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della rivoluzione di roma | 263 |
città, parte occuparono le due caserme di san Benedetto, e di san Domenico. Può immaginare ognuno quale fosse lo stupore e lo sdegno che invase i Ferraresi per quest’atto di violazione inaspettata del territorio pontificio.
Trionfanti com’erano ovunque i liberali, infiammati essi non solo, ma pressochè tutti i cittadini dello stato, di odio pel nome austriaco, inebriati da idee, vaghe sì, ma pronunziate vivamente d’indipendenza italiana, persuasi dell’appoggio del papa e del suo primo ministro, riscaldato ancor esso in senso anti-austriaco, non è a potersi descrivere qual fremito di rancore e di sdegno invase tutti all’annunzio di un fatto, che trovavasi in opposizione ai trattati esistenti, e che ledeva si virtualmente la indipendenza della pontificia dizione.
Rimandiamo i nostri leggitori a tutto ciò che si scrisse in quel tempo, e sopratutto alla Bilancia,1 non che ad in opuscolo che pubblicò il cavaliere Agatone de Luca Tronchet.2 Quanto a noi diremo con tutta franchezza che, politicamente parlando, ci parve una misura avventata non solo, ma uno sbaglio solenne della politica austriaca e del Nestore dei diplomatici, il principe di Metternich, che la guidava; quantunque esso per astuzia diplomatica fosse rinomatissimo, e per cognizioni in cose di stato tutti sopravanzasse. E pure in quella occasione ne fece verificare il detto che «quandoque bonus dormitat Homerus.»
Lasciamo ancora di ritornare sul discorso in quei tempi paralizzato della interpretazione che dar si voleva alla parola place, la quale chi per città, e chi per cittadella traduceva, e rimandiamo i nostri leggitori alle opere o agli scritti sovraccitati.
Quantunque la corte austriaca conoscesse bene a dentro e cose nostre, nè s’ingannasse in vedere che lo stato pontificio era caduto già in balia dei rivoluzionari, di guisa
- ↑ Vedi la Bilancia, pag. 88, 97, 112, e 118.
- ↑ Vedi l’opuscolo del De Luca Tronchet nel vol. II, Miscellanee, n, 12.