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250 | storia |
Si parlava di pugnali scoperti con incisovi il nome di Pio IX, e di croci di color rosso alle case di alcuni individui designati all’eccidio; si vociferava di segreti arruolamenti, e quindi di vendette, di stragi, di rovine, e di sangue. Ciò massimamente dal 12 al 14 di luglio.
Venne informato il Santo Padre ed il suo ministro (ch’era ancora il cardinal Gizzi) di tutto ciò, e s’indussero entrambi a far sospendere la festa destinata pel giorno 17 mediante un atto pubblico che si emise, ove con molta saviezza non parlasi nè di minacce nè di paure, ma solo si differisce fino a che sia organizzata la guardia civica. Nè ciò è tutto. A garanzia ulteriore dell’ordine pubblico, ed in via di urgenza (supplichevoli e scongiuranti alcuni grandi di Roma che scaltramente erano indotti in inganno) si ottenne l’assenso del principe per l’apertura provvisoria ma immediata di alcuni locali che tenesser luogo di quartieri.
Offersero locali nei pianterreni de’ loro palazzi i principi Borghese, Corsini, Doria, Torlonia, il duca Cesarini, non che il commendator Pietro Campana, il negoziante Luigi Costa a san Marcello, ed il banchiere Righetti a Campitelli.
Si offersero, per fare il servizio, molti giovani dei più animosi. Era intanto un andirivieni continuo di alcuni magnati al palazzo Quirinale, e da questo alle loro case. Gli arruolatori designati cui decreto del 5 luglio erano in continuo moto, e tutti animati dal desiderio di salvare persone (incominciando da quella del sovrano), e proprietà, e preservare intatto il minacciato ordine pubblico.
I ragguagli che facevansi circolare sul progettato esterminio dei liberali eran tremendi, ma a ben considerali presentavano una impossibile esecuzione.
Volersi appiccare (dicevasi) il fuoco ai fienili fuori la porta del Popolo, e mentre i vigili e la pubblica forza erano intesi ad estinguer l’incendio, ed il popolo scompigliato e trepidante abbandonavasi alla fuga, uscir fuori