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della rivoluzione di roma | 435 |
nei due giorni di tappa, e la liberazione immediata di tutti i generali, ufficiali, e impiegati austriaci;1 e mentre la maggioranza dei Milanesi accoglieva questi patti siccome schermo da maggiori iatture, e il re trovavasi alloggiato in casa Greppi, la commossa ciurmaglia si abbandonava ad atti colpevoli e ribaldi; erigevansi barricate; scariche di moschetto si dirigevano contro l’albergo reale; nè mancavan le grida e gli schiamazzi contro Carlo Alberto, che chiamavasi traditore. Si giunse perfino a porre le mani sulle sue carrozze sia per distruggerle o incendiarle, sia per rivolgerle ad uso di barricate, e così impedirgli la partenza. Il re n’ebbe l’animo lacerato: e perchè non piacque l’accordo alla parte esaltata dei Milanesi, venne stracciato, e il re disse di volere essere con loro quante volte volesser fare una disperata difesa. I magistrati però vi si opposero, e l’accordo fu mantenuto. Il colonnello d’artiglieria Alfonso La Marmora nell’intendimento di salvare la vita al re che minacciavasi seriamente, fu costretto di calarsi da un verone allo intento di raggranellare un poco di truppa che seco condusse. Il re quindi co’ suoi figli e il suo stato maggiore, fra le grida degli arrabbiati, i colpi di fucile ed il rintocco delle campane a stormo, dirigevasi a porta Vercellina, e tristamente, ma nobilmente, si allontanava dalla ingrata Milano. Ed era quello stesso che pochi mesi prima provocava le ovazioni frenetiche di quegli stessi Milanesi che ora imprecavano al suo nome ed attentavano alla sua vita. Tristi ma utili lezioni per chi governa e per chi è governato.
In un’opera recente intitolata: Delle eventualità italiane2 dicesi chiaramente che il re in quella occasione corse pericolo della vita. La ciurmaglia non si contenne e pose a ruba alcune case fra le quali quelle di un Villani e del duca Litta.