Vae Victis/Parte prima/V

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Parte prima - IV Parte seconda

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V.

Le fanciulle, nelle vesti di mussola e le scarpette di raso, si sparpagliarono verso le loro case come un volo di farfalle spaurite.

L’avevano sognato, o c’era stato proprio, mentr’esse correvano sopra il ponte, un suono profondo e rimbombante come tuono lontano?... Ristettero ad ascoltare.

Sì.... eccolo di nuovo quel profondo fragore, tuonante da lungi nella notte stellata.

«Jésus, Marie, St. Joseph, ayez pitié de nous,» susurrò Jeannette, e le altre ripeterono tremanti la invocazione. Quindi attraversarono correndo il ponte e giunsero alle loro abitazioni.

Luisa, Chérie e Mirella erano rimaste sole nella casa deserta. Quando salirono a cercare [p. 64 modifica]di Frida trovarono la sua stanza vuota. Nulla di suo vi rimaneva, soltanto due libri — il «Deutscher Dichterschatz», e «Der Trompeter von Säkkingen» — giacevano sulla tavola, e il busto in gesso di Mozart stava ancora al suo posto sul caminetto.

«Sarà sgusciata via mentre noi parlavamo con Florian», disse a bassa voce Chérie volgendo una faccia pallida e stravolta a Luisa che girava lo sguardo stupefatto intorno alla stanza vuota.

«Era una vipera,» osservò Mirella tenendosi un po’ più stretta al braccio di sua madre. «E anche Fritz era un serpe.»

Al nome di Fritz Luisa fu scossa da un brivido.

«Fritz!... Non sarà tornato?» disse piano, lanciando uno sguardo pauroso verso la finestra. Di là del cortile si scorgeva ancora nella semi-oscurità il fabbricato rustico dove il domestico aveva la sua camera. «Che ci sia?...»

Nel silenzio che seguì tutte guardarono quelle finestre chiuse e buie sopra il garage; e l’idea che Fritz potesse essere là nascosto e in agguato era assai inquietante.

«Bisogna andare a vedere,» disse Chérie, tremante ma risoluta. [p. 65 modifica]

Così — tenendosi vicinissime l’una all’altra, e Luisa portando alta sopra la testa una lanterna — attraversarono il cortile silenzioso. Spinsero la porta di legno, socchiusa, e salirono per le scale scricchiolanti alla camera di Fritz.

Vuota! — Era vuota anch’essa.

Luisa tirò un tremulo sospiro di sollievo; ma Chérie le additò il baule accanto al letto, e gli abiti sparsi per la stanza.

«Si vede che ha l’idea di tornare,» susurrò Chérie; e tutt’e tre tremarono a questo pensiero. Allora scesero rapide, attraversarono il cortile e rientrarono in casa. Si trassero dietro la pesante porta d’ingresso che si chiuse con fragore; ma quando vollero spingere il catenaccio e chiudere a chiave trovarono che questa era stata portata via, e la grossa spranga di ferro era staccata dal battente.

Fu in quel momento che il primo rombo lontano giunse alle loro orecchie.

«Che rumore è quello?» chiese Mirella, scotendo il braccio di sua madre. «Rispondi!»

Chérie le prese la manina. «Niente.... era niente,» disse rapida. «Andiamo su a preparare le nostre cose...» E vedendo Luisa che stava ancora davanti alla porta, impietrita come una [p. 66 modifica]statua colla lanterna in mano, le gridò: «Lulù! Ti prego.... va in camera tua a radunare ciò che vuoi portar via domattina.»

Luisa si volse e la guardò con occhi di sonnambula; indi lentamente si mosse, ed obbedì.

.... Ardua cosa scegliere fra tutti gli oggetti che ci circondano quelli da portarsi via, così, nelle nostre due mani! Ah, queste cose inanimate come ci crescono profondamente nel cuore, come diventano, col passar degli anni, una parte integrale della nostra esistenza!

Ma come? Si devono prendere solamente i denari e pochi gioielli?... E non questo quadro? Non queste lettere? Non questo dono prezioso di chi non è più?... Non la massiccia argenteria che per generazioni è stata nostra? Non il caro velo delle nostre nozze?.... Non lo sgualcito libriccino da Messa della nostra Prima Comunione?... E non le preziose medaglie che commemorano le campagne di guerra di nostro padre? Nè i documenti che dimostrano chi siamo e ciò ch’è nostro?...

Ma — e la gabbia con dentro i canarini che dormono — lievi pallottole di lanugine dorata? Si devono lasciarli qui a morire?... E il cane — il fedele compagno che alza su di noi i suoi occhi buoni e intelligenti?... [p. 67 modifica]

«Ah! Amour, a qualsiasi costo, lo portiamo con noi,» disse Chérie.

«Lo portiamo con noi...» ripetè trasognata Luisa che errava come un’anima smarrita per le stanze raccogliendo degli oggetti e poi rimettendoli giù.

Un orologio lontano suonò le undici.

Mirella, ancora nel suo vestitino di mussola rosa, s’era arrampicata sul letto di Luisa e sonnecchiava.

Ah!... Eccolo di nuovo quel rimbombo cupo, tuonante, perdentesi in un lungo e minaccioso brontolio....

«È più vicino!» ansò Luisa, torcendosi le mani. «È più vicino!» E mentre ancora lo diceva, ecco ripetersi il suono terribile — e più vicino, infatti, e più cupo, più profondo, più temibile.... Le vetrate della casa tremarono.

Mirella balzò a sedere sul letto cogli occhi spalancati e lucenti.

«Cos’è?» Poi gridò forte: «Mamma! dimmi cos’è?»

Luisa accorse. «Zitta, cara, zitta,» disse chinandosi su di lei e baciandola.

«Ma cos’è?» insistette la bambina. «Voglio sapere! È un temporale? O sono i nemici?»

«Ma no, piccola cara, no!» la rassicurò Chérie, accorsa anch’essa. «Sono i nostri cannoni, che sparano appunto per tenerli lontani.» [p. 68 modifica]

Mirella lasciò ricadere il capo sul guanciale e le chiome di seta bionda si sparsero tutt’intorno al piccolo viso.

Dopo un attimo riaprì gli occhi.

«Ma vorranno venir qui, i tedeschi?»

Vi fu un silenzio. Poi Chérie disse: «Che idea!» e Luisa soggiunse: «Mai più!»

«Ma... hanno voglia di venir qui?» insistette Mirella, cogli occhi che si appesantivano.

«E che cosa verrebbero a fare, scioccherella?» balbettò Luisa colle labbra pallide. «Che cosa potrebbero volere in questo piccolo villaggio?»

«Ma già,» assenti Chérie. «Dormi, dormi, Mirella, che l’alba sarà subito qui.»

Mirella chiuse gli occhi, e pensò ai tedeschi. I tedeschi — secondo gli insegnamenti di Frida e di un giornale umoristico settimanale chiamato «Fliegende Blätter» — si distinguevano in due categorie: Professori e Tenenti. I Professori erano vecchi, calvi e comici; i Tenenti erano giovani, aristocratici ed affascinanti. I Professori erano così distratti che non sapevano mai nè dove andassero, nè che cosa facessero; i Tenenti erano così irresistibili che solo a vederli tutte le ragazze di Germania cadevano in deliquio, e morivano per essi di etisia e di [p. 69 modifica]amore. Frida talvolta ammetteva che vi era qualche altro tedesco all’infuori di queste due categorie. Vi erano dei poeti, per esempio, ma questi erano già quasi tutti morti; vi erano delle buone madri di famiglia, che facevano una conserva chiamata Konfitür; vi erano dei camerieri d’albergo che andavano all’estero.... Ma certamente, pensò Mirella, i tedeschi che volevano entrare nel Belgio questa sera erano i Tenenti e i Professori....

Mirella si annidò più comodamente nei soffici cuscini e si addormentò. Sognò che erano proprio arrivati, che erano molto amabili e che ammiravano molto il suo vestito rosa.

Un rombo assordante la destò — uno scoppio immane con uno scrosciar di travi rotte e di vetri frantumati.

Mirella balzò dal letto, e subito un lampo l’acciecò, un altro rombo riempì l’aria.

Pareva che crollasse il mondo.

«Mirella!!» Le braccia di sua madre erano intorno a lei, e Chérie si aggrappava ad entrambe.

«Andiamo via — andiamo via subito!» gridò Chérie. «Cercheremo rifugio dal Borgomastro... dal Parroco... Non stiamo qui, non stiamo qui, sole!» [p. 70 modifica]

«Sì... sì... andiamo...» balbettò Luisa. «Ma chi ci porterà la roba?...»

«Che roba? Ma cosa dici?» gridò Chérie. «Non possiamo prender nulla — nulla, Lulù! — Per amor di Dio, andiamo!»

«Ma.... i denari?...»

«Fa presto!» gridò Chérie.

«Fa presto!» strillò anche Mirella battendo i denti.

«Ma come possiamo...» balbettò Luisa, toccandosi con mano tremula la gonna di trine, «come possiamo andare per il mondo vestite così?»

«Non importa — non importa — andiamo! Facciamo presto! mio Dio! facciamo presto!...»

Ma Luisa sembrava paralizzata e impietrita dal terrore.

«Adesso verranno... verranno,» mormorava fissando con occhi folli la finestra frantumata. Le pareva che nell’oscurità di fuori pulsassero e tuonassero le tremende parole di Florian: «Oltraggio, violenza e strage.... oltraggio, violenza e strage.»

D’improvviso un gigantesco fascio di fiamme si alzò nel cielo, illuminando la stanza d’un fantastico bagliore. Quindi un’immane esplosione scosse la casa fino alle fondamenta. [p. 71 modifica]

Con un grido Luisa afferrò Mirella e si slanciò fuori dalla stanza.

Chérie le seguì scendendo a precipizio le scale. Ma un’altra esplosione le arrestò, folli di panico, sul pianerottolo. La casa tremava, i vetri della scala cadevano in mille frantumi intorno a loro.

Pazze di terrore si rifugiarono nella sala d’entrata.


Passarono ore, od istanti?... Non lo seppero mai.

A un tratto sopra l’assordante baccano percepirono altri suoni. Erano voci — voci forti e rauche — giù, nella strada. Un frastuono di grida, di comandi secchi e gutturali, un clicchettìo di sciabole e speroni.

«Lasciami — voglio guardar fuori,» ansò Chérie, svincolandosi dalla stretta convulsa di Luisa. E corse, barcollando alla finestra....

Indi volse a Luisa un volto stralunato.

«Eccoli. Sono qui!»

Mirella cacciò un urlo che si perdette nello strepito crescente, e Luisa levò le mani al cielo.

«È la morte — la morte» gemette, e strinse tra le braccia la piangente Mirella.

«Taci! Taci!» susurrò Chérie. «Forse non entreranno. Il portone è chiuso...» Ma pur men[p. 72 modifica]tre lo diceva sentiva tutta la fallacia di tale speranza. «Ah! mio Dio!» E Chérie, barcollante indietreggiò dalla finestra, aggrappandosi alle tende per non cadere. «Luisa, c’è qualcuno che apre la porta! È Fritz.... È Fritz.... È lui che li fa entrare!»

Ed ecco già per le scale un trepestìo e un vociar alto e rude tra il tinnir di sciabole e speroni.

Allora, quasi se l’imminente incombere del fato l’avesse d’un tratto investita d’una forza e dignità nuove, Luisa si raddrizzò alta e tragica fra le due fanciulle tremanti, e con gesto solenne tracciò sulla fronte ad entrambe il segno della croce. Poi anch’essa si segnò; e con le braccia intrecciate stettero immobili. Erano pronte a morire.

Villanamente sbattuta da un calcio la porta si aprì; dei militari in uniformi grigie apparvero sulla soglia; altri gremivano l’andito spingendosi avanti rumorosamente. Ma alla vista delle tre figure allacciate si arrestarono e vi fu un istante di silenzio; quindi un ufficiale — un uomo alto, magro, dai baffi grigi — mosse un passo davanti agli altri, ed entrò nella stanza. Quelli dietro a lui si schierarono rigidi e impettiti sul limitare, evidentemente aspettando ordini. [p. 73 modifica]

«Tiens, tiens, tiens!» fece l’ufficiale squadrando le tre figure femminili da capo a piedi, dalle chiome lucenti alle scarpette eleganti.

«Che quadro delizioso!» — e i suoi occhi sorridevano. «Si direbbe che vi siete fatte belle per riceverci?» Il suo francese era perfetto; il tono, benchè lievemente sprezzante, non era nè rude nè scortese; i suoi occhi azzurri erano intelligenti e un po’ canzonatori. A dir vero non sembrava una «jena infernale,» nè evocava l’idea di violenza, d’oltraggio o di strage.

Nell’anima di Luisa una reazione improvvisa successe alla tensione suprema di terrore. Le parve di fondersi e svanire in un’onda ineffabile di conforto e di speranza; e il sangue agghiacciato le rifluì con un caldo palpito nel cuore.

Frattanto l’ufficiale si era rivolto agli uomini immobili dietro di lui — due di questi parevano ufficiali di grado inferiore, gli altri otto o dieci erano semplici soldati — e diede loro un breve aspro comando in tedesco. Tutti salutarono, rigidi; mentre i due ufficiali facevano un passo avanti e si ponevano a lato del loro superiore. Uno di costoro — un giovane alto, dagli occhi chiarissimi — teneva un foglio di carta in mano. [p. 74 modifica]

Dietro l’ordine secco dell’ufficiale anziano egli lesse ad alta voce quanto vi stava scritto. L’ufficiale superiore, ascoltando quella lettura, si guardava intorno; volgeva gli occhi dalla finestra alla porta, poi all’altra porta, poi alla breve scalinata ricoperta di tappeti rossi che conduceva agli appartamenti superiori....

Chérie e Mirella — che capivano il tedesco — ascoltavano stupefatte quella lettura. Era una breve precisa descrizione della casa e dei suoi inquilini.

«Abitazione di Claudio Leopoldo Brandès dottore e ufficiale di riserva; età 34 anni; ammogliato con prole. Sua moglie, sua figlia e una sorella vivono con lui. Al pian terreno cinque vani: cucine, studio del dottore, camera da chirurgia e due sale d’aspetto; al primo piano, quattro vani; ai piani superiori, nove vani. — Garage; scuderia; rimessa (due cavalli, una motocicletta, un’automobile — requisiti); cantine e telefono. — Das ist alles, Herr Kapitän.»

«Uomini adulti in casa?» chiese il Herr Kapitän.

No. Queste donne soltanto.

«Dov’è questo dottor Brandès?»

Partito nella notte del 3 luglio.

«Per la frontiera?» [p. 75 modifica]

No; probabilmente per la capitale. «Ma,» soggiunse il giovane ufficiale, lanciando una fuggevole occhiata alle tre donne, «sarà facile accertarsene.»

«Bene. E c’era un nostro incaricato qui?» chiese il capitano.

«Sì. Un certo Fritz Müller di Löhrrach.» Chérie fremette e strinse più forte la mano di Luisa.

«Dov’è questo Müller?» domandò il capitano guardandosi intorno.

«È giù.... dabbasso: quel domestico,» spiegò il tenente, «che ci aprì la porta».

«Incaricatelo dei biglietti d’alloggio;» ordinò il capitano. «Si provveda per 125 uomini. Quanto a noi —» prese di mano al giovane la carta e la rigirò per guardare il piano della casa disegnato a tergo del foglio — «vediamo un po’... Tre stanze a questo piano... quattro di sopra.... Glotz!» disse, volgendosi all’altro ufficiale, un sottotenente giovanissimo che gli stava dietro, muto e impalato — «Lei venga con me. E porti due uomini.»

Glotz salutò rigido.

Il capitano gettò un’occhiata su Luisa e Chérie. «Von Wedel» — l’ufficiale dagli occhi chiari si mise sull’attenti — «tu starai qui.» [p. 76 modifica]

Indi il capitano girò sui tacchi, salì impettito i quattro gradini, e sparve per le scale, seguìto dal sottotenente Glotz e due soldati.

Gli altri otto o dieci uomini rimasero nel vestibolo, schierati in fila, rigidi e immobili come tanti soldati di piombo.

Von Wedel con un colpo di piede chiuse l’uscio in faccia a costoro; quindi si volse a contemplare le tre donne lasciate in sua custodia.

Mosse lentamente, con passo deliberato, verso di loro; ed esse indietreggiarono tenendosi ancora per mano e levando su di lui gli occhi stellanti e spauriti.

Egli era molto alto e molto largo di spalle e torreggiava sopra le tre figurette tremanti.

Rimase, così, fissandole per alcuni istanti; i suoi occhi chiarissimi andavano da Luisa a Chérie, da Chérie a Mirella, poi tornavano a soffermarsi su Chérie.

«Ebbene, colombelle?» disse alfine; e rise. «Ci aspettavate dunque? Vi siete vestite da festa per riceverci?» Nei tre paia d’occhi alzati su di lui fluttuava molta paura.

Egli rise ancora, e mosse d’un altro passo più vicino. Subito tutte e tre indietreggiarono.

«Ebbene? Perchè non rispondete?»

Luisa si avanzò d’un passo mettendosi da[p. 77 modifica]vanti alle altre due, quasi in atto di difesa; poi parlò con voce bassa e tremante:

«Signore.... spero... che voi e i vostri amici.... avrete la bontà di lasciare questa casa... Come vede.... non siamo che donne, qui.... E siamo sole...»

«Permetterete a noi di tenervi compagnia,» fece in tono tra l’insinuante e l’ironico Von Wedel; e soggiunse in aria d’amabile interrogazione: «Vostro marito non è qui?»

«No,» disse Luisa, e al pensiero di Claudio il suo labbro inferiore tremò, come quello d’un bambino che sta per piangere.

«Ah, non è qui? Ne sono desolato;» disse Von Wedel alzando un piede e poggiandolo, nello stivale infangato, su una sedia di broccato chiaro. «Aspetteremo che ritorni.»

«Ma,» balbettò Luisa «non torna stanotte.»

«Ah, no?... Che marito poco galante!» rise l’ufficiale sporgendosi in avanti col gomito sul ginocchio ripiegato, e i suoi occhi chiari e insolenti che finora, anche parlando con Luisa, erano sempre stati fissi su Chérie, errarono sfrontatamente sopra la graziosa trepidante figura della sua interlocutrice. «E dove sarebbe andato?»

Egli lanciò la domanda con noncuranza, traen[p. 78 modifica]dosi di tasca un portasigarette d’oro e togliendone l’unica sigaretta che conteneva. «Mi pare che il vostro domestico dicesse che l’avevano mandato a Namur...»

«No, a Mons,» disse Luisa.

«Ah già, già — Mons!... Interessante città, Mons.» Picchiò leggermente un’estremità della sua sigaretta sul palmo della mano. «Già. Bella cattedrale, quella di St. Waudru.... Ed è andato solo?»

Mirella diede un pizzicotto a sua madre. «Taci, mamma! Non dirlo.»

L’ufficiale l’udì e rise. Presala per un braccio l’allontanò dolcemente dal fianco di sua madre.

«Ma guarda, guarda!» disse, sempre ridendo, «come siamo furbe e diplomatiche!» E stringendole forte il piccolo braccio la fece indietreggiare traverso tutta la stanza; indi, dandole una lieve spinta la lasciò, e rivolse di nuovo la sua attenzione alle altre due.

Luisa, che si era lanciata in soccorso di Mirella ristette pallidissima, mentre dal fondo della stanza Mirella, incolume e indoma, la rassicurava cacciando fuori la lingua dietro le spalle del nemico, in segno di sfida e di disprezzo.

Von Wedel fissava di nuovo Chérie, e sotto [p. 79 modifica]l’insolente insistenza di quello sguardo essa tremò come una fiammella al vento.

«Perchè tremate?» chiese egli. «Avete paura di me?»

«Sì,» mormorò la fanciulla, chinando il capo.

Egli rise. «Perchè? Non sono una belva feroce. Ho forse l’aria di una belva feroce?» E le andò più vicino.

Luisa con un passo si pose davanti a Chérie. «Mia cognata, signore, è molto giovane, e non è avvezza alle attenzioni degli estranei.»

«Buona donna,» replicò Von Wedel con tranquilla insolenza, «andate un po’ a prendermi delle sigarette.».

E siccome Luisa lo fissava, sbigottita e immobile, egli alzò alquanto la voce. «Sigarette, ho detto. Preferibilmente turche. Vostro marito certo ne avrà. Su! movetevi, buona donna. Eins, zwei, drei — marsch!»

Per un attimo Luisa esitò; indi si volse e lasciò la stanza; Mirella correndo la seguì.

Anche Chérie si lanciò per seguirle, ma Von Wedel con un balzo le fu accanto e le afferrò il braccio.

«Halt, halt!» fece ridendo. «Voi starete qui, colombella; starete qui a discorrere con me.»

La fanciulla arrossì, impallidì e tremò. [p. 80 modifica]

«Che colombella timida,» disse Von Wedel curvandosi sopra di lei. «E come vi chiamate?»

«Chérie,» rispose essa, a voce così bassa che quasi non si udiva.

«Come, come? Chéri? È a me che lo dici? Altrettanto a te, caruccia mia!»

E Von Wedel sedette sopra un angolo della tavola chinandosi vicinissimo a lei. «Ma di che cosa hai paura? E di chi hai paura?... Del capitano Fischer?... Di me?... Dei soldati?...»

«Di tutti,» mormorò Chérie.

«Di tutti! Ma guarda un po’! E dire che siamo così brava gente,» disse lui, e soffiò una boccata di fumo in lungo getto davanti a sè; poi buttò sul tappeto la sigaretta e la spense col piede. «Ma non sai che non faremmo male ad una mosca, noi? E neppure a un cane,» soggiunse ridendo alla vista di Amour, che comparso in cima agli scalini ne scendeva a piccoli salti zoppicanti, mandando dei guaiti dolorosi. «Tanto meno poi faremmo del male a un’adorabile tortorella come te.»

Il cane, lamentandosi pietosamente, venne ad appiattarsi ai piedi di Chérie.

Essa si chinò e lo prese tra le braccia. Evidentemente la bestiola soffriva.

Von Wedel disse: «Che bravo cagnolino,» [p. 81 modifica]e allungò la mano per accarezzarlo, ma Amour ringhiò mostrando i denti e l’ufficiale ritrasse in fretta la mano.

Luisa riapparve portando delle scatole di sigari e sigarette, e le depose sulla tavola. Mirella che la seguiva scorse Amour tra le braccia di Chérie e ne udì il minaccioso brontolìo. Al suo accorrere la bestiola riprese il suo fioco lamento.

Mirella lo guardò, gli toccò la zampa, poi volse due occhi saettanti sull’ufficiale: «Cosa gli avete fatto?» gridò, alzando in gesto quasi di minaccia la piccola mano.

L’ufficiale diede in una risata. «Toh, toh! che piccola Furia! che viperetta!» esclamò. «Del resto puoi portartelo pur via quel cagnaccio! A me le bestie non piacciono.»

A queste parole Chérie subito si mosse verso la scala portando seco Amour, ma l’ufficiale la trattenne.

«No, no, no, cara! Dà il cane alla piccola Furia. — Tu resti qui con me!»

Chérie, mordendosi le labbra per non piangere obbedì; indi si rifugiò accanto a Luisa, mentre Mirella correva di sopra con Amour tra le braccia. Essa lo portò nella camera di Chérie, gli baciò la ruvida testa nera, gli acca[p. 82 modifica]rezzò la povera zampa che pendeva come spezzata, poi lo adagiò in un cantuccio bene accomodato su di un cuscino.

Indi tornò giù, correndo, a vedere cosa succedeva.

Amour lasciato solo espresse la sua sofferenza ed indignazione in lunghi urli e lamenti. Qualche istante più tardi il capitano Fischer, seguìto dal sottotenente Glotz e dai due soldati, scendendo dal suo giro d’ispezione nei solai, udì gli strazianti gemiti e si fermò sul pianerottolo.

«Cos’è questo rumore? Chi grida così?» chiese rivolto a Glotz.

«Sarà quel cane, signor capitano, a cui avete dato un calcio poco fa.»

«Orribile strepito,» disse il capitano. «Fatelo cessare.»

Allora uno dei soldati entrò nella stanza — e lo fece cessare.

Il capitano Fischer scese al primo piano seguìto da Glotz.

Quando Von Wedel lo vide entrare si allontanò da Chérie e si pose sull’attenti.

Di fuori era cessato già da tempo il rombo del cannone, ma si udivano ogni tanto degli scoppi d’arma da fuoco — improvvise scariche di fucileria che cessavano di colpo com’erano principiate. [p. 83 modifica]

I tre ufficiali parevano non badare a questi rumori. Si erano radunati intorno al tavolo e parlavano tra loro a bassa voce; il capitano dava ordini secchi e concisi; Von Wedel ogni tanto interrompeva domandando una cosa o un’altra; mentre Glotz, rigido e diritto come un balocco meccanico, diceva ad intervalli: «Ja, Herr Hauptmann — ja, Herr Leutnant,» senza alcuna espressione sul viso tondo, rosso e solenne.

Egli non aveva mai rivolto gli occhi sulle donne. Pareva che per lui non esistessero.

Luisa, con Chérie e Mirella, si era rifugiata in un angolo della stanza e tutt’e tre tenevano fissi gli occhi pieni d’ansia sul gruppo degli ufficiali.

«Chissà cosa dicono,» susurrò Luisa. «Cercate di capire....»

Chérie tese l’orecchio.

«Stanno parlando... aspetta... dicono dove andranno a dormire.»

Luisa giunse le mani. «Sta attenta, sta attenta...»

«Otto uomini staranno qui,» tradusse Chérie rapida, a bassa voce, «quattro negli abbaini e quattro giù al pian terreno.... Loro stessi —»

«Ebbene? Cosa? Dimmi — dimmi —» [p. 84 modifica]

«Andranno altrove.»

Luisa sussultò, premendosi le mani sul cuore.

«Aspetta... parlano del Cheval Blanc — aspetta... aspetta! dicono» le pupille dell’ascoltatrice si dilatarono «dicono che non vi possono andare perchè l’albergo è in fiamme.»

A questo punto Von Wedel ruppe in una rumorosa risata ed anche il capitano sorrise.

Solo il volto tondo di Glotz restò grave ed impassibile come la faccia d’un bambino solenne.

«Cosa dicono?... Cosa dicono?» ansò Luisa.

Fu Mirella che tradusse: «Parlano del Pfarrer — del signor Curato....»

Von Wedel diede un’altra risata. «Der alte Esel!... Seine eigene Schuld....»

«Cosa? Cosa?» domandò Luisa.

«Il vecchio somaro... tutta colpa sua,» tradusse Mirella.

Ed ora il capitano si curvava, guardandosi gli stivali.

«Cosa dice? Dimmi cosa dice —»

Chérie interpretò: «Dice che vuol levarsi dai piedi il fango e il sangue —»

«Il fango — e il sangue!... Ma no — ma tu fraintendi —»

Mirella saltò su: «No, no! Ha proprio detto così. Koth und Blut — fango e sangue.» [p. 85 modifica]

Un languore mortale come di deliquio colse Luisa: le parve di sentire sollevarsi il pavimento, poi affondarsi e crollare sotto di lei.

Ora Von Wedel aiutava il capitano a togliersi la tunica, traendogli il braccio sinistro dalla manica con molte precauzioni.

«Dice che è ferito,» susurrò Mirella.

«Ma che è cosa da nulla,» soggiunse Chérie; «una scalfittura al braccio...»

Difatti il capitano Fischer, tolta la tunica, stava rimboccando con molto riguardo la manica della camicia, scoprendo l’avambraccio piagato e sanguinante. Anche Von Wedel si chinò a guardare la ferita scotendo il capo con aria di grave inquietudine.

Il capitano guardò di sott’occhio Luisa e le fece cenno col dito di avvicinarsi.

«Gnädige.... venga qui, per favore.»

Luisa cogli occhi stralunati e la faccia terrea obbedì.

«Vostro marito è medico, non è vero? Avrete dunque in casa qualche antisettico.... del lisoformio? Del sublimato?....»

Luisa fece cenno di sì.

«Allora portatemene, ve ne prego. E un po’ d’acqua, bollita, se ce n’è.»

Luisa si volse senza parlare e lasciò la stanza. [p. 86 modifica]

«Mi pare molto stupida,» osservò Von Wedel seguendola cogli occhi.

«Mi pare molto bella,» disse il capitano.

Luisa passò davanti ai soldati che affollavano l’andito. Scese le scale, tenendosi una mano alla fronte. Aveva le vertigini e le pareva di camminare in sogno. Sarebbero rimasti qui, in casa sua, tutta la notte questi uomini? Avrebbero mangiato e dormito qui? Avrebbero seguitato a darle degli ordini, ad occhieggiare Chérie, a spaventare Mirella? Quanto tempo rimarrebbero? Chissà? Forse una settimana.... forse un mese?...

Luisa entrò barcollando nello studio di suo marito e accese la luce. Alla vista di quella stanza, della poltrona di lui, del suo libro ancora aperto sullo scrittoio, così come l’aveva lasciato nella precipitosa partenza — Luisa si sentì torcere il cuore in una morsa d’angoscia. «Claudio... Claudio!...» singhiozzò. «Torna! Torna a proteggerci!...»

Ma Claudio era lontano.

Trovò la piccola fiala azzurra delle pastiglie di sublimato; versò dell’acqua distillata in una bacinella; poi prese del cotone e un pacco di garza. Quindi uscì, risalì le scale, passò ancora davanti alla turba grigia dei soldati, ed entrò nel salotto. [p. 87 modifica]

Era vuoto. Dove erano andati? dove avevano portato Chérie e Mirella?

Vacillando, inciampando, come acciecata dal terrore, Luisa salì i quattro gradini che conducevano alla sala di ricevimento. Dentro udì delle voci, ed aprì la porta.

Il capitano Fischer, in maniche di camicia e senza scarpe, stava sdraiato sul divano; Von Wedel e Glotz in piedi accanto alla tavola ancora tutta adorna di fiori per la festa, divoravano a grandi bocconi dolci, focacce e sandwich. Avevano gettati i loro elmetti grigi sul pianoforte; i loro cinturoni ingombravano le seggiole.

Luisa vide Chérie, tremante e pallida, addossata al muro in un lontano angolo della stanza.

«Mirella dov’è?» gridò Luisa.

Chérie rispose: «È andata disopra. Quell’uomo» — e indicò il capitano — «l’ha mandata a cercargli delle pantofole. Io volevo andare con lei, ma non mi hanno lasciata....» La voce le si ruppe in un singhiozzo.

«Dio di misericordia,» mormorò Luisa, «mi pare tutto un sogno.....»

Il capitano, vedendo Luisa, si era rizzato a sedere.

«Ah!» esclamò, «ecco la mia suora di ca[p. 88 modifica]rità! La mia dolce Samaritana!» E si alzò e le andò incontro nelle sole calze e le prese dalle mani la catinella.

Indi si guardò intorno, incerto dove posarla. Finalmente tirò a se una poltrona di damasco e vi depose la catinella d’acqua. «So gut,» disse. «E qui, cosa abbiamo?»

Tolse di mano a Luisa la piccola fiala di sublimato e ne lesse l’etichetta. — «Perclorato di mercurio — grammi 1. — Benissimo.»

Aprì la boccetta; fece cadere sul palmo della mano una delle pastiglie di color rosa vivo, e la gettò nell’acqua.

«Ed ora, bella signora, volete aiutarmi? Volete lavare la ferita del nemico? Del nemico... ammiratore?»

Denudò l’avambraccio e si rimise sul divano, facendo posto accanto a sè per Luisa. Ma quando tentò di trarsela al fianco essa si svincolò e volle rimanere in piedi davanti a lui.

«Ah! la belle Dame sans Merci!» citò ridendo il capitano.

Luisa aveva immerso il cotone nell’acqua e si chinava a lavare leggermente il braccio ferito, allorchè la piccola Mirella entrò portando in mano un paio di pantofole di suo padre.

Ristette sbigottita sulla porta vedendo sua [p. 89 modifica]madre, curva sopra il braccio di quell’uomo. Il piccolo viso le si fece di fiamma. Gettando per terra le pantofole corse a rifugiarsi nell’angolo accanto a Chérie, e le nascose la faccia in seno.

«Toh! Toh! la viperetta!» esclamò Von Wedel con una grossa risata, prendendo un altro sandwich. «E da bere cosa ci date? Non questi sciroppi, spero?» additando con disgusto l’aranciata e la granatina. «Vogliamo dello champagne! Eh, Glotz? Cosa ne dici? Piper Heidsieck, Extra Dry.»

«E del cognac,» aggiunse Fischer che stava esaminandosi il braccio. «Questa graffiatura mi fa maledettamente male.»

Vi fu un istante di silenzio, indi Chérie facendo un rapido passo verso la porta, disse: «Vado a prendere il cognac.»

«Vengo anch’io,» esclamò Mirella.

«No, no, no, no!» rise Von Wedel afferrandole, ciascuna per un braccio. «Voialtre volete scappare! Conosco le vostre malizie. Niente affatto. La viperetta starà qui. E la colombella» — si chinò col viso vicinissimo a quello di Chérie — «la colombella verrà con me a farmi vedere dove si trova il cognac e lo champagne.»

«No! No! voglio venire anch’io!» strillò Mirella avviticchiandosi al braccio di Chérie. [p. 90 modifica]

«Tuoni e fulmini!» vociò Von Wedel, «che piccolo scorpione! Qui, Glotz! tienla un po’ ferma — o meglio portala via, che mi dà sui nervi!»

A queste parole Luisa smise di lavare la ferita del capitano, e scoppiò in pianto.

Glotz che stava seduto a tavola mangiando tranquillamente, si alzò, asciugandosi la bocca in una delle serviette di carta velina. «So io dov’è la cantina,» disse. «Ci sono passato nella ronda col signor capitano. Se il signor capitano permette andrò io stesso a cercare il cognac.»

Von Wedel lo guardò sdegnato. «Cosa t’immischi, idiota?»

Ma Glotz uscì rapido dalla stanza, senza badare a Von Wedel che lo ingiuriava sommesso.

Luisa frattanto singhiozzava ancora. Invano il capitano le accarezzò la guancia dicendole che a Mirella nessuno avrebbe fatto nulla; essa continuò a piangere amaramente, disperatamente, mentre gli fasciava il braccio.

Von Wedel avendola osservata qualche momento si rivolse a Chérie. «Dimmi un po’, che parentela hai con quella Niobe piangente?»

«È mia cognata,» rispose Chérie con un filo di voce. [p. 91 modifica]

«Eh? Cos’hai detto? Non capisco. Parla più forte,» disse Von Wedel, seduto su un angolo della tavola e accendendo un sigaro del dottor Brandès.

«Mia cognata,» ripetè Chérie quasi afona.

«Tua cognata?» Von Wedel soffiò verso il soffitto una boccata di fumo. «Caruccia!» E le pizzicò il mento. «Ed io sarò tuo cognato; va bene? — Ah! ecco lo champagne!» esclamò vedendo spalancarsi la porta.

Ma non era lo champagne. Era un altro ufficiale, vestito anch’egli di un’uniforme grigia e senza alcun distintivo. Era rosso in faccia e tutto sporco di polvere e di terriccio.

Salutò il capitano, fece un cenno di saluto a Von Wedel; poi allentò il suo cinturone e buttò l’elmetto grigio sul pianoforte vicino agli altri.

«Ah! finalmente, Feldmann,» disse il capitano Fischer. «E così?... Cosa avete fatto?»

«Il mio dovere,» rispose il nuovo arrivato, con una voce stranamente rauca.

«Der Pfarrer?...» chiese Von Wedel.

Il nuovo venuto annuì con un movimento del capo e torse le labbra in una smorfia di disgusto, «Già. E anche quel balordo di un boy-scout. — Era lui,» soggiunse volgendosi a Fischer, «che aveva sparato contro di voi.» [p. 92 modifica]

«Ma no, non era lui,» ribattè impaziente il capitano, stringendosi nelle spalle. «Vi ho detto che era un vecchio.... da una finestra vicino alla chiesa....»

«Può darsi. Basta; io non ho visto vecchi, dichiarò il capitano Feldmann.» E questi civili devono imparare la loro lezione. — Cos’avete qui di buono?» E girò lo sguardo intorno alla tavola. «Ho una fame da lupo.»

E ponendo uno sull’altro tre o quattro sandwich, aprì una gran bocca e li mangiò.

«Infetto villaggio!» osservò poi a bocca piena. «Potevamo benissimo tralasciare di venirci.»

«Niente affatto,» dichiarò Fischer in tono severo.

«Basta, non discutiamo su ciò,» ribattè Feldmann. «Tanto, domattina ce ne andiamo. — C’è da bere?»

Chérie si era fatta di fiamma. Una sola cosa aveva afferrato: sarebbero partiti l’indomani mattina!!... Bisognava dare a Luisa questa meravigliosa novella! Difatti glielo disse, rapida e sommessa, in fiammingo.

Luisa che aveva terminato di fasciare il braccio del capitano si rimise a piangere. Stavolta erano lacrime di gioia. [p. 93 modifica]

«Queste donne cosa sono?» chiese Feldmann guardandosi attorno. «Paiono ballerine.»

«Quella,» fece Von Wedel additando Luisa, «è la Niobe piangente; e quella» — indicando Mirella — «è la piccola Furia. E questa» — prendendo Chérie per il polso e tirandola a sè — «e questa è la mia adorabile cognatina...»

«E questa è la Vedova Cliquot, ’85» — interruppe Glotz, entrando rapido con molte bottiglie polverose in braccio, e intromettendosi come per caso tra Chérie ed il suo tormentatore.

Gli uomini rivolsero subito tutta la loro attenzione ai vini, e mandarono Glotz ripetutamente in cantina a cercarne dell’altro.

Vollero del Martel; poi vollero del Kirsch; poi del Pernod. Dopo di che vollero dell’altro champagne, e degli altri sandwich che Luisa andò a preparare. Poi vollero il caffè che Feldmann insistette a voler fare lui stesso sopra una lampadina a spirito. Rovesciarono la lampadina sulla tovaglia, e i tovaglioli di carta velina presero fuoco. Allora li gettarono per terra e li spensero calpestandoli nel tappeto.

Von Wedel sedette al pianoforte e cantò: «Traum durch die Dämmerung» mentre il capitano con lamentìo fioco faceva il coro. Quindi [p. 94 modifica]Feldmann recitò una poesia. Essendo completamente briaco, dovette chiamare Glotz e mettergli un braccio intorno al collo per poter reggersi in piedi; coll’altro braccio gesticolava, accompagnando le parole:

«Liebe Mutter, der Mann mit dem Kox ist da!
Schweig still, mein Sohn, das weiss ich ja.
Hab’ich kein Geld, hast du kein Geld,
Wer hat denn den Mann mit dem Kox bestellt?...»

Fragorosi applausi accolsero questa declamazione: Glotz soltanto, calmo ed impassibile, col braccio di Feldmann avvinghiato al suo collo, rimaneva immobile e taciturno guardando davanti a sè con espressione vacua.

Da un pezzo non parevano badare più affatto alle tre donne, raggruppate insieme nell’angolo più lontano della stanza. Ma se appena queste tentavano muovere un passo verso la porta, subito Von Wedel, con un balzo delle lunghe gambe, le fermava.

«Non si esce di qui. No, no, caruccie mie! Non si esce di qui!»

E a un dato momento, fermando su di loro lo sguardo ebbro e fluttuante dei chiarissimi occhi, andò alla porta, la chiuse, ed intascò la chiave.

Allora le tre creature spaurite si avviticchia[p. 95 modifica]rono più strette l’una all’altra e susurrarono colle pallide labbra: «All’alba!... All’alba, andranno via!...»

Ma l’alba — ahimè! — era lontana ancora.

A un dato momento il capitano Fischer sbadigliando disse ch’era tempo di andare a dormire; ma gli altri protestarono con alte voci bestemmiando e dicendogli che era un vecchio gufo. Fischer allora spiegò molto verbosamente che la disciplina militare non li autorizzava a chiamarlo un vecchio gufo. E chiamò anche Luisa a testimonio che lo avevano chiamato un vecchio gufo...

Ma in mezzo al suo discorso Feldmann si mise a cantare a squarciagola: «Gaudeamus igitur», e poichè il capitano non riusciva più a sentirsi parlare, finì col cantare anche lui.

«Su, tortorella, su!» esclamò Von Wedel avvicinandosi con grandi passi barcollanti a Chérie e reggendo due bicchieri colmi di champagne nelle mani. «Brüderschaft trinken! Devi bere alla fratellanza con noi.»

E le spinse in mano uno dei bicchieri, rovesciandole il biondo vino per tutta la veste.

«Così,» — la tenne ritta di fronte a lui — «Ora prendimi a braccetto, là, in faccia a me!» — infilò il suo braccio sinistro sotto il braccio sinistro di lei, ed alzò il bicchiere nella destra. [p. 96 modifica]

Chérie si svincolò ansando e si rifugiò dietro Luisa. Ma l’uomo la riafferrò brutalmente per il braccio.

«Obbedienza!» ruggì stralunando gli occhi torvi. «Adesso canterò: «Lebe, liebe, trinke, schwärme — e tu sta attenta. Quando arrivo alle parole «froh mit mir» devi battere tre volte il tuo bicchiere contro il mio. Hai capito?»

«Lasciatemi! ve ne prego! Ve ne prego!» pianse Chérie.

«Froh — mit — mir!» ripetè lui dondolandosi sui piedi e fissandola truce traverso le palpebre semichiuse.

E cantò:

«Lebe, liebe, trinke, schwärme
Und erfreue dich mit mir.
Härme dich wenn ich mich härme
Und sei wieder
               froh —
                    mit —
                         mir!»

Alle tre ultime parole cozzò il suo bicchiere contro quello di Chérie.

«Bevi!» comandò con voce terribile. «Se non bevi è un insulto che fai all’armata tedesca; un insulto che va punito.» [p. 97 modifica]

Con un singhiozzo Chérie si portò il bicchiere alle labbra.

Luisa piangeva torcendosi le mani. «Vili... vili....» gridava; mentre Mirella avvinghiata alle sue vesti fissava con occhi sbarrati la scena.

Il capitano Fischer guardò di sottocchi Luisa.

«Mia Samaritana....» balbettò colla lingua già spessa; «mia suora di carità...»

Si alzò e le si fece vicino con un ebete sorriso. Mirella si scagliò contro di lui come una piccola selvaggia.

«Andate via!» strillò. «Andate via!».

Il signor capitano la prese senza brutalità per le esili spalle.

«Le piccole bambine....» borbottò, «a quest’ora... devono essere a letto. Le mie bambine sono già a letto da un pezzo.»

Luisa torse le mani convulse. «Vi supplico, vi supplico! Abbiate pietà di noi! Lasciateci andar via.... La casa è vostra, ma lasciateci andar via...»

L’ufficiale la guardava con aria istupidita, arricciandosi i baffi grigi. «E dove volete andare?» domandò.

«Nelle nostre camere,» balbettò Luisa.

«Ma non ne avete voi di camere!» fece il capitano, con un sorriso ambiguo. «Sono no[p. 98 modifica]stre le camere!» E piegandosi in avanti e spalancando gli occhi, la fissò in modo assai significativo.

Luisa si guardò selvaggiamente attorno, come un povero animale preso in trappola.

Essa vide Von Wedel e Feldmann che tenevano in mezzo a loro Chérie e la forzavano a bere nei loro bicchieri; vide Glotz che si girava e rigirava sullo scanno del pianoforte, imbambolato ed impassibile; e vide quest’uomo di fronte a lei che si sporgeva avanti, che ammiccava lubrico e suggestivo — così vicino che essa ne sentiva in faccia l’alito caldo ed acre. Il nemico! Era il nemico. L’uomo dai piedi imbrattati di fango e di sangue.... ecco, egli tendeva la mano.... la toccava!

Allora Luisa cadde in ginocchio e trasse giù a ginocchi anche la piccola Mirella. Tendendo in alto le mani giunte, levò su di lui il volto rigato di lagrime.

«Le vostre bambine — voi avete delle bambine a casa vostra — ebbene, sono a letto, le vostre bambine! Dormono!... Sono al sicuro... Sono sane e salve, ben chiuse nella loro casa. — Che Dio ve le guardi! Che Dio ve le protegga! Ma voi, oh! abbiate pietà! Proteggeteci! Abbiate cura di noi!... Siate buono — siate [p. 99 modifica]buono!» E cadde prona davanti a lui colla testa a’ suoi piedi, mentre la piccola Mirella, con rapide lacrime che le scorrevano per il sottile viso alzava lo sguardo implorante su di lui e gli toccava la mano colla piccola mano tremante.

Egli abbassò lo sguardo su quelle due figure inginocchiate ed aggrottò le ciglia.

Sì... è vero... Aveva pure a casa sua, in Mainz, tre piccole bambine, tre buone bambolette bionde. Eh, sì! Bene per loro che erano a Mainz e non nel Belgio. Ma per Dio! Erano delle bambine tedesche, quelle; mentre questa gente qui — Nemici erano... erano belligeranti. Borghesi, se si vuole, ma tuttavia belligeranti.

Il suo sguardo si abbassò su quel capo di donna curva ai suoi piedi, su quella testa bruna, su quelle esili spalle in sussulto.... Poi i suoi occhi si volsero e si fermarono sul bianco viso infantile che la bambina levava su di lui.

«Belligeranti....» brontolò; e tosto fece un cipiglio più che mai fosco ed arcigno. Poi d’un tratto il volto gli si contrasse; ebbe negli occhi un tremolio annebbiato.

«Via dunque!» ordinò con voce secca e rauca. «Via! Via subito! tutt’e due! Andatevene! Nascondetevi. In cantina — in soffitta — dove [p. 100 modifica]volete... Non andate fuori. Le strade sono piene di soldati ubbriachi. — Via!»

Luisa gli gettò le braccia intorno ai ginocchi e glieli baciò; gli baciò i piedi, nelle pantofole di Claudio, benedicendolo e piangendo di gratitudine; e Mirella sorrideva col serafico volto ancora inondato di lacrime e diceva: «Grazie! Grazie! Grazie!...» senza neppur sapere di che cosa lo ringraziasse.

«Ma — e Chérie?» Luisa ansante si volse a guardare quella figuretta, smarrita e piangente nella sua bianca veste, in mezzo ai due lubrici uomini briachi. «Non possiamo lasciarla....»

«Portatela via con voi!» disse Fischer, e traversando con passo risoluto la camera, prese Chérie per un braccio e l’allontanò dai due uomini.

«Ma come? Ma cosa fate, vecchio libertino?» urlò Feldmann con una grossa risata. «Si può sapere quante ne volete, voi? Non ve ne bastano due, vecchio porcospino che siete? Per tutti i diavoli! Questa qui la lascerete stare!»

«La lascerete stare anche voi altri,» tuonò il capitano. «Io le ordino di andar via.» E Fischer corrugò selvaggiamente le sopracciglia tentando di ristrappare Chérie alla stretta di Feldmann e di Von Wedel. [p. 101 modifica]

«Olà! siete impazzito?» disse Von Wedel andando vicinissimo a Fischer e guardandolo dall’alto in basso con fare provocante e minaccioso.

«Ho detto di lasciarla stare,» sbuffò il capitano; «questi sono i miei ordini. E voi, tenente Von Wedel, se non mi ubbidite dovrete rispondere a chi di ragione.»

«Vecchio scimmiotto! Vecchio cammello ammuffito!» urlò Von Wedel. «Ah! ne dovrò rispondere, io? Ma se siete ubbriaco, voi! Ubbriaco fradicio. E sono ubbriaco anch’io. E me ne infischio di voi e dei vostri ordini.»

E strappando il braccio di Chérie alla stretta di Fischer, lo spinse violentemente all’indietro.

«I vostri ordini....» balbettò l’inebbriato Feldmann, pronunciando a stento le parole e poggiando la sua mano sulla spalla stessa di Fischer per tenersi ritto, «i vostri ordini.... contraddizione diretta con altri ordini... ordini superiori.... che abbiamo ricevuti. Vero?... eh, Von Wedel?» E tentennò la testa, strizzando l’occhio a Fischer. «Sigillo della Germania.... da imprimersi sul paese nemico.... Sigillo della Germania.... Andatevene. Non venite qui a seccarci.» [p. 102 modifica]

«Non fate il vecchio cammello,» soggiunse Von Wedel col braccio intorno al collo di Chérie, che vacillava, livida, tramortita, cogli occhi semispenti.

«Vae victis! Se non siamo noi, sarà qualcun altro.» E additando Glotz: «Sarà quello scimunito lì! Guardatelo! Guardatelo già tutto arzillo ed aspettante! Arrectis auribus!... Vero, Glotz?... O allora saranno i nostri soldati ubbriachi,» e additò la finestra infranta, nera breccia aperta sul buio della notte. «Li sentite?...»

Fischer ascoltò. Di fuori i soldati mugghiavano «Die Wacht am Rhein

Il ragionamento di Von Wedel gli parve persuasivo.

«Vae victis!» sospirò, ingurgitando un altro bicchiere di cognac e sogguardando di traverso Luisa che seguiva con occhi stralunati ogni sua movenza. «Se non io.... Glotz.... o qualcun altro.... soldati ubbriachi....»

S’avanzò barcollando verso di lei che si aggrappava disperatamente alla porta. «Guai ai vinti, mia povera donna!... Sigillo della Germania.... ordini superiori.... — Perchè dovrei fare il vecchio cammello?...»