Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Appartamenti nella reggia di Zoroastro.

Nicotri e Corina.

Corina. Signora, ed è possibile che in mezzo all’allegrezza

Mostrar possiate in volto la pallida tristezza,
E che di sposa il nome, e che il real splendore
Non vaglia in verun modo a serenarvi il core?
So pur che Zoroastro teneramente amate,
So che di Battria il regno seco goder bramate,
Ed or ch’ei vi assicura dell’uno e l’altro dono,
Par che vi spiaccia il rege, par che vi spiaccia il trono.
Nicotri. No no, giudichi invano di mia tristezza il fonte.
Nasce altronde l’affanno, che tu mi leggi in fronte.

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Amo di Zoroastro il cor, la destra, il trono,

Ma per amor mi macero ed inquieta or sono.
Par che talor mi adori, e che d’amor si strugga,
Sembra talor ch’ei m’odii1 e che da me si fugga.
Meco talor favella senza mirarmi in volto;
Tace, se seco i’ parlo, e borbottar l’ascolto.
Mostra bramar che io vada l’ore a passar con lui;
Vado, e lo trovo immerso ognor nei studi sui.
E se da me sen viene, scarso d’amor favella,
Ma a ragionar principia d’un astro e d’una stella.
Questo a giovane sposa, ch’essere amata aspira,
È un conversar che desta più che alla gioia, all’ira.
E recami dispetto s’io parlo di passione,
Sentirmi ragionare del Cancro e del Leone.
Corina. Ma che costar vi puote il secondar con arte
Uno che alfin vi chiama di sua grandezza a parte?
Tutti su questa terra abbiam qualche difetto:
Compatirci a vicenda dobbiam senza dispetto.
E se in lui delle stelle la dilezion prevale,
Pensate che di tanti è forse il minor male.
Peggio per voi sarebbe, che in vece delle sfere
Trattasse il vostro sposo bellezze lusinghiere;
Alfine i studi suoi, siano fondati o vani,
Hanno per loro scopo oggetti assai lontani;
E Venere e Diana che per lo ciel sen vanno,
Per gelosia, credetemi, penar non vi faranno.
Nicotri. È ver, ma ciò non basta; ogni passion nel petto
Di lui che io solo adoro, è un’onta al nostro affetto.
Delle insensate cose non son gelosa, è vero,
Ma dello sposo il core vo’ possedere intero.
Studii pur, se gli aggrada, ma quando io gli favelle,
Si han da scordar gli studi, si han 2 da scordar le stelle;
E quando, me presente, altro piacer lo chiama,
Segno è che unicamente me non apprezza ed ama.

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Corina. Scusate. Un tal rigore non sembrami opportuno.

Uomo di taglia simile non troverete alcuno.
E se alcun tutto moglie da lei non sa staccarsi,
Credetemi, signora, è facile annoiarsi.
Nicotri. Anzi giubilerei 3, s’ei stesse meco ognora.
Corina. Quando sarete moglie, ci parleremo allora.
L’amor delle fanciulle, spose novelle, ardenti,
Fa loro i cari sposi bramare ognor presenti;
Ma il praticar soverchio, anche nei cari oggetti,
Fa sì che troppo presto si scoprano i difetti.
Voi siete nata in Corte, di regio sangue erede;
Fatto re Zoroastro, giuravi amore e fede.
Il tempo, il loco, il grado fa che viviate uniti,
Pria che per voi si compiano i nuziali riti.
Se come voi lo sposo fosse inquieto, ansante,
Se tutto di’ cercasse di comparirvi innante,
Credetemi, a quest’ora vi sembreria noioso,
Quanto or caro vi sembra l’aspetto dello sposo.
Egli è un uom di consiglio, conosce il male e il bene:
Sa quel che gli può nuocere, sa quel che gli conviene.
Sa che il piacer soverchio ogni desio rallenta,
Che il ben desiderato più l’anime contenta.
E che quanto agli amanti la lontananza è amara,
Tanto più lor diviene dolce la vista e cara.
Nicotri. Se il cuor di Zoroastro mio giudicassi appieno,
Sarei men sospettosa, ed inquieta meno;
Ma di’, chi mi assicura che lungi dal mio aspetto
Per altra non coltivi qualche nascosto affetto?
Essere non potrebbe l’amor, la data fede,
Brama d’assicurarsi per me la regal sede?
A me si aspetterebbe di Battriana il regno,
Dubito il regal trono delle sue mire il segno.
Il saggio, il prode, il forte, ch’essere dee mio sposo,
So che mi fu dipinto più tenero e amoroso.

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E se per me sì scarso mostra del cor l’affetto,

Di qualche amor rivale s’aumenta il mio sospetto.
Ecco ciò che mi rende timida e angosciosa.
Corina. Mal peggior d’ogni male è l’essere gelosa.
Eh! via dal sen scacciate simil melanconia,
Non è da vostra pari il duoi di gelosia.
Il cor di Zoroastro arde per voi di zelo.
Nicotri. Deh! ch’io sospetti a torto, voglia pietoso il Cielo.

SCENA II.

Sidone e dette.

Sidone. Nicotri, Zoroastro, nostro re, vostro sposo,

Mostrasi di vedervi moltissimo voglioso.
Verria secondo il solito a ritrovarvi ei stesso,
Ma il suo dover lo tiene della straniera appresso.
Nicotri. Lo trattien la straniera? Chi è costei?
Sidone.   Nol sapete?
Semiramide intesa a nominare avrete.
In Battriana è giunta. Il re l’accoglie e onora;
Tutta la reggia è in festa. Voi nol sapeste ancora?
Nicotri. Donna, senza ch’io il sappia, s’accoglie in questo tetto?
Rimprovera, se puoi, d’ingiusto il mio sospetto. (a Corina
Corina. Come! Perchè una donna vien forestiera in Corte,
Temete che rapiscavi il trono od il consorte?
Un re trattar non puote chiunque a lui si presenta?
Invano l’apprensione vi turba e vi spaventa.
Congiunta al regal sangue avete la bellezza;
Sapete che lo sposo vi venera e vi apprezza.
Questa viltà di spirito di voi mi sembra indegna;
Arte, ragion, prudenza a non temere insegna;
E chi nel proprio merto con verità confida,
Giust’è che dei confronti più si compiaccia e rida.
Nicotri. Dimmi: è vaga Semira? (a Sidone

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Sidone.   Per dir la verità,

Donna mi pare adorna di grazia e di beltà.
E ver ch’ella è venuta da noi di notte oscura,
Ma al chiaro delle fiaccole facea la sua figura.
E Zoroastro istesso, sincero in sua favella,
In pubblico le diede il titolo di bella.
Nicotri. Senti? (a Corina
Corina.   Nol conoscete? Non sa quel che si dica.
Sidone. Ite a renderle onore, trattatela da amica. (a Nicotrl
Nicotri. Io?
Sidone.   Sì, voi. Semiramide è pur di sangue regio;
Ha di guerriera il vanto; ha di sapiente il fregio.
Non mostrate che invidia v’arda e vi punga il petto:
Il re potrebbe averne dell’onta e del dispetto.
E s’ella più di voi giugnesse a innamorarlo...
Corina. Stolido. (a Sidone
Sidone.   A me un’ingiuria? (a Corina
Nicotri. (A Corina)  No, non rimproverarlo.
Pur troppo ei mi predice il mio crudel destino.
Sidone. Sì, son uom che non mente, e sono un indovino.
Conosco che gl’influssi di Cintia, o della Luna,
Aumentan di Semira l’ingegno e la fortuna.
E so con fondamento che Zoroastro anch’esso
Spronato è dalle stelle a favorire il sesso.
Nicotri. Taci, non tormentarmi, non adoprar figure
Per far ch’io concepisca l’idea di mie sciagure.
Dimmi che il re m’inganna; di’ che lo sposo è infido;
Dimmi che il cor del perfido dell’incostanza è il nido.
Fin qui giugne la scienza di un indovino accorto,
Che avrà dal re crudele forse l’arcano estorto.
Ma indovinar non puote scarso imbecille ingegno
Di quale orribil fuoco s’accenderà il mio sdegno.
Va da colui che ingrato ad ingannarmi aspira,
Digli ch’io non son nata per adorar Semira:
Che ho regal sangue in petto, che amor mi punse il core,

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Ma che l’amore e il sangue mi destano al furore.

Che laceri la fede, se altra beltà l’alletta,
Ma che pari all’oltraggio sarà la mia vendetta. (parte

SCENA III.

Sidone e Corina.

Sidone. Vado a servirla subito... (in atto di partire

Corina.   Dove, dove? (trattenendolo
Sidone.   L’istoria
Potrebbemi, s’io tardo, uscir dalla memoria.
Al re vogl’io portarmi a dire immantinente
Tutto quello che ha detto la femmina imprudente.
Corina. Ti par cosa ben fatta far avvampar lo sdegno
Fra due sposi regali, metter sossopra il regno?
Sidone. Quel che ha detto Nicotri, il re lo dee sapere.
Nasca quel che sa nascere, io faccio il mio dovere.
Corina. Non vedi tu che in lei parla l’amor geloso,
Che dubita, che teme del cor del caro sposo?
Tu fosti il crudel mantice che in sen le accese il fuoco;
Il mal tu lo facesti, e ancor ti sembra poco?
Scusare in lei conviene l’affetto che la sprona,
E un semplice trasporto si tace e si perdona.
Sidone. Si tace e si perdona, se parla un cor sincero:
Ma io che son bravo astrologo, rilevo il suo pensiero.
Finge che gelosia promova il suo dispetto,
E intanto maliziosa coltiva un altro affetto.
Credete ch’io non sappia, ch’è da Cleonte amata?
Dal lume delle stelle la mente ho illuminata.
È vero che Nicotri finge sprezzar l’astuto,
Ed ho cotal disprezzo sincero anch’io creduto;
Ma dopo che ho studiato il libro delle sfere,
Principio a ravvisare le donne menzognere;
E in voi che la padrona mostrate d’amar tanto,

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Credete non discerna la fonte dell’incanto?

Son delle vostre pari in voi le brame istesse:
Vi domina soltanto lo zel dell’interesse.
Vorreste che ella fosse di Battria la sovrana,
Per far la vostra sorte nel farle la mezzana.
Corina. Voi siete un indovino che ha fatto i studi suoi;
Ma io so indovinare talor meglio di voi.
Però col chiaro lume di certe stelle erranti
Conosco che voi siete il fior degl’ignoranti;
E nella scorsa notte la Luna mi ha svelato
Che voi, così parlando, sarete bastonato. (parte
Sidone. Possa crepar l’astrologa. Possa cotale augurio
Cader sopra di lei, per grazia di Mercurio.
E possa per vendetta di Venere sdegnata,
Essere dagli amanti derisa e disprezzata.
Quest’è il maggior castigo che femmina aver possa:
Il desio di piacere la rode infino all’ossa.
E quando si conosce dagli uomini negletta,
Che rabbia il cuor le macera, che rabbia maladetta!
Io la beltà non curo di donna ingannatrice:
Dell’amor delle stelle son lieto e son felice.
Se Venere propizia per me risplenderà,
Son certo che una stella tradir non mi potrà.
E la Luna? La Luna splendendo a quarti a quarti,
Come il cor delle donne divisa è in varie parti;
E poi se dagli astrologhi chiamasi dea cornuta,
Tal nome e tal figura in odio m’è venuta.
Sol Venere mi piace. Non vuo’ la mia fortuna
Far, come fanno tanti, in grazia della Luna.
Del povero Atteone l’esperienza osservo:
Chi seguita la Luna, suol diventare un cervo. (parte

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SCENA IV.

Nicotri e Cleonte.

Cleonte. Non mi fuggir, Nicotri, sai ch’io t’adoro e peno;

Lascia colla speranza ch’io mi lusinghi almeno.
Lascia che in quei begli occhi, fonte del mio cordoglio,
Vegga di pietà un lampo a moderar l’orgoglio.
Nicotri. Ah! la mia tolleranza troppo ti rese audace:
Feci, soffrendo un empio, un torto alla mia pace.
Troppo ti fui pietosa celando al tuo regnante
L’ardir con cui ti scopri della sua sposa amante.
O cessa importunarmi, o di mia fè lo zelo
Vince ogni altra pietade, e i tuoi deliri io svelo.
Cleonte. A che pro tanta fede per chi d’amore è indegno?
Scuso in te, principessa, l’ambizion del regno;
E soffrirei vedermi posposto ad un sovrano,
Se il tuo desir non fosse inopportuno e vano.
Del cor di Zoroastro come fidar ti puoi,
S’ei suole a oggetti vari partir gli affetti suoi?
Vedi i novelli insulti del mancator che adori,
Vedi che in lui germogliano sempre novelli amori.
Se dall’amor sei punta, dei procurar vendetta.
Se alla corona aspiri, dalla mia man l’aspetta.
È ver, di Battria al regno fu Zoroastro alzato,
Ma di regnar non merta chi nacque in basso stato,
E molto più chi usurpa ai tuoi diritti il trono,
E corrisponde ingrato de’ suoi vassalli al dono.
Tu del sangue regale ultimo germe e solo,
Puoi serenar, se il brami, della tua patria il duolo,
Ed offerir la destra e procacciare il regno
A chi d’un tuo nemico è di regnar più degno.
Pensa: di te si tratta, scuoti il giogo fatale;
O venerar ti appresta sul trono una rivale.
Non giudicar che parli amor stolto o mendace;
Apri le luci al vero, pria di chiamarmi audace.

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Vedi tu stessa i torti che all’onor tuo si fanno:

Indi, se il cor tel chiede, soffri d’un reo l’inganno.
Nicotri. (Oh ciel!)
Cleonte.   Taci, Nicotri? Dubiti e ti confondi?
Odi un ver che ti spiace? ami il crudel? Rispondi.
Nicotri. Vattene.
Cleonte.   In simil guisa paghi l’amor sincero
Di chi perir non teme per disvelarti il vero?
Ah! sì, l’amor ti rese dalla viltade oppressa.
Sei per amor soverchio nemica di te stessa.
Resta del duolo in preda, misera abbandonata,
Sarai dai tuoi nemici derisa e disprezzata.
E del tuo sposo istesso vedrai sedere allato...
Nicotri. Taci; temer nol posso a cotal segno ingrato.
Alma che onor conosce, non mente e non inganna...
(Ma se il seduce amore?... Ah gelosia tiranna!)
Cleonte. (Come in un cor sì debole che ogni sospetto abbraccia,
Possibil fia che amore non si sgomenti e taccia?) (da sè
Nicotri. Eccolo il traditore. (verso la scena
Cleonte.   Sì, traditor, tiranno
Chiama colui che tesse alla tua fede inganno.
Nicotri. No, dell’ardir mi pento de’ miei trasporti audaci.
Cleonte. Non ti fidar, Nicotri...
Nicotri.   Vattene, indegno, e taci.
Cleonte. Parto per obbedirti. (Conosco il cor dubbioso,
Che freme e che sospira fra timido e orgoglioso.
Ma sparso il rio veleno, lascio operar natura;
E l’arte ond’io mi valgo, di vincer mi assicura). (parte

SCENA V.

Nicotri, poi Zoroastro.

Nicotri. Ah! che pur troppo in petto arder mi sento il core

Non d’amoroso incendio, ma d’ira e di furore.
Dissimular vorrei la pena e il turbamento,

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Ma temo nel vedermi col perfido a cimento.

Zoroastro. Perchè negarmi, o cara, il tuo vezzoso aspetto?
Chiesto avea di vederti per grazia e per affetto.
Eccomi a te, se nieghi venire alle mie stanze.
Qua stanno i miei pensieri, qua son le mie speranze.
Nicotri. Grazie render ti deggio per sì gentil favore.
Ma di’, movendo il piede, dove lasciasti il core.
Zoroastro. Il cor teco sen vive, sia lungi o sia dappresso;
Se ti adorai costante, l’amor sempre è lo stesso.
Di che puoi tu lagnarti? Qual onta a te commisi?
Perchè mai quei begli occhi son di livore intrisi?
Dimmi...
Nicotri.   Ne parleremo. Chiede il dover per ora
Che all’ospite ti porti, che or questa reggia onora.
Zoroastro. Principessa, t’intendo; coltivi il rio tormento
Di gelosia proterva.
Nicotri.   No, gelosia non sento.
Sarà per avventura giunta Semira in Corte.
Aver sì grande amica si reputa a gran sorte.
Se all’impero dell’Asia tu giustamente aspiri,
Ella può assicurarti il regno degli Assiri.
E se per lei tu giugni 4 di Babilonia al trono,
Supera ogni fortuna della guerriera il dono.
Va, coltiva chi puote farti felice appieno;
Battria per te comprende scarsissimo terreno.
Le mire tue sublimi, credilo, approvo e lodo.
Bramo il tuo cor contento, e di tua sorte io godo.
Zoroastro. Credi tu ch’io non scorga ne’ detti tuoi mendaci,
Più di quel che ragioni, quel che nascondi e taci?
Nicotri. Chi dubitar potrebbe dell’arte e del valore
D’un indovin che ha il dono di penetrar nel core?
E pur l’alto sapere che ti fa raro al mondo,
Forse il mio cuor non giugne a rilevare a fondo.
Indovinar potrai ch’io nutra 5 in sen l’affanno,

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Scorgendo che mi tratti con arte e con inganno.

Dirai: se mi ama tanto, quanto di amarmi dice,
Esser non può Nicotri che misera e infelice;
Se una straniera accolgo senza narrarlo a lei,
Può con ragione infidi temer gli affetti miei.
Fin qui la tua gran scienza giugner può facilmente;
Ma penetrar non puote quel ch’io nutrisca in mente,
Nè se vedermi in faccia una rival sopporti,
Nè quale elegger possa riparo de’ miei torti,
E molto men se teco amor mite mi renda,
O se le tue menzogne di vendicare intenda.
Zoroastro. No, principessa, avvezzo non sono a tai rampogne,
Nè soffro esser chiamato autor di rie menzogne.
Dall’amor de’ vassalli ebbi lo scettro in dono,
D’uopo di te non veggo per stabilirmi in trono.
E se l’amor m’indusse teco a partire il soglio,
Gratitudine esigo, non onte e non orgoglio.
Dono alla tua bellezza tutto d’amante il core;
Non sacrifico a donna le massime d’onore.
Nè imponermi potrai che un trattamento indegno
Renda a colei che onora de’ Battriani il regno.
Nicotri. Renda all’illustre donna, renda tributo e omaggio
Del secolo presente il regnator più saggio.
Sì, Zoroastro, approvo l’alma gentil cortese
Che esalta, che moltiplica l’onor del suo paese.
Che diria Semiramide, se con minor rispetto
Accoglier si vedesse da un re nel proprio tetto?
Che diria mai l’altera, se preferir vedesse
Del sovrano la sposa in queste logge istesse?
Fa il tuo dover, l’onora; offrile incensi e voti,
Fa che a colei s’inchinino i popoli divoti.
Io stessa, se lo chiedi, vo di Semira al piede:
Bacierò quella destra, se il tuo bel cor mel chiede.
Zoroastro. No no, per voler tanto, teco non son sì audace;
Basta che meno insulti procuri alla mia pace;

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E che la tua cangiando favella menzognera,

Meco sia col tuo labbro men scaltra e più sincera.
Nicotri. Perfido.
Zoroastro.   A torto insulti.
Nicotri.   Sei d’ogni amore indegno.
Zoroastro. O sciolgasi ogni laccio, o modera il tuo sdegno.

SCENA VI.

Semiramide e detti.

Semiramide. Signor, deh! mi concedi...

Zoroastro.   (Oh inopportuno arrivo!)
Nicotri. (Ecco la mia nemica. Il perfido è giulivo). (da sè
Semiramide. Concedimi ch’io possa, alla tua sposa innante,
Offrire il mio rispetto più fervido e costante, (a Zoroastro
Lascia che a te s’inchini, saggia, real donzella,
Donna che te sua diva, non che sovrana appella.
Credimi, a parte io sono de’ tuoi gloriosi auspici, (a Nicotri
Anime fortunate, vi renda il ciel felici.
Merita una tal sposa tal rege e tal consorte;
Merita un tal monarca tanta bellezza in sorte.
E provida natura col suo saper profondo
Vi creò, vi congiunse, per far più lieto il mondo.
Zoroastro. (Che risponde l’ingrata?)
Nicotri.   (Ai labbri tuoi non credo)
Semiramide. (Di gelosia il veleno in quelle luci io vedo).
Zoroastro. Non risponde Nicotri al ragionar cortese?
Nicotri. Colpa è di lei, s’io taccio, che mutola mi rese.
Quei generosi accenti ch’io giudico sinceri,
Produssermi l’incanto nel labbro e nei pensieri.
Non merito le lodi, ma il ver forz’è si dica:
Mi piace esser lodata dal labbro d’un’amica.
Zoroastro. (Simula e si nasconde).
Semiramide.   Onor non è leggero,

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Che amica sua mi chiami chi nacque a un grand’impero.

Troppo per me sarebbe il titolo di serva.
Zoroastro. (Umiltà senza pari).
Nicotri.   (Simulazion proterva!)
Semiramide. Chiedo perdon, se ardisco entrar co’ labbri miei
Ospite rispettosa più in là ch’io non dovrei.
Parmi, se non m’inganno, mirar nel vostro ciglio
Turbine che la calma può mettere in periglio.
Deh! se cortese il Cielo unì vostr’alme belle,
Non vi mostrate ingrati ai doni delle stelle.
Amatevi, che è giusto. Vuol il possente amore
Sincera al sagrifizio la vittima del core.
Se mai gli affetti vostri sturba straniero aspetto,
Partirò immantinente per dover, per rispetto;
Anch’io de’ fidi amanti provai le pene un giorno.
Vedova sfortunata più a delirar non torno;
Ma giubilo veggendo d’amor le dolci prove.
Se compagnia sdegnate, volgerò i passi altrove.
(in atto di partire
Zoroastro. No, non partir per questo. (a Semiramide, arrestandola
Nicotri.   (L’empio la vuol presente). (da sè
Semiramide. Resterò, se l’imponi. (a Zoroastro
Nicotri.   (Che anima compiacente!)
(da sè, con ironia velenosa
Semiramide. Bella, se Zoroastro ai lumi tuoi si accende,
Il destin dell’Assiria dal tuo voler dipende.
Di te, di tua bontade, i pregi a me son noti.
Offroti a pro di Nino le umili preci e i voti.
Priega l’amante sposo, sia per giustizia o dono.
Che non contrasti a Nino di Babilonia il trono.
Fra gl’infiniti pregi di grazia e di bellezza
Fa che prevalga il dono d’amabile dolcezza.
Supplice non sdegnarmi... Volgi lo sguardo altrove?
Più che a pietade, a sdegno il mio pregar ti move?

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Soffri che il ver ti dica: no, non posseggo un regno.

Ma di trattar coi regi non fu il mio labbro indegno.
Non sortii dalla culla qual tu regal splendore,
Ma altrui mi fero nota la forza ed il valore;
E a fronte di chi ostenta qualche splendor natio,
Posso dir francamente: quello ch’io vanto, è mio.
I doni della sorte han cambiamento alterno.
La gloria conquistata suol vivere in eterno.
Chi regna senza merito, cade in oblio profondo,
Ma la virtù sussiste anche distrutto il mondo.
Nicotri. Ora comprender posso che parli a me sincera.
Or che il mio grado insulti e che ti scopri altera.
Finor nell’umiltade vidi l’orgoglio ascoso;
Delle tue laudi appresi l’inganno insidioso.
Nacqui in culla regale, ma in Battria ancor non regno;
Può prevalere al sangue il tuo felice ingegno.
Sieno sinceri o finti i tuoi desir mal noti,
A lui che in Battria impera, volgi le mire e i voti.
Cessa d’usar più meco e le preghiere e l’onte,
Donna che loda e insulta, non vuo’ vedermi a fronte.
(parte

SCENA VII.

Semiramide e Zoroastro.

Zoroastro. Deh I queir ardir perdona che amor cieco produce:

Amor sai che sovente a delirar conduce.
Ma dei deliri insani farò pentir l’altera.
Semiramide. Ah! no, signor, dilegua l’immagine severa.
Compatisco Nicotri. Ell’arde a’ tuoi bei lumi.
Chi mai non arderebbe d’un re sì caro ai Numi?
Delizia della terra, delizia delle stelle,
Posseditor felice delle virtù più belle.
Render gelosi puoi tu giustamente i cori:

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Scuso nella tua sposa i sospettosi ardori.

Io che fortezza vanto forse maggior di lei,
Nel caso di Nicotri non so quel che farei.
L’umanitade alfine siamo a sentir costretti:
Amor prende sua forza dal merto degli oggetti;
E quando in uno solo tanta virtù si dia,
È giusto nell’amante il duol di gelosia.
Zoroastro. Troppa bontà, Semira; troppo m’esalti e onori.
Deh! non far che a Nicotri unisca i miei timori.
Parlami più sincera.
Semiramide.   Sincera esser mi vanto.
Odio dell’alme indegne il lusinghiero incanto;
E tu se ti allontani dall’umile costume,
Conoscerai s’io mento di veritade al lume.
Non parlerò del ciglio, non parlerò del volto;
Arrossirei parlando, e pur potrei dir molto.
Sol del tuo cor permetti che ragionare io possa,
Pel quale a venerarti tutta l’Assiria è mossa.
Lascia che un lampo accenni della virtù sublime,
Onde salir di gloria ti feo sull’alte cime.
Non basterebbe al mondo per renderti immortale
Quel saper sovrumano che non ha in terra uguale,
Che ai popoli venturi nella verace istoria
Lascerà del tuo nome altissima memoria?
Ma scarso onor sarebbero per te gli studi tui,
Senza il piacer di rendere teco felice altrui.
Padre, maestro e duce il tuo saper diffondi,
E di scienza al pari che di clemenza abbondi.
O colei fortunata che il tuo gran cor possiede!
Che davvicin ti tratta, che sospirar ti vede.
Ah! se qual di Nicotri, tal fosse il destin mio,
Signor, te lo confesso, sarei gelosa anch’io.
Zoroastro. Basta, basta, Semira. Il tuo bel core intendo.
(Ahimè, più che l’ascolto, più debole mi rendo).
Semiramide. Perdonami, signore. Di te più non ragiono.

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Parlisi sol di Nino e dell’Assirio trono.

Posso sperar che pace doni al garzon regnante?
Zoroastro. Deh! non celarmi il vero. Sei del garzone amante?
Semiramide. Perchè vuoi tu costringermi a palesar l’arcano?
Lascia per or ch’io taccia.
Zoroastro.   (Ah, mi lusingo invano!) (da sè
Semiramide. Se il re Babilonese mi amasse a cotal segno,
Mi crederesti indegna di possedere un regno?
Zoroastro. Ah no, chi ti conosce, pensa di te altrimenti:
Nata tu sei, Semira, ad operar portenti.
La tua virtù congiunta a singolar bellezza,
L’anima generosa alle grand’opre avvezza...
Semiramide. Basta, signor, deh! basta, non mi adular cotanto.
Zoroastro. Può dubitar ch’io finga, chi ha di sincera il vanto?
Semiramide. A ragion mi rinfacci. Signor, perdon ti chiedo.
Nel tuo bel cor sincero la mia fortuna io vedo.
Ah! se il destin mi avesse condotta a te dinante,
Quando fioria purpurea la guancia colmeggiale...
Zoroastro. Seguita, di’ qual brama nutri, Semira, in seno?
Semiramide. Del nome e di mia fama il mondo avrei ripieno.
Dicolo senza orgoglio: son donna, è ver, ma tale,
Capace d’ogni impresa per rendermi immortale.
E ad un eroe vicina, che ha di sapienza il dono.
Amata e rispettata sarei più che non sono.
Zoroastro. Bella, dal verde aprile tu non uscisti ancora;
La rosa e il bianco giglio il tuo bel volto infiora.
Nota è la tua virtude: ma se qual son, ti giova,
Meco le arcane cose puoi rintracciare a prova.
E se ad un regno aspiri, forza è pur ch’io tel dica:
Chi sa che qui non trovi sorte al tuo genio amica?
Semiramide. Perdonami. Il mio core tanto sperar non osa.
Rammentati la fede giurata alla tua sposa.
Un re che sudò tanto a meritar gli allori,
Soffra la sua catena, e la costanza onori.
Oh dio! quella fortezza, che ora mi scorgi in volto,

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Credi, non costa poco, ma il mio dovere ascolto.

Venni a parlar di Nino; per lui ti prego, e basta.
Quel che rinchiudo in seno, all’onor mio contrasta.
Amor vorria sedurmi; femmina sono anch’io...
Nino ti raccomando. Siami6 cortese. Addio. (parte

SCENA VIII.

Zoroastro solo.

Zoroastro. Oh incanto! oh debolezza! oh angustiato petto!

Chi può di donna tale resistere all’aspetto?
Ma se priega per Nino? Eh! col pregar per lui
Scopre, palesa in volto per me gli affetti sui.
Che farò, che risolvo? Odo Nicotri e il regno
Rimproverarmi in core il mio giurato impegno.
Ma se Nicotri insulta e se Semira incanta,
Chi è colui che seguire il suo miglior non vanta?
Sì sì, scorgo in Semira brillar la mia speranza:
Il desir del ben proprio ogni desire avanza.


Fine dell'Atto Secondo.


Note

  1. Nel testo: m’odj.
  2. Nel testo: si ha.
  3. Nel testo: giubbilerei.
  4. Ed. bolognese: giungi.
  5. Ed. bolognese: nutro.
  6. Così nel testo.