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della rivoluzione di roma | 247 |
Avendo in seguito di ciò il cardinal segretario di stato Gizzi data la sua rinunzia il giorno successivo,1 emerge chiaro che la istituzione della guardia civica non gli andava a grado, e che il papa più che il suo ministro mostrossi condiscendente in accordarla. Nè in ciò è da riprendersi perchè conoscendo egli che i cittadini in massima parte eran buoni, credeva, col metter loro le armi nelle mani, di assicurare la garanzia migliore per la tutela dell’ordine pubblico, della sua sacra persona, e delle istituzioni da lui con tanto coraggio e benevolenza largite.
Nè eran da accagionarsi di men che rette intenzioni i magnati che ne implorarono la istituzione; imperocchè credettero ancor essi che e sovrano, e popolo, e istituzioni nuove, tutto ritroverebbe nella guardia cittadina sostegno e difesa. E coi magnati incominciò pure a crederlo la massima parte della borghesia.
Demmo qualche cenno nel capitolo antecedente di certe scissure manifestatesi fra una parte del popolo minuto e gl’Israeliti, fra i vetturini romani e quei degli Abruzzi, non che tra i lanaiuoli ed altri artieri. Ma giunto era il momento che si facesse fra loro la pace; ed a tal effetto fin dal 4 luglio e giorni seguenti i promotori di feste si adoperarono per mettere su dei banchetti e delle svinazzate che riconciliasser fra loro i dissidenti. Tuttociò ebbe l’aria di una commedia. Non valendo però la pena di narrarne le particolarità, rimandiamo i nostri lettori alla Bilancia2 che ne discorre distesamente, e passiamo a parlare del secondo atto di questa commedia.
Mentre preparavansi da un lato le feste per celebrare l’anniversario dell’amnistia avea decretato dall’altro il circolo romano che girasse un foglio e si venisse ricoprendo di firme. Venivansi in esso domandando al governo ulteriori miglioramenti, riforme, e garanzie sopra-