chiedi soccorso invano ai piedi miei prostrato. (a Nino
Sappi, signore... (a Zoroastro
Nino.   Io stesso... (a Zoroastro
Semiramide.   Olà! taci e rispetta
Donna che il tuo sovrano ha per sua scorta eletta.
Rammentati che Nino a me ti diede in cura,
Ma il ver tradir non soglio per uso e per natura.
A pro di un delinquente non taccio e non mentisco.
Mi conosci, Cambise. (a Nino
Nino.   (Semira io non capisco). (da sè

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Zoroastro. Ma impaziente omai son di saper l’arcano.

Semiramide. Ah! contro amor, signore, l’uom si difende invano.
Tenero garzon folle vide Nicotri appena,
Cesse il cor non volendo a barbara catena.
L’anima riscaldata ai rai di quei bei lumi,
Scordò l’ospite regio, scordò la patria e i numi.
Tanto il protervo amore, tanto l’ingegno affina,
Che ardì senza rimorso tentare una rapina.
E non potendo ei solo compir l’eccesso indegno,
Me sperò favorevole al perfido disegno.
Che non fe’? che non disse? Pallido qual lo vedi,
Versò dagli occhi il pianto, e si gettò ai miei piedi.
Nino. (Qual catena d’inganni! Perdermi vuol la scaltra.
Chiuse una via al periglio, e me ne aperse un’altra).
(da sè
Zoroastro. Stupido mi rendesti! Come? presume ed osa
Donna rapir costui che d’un monarca è sposa?
Qual lusinga l’accieca? Formò il disegno in core,
Incerto di ottenere dalla rapita amore?
Semiramide. Ah! signor, non pensare stolido a cotal segno
Giovane che intraprende sì temerario impegno.
Soffri che il ver ti dica. Del misero infelice
Nicotri è consigliera, Nicotri è seduttrice.
Fui testimonio io stessa degli amorosi sguardi:
Rimproverai gli amanti, ma i detti miei fur tardi.
(a Zoroaslro
Niegalo, se lo puoi. (a Nino
Nino.   Tanto poss’io negarlo...
Semiramide. (Ti scoprirò, se il neghi). (piano a Nino
Nino.   (Donna crudel!) Non parlo.
Zoroastro. Come in sì brievi instanti, come veduti appena
Strinse amor di due cori la perfida catena?
Semiramide. Ragionevole è il dubbio, degno di tua gran mente.
Amor in un momento non nasce, o non si sente.
Signor, siamo ingannati. Credea fossero ignoti

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Questi liti a Cambise; credeva i di lui voti

Per seguirmi innocenti. Ma il scaltro mentitore
Fu in Battriana altre volte, e vi ha lasciato il core.
Arse la tua Nicotri per il garzone un giorno,
Ora le fiamme antiche svegliò nel suo ritorno.
Tutto scopersi alfine. Il mentitor per arte
Mi fe’, dopo scoperto, de’ suoi disegni3 a parte;
Ed io che nutro in petto di verità lo zelo,
Scopro la sposa infida e il tuo rival ti svelo.
(a Zoroastro
Nino. (Ma se l’onor...) (a Semiramide
Semiramide.   (T’accheta). (a Nino
Nino.   (Vuol la mia gloria...)
(a Semiramide
Semiramide.   (Taci). (a Nino
Nino. (Tacerò per piacerti, crudel!) (a Semiramide
Semiramide.   (Così mi piaci). (a Nino
Che medita, che pensa di Zoroastro invitto
L’alta mente sublime in faccia a un tal delitto?
Zoroastro. Penso de’ tuoi sospetti, penso dei dubbi miei
Prevenire il periglio col carcerare i rei.
Chi innocente si vanta, si purghi e si difenda:
Chi è reo di tradimento, il suo castigo attenda.
Semiramide. Saggio ed util consiglio. Tu di Nicotri, o sire,
Assicurati e attendi ad iscoprir sue mire.
Io di Cambise ardito veglierò ai moti intenta;
Farò che della colpa quel perfido si penta.
Non temer di disastri, non paventar periglio,
Tengo alla tua salvezza pronta la mano e il ciglio.
Zoroastro. Lascia che nel mio regno, cinto da mie catene,
Veggasi chi m’insulta.
Semiramide.   Signor, non ti conviene.
Se i sudditi di Nino oltraggi e punir tenti,
È offeso e violato il dritto delle genti;

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E per lo ben ch’io bramo al tuo felice impero,

Sdegnar non ti consiglio re per costume altero.
Lascia ch’ei lo punisca. Per Nino io ti prometto
Soddisfazion che basti a conseguir l’oggetto.
Temi ch’ei non ti fugga? Posso arrestarlo anch’io;
Nol lascerò, tel giuro, escir dal quarto mio.
Di queste stanze il dono a me per ora offerto,
Per la tua sicurezza in carcere converto;
E quella guardia istessa che ad onor mio scegliesti,
Farò che ad eseguire i cenni miei s’appresti.
Olà! fra queste soglie costui sia custodito.
(escono due Guardie
Impeditegli il passo, s’ei lo tentasse ardito.
Fidati di chi apprezza la tua virtù, il tuo merto:
Nella fè ch’io ti giuro, vivi tranquillo e certo.
Zoroastro. Ah! sì, nel tuo bel core tutto il cor mio confida.
M’oda pietoso il Cielo e a’ miei disegni arrida.
(Perfida, rea Nicotri!) Alma a regnare eletta,
Di tua bontade il premio dai giusti Numi aspetta.
Veggo nella tua fronte, veggo degli astri un raggio
Formar di tua grandezza lietissimo presaggio.
Un regno sulla terra destinanti le stelle,
Qual da natura avesti il regno fra le belle, (parte
Semiramide. Udisti? (a Nino
Nino.   Udii pur troppo.
Semiramide.   Sdegni cotali auspici?
Nino. Regna, o barbara donna, sul cuor degl’infelici.
Sali sull’alto trono a dominar la terra,
E ai miseri mortali reca tormento e guerra.
Non conosco me stesso, non so quel ch’io mi dica;
Vieni, pietosa morte, dei disperati amica. (parte
Semiramide. Custoditelo, amici, ch’ei non mi fugga o pera.
(partono le Guardie
Sono un po’ troppo, il veggo, col misero severa.
Ma o non doveva ei stesso darmi il suo core in dono,

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O tollerar mi deve difficile qual sono.

Vasti son miei disegni. Ei non m’intende ancora.
So però che mi teme, e nel suo cor mi adora.
Tal della donna è il vanto: quando adorar si vede,
Vuol dominar l’amante, vuol che si prostri al piede;
E l’amatore a torto duolsi d’amor severo,
Quando ceduto ha il core al femminile impero.


Fine dell’Atto Terzo.


Note

  1. Nel testo qui c’è il punto fermo.
  2. Nel testo la vìrgola è dopo crudele.
  3. Nel testo: dissegni.