Storia della rivoluzione di Roma (vol. I)/Capitolo XIV
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[Anno 1847]
Finalmente quella guardia civica che richiedevasi dalle Provincie, che si voleva o che almeno si fece credere volersi anche in Roma, venne istituita in detta città con decreto del 5 di luglio sottoscritto dal cardinal Gizzi.
Eran chiamati a farne parte tutti i cittadini dai ventuno ai sessantanni, e doveva esser formata di quattordici battaglioni, quanti sono i rioni di Roma.
I cittadini chiamati per ricevere gli arruolamenti erano i seguenti:
Zagarolo (di) Principe | pel Rione 1° Monti |
Del Grande Natale | |
Tittoni Angelo | |
Torlonia Don Carlo | pel Rione 2°. Trevi |
Barbèri Cav. Michelangelo | |
Costa Gioacchino | |
Piombino (di) Principe | pel Rione 3° Colonna |
Castellani Fortunato Pio | |
Cagiati Filippo | |
Salviati Duca | pel Rione 4° Campo Marzio |
Scarsella Clemente | |
Brunetti Angelo | |
Cesarini Duca | pel Rione 5° Ponte |
Della Noce Francesco | |
De Mori Pietro | |
Riggi Luigi | pel Rione 6° Parione |
Sciolette Stefano | |
Floridi Vincenzo | |
Campana Commend. Pietro | pel Rione 7° Regola |
Corsetti Stanislao | |
Poggi Enrico | |
Ponzi Salvatore | pel Rione 8° Sant'Eustachio |
Carnevali Lorenzo | |
Capalti Luigi | |
Viano (di) Principe | pel Rione 9° Pigna |
Poggi Gaspare | |
Ranucci Giuseppe | |
Volpi Giuseppe | pel Rione 10° Campitelli |
Sturbinetti Angelo | |
Righetti Pietro | |
Cavalletti March. Ermete | pel Rione 11° Sant'Angelo |
Mannucci Saverio | |
Cortesi Filippo | |
Cavallini Dott. Vincenzo | pel Rione 12° Ripa |
Pisoni Federico | |
Notarangeli Luigi | |
Corsini Principe | pel Rione 13° Trastevere |
Forti Giuseppe | |
Costa Antonio | |
Mazzocchi Luigi | pel Rione 14° Borgo |
Stocchi Achille | |
Piccoli Carlo |
Questo decreto venne accolto favorevolmente dai caldi, freddamente dai temperati.
Il Santo Padre l’accordò in buona fede, perchè se gli era fatto credere volerla tutti i buoni cittadini, e poter la sola guardia civica, nei tempi che correvano, essere baluardo e tutela dell’ordine pubblico.
Nè la domanda venne soltanto dagli uomini della rivoluzione, ma fu avanzata direttamente al Santo Padre da persone rispettabilissime, non escluso qualcuno dei nostri magnati, cui si fece credere esser le cose giunte al punto, che la sua istituzione era tal fatto da venire riguardato come di stretta necessità.1
Racconta anzi lo storico Farini: «Che nel venire istituita od a meglio dire completata la guardia civica, si lasciava intendere che sarebbe stata istituita anche nelle provincie, a seconda dei casi, dei bisogni, e delle richieste.2 Il tenore di questa dichiarazione mostrava la peritanza del governo, e più la dimostrava la lettera riservata del segretario di stato, colla quale mandava ai presidi delle provincie la notificazione; avvegnachè consigliasse di porre tempo in mezzo, e concedere l’istituzione soltanto dove fosse con viva istanza addimandata.»
Avendo in seguito di ciò il cardinal segretario di stato Gizzi data la sua rinunzia il giorno successivo,3 emerge chiaro che la istituzione della guardia civica non gli andava a grado, e che il papa più che il suo ministro mostrossi condiscendente in accordarla. Nè in ciò è da riprendersi perchè conoscendo egli che i cittadini in massima parte eran buoni, credeva, col metter loro le armi nelle mani, di assicurare la garanzia migliore per la tutela dell’ordine pubblico, della sua sacra persona, e delle istituzioni da lui con tanto coraggio e benevolenza largite.
Nè eran da accagionarsi di men che rette intenzioni i magnati che ne implorarono la istituzione; imperocchè credettero ancor essi che e sovrano, e popolo, e istituzioni nuove, tutto ritroverebbe nella guardia cittadina sostegno e difesa. E coi magnati incominciò pure a crederlo la massima parte della borghesia.
Demmo qualche cenno nel capitolo antecedente di certe scissure manifestatesi fra una parte del popolo minuto e gl’Israeliti, fra i vetturini romani e quei degli Abruzzi, non che tra i lanaiuoli ed altri artieri. Ma giunto era il momento che si facesse fra loro la pace; ed a tal effetto fin dal 4 luglio e giorni seguenti i promotori di feste si adoperarono per mettere su dei banchetti e delle svinazzate che riconciliasser fra loro i dissidenti. Tuttociò ebbe l’aria di una commedia. Non valendo però la pena di narrarne le particolarità, rimandiamo i nostri lettori alla Bilancia4 che ne discorre distesamente, e passiamo a parlare del secondo atto di questa commedia.
Mentre preparavansi da un lato le feste per celebrare l’anniversario dell’amnistia avea decretato dall’altro il circolo romano che girasse un foglio e si venisse ricoprendo di firme. Venivansi in esso domandando al governo ulteriori miglioramenti, riforme, e garanzie sopratutto. Fra queste garanzie era la guardia civica; ma siccome nel frattempo si era ottenuta, mancava per questo lato l’oggetto della petizione. Pur tuttavia prosegui a circolare ad intimorimento del governo, ma non ebbe seguito e rimase, come suol dirsi, lettera morta.
Le feste progettate, secondo un foglietto clandestino ad uso di programma che circolò, consister dovevano in questo:
1.° Festa notturna nella piazza del Popolo la sera del 17 luglio.
2.° Concerti musicali di compositori romani filarmonici.
3.° Fuoco di artificio.5
Poi vi si aggiunse il progetto di una cantata in teatro, che volevasi far dirigere dal marchese Raffaele Muti Papazzurri. Il duca Marino Torlonia fu pregato di porsi a capo per diriger la festa.6
Allo scultore d’Ambrogi venne commessa una statua colossale rappresentante il sommo pontefice Pio IX, da collocarsi sulla piazza del Popolo. S’intende bene ch’essa non poteva essere di marmo, sibbene di carta, legno e gesso. Accettò il d’Ambrogi e ricusò qualunque rinfranco di spesa, prestando anche gratis l’opera sua.
La spesa del monumento, che sorregger doveva la statua, fu posta a carico del principe di Piombino e di altri nobili romani per sottoscrizione.
Quella poi del fuoco di artificio, che rappresentar doveva il Tempio della pace, a carico del principe Torlonia. Ne confidò esso la direzione al suo architetto Niccola Carnevali, e può vedersene il disegno in un volume pubblicato da Carlo Matthey, e dedicato al principe di Piombino nel 1847.7
Non si creda però che il Torlonia, il Piombino, e gli altri nobili romani facesser ciò spontaneamente. Le son cose che così talvolta si dicono e si stampano, e pure non sono cosi. La verità fu, e possiamo rendercene mallevadori, che l’amnistiato Antonio Lupi (quello stesso che nel 1831 si era posto a capo della sollevazione in Roma) ne fu o almeno ne figurò il promotore. Esso girava, procurava le sottoscrizioni, e presiedeva alla spesa. Fu dunque la paura, in gran parte, di passare per retrivo o per non favorevole agli amnistiati, ch’estorse il sì a tutti.
La sera dell’11 di luglio, mentre era già preparato il monumento sulla piazza del Popolo, ebbe luogo il trasporto della statua colossale di Pio IX dallo studio del milanese d’Ambrogi nel palazzo di Venezia alla piazza anzidetta.
Era accompagnata da numeroso stuolo di giovani i quali con torcie accese in mano andavan cantando il coro di Sterbini: «Scuoti, o Roma, la polvere indegna.» Al loro passaggio s’illuminò immantinente il Corso, e si ebbe così una festa improvvisata. Tanto è proclive il popolo romano per generosità di cuore e voglia di divertirsi a volgere tutto in festa e spettacolo.8
Li seguito della rinuncia del cardinal Gizzi venne spedito il giorno 10 un messo al cardinale Gabriele Ferretti in Pesaro d’ordine del Santo Padre, invitandolo a recarsi subito in Roma per assumere l’officio di segretario di stato.9
Avvicinavasi il giorno 17 destinato a solennizzare l’anniversario dell’amnistia. Si osservava da molti un’affluenza insolita di gente sconosciuta, molti dei quali con aspetto torvo e sinistro. Quel formarsi dappertutto gruppi di persone parlantisi fra loro a voce bassa; quel non so che di misterioso che appariva, faceva presagire dover accadere ben presto qualche cosa di tristo, e d’inaspettato.
Si parlava di pugnali scoperti con incisovi il nome di Pio IX, e di croci di color rosso alle case di alcuni individui designati all’eccidio; si vociferava di segreti arruolamenti, e quindi di vendette, di stragi, di rovine, e di sangue. Ciò massimamente dal 12 al 14 di luglio.
Venne informato il Santo Padre ed il suo ministro (ch’era ancora il cardinal Gizzi) di tutto ciò, e s’indussero entrambi a far sospendere la festa destinata pel giorno 17 mediante un atto pubblico che si emise, ove con molta saviezza non parlasi nè di minacce nè di paure, ma solo si differisce fino a che sia organizzata la guardia civica. Nè ciò è tutto. A garanzia ulteriore dell’ordine pubblico, ed in via di urgenza (supplichevoli e scongiuranti alcuni grandi di Roma che scaltramente erano indotti in inganno) si ottenne l’assenso del principe per l’apertura provvisoria ma immediata di alcuni locali che tenesser luogo di quartieri.
Offersero locali nei pianterreni de’ loro palazzi i principi Borghese, Corsini, Doria, Torlonia, il duca Cesarini, non che il commendator Pietro Campana, il negoziante Luigi Costa a san Marcello, ed il banchiere Righetti a Campitelli.
Si offersero, per fare il servizio, molti giovani dei più animosi. Era intanto un andirivieni continuo di alcuni magnati al palazzo Quirinale, e da questo alle loro case. Gli arruolatori designati cui decreto del 5 luglio erano in continuo moto, e tutti animati dal desiderio di salvare persone (incominciando da quella del sovrano), e proprietà, e preservare intatto il minacciato ordine pubblico.
I ragguagli che facevansi circolare sul progettato esterminio dei liberali eran tremendi, ma a ben considerali presentavano una impossibile esecuzione.
Volersi appiccare (dicevasi) il fuoco ai fienili fuori la porta del Popolo, e mentre i vigili e la pubblica forza erano intesi ad estinguer l’incendio, ed il popolo scompigliato e trepidante abbandonavasi alla fuga, uscir fuori ad un tratto gl’inumani sanfedisti, e stretti i pugnali temprati nell’odio di Pio IX, il cui venerato nome portavano inciso, fare di quanti mai liberali si parasser loro d’innanzi il più orribile scempio. Questo raccontavasi apertamente, essere niente meno l’atroce progetto dei così detti sanfedisti.
Molto si è parlato di questa setta; ma essa non ha giammai esistito in Roma, checchè ne dicano i Gualterio10 e i Farini.11 Fanatici pel papa sì, ve ne possono essere stati, e possono esservene tuttora; ma raggranellati e ordinati sotto forma di setta, con ordinamenti, statuti, e giuramenti lor propri, non già. E ne abbiamo la convinzione che nei tempi recenti non abbia esistito un cosiffatto collegamento, pei tempi passati ci è mallevadore il fatto, perchè prima degli sforzi dei rivoluzionari per rovesciare l’ordine. di cose esistente, il popolo romano era essenzialmente papalino, e quando gli uomini son tutti di un colore e di un sentimento non vi è bisogno di sètte per far prevalere la propria opinione. È questa dunque una asserzione gratuita ed una calunniosa invenzione del partito contrario, il quale molto si diletta in delineare a chiaroscuri quei romanzi che chiamansi storie.
Tuttociò dunque che si fece credere dicendolo, scrivendolo, e rappresentandolo coi più foschi colori sulla congiura di Roma, e che tanto spaventò il popolo romano, lo stato pontificio, l’Italia, l’Europa, e possiam dire anche il mondo, non fu altro che una quanto iniqua, altrettanto ingegnosa invenzione. In epoca posteriore i liberali non ebber ritegno di confessarlo eglino stessi, e di coonestarlo come misura di necessità, qualificandolo perfino da colpo di stato.
Ma ritorniamo ora al racconto di ciò che accadde in Roma.
Giunto il giorno 15 ecco tutta la città in movimento per apparecchiare gl’improvvisati quartieri. Formate già le liste dei volontari si apprestavan le armi, e si davan consigli di previdenza e corsoio agli animosi difensori della patria in pericolo. E mentre grida feroci innestavano alle imprecazioni contro i traditori, era un rinchiudersi degli esterrefatti nelle proprie case, e un trepidare di molti o pe’ figli, e per gli sposi, e per i padri loro, che con lodevole e generoso slancio sacravan le lor vite in difesa dei domestici focolari, e della città che die loro Taure di vita. Va di per se che fra gli agnelli fosservi pure dei lupi frammisti. Ma in quei momenti di confusione e di orrore le discrepanze sociali e morali confondevansi. Tutti apparivan di un colore e di un sentimento, e i coraggiosi venivano senza molti scrupoli ammessi. Era se non in tutte le menti il desiderio, in tutte le bocche il grido di voler salvare Pio IX e Roma.
S’immagini ognuno qual effetto tremendo, in tanta concitazione di animi, produr dovessero quelle liste di proscrizione che verso l’imbrunir del giorno vidersi, non si sa come, apparire affisse nelle vie della città, ove designati venivan gli autori presunti della scellerata congiura.12 Ne possediamo una in originale, coi segni superstiti della sua affissione, e stante la sua rarità la trascriviamo per intiero. Essa dice così: 13
AVVISO.
Infami Esecutori.
Monsignor | Grassellini, Governatore. |
Colonnello | Freddi. |
Capitano | Muzzarelli. |
Tenente | Giannuzzi e San Giorgi. |
Luogoten.te | Benvenutl. |
Spia | Minardi. |
Conte | Bertola. |
Moroni Vincenzo. | |
Tre figli della Spia Galanti. | |
Maresciallo | Pontini. |
Fioravanti detto Patacca | |
Accidenti a chi lo stacca a pubblica sd eterna memoria dei zelanti la pubblica indignazione pose. |
E mentre il popolo si affollava per leggere queste liste incitatrici di vendetta, correvano i carabinieri per distaccarle all’istante, ma il popolo sdegnato fra gli urli, i fischi, e le imprecazioni, costringevali ovunque alla fuga.
Il popolo allora inaugurò il suo regno, perchè caduti essendo in sospetto e impiegati di polizia, e agenti, e carabinieri, cessò del tutto, per due o tre giorni, a funzionare quel dicastero. Il regno però del popolo, in tanta esasperazione di animi, in tanta concitazione d’ire e di sdegni rimase incruento, e non si ebbe a deplorare alcuna vita spenta. Ciò a lode eterna della moderazione del popolo romano. Si arrestarono è vero alcune persone, altre si costrinsero alla fuga; ma non si cadde in quegli sconci, che in un caso consimile, ed in tutt’altro paese, sareblero inevitabilmente accaduti.
Fuggirono chi prima chi dopo tutti gl’individui memorati nella lista, altri si ascosero, alcuni vennero arrestati ond’essere sottoposti a regolare processo. Ed in seguito della partenza del Grassellini governatore di Roma venne ad esso sostituito monsignor Giuseppe Morandi.
Essendo stata armata, quantunque in un modo precipitoso e tumultuario, la guardia civica, servì a mantener l’ordine, e ad ispirar fiducia negli abitanti presso i quali entrò in grazia decisamente. Solo fu a lamentarsi che quella vertigine di quei tempi, essendosi creduto che fra i complici della congiura fosservi molti abitanti del borgo di Faenza venuti in Roma per menar le mani, e che indossassero tutti un grossolano giubbone, dagli ad ogni momento ad arrestare i così detti Faentini che poi si riconobbe essere invece poveri coltivatori, gente innocua, venuta qui da diversi paesi per suoi affari particolari.
La conseguenza intanto di questa pretesa scoperta fu che i liberali in quel momento venisser riguardati siccome tanti angeli liberatori, e i gregoriani poco men che spiriti infernali. Crebbero insomma i primi nella generale estimazione di un cinquanta per cento, e calarono gli altri lino allo zero, e tutto ciò perchè si credette alla finta congiura. Il ricorrere però a queste gherminelle o astuzie invereconde non è nuovo negli annali della rivoluzione. Ne abbiamo due esempi, uno anteriore, posteriore l’altro alla congiura di Roma del luglio 1847.
Quello anteriore acccadde in Catalogna nel 1845 circa. Si cercò di spaventare il governo colla denunzia di una subita comparsa di carlisti alla frontiera, e ai chieser le armi per difendersi. Ottenute le armi i carlisti svanirono, e rimaser le anni nelle mani del popolo.14
L’altro esempio cel somministra la storia attuale. Indugiavasi in Livorno l’attivazione della guardia civica nel settembre del 1847. Si pensò allora a far correre voci sinistre a carico della polizia di Livorno, quasi che fosse ostile al movimento nazionale. Bastò questo perchè on insurrezione avesse luogo e i cittadini si ponessero da per loro a far la guardia. Il fatto compiuto venne subito sanzionato dall’autorità, perchè con atto sottoscritto da Don Neri Corsini governatore di Livorno, la guardia civica venne legalmente istituita. Gli agenti di polizia venner fugati o tradotti in carcere, e Livorno restò per un momento in mano del popolo.15
Il Ranalli racconta la cosa in tal guisa, che sembra il fac simile della congiura di Roma. Ecco un brano del suo racconto:
«Il minuto popolo livornese preso da falso timore di una congiura, che si diceva ordita contro di lui dai così detti birri, usciva furioso per lo vie della città, non solo per incarcerar quelli, ma altresì quanto persone erano a lui indicate per sospette. Inutilmente fu tentato di sedare il tumulto, e sol la notte impedì che si prolungasse. Parve quindi al governatore non solo opportunità, ma necessità suprema l’armare subito la guardia civica.»16
Oli Spagnuoli adunque per tutelarsi dal nemico alla frontiera, i Livornesi dal nemico in città, fecero e vollero le stesse cose, e ciò che vollero ottennero cogli stessissimi mezzi. La identità di questi casi non dubitiamo che sorprenderà fortemente chi no leggerà la narrazione, e potrà riuscirò di utile ammaestramento ove casi consimili si rinnovassero.
A compiere la narrazione di ciò che accadde in quel giorno memorando (parliam sempre del 15 luglio) diremo che mentre la popolazione baccante percorreva le vie di Roma un po’ ridendo, un po’ sbeffeggiando i vinti e schiamazzando ironicamente per la sventata congiura, mentre il Corso brulicava di gente in istato d’indicibile concitamento, giungeva in Roma e passava pel Corso il nuovo segretario di stato cardinal Gabriele Ferretti chiamatovi da Pesaro, e veniva festeggiato con applausi fragorosissimi. Rispondeva il cardinale a quella ovazione con segni di gioia, di riconoscenza, e di speranza per tranquillare e ricomporre a calma quel popolo concitato, e recavasi di volo al Quirinale.17
Abbiamo narrato alla meglio quanto alla formazione della civica ed alla effimera congiura si appartiene. Molto di più potremmo dire ancora; e quantunque oltre a due lustri sian decorsi dalle prenarrate vicende, sentiamo ancor vivo lo sdegno e la vergogna da cui fummo allora compresi, assistendo a quelle orgie riprovevoli e disgustose. Rammemoriamo assai bene che ne furon protagonisti l’astuzia la più raffinata da un canto, la cecità la più grossolana dall’altro. Un volume non basterebbe se tutte ridir volessimo le scioccherie che si dissero e sì fecero in quel tempo, e furon tali, che pressochè tutti ci caddero, e lo stesso Orioli, colla sua cattedratica Bilancia, nel pubblicarne la relazione il 21 di luglio ci dette un romanzo credendo di darcene la storia.18
Piansero amaramente i creduli e onesti per i danni campati dalla pretesa congiura. Piansero pure i liberali di tutto il mondo: piansero infine tutti, e per vari mesi h un alternare continuo di pianti e di congratulazioni; e tuttociò, ripetiamolo ancora, per una cosa da burla. Pianser pur anco in Turchia, ed al sentire illesa la sacra persona di Pio IX si abbandonarono alla gioia ed alle feste. Ed affinchè non si creda che vi sia della esagerazione nelle nostre parole, apprendano i lettori che cosa accadde in Costantinopoli.
«Una messa solenne con Te Deum fu celebrata nella chiesa di sant’Antonio in ringraziamento alla divina Provvidenza che compiacquesi salvare il sovrano del mondo cattolico, il grande Pio IX, dalla sanguinosa catastrofe tramata proditoriamente contro la persona e la politica di questo sovrano della fede e della libertà italiana. La grande strada di Pera sembrava durante la cerimonia un canale di mare agitato dai fiotti di un ondeggiante moltitudine. Alla porta maggiore della chiesa sotto lo stendardo pontificio era collocato il ritratto del Santo Padre sotto il quale leggevasi:
all’immortale PIO NONO
l’eletto di dio e del popolo
i fedeli d'oriente
tributano l’inno di grazie
nel dì 22 agosto 1847.»
Questa iscrizione all’eletto di Dio e del popolo si disse che sentiva un poco di mazzinianismo.19 Comunque si voglia, fu così che dai liberali italiani in Oriente, che corrispondevan con quei d’Italia, si profanavano preghiere e ringraziamenti all’Onnipotente per una finzione quanto iniqua altrettanto ben condotta.
Giunto il giorno 17, ch’era l’anniversario dell’amnistia, stettero molti in pensiero che accader potesse qualche sconcio. Il timore però rattenne moltissimi dall’uscir di casa, e così Roma restò in quel giorno perfettamente tranquilla, e la sera non vi fu neppur luminaria. Per solennizzare però quella festa si diè un banchetto al circolo romano nel quale intervenne l’eroe del giorno, Ciceruacchio. E siccome ad esso attribuissi la scoperta della famosa congiura, si credette di rimeritarlo col fargli presente di una tabacchiera d’oro.20
Quanto abbiamo narrato fin qui crediamo possa essere sufficiente per dare una idea di quell’epoca memoranda delle nostre storie. Chi amasse di conoscerne più minute particolarità potrà rinvenirle nei nostri documenti.21
Lo stesso giorno 17 luglio giunse in Roma il conte Pietro Ferretti fratello del cardinale nuovo segretario di stato. E se facciamo una menzione speciale della sua venuta, egli è perdio la riguardiamo siccome cosa di grave importanza.
Eletto appena da Sua Santità il cardinale a nuovo segretario di stato in quei tempi difficilissimi, divisò di chiamare il detto fratello in Roma per giovarsi de’ suoi lumi e della sua assistenza in fatto di politica, e dì finanza.
Come suddito e figlio dovrei, chinando il capo, rispettar la scelta. Come storico però m’incombe il dovere di dir la verità e non occultare nè ciò che si disse, nè le conseguenze palpabili ch’emanarono da una scelta siffatta. Il mio discorso pertanto sentirà di tutt’altro che di apologia.
Poteva la scelta dell’eminentissimo Ferretti, amico e parente di Sua Santità, uomo dotto superlativamente nelle discipline ecclesiastiche, integerrimo, caritativo ed energico, (come lo provarono il suo zelo apostolico in Napoli nel curare i colerosi, ed il suo coraggio nel 1831 contro i ribelli in Rieti) se non considerarsi per buona, riguardarsi come passabile in tempi calmi e tranquilli, ma col permesso di chiamare a sussidio il conte Pietro suo fratello, in tempi torbidi e procellosi, pieni di pericoli e d’inganni, fece al che molti considerasser la scelta siccome fatta con non molta avvedutezza, tanto più poi che il Ferretti, quantunque dotato di molti meriti personali, era sempre l’uomo del 1831, ed uno dei pochi eccettuati dall’amnistia di quel tempo.22 Nè cosifatti uomini sono da esporre a tale cimento come quelli che rare volte si svestono di quelle massime, che contratte nella prima giovinezza, vennero in essi rinvigorite col maturar dell’età.
Fu chiamato è vero anche il Silvani, ma per riformare i codici; fu accolto l’Orioli, ma per iscrivere nei giornali e recitar nelle accademie. Quel permettere però che il conte Pietro Ferretti, fratello del segretario di stato, come amico e consigliere se gli ponesse alle costole per tirarlo d’impaccio, parve ad alcuni un divisamento troppo arrischiato e compromettente. Sarebbe da erigersi una statua ad un uomo che in simili contingenze sapesse ad un tempo mantenersi fedele al suo partito senza peccare d’infedeltà verso l’altro. Ma ciò è impossibile.
Che poi il conte Pietro esercitasse una influenza somma sull’andamento della cosa pubblica in Roma fu a tutti evidente; perchè lo vedemmo sempre in mezzo alle feste, ai circoli, ed agli uomini dei movimento, mentre d’altra parte sapevamo che consigliava il fratello nelle cose di stato. Ciò è pure testificato dal Farini quando dice:23
«Che il cardinale Ferretti, non presumendo molto di sua dottrina politica e vedendo i tempi grossi, chiamava a consiglio ed aiuto da Napoli in Roma il fratello Pietro; quello stesso che nel 1831 aveva avuto parte nella rivoluzione. »
Che se pure ci restasser dei dubbi sulla influenza reale da esso Ferretti esercitata nelle alte regioni del potere, si dileguarono all’istante leggendo le memorie del Montanelli suo amico, e capo in quel tempo della rivoluzione in Toscana. Il Montanelli dunque venne in Roma nell’ ottobre del 1847, e si abboccò col Ferretti mentre appunto era nell’auge della sua potenza. Ebbene il Montanelli dice chiaramente che Ferretti era in Roma non solo un pezzo di governo, ma il governo stesso.24 Ciò è più assai di quanto supponevamo.
Tornando ora a parlare dei fatti che succedevansi ricorderemo che il giorno seguente (18 di luglio) il capitano Muzzarelli (uno dei designati al furore del popolo nella lista di proscrizione) venne arrestato dal popolo stesso, ed essendosi interposto il commendatore Don Carlo Torlonia, uomo da tutti amato e stimato in sommo grado, sel prese sotto il braccio, e lo salvò da qualunque offesa.
Monsignor Corboli Bussi che ritenevasi come prelato liberale, e che funzionò da segretario di stato durante il conclave, venne preso a fischi pel Corso.
E monsignor Morandi nuovo pro-governatore, per calmare il popolo, parlò al medesimo dalla loggia del palazzo del governo.25
Intanto le liste di proscrizione si riproducevano il 19, ed in una di esse figurava il nome del cardinal Vannicelli. L’incertezza e l’agitazione invadeva ancora tutti gli animi e niuno sapeva nè che cosa pensare nè che cosa fare in tanto scompiglio. Ad accrescere il quale preparavasi altra scena in una delle adiacenze della piazza di Spagna: ecco il fatto.
Erasi divulgato nelle ore pomeridiane del giorno 19 luglio che nelle vicinanze di sant’Andrea delle Fratte erasi veduto il Minardi, ch’era appunto uno dei designati nella lista del 15, ed uno dei più esosi agenti della polizia pontificia.
Bastò questo perchè si recasse in quelle adiacente una turba di popolo la quale venne a poco a poco talmente ingrossando, che la sera tutte le strade che accerchiavano r isola dirimpetto alla chiesa, n’erano ingombre. E tutti erano smaniosi di conoscer la verità, e d’impadronirsi della persona del Minardi.
A tal uopo irrupper molti qua e là per le case nelle vie del Pozzetto e della Mercede, e ne furono invase le loggie, e perfino i tetti. Intanto vedevansi pattuglie civiche perlustrare que’ luoghi, ed altro pattuglie di semplici borghesi che arbitrariamente eransi formate per la polizia della città. Aggiungeremo poi ancor questa alle miserie dell’età nostra, che si mandò in cerca e si fecer venire monsignor Morandi ed il padre Ventura. Quest’ultimo arringò il popolo da una finestra intanto che il Ciceruacchio teneva nelle mani una lucerna assicurando che Minardi era stato trovato; ma cerca cerca, il Minardi non sì rinvenne giammai, nè si potè verificare il fatto il quale, quantunque per se stesso insignificante, tenne in iscom piglio la città intera. Solo si seppe qualche tempo dopo ch’erasi rifuggito in Toscana ove discoperto, venne arrestato. Il Guerrazzi ne prese le difese con un opuscolo che pubblicò. 26 Ciò non ostante in forza di un trattato reciproco di estradizione ch’esisteva fra i due governi, venne rilasciato a quello pontificio, e ricondotto in Roma per subire il processo.27
I moti del 15 e del 19 luglio, la illegalità delle liste di proscrizione, l’incitamento all’odio verso tutti i capi della polizia e gli agenti di quel dicastero, non esclusi i carabinieri, le manifestazioni di disprezzo e di odio verso i medesimi, non che gli arresti arbitrari che misero il colmo alle illegalità di quei tempi, indussero il nuovo pro-governatore di Roma monsignor Morandi ad emanare il giorno 20 una notificazione nell’intendimento di dannare ciò che si fece in detti giorni, ed esortare il popolo a stare in calma, a non far giustizia da sè, e a ricordarsi «che vi era l’autorità a cui ricorrere.»
Chiudeva la detta notificazione colle parole seguenti:
«Calma dunque, calma, o Romani. Ordine, moderazione! Il governo veglia alla vostra sicurezza: già conosce quanto basta, perchè possa dirvi sinceramente che potete e dovete esser tranquilli; opera a tale scopo colla maggiore energia; siategli uniti come lo foste mai sempre, e la tranquillità, e l’ordine pubblico saranno consolidati perfettamente e fra breve.»28
Anche il cardinal Ferretti emetteva il 21 una notificazione nel medesimo senso.29
Il giorno 22 venner notati nel giornale ufficiale di Roma i nomi di tutti i colonnelli, e maggiori della guardia civica, sotto il comando del principe Rospigliosi dichiarato comandante generale, e del duca di Rignano capo dello stato maggiore col grado di colonnello. 30
A questo provvedimento succedette la pubblioauone del regolamento (che in data del 30 fu messo in vigore dal cardinal Ferretti) sulla guardia civica, e che venne annunciato al pubblico nel Diario di Roma. 31 Ed affinchè non mancasse anche l’obolo del clero in sostegno della guardia civica, il giorno 31 di luglio il cardinal vicario emise una circolare diretta al clero romano per una colletta in ftr vor della medesima. 32
Il cardinal Ferretti, nominati ch’ebbe i capi detta guardia civica, come dicemmo, e prima di promulgarne il regolamento, si recò a fare una visita ai quartieri. In uno dei medesimi, e precisamente in quello del rione Pigna dopo avere inculcato principi di ordine e di attaccamento alla Sede apostolica, proruppe in questa esclamazione: «Mostriamo all’Europa che noi bastiamo a noi stessi» E bastò questo perchè si tirasse subito una litografia rappresentante il ritratto del cardinale con sottovi le dette parole, ed altra rappresentante il cardinale arringando ai civici.33
Intanto Roma continuava a versare in una estrema agitazione pei fatti accaduti nei giorni decorsi. Essa si accrebbe dopo il 20 per essersi conosciuto che gli Austriaci, lo stesso giorno 17 destinato a solennizzare l’anniversario dell’amnistia, erano entrati in Ferrara in numero di ottocentosessanta fra Croati e Ungheresi con tre cannoni a miccie accese, e parte si accamparono sulla piazza del palazzo della città, parte occuparono le due caserme di san Benedetto, e di san Domenico. Può immaginare ognuno quale fosse lo stupore e lo sdegno che invase i Ferraresi per quest’atto di violazione inaspettata del territorio pontificio.
Trionfanti com’erano ovunque i liberali, infiammati essi non solo, ma pressochè tutti i cittadini dello stato, di odio pel nome austriaco, inebriati da idee, vaghe sì, ma pronunziate vivamente d’indipendenza italiana, persuasi dell’appoggio del papa e del suo primo ministro, riscaldato ancor esso in senso anti-austriaco, non è a potersi descrivere qual fremito di rancore e di sdegno invase tutti all’annunzio di un fatto, che trovavasi in opposizione ai trattati esistenti, e che ledeva si virtualmente la indipendenza della pontificia dizione.
Rimandiamo i nostri leggitori a tutto ciò che si scrisse in quel tempo, e sopratutto alla Bilancia,34 non che ad in opuscolo che pubblicò il cavaliere Agatone de Luca Tronchet.35 Quanto a noi diremo con tutta franchezza che, politicamente parlando, ci parve una misura avventata non solo, ma uno sbaglio solenne della politica austriaca e del Nestore dei diplomatici, il principe di Metternich, che la guidava; quantunque esso per astuzia diplomatica fosse rinomatissimo, e per cognizioni in cose di stato tutti sopravanzasse. E pure in quella occasione ne fece verificare il detto che «quandoque bonus dormitat Homerus.»
Lasciamo ancora di ritornare sul discorso in quei tempi paralizzato della interpretazione che dar si voleva alla parola place, la quale chi per città, e chi per cittadella traduceva, e rimandiamo i nostri leggitori alle opere o agli scritti sovraccitati.
Quantunque la corte austriaca conoscesse bene a dentro e cose nostre, nè s’ingannasse in vedere che lo stato pontificio era caduto già in balia dei rivoluzionari, di guisa che il papa vi dominava in apparenza, ma in sostanza i liberali, pure non avrebbe giammai dovuto muoversi: imperocchè quell’invadere la città senza essere chiamati dalla legittima autorità, e nello scarso numero di otto o novecento soltanto, oltre che non aveva scopo, era un infrangere i trattati e un volerla far da padroni, mostrando agl’irrequieti ch’ossi erano a pochi passi distanti, e che potevano entrare in gran numero quando lor talentasse.
E questo movimento sì intempestivo ed inutile, anzichè abbattere e consternare gli animi dei rivoltosi, riaccese più che mai gli antichi odî contro il nome austriaco, ed avvalorò in essi viemaggiormente la persuasione che in realtà si fosse tramata la congiura di Roma, provocata e sostenuta dall’Austria.
Possiamo dir francamente pertanto che il fatto prenarrato può considerarsi come una sdrucciolata solennissìma del principe di Mettemich; imperocchè con questa mossa mal calcolata, oltre al non aver raggiunto lo scopo in easa di altri, venne ad accendere il fuoco in casa propria; fuoco che venne divampando in Vienna l’anno seguente, come racconteremo a suo luogo.
Diremo di più che con questo sbaglio, oltre all’aver riscaldato viemaggiormente i liberali dello stato pontificio, rattiepidì non solo, ma agghiacciò le sperarne de’ suoi aderenti, e compromise gravemente il pontefice da un lato, e l’austriaco ambasciatore in Roma dall’altro.
Ritornando alle cose di Roma ricorderemo che il 24 di luglio venne costituita una commissione per gli asili infantili,36 e che inoltre vennero eletti da Sua Santità:
Il cardinal Fieschi a legato di Urbino e Pesaro, in sostituzione dell’eminentissimo Ferretti.
Monsignor Camillo Amici, ch’era in allora segretario del Consiglio dei ministri, a segretario della commissione consultiva per le strade ferrate.
Monsignor Corboli Bussi a segretario degli affari ecclesiastici straordinari, in luogo di monsignor Vizzardelli dimissionario.
Venne pure accordato il ritiro al cavalier Sabatucci di segreteria di stato, e sostituitovi nell’officio di minutante l’avvocato Marc’Antonio Ridolfi.37
Il processo contro i complici della così detta congiura attraeva in quel tempo l’interessamento di tutti, e niuno immaginar poteva in quei giorni che fosse per risultarne in seguito un bel nulla. Piacque quindi, e se ne fece un chiasso infinito, una notificazione che il nuovo pro-governatore Morandi emise il 27, colla quale per tranquillare gli animi assicurava i Romani che l’autorità occupavasi del gran processo. Le parole gran processo furono scambiate, e credute equivalenti a quelle di gran congiura. Dunque: vedete, dicevano, se vi è stata una gran congiura? — E niuno rifletteva che una volta che si era arrestata tanta gente, e dovevano esaminarsi tante persone, il processo divenir doveva di necessità voluminosissimo, quand’anche se ne fosse avuto per risultato il parturient montes, nascetur ridiculus mus.38
Intanto lo stesso giorno 27, onde sopperire nuova materia al gran processo, ci annunziava la Pallade del 28 ch’erano stati arrestati altri due imputati nella congiura, il colonnello Freddi, ed il capitano Alai.39
Chiudevasi il mese di luglio colla nomina di monsignor Rusconi a vice maggiordomo di Sua Santità,40 e colla convenzione conclusa fra il governo pontificio e quel di Sardegna sul commercio reciproco fra i sudditi di ambi gli stati.41 Si promulgò pure un editto del cardinal Ferretti, col quale veniva diminuito di mezzo baiocco a libbra il prezzo del sale, cominciando dall’agosto prossimo.42
Si apriva il mese di agosto colla nomina che il giorno 2 veniva fatta del nuovo tesoriere generale o ministro delle finanze, in persona di monsignor Carlo Luigi Morichini arcivescovo di Nisibi.
Piacque generalmente la scelta che raccomandavasi per un nome caro alle scienze, qual era quello del padre, medico di molta dottrina, e carissimo ai Romani: piacque perchè il Morichini prelato, dotto in giurisprudenza, versato negli studi che diconsi umanitari, e di politica economia, bello della persona, giovane ed affabile pei modi, era pure in fama di amico e vagheggiatore dei civili progressi, e di ciò che tende al miglioramento dello stato dei miseri. Erasi pur fatto un nome pel suo libro intitolato: «Degl’istituti di pubblica carità, ed istruzione primaria in Roma,» dato in luce fin dall’anno 1835. — Mandato nunzio a Monaco da Gregorio XVI, che creato avealo arcivescovo di Nisibi, erasi lodevolmente comportato con tutti, lasciando di sè bella fama. 43 Son questi i plausibili motivi pei quali, come abbiam detto, piacque generalmente la scelta di monsignor Morichini per amministrare le nostre finanze.
Partiva per Napoli il 6 di agosto il conte Pietro Ferretti, di cui abbiamo parlato lungamente, e sempre per quella ragione che il suo nome era in grazia del partito che signoreggiava la situazione, si videro molti cittadini accorrere per augurargli un buon viaggio. Il Ciceruacchio poi, che rappresentava l’elemento popolare, recossi co’ suoi amici e seguaci fuori la porta Cavallegieri per compiere lo stesso officio. 44
Il giorno 7 di agosto dedicato a san Gaetano recitava il famoso padre Ventura il suo discorso panegirico in lode del santo, nella chiesa di sant’Andrea della Valle, e diceva fra le altre cose che d’ora innanzi lo stemma di Roma, avrebbe dovuto rappresentare la religione unita alla libertà, e il nuovo stemma venne subito stampato e diffuso per Roma.45
Il nostro giornale officiale consacrava un articolo in data del 7 di agosto per dirci che coerentemente all’annunzio datoci fin dal 24 luglio, cioè che mentre il Santo Padre disponevasi a nominare i deputati delle provincie la loro riunione in Roma avrebbe avuto luogo il 5 novembre prossimo, ora ci annunziava la nomina dei medesimi, che riteniamo non riuscirà discaro ai nostri leggitori di conoscere.
NOMI DEI MEMBRI componenti la Consulta di Stato. | ||
Per | Roma | Barberini Principe Don Francesco. |
idem | Odescalchi Principe Don Pietro. | |
idem | Vannutelli Avvocato Giuseppe. | |
Per | la Comarca | Lunati Avvocato Giuseppe. |
Per | Bologna | Silvani Avvocato Antonio. |
idem | Minghetti Marco. | |
Per | Ferrara | Recchi Gaetano. |
Per | Forlì | Paolucci De Calboli Marchese Luigi. |
Per | Ravenna | Pasolini Conte Giuseppe. |
Per | Urbino e Pesaro | Ferri Conte Carlo. |
Per | Velletri | Santucci Avvocato Luigi. |
Per | Ancona | Dei Pupi Simonetti Annibale. |
Per | Macerata | Ricci Marchese Amico. |
Per | Camerino | Peda Giovan Battista. |
Per | Fermo | Felici Cavalier Antonio. |
Per | Ascoli | Sgariglia Dal Monte Conte Ottavio. |
Per | Perugia | Donini Conte Luigi. |
Per | Spoleto | Di Campello Conte Pompeo. |
Per | Rieti | Piacentini Avvocato Giuseppe. |
Per | Viterbo | Ciofi Avvocato Luigi. |
Per | Orvieto | Gualterio Marchese Filippo Antonio. |
Per | Civitavecchia | Benedetti Avvocato Francesco. |
Per | Frosinone | De Rossi Avvocato Professor Pasquale. |
Per | Benevento | De Baroni Sabariani Giacomo.46 |
La nomina di essi consultori è in coerenza della circolare del segretario di stato Gizzi del 19 aprile decorso, quale potrà leggersi sotto la detta epoca.
Uno dei soliti banchetti patriottici ebbe luogo in Frosinone il giorno 8 di agosto. Fu assai numeroso perchè vi si contaron quattrocentocinquanta commensali, i quali vennero rallegrati da alcuni cori in cui presero parte uomini e donne. Le poesie non mancarono, e di qual genere fossero lo dicano i nomi degli Sterbini e dei Masi che le recitarono. 47
Il giorno 10 poi vennero eletti da Sua Santità per
Delegato | di Ancona | Monsignore Achille Maria Ricci. |
» | di Civitavecchia | Biagio Bucciosanti. |
» | di Orvieto | Monsignore Filippo Torraca. |
» | di Camerino | Monsignore Domenico Giraud.48 |
Questi prelati si condussero lodevolmente, tranne il Bucciosanti il quale, forse per leggerezza o volubilità di carattere, non si mostrò in seguito (a giudicare dagli atti suoi) caldo sostenitore dei diritti della Santa Sede, o almeno non seppe opporsi con sufficiente energia alle altrui esigenze, ciò che provocò il suo richiamo. Ma di questo meglio in seguito.
Circa poi alla scelta dei consultori piacque nella generalità, quantunque constasse di elementi non del tutto fra loro omogenei; imperocchè alcuni dei consultori eran già conosciuti, e meglio si chiarirono in seguito per poco o niente amici del pontificio governo. Crediamo doverci astenere dal nominarli. I fatti che svolgeremo nei capitoli seguenti li faranno conoscere.
Note
- ↑ Vedi sulla istituzione della guardia civica un vol. in foglio intitolato Guardia civica, ove contengonsi tutti gli stampati che alla medesima son relativi. — fra le stampe o litografie il n. 30 – i documenti del vol. II dal n. 1 al 18 – il Ranalli, vol. I pag. 162.
- ↑ Vedi Farini, vol. I, pag. 198 e 199.
- ↑ Vedi Ranalli, vol. I, pag. 162 — Farini, vol. I, pag. 199. Esso però per equivoco pone la rinunzia due giorni dopo.
- ↑ Vedi la Bilancia dei 6 e 9 luglio 1847 n. 18 e 19.
- ↑ Vedi il programma nel vol. III dei Documenti, n. 68.
- ↑ Vedi Documenti, vol. III, n. 65.
- ↑ Vedi il detto disegno in sesto più grande fra le stampe e litografie al n. 44.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 16 — Vedi il Contemporaneo, n. 17.
- ↑ Vedi il vol. III dei Documenti, n. 20.
- ↑ Vedi Gualterio gli Ultimi Rivolgimenti Italiani, vol. I, parte seconda Le riforme, Firenze 1851, pag. 69 e 455; non che il volume Documenti alla pag. 11.
- ↑ Vedi Farini Lo Stato Romano, vol. I, pag. 10.
- ↑ Vedi Grandoni, pag. 75.
- ↑ Vedila nel vol. III, Documenti, n. 23.
- ↑ Vedi il giornale spagnolo l’Araldo.
- ↑ Vedi il Supplemento al Corriere livornese, del 22 settembre 1847.
- ↑ Vedi Ranalli, vol. I, pag. 211.
- ↑ Vedi il Diario di Roma, del 17 luglio 1817; - Vedi il Contemporaneo, del 17 e del 24 detto; — Vedi la Pallade, del 17.
- ↑ Vedi la Bilancia, del 21 luglio 1847 n. 22; ed il n. 28 del detto giornale alla pagina 114. — Vedi il Ranalli capitolo IV del I, pag. 202 e 203. — Vedi il Farini volume I, pag. 202 e 203. — Vedi Dooum. volume III, dal n. 21 A al n. 25. — Vedi il volume stampe e litografie, dal n. 32. al numero 41.
- ↑ Vedi il Corriere livornese dell’11 settembre 1847, terza pagina.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 20.
- ↑ Vedi Documenti del vol. III, dal n. 26 al n. 35. — il vol. stampe e litografie numeri 42, 43, 44.
- ↑ Vedi elenco degli individui esclusi dall’amnistia, nel vol. XV delle Miscellanee, n. 10.
- ↑ Vedi Farini, vol. I, pag. 201.
- ↑ Vedi le Memorie del Montanelli, vol. II, pag. 53.
- ↑ Vedi la Pallade. n 20.
- ↑ Vedilo nel vol. XIII, Miscellanee, n. 11.
- ↑ Vedi l’Italico, secondo semestre 1847, n. 3. — Vedi la Pallade, n. 22. Vedi la Bilancia del 24 luglio.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 24 luglio.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 24 luglio.
- ↑ Vedi le Notizie del giorno del 22 luglio.
- ↑ Vedi il supplemento al Diario di Roma, n. 62.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 31. — Vedi il vol. I. Motu-propri, ec. n. 17. Vedi Documenti. vol. III. n. 12.
- ↑ Vedile entrambe fra le stampe e litografie, sotto i n. 14 e 41 A
- ↑ Vedi la Bilancia, pag. 88, 97, 112, e 118.
- ↑ Vedi l’opuscolo del De Luca Tronchet nel vol. II, Miscellanee, n, 12.
- ↑ Vedi il Contemporaneo, del 21 luglio 1847.
- ↑ Vedi il Diario di Roma, del 24 luglio, e la Pallade, n. 23.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 31 luglio 1847.
- ↑ Vedi la Pallade del 28 detto.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 7 agosto detto.
- ↑ Vedi il tutto come qui sopra.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 3 agosto 1847.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 7 agosto 1847.
- ↑ Vedi le Notizie del giorno del 12 agosto 1847, non che la Pallade, n. 30.
- ↑ Vedi sul panegirico del padre Ventura il Diario di Roma del 10 agosto 1847. — il Documento n. 42 A, nel vol. III. — il vol. in foglio atlantico intitolato: stampe e litografie n. 15 A, ove si rappresenta il nuovo stemma di Roma.
- ↑ Vedi il Diario di Roma, del 7 agosto 1817.
- ↑ Vedi la Speranza dell’11 agosto alla pagina 80.
- ↑ Vedi il Diario di Roma, del 10 agosto.