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proprio sovrano. Che anzi restiamo stupiti, come trovandosi sempre in una falsa posizione, abbia saputo reggersi per tre mesi al timone degli affari. Ma la causa di questo disaccordo secondo noi non era già nell’abilità o incapacità del ministro, nell’asprezza o amabilità de’ suoi modi (che anzi sapeva essere insinuante e pieghevole), sì bene nella impossibilità assoluta, o per lo meno nella somma difficoltà di un governo costituzionale in Roma, e di quelli massimamente foggiati alla moderna i quali, salvo l’Inghilterra, il Belgio e qualche stato di minor conto, non ci sembra che abbian dato di sè il miglior saggio. Quanto al Mamiani personalmente, dobbiam rammentare che esso non fu scelto liberamente dal pontefice a ministro, perchè gli venne imposto dalla piazza e dai circoli. Qual meraviglia per tanto se la origine non essendo stata pura, non felici ne fossero i risultati?

Erano le cose in questo stato, quando gli avvenimenti della guerra ne fecero inopinatamente cambiar l’aspetto.

Il giorno 30 di luglio giunsero al ministero varie staffette recanti notizie di battaglie sanguinose accadute contro gli Austriaci e colla peggio dei medesimi. Il governo non indugiò un istante in farne pubblicare un bollettino straordinario.1

La sera poi giunse altro espresso al conte Mamiani portante l’annunzio della disfatta degli Austriaci a Custoza e Sommacampagna.

Giunto appena, si recò ai Quirinale ov’erano i ministri. Essi riunironsi subito, e sulla scorta dei dispacci, combinarono un bullettino pel pubblico da stamparsi immediatamente. Dopo di che l’avvocato Borgatti, uno degli ufficiali del ministero, uscì fuori e lesse ad alta voce lo schema del bullettino ad una ventina o trentina di persone affluite al Quirinale per ricevere le notizie genuine. Fra queste mi trovava ancor io, essendone stato pregato dalla

  1. Vedilo fra i Documenti al n. 106.