Storia della rivoluzione di Roma (vol. I)/Capitolo XV
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[Anno 1847]
Narrammo nel precedente capitolo come il 17 luglio si presentassero in Ferrara ottocentosessanta Austriaci con tre cannoni, ed alcuni pochi Ungheresi al loro servizio: narrammo ancora la sorpresa e lo sdegno eccitatosi nell’animo dei cittadini per un simile avvenimento; nè poteva essere diversamente sopra tutto in quei tempi.
Ora diremo ciò che occorse posteriormente.
Il primo di agosto un capitano austriaco per nome Jankowich fu insultato, e trovando impedimenti sul suo passaggio si credette obbligato di prendere sei uomini per farsi scortare. Riferì la cosa al comandante austriaco della fortezza di Ferrara maresciallo conte Auersperg, e questi diresse il giorno 6 un dispaccio all’eminentissimo Ciacchi legato della città e provincia di Ferrara per annunziargli: «che d’ora innanzi le truppe austriache avrebber pattugliato in quella parte della città che racchiude le caserme, i diversi alloggi degli ufficiali, il castello, e l’ufficio del comando della fortezza.»
Se ne richiamò il giorno stesso il cardinale legato, protestando per mezzo del notaro Monti. Può leggersi la protesta nel Farini, nel giornale di Roma, non che nel nostro sommario.1
Non è a diro l’entusiasmo che ovunque produsse, e sopratutto in Roma, la lettura della protesta. Leggevasi ad alta voce per le piazze e per le pubbliche vie, e quantunque in tempi regolari sarebbe stata cosa irregolarissima, in quei tempi, dobbiam convenirne ancor noi, non si sarebbe potuta impedire, perchè il governo pontificio era troppo interessato il distruggere perfin l’ombra del sospetto di connivenza tra esso e l’austriaco governo.
Il giorno 12 scriveva il segretario di stato a monsignor Viale Prelà nunzio in Vienna il seguente riservato dispaccio segnato col n.° 72,892 — 6, che abbiamo estratto dal Farini.2
«Adempio innanzi tutto al grato dovere di ringraziare la S. V. illustrissima e reverendissima per le cortesi parole ch’essa m’ha diretto nel suo dispaccio n.° 542, in ordine alla scelta di me fatta dalla sovrana clemenza a segretario di stato. Io sono profondamente penetrato, ella mei creda, della somma gravità del peso che la sola obbedienza poteva determinarmi ad assumere. Voglia il cielo che io valga a sostenerlo per modo da corrispondere alla fiducia, onde mi ha onorato il Santo Padre, ed alla pubblica aspettazione. Ma se a tanta impresa mancheranno le mie forze, giammai vorrà meno il buon volere; e questo, io spero, mi otterrà indulgenza.
» Del resto, quando i pubblici fogli mi hanno qualificato per uomo franco e leale, non hanno certamente fatto un’onta al vero: io ho la coscienza di non aver mai demeritato questa lode. La mia politica pertanto non sarà diversa dal mio carattere, e dentro i limiti di una prudenza strettamente necessaria a chi governa, ma che sarebbe errore il confondere col sistema del dubbio e della inazione, mi adoprerò a dare ai miei atti (nè avrò durar fatica) la corrispondente caratteristica impronta della franchezza e della lealtà, tanto nella interna amministrazione dello stato, quanto nelle estere relazioni. Io reputo questa linea di condotta la più conforme all’indole delle popolazioni, che per alto consiglio della Provvidenza sono affidate al paterno regime dei Sommi Pontefici; nè ho motivo di dubitare di una perfetta corrispondenza di sentimenti dalla parte di codeste I. R. gabinetto, che vorrà, spero, essermi cortese, come ha sempre praticato coi miei illustri predecessori, dell’amichevole sua fiducia.
» Avvezzo a servire coscienziosamente il mio sovrano in ogni epoca della vita, io servirò Pio IX anche in forza di quella simpatia che ispirano le sue rare doti di mente e di cuore, e che formando di esso un modello di uomo privato e di ottimo principe, lo hanno reso T idolo del suo popolo. Nè certo mi ristarò perchè un amore sì ragionato e sì forte abbia ad accrescere anzichè a rallentarsi, cooperando a quelle saggie riforme, che ovunque si vagheggiano, e secondando, compatibilmente con la natura delle cose nostre, e coll’essenza del governo pontificio, le inclinazioni e le tendenze di quel partito moderato, che forma indubitatamente l’immensa maggioranza delle nostre popolazioni.
» Fra queste inclinazioni e tendenze vi è pur quella onestissima di mostrare all’Europa che sotto il regime di un principe giusto e curante i veri interessi dei suoi stati non v’ha bisogno di esterno concorso per la conservazione dell’ordine, essendovi gr interni elementi per guarentirlo, se esistente, e per ripristinarlo, se per qualunque causa venga minimamente turbato. Questa tendenza, propria di ogni nazione che sente la sua dignità, e sa rispettare se stessa, si pronunzia per guisa, in tutte le abitudini, in tutti gli scritti, in tutti i movimenti degl’Italiani, che il solo remoto sospetto che sia contradetta, li offende, li irrita, e li rende incapaci di freno. È perciò che un governo qualunque italiano, in questi difficili tempi, perderebbe in un istante la fiducia e l’amore dei suoi amministrati, dolce e sicuro elemento d’interna felicità, se avesse l’apparenza di tollerare quando che fosse, non dirò un fatto, ma un’ombra soltanto di qualsivoglia attentato alla loro indipendenza territoriale e governativa.
» Da ciò sarà agevole il comprendere la disgustosa sorpresa dei Ferraresi all’inopinato ingresso delle truppe austriache, destinate a rinforzare quella I. R. guarnigione, effettuato con tutte le apparenze d’ingresso ostile, perchè i corpi erano preceduti dalle vedette morte, e quelle di cavalleria avevano le carabine alla mano, e la bandiera spiegata, tenendo la via più lunga onde portarsi in cittadella. Nelle attuali circostanze era ben facile avvedersi che siffatto ingresso poteva riguardarsi da que’ cittadini come una vera provocazione, i cui risultati potevano essere assai terribili ed evidentemente compromettenti, se l’autorità governativa, e persone di senno, non fosser concorse con ogni modo di persuasione a ricomporre gli animi gravemente commossi. E fu gran ventura che non avesse luogo in que’ momenti il più piccolo sconcio, poichè l’eminentissimo legato, essendo stato prevenuto del rinforzo delle truppe austriache soltanto nel giorno precedente il loro ingresso, poco o niun agio gli si offriva ad impedirne le probabili conseguenze. E qui senza entrare nella questione di diritto, dirò francamente che, avuto riguardo alla condizione dei tempi e dei luoghi, mi sarei atteso dalla illuminata saviezza dell’I. R. governo una prevenzione più tempestiva a garanzia della pubblica tranquillità in quelle nostre contrade. La quiete per altro mantenuta nel primo ingresso delle truppe di rinforzo, non mi liberava da ogni apprensione pel tratto successivo. Pregai quindi istantemente questo signor ambasciadore ad interessarsi della difficile mia posizione coll’insinuare, com’egli gentilmente mi promise, al generale Radetzky di dare le disposizioni opportune pel mantenimento dello statu-quo. Se poi, non ostante le precauzioni prese, e le pratiche fatte dall’autorità governativa e da pacifici cittadini di Ferrara, nacque l’inconveniente (non ancora bastantemente provato in tutte le sue parti) di cui parlava il rapporto del signor tenente-maresciallo, e la protesta dell’eminentissimo preside della provincia; quello non poteva in ogni caso autorizzare il signor tenente-maresciallo ad attivare contro gli accordi posteriori al trattato di Vienna, ed alla lunga consuetudine, le pattuglie austriache nei punti della città in essa protesta menzionati; tanto più che il fatto d’onde derivò questa misura, quantunque sia fuor di dubbio assai dispiacente, non sembrava però apprestare fondata apprensione intorno alla personale sicurezza della truppa, massimamente dopo le disposizioni date dall’eminentissimo legato onde non avessero a riprodursi cotali inconvenienti.
» Lungi pertanto Sua Santità dal volere menomamente supporre che la misura adottata dal signor tenente-maresciallo sia consentanea alle istruzioni da esso ricevute dalla sua I. e R. corte, ha invece espresso pubblicamente, per organo del mio ministero, la sua ferma credenza che la I. e R. corte sia per fare buon diritto alle nostre analoghe rimostranze.
» E qui mi trovo dispensato dall’addurre i motivi che mi obbligarono di dare alla protesta del sullodato cardinal preside, ed alla conseguente approvazione sovrana la maggiore notorietà; dappoichè alle osservazioni generali di sopra istituite si aggiunge nel caso il particolare riflesso di una pubblica violazione degli accordi fra due governi, e la gravissima responsabilità ministeriale che io andava ad assumere, se dopo aver notificato al pubblico le assicurazioni già datemi dal signore ambasciadore che il governo austriaco non aveva intenzione d’intervenire non chiamato, il nostro governo si fosse rimasto indifferente ad una misura, che si riguardava come un certo preludio, ed aveva infatti tutta l’apparenza di una occupazione per parte di truppa estera.
» Io prego vostra signoria illustrissima e reverendissima di valersi del fin qui detto col signor principe Metternich, nel modo ed all’effetto che crederà più opportuno; ed intanto gradisca ecc.»
Noi riportiamo in lettera dell’eminentissimo Ferretti, senza garantirne nè in tutto nè in parte la esistenza. Però quante volte abbia avuto luogo, ci sembra un documento della massima importanza perché emanato da sorgente ufficiale. Ci permettiamo inoltre di pronunziare che ammessa la esistenza della medesima, la sua dicitura la rende probabilissima, consentanea all’indole franca e sincera del cardinale, ed adatta ai tempi che correvano.
Detta lettera anzi spiegherebbe mirabilmente quelle parole che il porporate suddetto, preso da pretesco liberale entusiasmo, pronunziò in un quartiere civico il 25 luglio. La medesima d’altra parte, ove non fosse vera, si consideri pure come nulla; ma se fu in realtà, com’è stata trascritta, spedita al nunzio di Vienna, conferisce onore ed elogio al cardinale che la dettò d’ordine di Sua Santità; perchè vi si contiene quel linguaggio dignitoso e nobilmente risentito che al governo pontificio, leso nei suoi diritti, e compromesso in faccia si sudditi, mirabilmente si conveniva, a distrugge qualunque idea di connivenza fra i due governi, o di duplicità verso i sudditi pontifici.
Troppo tardo però giunse il foglio summenzionato al suo destino, perchè il giorno 13 agosto le truppe austriache con apparecchio maggiore di forza, e con apparenze più pronunciate di ostilità, presentaronsi innanzi alla cittadella, mentre un aiutante di campo del comandante presentavasi al cardinale legato, chiedendo le consegna del ponti. Resiste e si oppone il legato dichiarando volersi richiamare di lesa sovranità del pontefice, a di violato diritto dalla genti.
Null’ostante ciò la città di Ferrara pochi momenti dopo fu occupata militarmente. Ed allora fu che il cardinale legato senza frapporre indugio veruno (sempre per mezzo del notaro Monti consegnò agli atti la seconda protesta che riportiamo in sommario,3 e che può leggersi nel Farini,4 e nel Diario di Roma.5 Non crediamo riportarla in questo capitolo essendo conosciutissima, e perchè fu stampata anche a parte.
Di fuoco anti-austriaco latente non si difettava in Italia, ma il passo malaugurato dì cui abbiamo testè fatto menzione, convertì il fuoco in incendio. Nè si limitò alla Italia soltanto, ma nelle Camere francesi puranco si diffuse; cosicchè in breve si comunicò per tutta Europa, accrescendo ad un tempo le simpatie verso l’Italia, e l’odio contro l’Austria.
Conveniamo ancor noi che negli aulici consigli, lungi forse dall’esser prevalse idee nemiche alla Santa Sede, si credette di procurarle un vantaggio. Quasi si voleva con ciò liberarla dalla pressura di quel partito, piccolo si, ma audace ed energico, che onorava il papa solo a parole, e avrebbe voluto in effetto che sparisse dell’italico suolo, come dominatore temporale di quella parte che costituisce lo stato pontificio; ma il momento fu male scelto, il colpo mal misurato, e questi sbagli tornano sempre a detrimento notevole di chi li commette, scemandone la forza morale di tanto, quanto alla parte avversa si viene ad accrescere. Tale ci sembra il caso in concreto della occupazione di Ferrara.
Quanto alle conseguenze, esse riusciron fatali per l’Austria, imperocchè, se prima le dottrine anti-austriache manifestavansi a bassa voce per tema delle polizie e del carcere, dopo i fatti di Ferrara, dopo il conseguente e necessario eccitamento 4egli animi, e le romane proteste, non fatte in via diplomatica, ma apertamente e popolarmente, ad esse si aperse il più libero e sbrigliato mezzo di diffusione.
Non mai meglio che allora potè porgersi il destro ai nemici dell’aquila bicipite di gridare ad alta voce contro gli Austriaci, sotto l’usbergo del papa offeso, di cui un po’ da burla, ma molto davvero, prendevansi le difese; e così ovunque ed all’aria aperta si venne ad aprire scuola di proselitismo anti-austriaco, e feeer più que’ pochi giorni, che i trentadue anni antecedenti, quanti n’aerai! deeoni dal trattato di Vienna, per crearle nuovi nemici.
Gli amici dell’Austria poi esterrefatti a quell’insolito divampamento le cui prime scintille dal Quirinale partivano, non che turarsi la bocca, imbrigliaron perfino il pensiero per tema che non li tradisse, e non li rendesse vittima degl’irrefrenabili sdegni delle moltitudini.
L’Austria poi, oltre allo avere accresciuto incommensurabilmente il fuoco in Italia, portandovi essa stessa una nuova provvista di combustibili, venne con ciò gittando in casa propria il seme di quella rivoluzione tremenda, che scoppiata nel marzo del 1848, repressa e riaccesa nell’ottobre, costrinse il suo imperatore a fuggire, ed insanguinò per due volte colle bombe e i cannoni le strade di Vienna. Ma fece anche più, perchè le distaccò l’Ungheria, ed obbligò più tardi lo stesso imperatore a ricorrere all’umiliante partito di chiamare in sussidio delle sue armate quelle dell’Autocrate russo contro gl’insorti ungheresi.
Le lagnanze ufficiali del governo pontificio per la occupazione di Ferrara, il racconto dell’articolo inserito nel trattato di Vienna, le proteste del Consalvi e le controverse interpretazioni della parola place applicabili a Ferrara e Comacchio, tutto potrà rinvenirsi nel Diario di Roma, e nel commenti fattigli dall’Orioli nella Bilancia.6
Venendo poi più specialmente alla nostra Roma diremo come all’annunzio dell’occupazione di Ferrara si pensò subito al caffè nuovo di formulare una lista di soscrizione per chi avesse voluto marciare immediatamente a Ferrara. Venivasi ricoprendo di firme la lista, quando il conte Cristoforo Ferretti, altro fratello del cardinale, si adoperò e nel detto caffè e al circolo romano per distornarli da questa determinazione, assicurando che il governo avrebbe mostrato energia e fermezza in tale contingenza. Il Contemporaneo si estese nel raccontare le particolarità di questo episodio.7
Fra le altre cose accadute in Roma nel mese di agosto noteremo una predica del padre Gravazzi in sant’Andrea delle Fratte il giorno 13, non dissimile da quella del 17 giugno nella chiesa di santa Maria degli Angeli.
Detta predica fu qualificata dall’abate Zanelli nell’Educatore8 come una profanazione, e consigliò il padre Gavazzi a lasciare quelle stranezze che mutano il pulpito in palco da saltimbanco. Rispose a tale articolo il padre Gavazzi, ed inserì nella Pallade la sua risposta.9 Allora l’abate Zanelli consigliò di nuovo il Gavazzi «a tacersi e a desistere dalla delirante ciarlatanesca e invereconda maniera di predicare.»10 L’autorità ecclesiastica finalmente pose termine alla questione, interdicendo al Gavazzi di mai più predicare.
Il 15 di agosto si diede una gran festa militare dal principe Borghese nella sua villa Pinciana al 4.° battaglione civico, del quale era colonnello il fratel suo principe Aldobrandini.11
Il 18 dello stesso mese restituendosi in Roma, reduce da Napoli, il conte Pietro Ferretti, venne incontrato per via da alcuni amici, e da molti conoscenti.12
Essendo stato tradotto dai giornali romani un articolo del giornale inglese il Times, articolo favorevole all’Italia, venne stampato in un foglietto, e la sera del 19 vendevasi ad alta voce nelle vie di Roma, gridando i venditori: Un baiocco l’appoggio dell’Inghilterra.13
Morì il giorno 22 di agosto l’abate Graziosi, amico e confessore di Pio IX, uomo di molta dottrina, e che accoppiava al sapere le più belle doti dell’animo. Grave riuscì per Roma la sua perdita, poichè in fra le altre cose era amatissimo dalla gioventù romana. Furongli resi pubblici onori nei due giorni successivi con pompa straordinaria, e straordinnrio concorso.14 Si volle con ciò onorare non solo l’amico del Santo Padre, ma il suo consigliere spirituale, e quindi l’uomo ai cui consigli dovevasi in qualche parte l’iniziato progresso.
Già per noi si notò allorquando parlammo della legge del 15 marzo sulla stampa, che un dei motivi che ne ispirò la promulgazione fu quello di far cessare la stampa daodestina. Ebbene la legge fu attuata, si ebbe la stampa semilibera, si ebbe la irruzione del giornalismo, ma la stampa clandestina rimase sempre, ed ansi più audace alzò la testa; ciò che provocò il 25 di agosto un editto del cardinal Ferretti per reprimerla.15
Fra i miglioramenti desiderati nell’età nostra tien luogo al certo in primo grado l’attivazione delle strade ferrate, in proposito delle quali narrammo come il 14 luglio 1846 fosse presentato al Santo Padre il progetto della società principe Conti e compagni; sotto il 22 agosto creata una commissione consultiva per il medesimo oggetto; sotto il 3 novembre accennammo la pubblicazione del programma della stessa società convertita poi in società nazionale; e sotto il giorno 7 dello stesso mese facemmo menzione della notificazione colla quale dal governo se ne autorizzava la costruzione, se ne tracciavan le linee, e si davano tre mesi di tempo per le offerte. Quindi aggiungeremo che il 24 luglio dell’anno corrente venne eletto segretario della medesima monsignor Camillo Amici.
È nostro proposito ora di dare alcuni cenni sopra la quantità delle linee che volevansi, e sulle compagnie o società ch’eransi presentate al governo pontificio per ottenerne la concessione, desumendo ciò dal rapporto che lo stesso segretario monsignor Amici ne fece al Santo Padre il 28 agosto 1847.16
Le linee delle strade ferrate che il governo voleva che si tracciassero giusta la notificazione del 7 novembre 1846 eran le seguenti:
Prima linea da Roma per la valle del Sacco al confine del regno di Napoli, presso Ceprano.
Seconda linea da Roma a Porto d’Anzio.
Terza linea da Roma a Civitavecchia.
Quarta linea da Roma ad Ancona, e quindi da Ancona a Bologna, tenendo appresso alla via Flaminia Emilia.
Avrebbe desiderato il governo di farne la concessione alla privata industria di compagnie rappresentate da sudditi pontifici, contro doppia cauzione.
La prima delle quali in favore specialmente dei proprietari, le cui terre fossero occupate o patissero qualche danno.
La seconda (prima di porre mano ai lavori) onde avere giusta sicurezza che siano per essere condotti a termine.
In seguito di ciò vennero ricevute le seguenti offerte:
La prima da una società presieduta dal cavalier Valentini, per la linea da Roma a Civitavecchia.
La seconda dalla ditta francese Carlo Lafitte, Blount e compagni rappresentata dal principe Altieri.
La terza da tali Branciard e compagni i quali, tenendosi più stretti, dissero in genere di condurre il lavoro, coi propri fondi, o con prestanze, o con azioni.
La quarta da una società bolognese di sette soci, fra i quale il celebre Rossini, rappresentata dal marchese Annibale Banzi, pel tratto da Ancona a Bologna.
La quinta da una società così detta nazionale, presieduta dal principe Conti, e poi dal marchese Potenziani, la quale offeriva di condurre tutte le linee.
La sesta finalmente dal principe Altieri e dal commendator De Rossetti, per la linea da Roma al confine napolitano.
Siccome però con successiva notificazione della segreteria di stato del 26 marzo 1847 venne prorogato fino al 7 maggio il termine delle offerte, così ne venner fuori delle nuove e furono:
Una di un tale abate Pancaldi, che non si ebbe in veruna considerazione.
Altra di una società intitolata «Società romana ed estera delle strade ferrate» sotto il nome del marchese Bourbon del Monte.
Una terza finalmente di una società sotto il nome di Leopoldo Fabri, per il tronco fino a Foligno, ed a certe condizioni anche fino ad Ancona.
In seguito di ciò tre degli antichi concorrenti variavano le loro condizioni. Eran questi i soci della civitavecchiese, quelli della nazionale, e i Bolognesi. Ci asteniamo per brevità dall’accennare in che queste variazioni consistessero.
Avendo però il Santo Padre, nel Consiglio dei ministri tenuto il 22 luglio scorso, decretato alcune massime per condurre la cosa ad un più sollecito sviluppo, le due società Bourbon del Monte, e Carlo Lafitte, Blount e compagni si ritirarono.
Gli offerenti rimasti modificarono in qualche modo le loro offerte, e si ebbe da una parte che la società nazionale per tutte e quattro le linee offeriva in garanzia scudi trecentocinquantamila, mentre dall’altra le tre compagnie offerivano un milione novantaduemila scudi romani oltre un dono pecuniario di scudi centomila per due delle linee soltanto.
Proponevasi nel rapporto la fusione di tutte le compagnie come cosa che apparentemente sembrava più spedita insieme e più vantaggiosa all’impresa; ma non si dissimulavano le difficoltà incontrate, e quindi la impossibilità di riuscirvi, dichiarandone succintamente i motivi.
Per ultimo si discuteva sulla improprietà e convenienza di assicurare un minimo d’interesse agli intraprendenti, se ne assegnavano le ragioni pro e contra, ed in fine si lasciava al Santo Padre la decisione su tutto ciò che in genere ed in ispecie si riferiva alla concessione delle strade ferrate.
La conclusione però si fu, che sia per la difficoltà della fusione delle varie società, sia per quella delle idonee garanzie, sia per la questione vitale, ma non risoluta nell’anno 1847, sull’assicurazione del minimo dell’interesse, i progetti rimaser tutti in sospeso; finchè vennero i tempi grossi che a ben altro che a strade ferrate, figlie dell’ordine e della pace, tenner rivolto il pensiero.
Questo sì possiamo assicurare, che la società nazionale, come dicemmo nel capitolo IV, col volere escludere i capitalisti, col fare un appello invece alla popolarità, e col dare un’apparenza di associazione democratica alla intrapresa, lungi dallo incoraggiare, scorò del tutto, e fece sì che si rappiattassero i personaggi più ragguardevoli e facoltosi; quelli in somma che potevano ispirar fiducia e coraggio. Quindi s’intimorì l’aristocrazia e il commercio, e si lasciò così il varco aperto o agli esteri imbroglioni e speculatori, o ad alcuni dei nostri, che, seppure rispettabili fossero, non era da sperarsi che per la tenuità dei loro mezzi o del loro credito potessero far sorgere le strade ferrate nel nostro paese. La vis unita fortior sarebbe quindi stata forse realizzabile se la prima società del principe Conti e compagni colla utopia dei cinque baiocchi e mezzo di risparmio, trasformatasi poi in nazionale, non si fosse mai affacciata sulla scena, e lasciate avesse intraprese siffatte ai soli uomini capaci di condurle a termine, vogliam dire ai veri capitalisti in danaro ed in credito.
Il Santo Padre è vero si pronunziò per la fusione in favore della società Banzi-Fabri,17 ma ciò non bastò, e il progetto non si realizzò affatto, e si rimase colle strade che prima avevamo.
Sui progetti delle strade ferrate e tutt’altro relativo, possono leggersi gli opuscoli seguenti pubblicati in Roma.
1.° Dichiarazioni e osservazioni sopra il progetto della società principe Conti e compagni, con documenti.
2.° Provinciali. — Breve cenno sulle linee delle vie ferrate.
3.° Ravioli Camillo. — Breve cenno sull’ordinamento delle vie ferrate negli stati pontifici.
4.° Blasi Benedetto. — Del danno che avverrebbe allo stato pontificio da qualunque strada ferrata di comunicazione fra la Toscana e l’Adriatico. Roma, 1846.
5.° Risposta alla lettera del sig. Benedetto Blasi Roma, 1846.
6.° Cialdi commendatore Alessandro. — Parallelo geografico ed idrografico fra i porti di Civitavecchia e Livorno. Roma, 1846.
7.° Blasi. — Della strada ferrata Pio Cassia. Roma, 1846.
8.° Petitti conte Ilarione. — Difesa della società nazionale per le strade ferrate pontificie. Roma, 1847.
9.° Memorie della Camera di commercio di Ferrara sulla utilità e convenienza che sia prolungata la linea ferrata nell’Emilia. Ferrara, 1847.
10.° Blasi. — Sulla questione della superiorità del Porto d’Anzio sopra Civitavecchia. Roma, 1847.
11.° Lanci Fortunato. — Sulle strade ferrate nello stato romano. Roma, 1847.
12.° Detto. — Sulle strade ferrate, appendice. Roma, 1847.
13.° Cialdi. — Quale debba essere il porto di Roma. Roma, 1846.
14.° Detto. — Sul Tevere, sulla unione dei due mari, e sulla marina mercantile. Roma, 1847.
15.° Gualterio marchese. — Discorso sulla strada ferrata Pio Cassia. Roma, 1847, in-4 piccolo, con figure.
Dopo questa digressione sulle strade ferrate dovremmo riprendere il filo delle nostre narrazioni storiche per ordine di data. Prima però di riassumere queste narrazioni crediamo dover parlare di due cose importantissime dei circoli cioè e del giornalismo, le quali svolgeremo nei due capitoli seguenti. In essi capitoli si darà una rassegna sommaria di tuttociò che non solo al giornalismo ed ai circoli di Roma si attiene, ma si dirà qualche cosa su questi oggetti, riferibili al resto dello stato pontificio.
Note
- ↑ Vedi Farini, vol. I, terza edizione, alla pag. 211. — il supplemento al Diario di Roma del 10 agosto. — il Sommario al n. 7.
- ↑ Vedi Farini. vol. I. pag. 213.
- ↑ Vedi Sommario, n. 8.
- ↑ Vedi Farini, vol. I, pag. 218.
- ↑ Vedi il supplemento al Diario di Roma del 17 agosto 1847, n. 66.
- ↑ Vedi il supplemento al Diario di Roma, n. 66. — Vedi La Bilancia n. 31.
- ↑ Vedi il Contemporaneo, n. 34.
- ↑ Vedi l’Educatore, n. 271.
- ↑ Vedi la Pallade. n. 46.
- ↑ Vedi l’Educatore dell’abate Zanelli, pag. 295.
- ↑ Vedi la Pallade del 15 e 16 agosto, n. 35.
- ↑ Vedi il Diario di Roma ed il Contemporaneo del 21.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 37 e 39.
- ↑ Vedi l’Educatore pag. 309 e 325. — il Diario di Roma del 28. la Pallade, n. 41. — Documenti vol. III, n. 48 e 49.
- ↑ Vedi il Diario di Roma, del 28.
- ↑ Vedi il supplemento al n. 69 del Diario di Roma.
- ↑ Vedi il Diario di Roma del 7 settembre.