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382 ATTO TERZO
Di far sì ch’ei la ceda, ecco la via t’insegno.

Svelagli i miei disegni. Di’ ch’io t’aprii il sentiero
Coll’acquisto di Battria a dilatar l’impero.
Digli che amor verace cieca mi rese a segno
D’ingannar un monarca per acquistarti un regno.
E per te Zoroastro, salva la regal sede,
Cedati la sua sposa per premio e per mercede.
Sagrifica me sola; compra la tua fortuna,
Al prezzo de’ miei danni, senza esitanza alcuna.
Rea son io, lo confesso, rea son d’aver tentato
Con arte men che giusta la sorte d’un ingrato.
Ah! sì, temea pur troppo il ciel vendicatore,
Ma non credea che Nino fosse il mio punitore.
Nino. Deh! non più, mio tesoro.
Semiramide.   Vanne, più non ti ascolto.
Nino. Perdona, idolo mio.
Semiramide.   Più non mirarmi in volto.
Nino. Sei fedel, lo conosco.
Semiramide.   Sei menzogner, lo vedo.
Nino. Ti crederò, mia vita.
Semiramide.8 Io ai labbri tuoi non credo.
Nino. Vuoi ch’io mora?
Semiramide.   La morte a me non è lontana.
Se la tua mi precede, segui la legge umana.
Nino. Ah! di me non ti cale?
Semiramide.   No.
Nino.   Come mai cangiasti
Tanto amor in tant’ira?
Semiramide.   Tu a infierir m’insegnasti.
Nino. Deh! se punir miei sdegni con i tuoi sdegni intendi,
Da me medesmo, o cara, il pentimento apprendi.
Semiramide. No, precettor sublime; dagli animi imperfetti
Più assai delle virtudi si apprendono i difetti.
Tu m’insegnasti ad essere fiera sdegnosa irata;
Una lezion non basta per rendermi placata.