Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo XIX.
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Sanluri — Castello medioevale.
CAPITOLO XIX.
CASTELLO DI CAGLIARI — TORRI DELL'ELEFANTE E DI S. PANCRAZIO.
CASTELLO DI S. MICHELI.
CASTELLI DELL'ACQUA FREDDA, DI GIOIOSA GUARDIA E DI BARATULI.
CASTRUM VILLAE ECCLESIAE ALTRI CASTELLI NEL GIUDICATO DI CAGLIARI.
CASTELLO DI SANLURI - TORRI E MURA MEDIOEVALI IN ORISTANO.
CASTELLI NEL GIUDICATO D'ARBOREA.
CASTELLO DI SERRAVALLE O DEI MALASPINA IN BOSA.
CASTRUM SASSARI CASTELLO DEL GOCEANO.
CASTELLI E ROCCHE NEI DUE GIUDICATI DI LOGUDORO E DI GALLURA.
La costruzione del formidabile Castello di Cagliari, nelle antiche carte chiamato talvolta Castrum Castri, ma più spesso Castrum Kallaris, fu l'opera più poderosa, compita dai pisani in Sardegna. Gli avanzi dell'antica cortina e le due belle torri di S. Pancrazio e dell' Elefante attestano della grandiosità colla quale venne concepita ed eseguita questa rocca, che dovea esser meravigliosa per la solidità delle forti mura rivestite di quel calcare che si può paragonare al più bel travertino ed al quale l'azione secolare degli agenti atmosferici e del sole quasi africano diede una bella patina che ne attenuò il candore. E su questi bastioni Pisa elevò ai primi del XIV secolo le fulve torri a render inespugnabile il Castello, assicurando in tal modo la sua egemonia nell'isola per la quale da più di due secoli avea svolto azione di compenetrazione sempre intensa e ininterrotta.
Già fino dal 1217, quando ancora reggeva le sorti del giudicato di Cagliari Benedetta di Massa, una principessa in cui parvero con centrate tutte le debolezze della donna senza averne le virtù e che gli archivi ricordano in atti che sono pianti e singulti, il console pisano che nel giudicato tutelava gl'interessi della sua città, ottenne di poter erigere sul colle di Cagliari una rocca ben munita alle dipendenze della podestà e delle soldatesche di Pisa.
Castrum — Kallaris Fortificazioni a levante.
Il racconto di questi fatti si trac da una lettera che Benedetta, lamentandosi di queste sopraffazioni rivolse al pontefice: « Cumque post hec, heu pro dolor! altissima fruerer pace in tota terra mea, ecce Pisanorum consul cum multis sibi sequacibus nobilibus, multis minis, et terroribus, mullisque adulalionum persuasionibus in tontum, et taliter institit mihi, quod sine maximo rubore, ac intimo cordis dolore proferre nequeo, ut sine consilio, et voluntate banorum terrae meae virorum iuravi sibi, et communi Pisano in perpetuum una cum viro meo de novo fidelitatem; atque investitura terrae meae cum viro meo ab eodem consule per vexillum Pisanum suscepto, tamquam fatua, et insipiens prioris iuramenti oblita donavi pariter cum viro meo ad instantiam consulis memorati collem quemdam cum suis pertinentiis memoratis Pisanis. In que posten ipsi aedificaverunt sibi munitissimum castrum in damnum, et occupationem non solum terrae ipsius, sed totius Sardiniae »1.
Cosi ebbe inizio il Castello di Cagliari che ora costituisce uno dei rioni della città e che i Pisani chiamarono sempre Castrum Kallaris, il qual nome fu usato anche quando le opere di fortificazione per opera dei governi di Aragona e di Spagna si estesero ai sottostanti rioni, fino alla spiaggia.
Castrum Kallaris — Fortificazioni a Levante.
A presiedere queste opere si dice che sia stato da Pisa chiamato l'architetto Fratino il quale non dovette veder attuata che una parte ben piccola dei suoi progetti, poichè nello stesso anno per intervento del pontefice Onorio, che impose a Pisa il richiamo dell'esercito e l'abbandono di ogni velleità di signoria, i lavori furono sospesi e rimessi in podestà dei giudici di Cagliari.
Abbiamo voluto ricordare il tentativo di Pisa a pregiudizio della debole giudicessa, giacchè esso si collega colla fondazione del Castello, con Cagliari — Fortificazioni presso la Torre dell'Elefante. Cagliari — Fortificazioni presso la Forre di S. Pancrazio. cui s'inizia un periodo di nuove costruzioni, alle quali gli artefici pisani portarono il contributo delle loro tradizioni artistiche e della loro tecnica.
Abbiamo detto fondazione del Castello di Cagliari, ma per esser storicamente esatti con tal nome intendiamo parlare di quella rocca che i Pisani innalzarono sul colle, poichè indubbiamente in questo era già un nucleo di popolazione di sudditi e di mercanti pisani.
Quel che fosse Cagliari prima che Pisa s'accingesse a fortificare l'alto Cagliari — Baluardo dell'Elefante
(da un disegno del XIV secolo conservatesi nell'Archivio della Corona di Barcellona).colle che sovrasta il piano di Cagliari, non c'è dato di determinare. Ritengo che avesse la stessa conformazione quale la sintentizzò il poeta Claudiano:
- Parte litoreo complectitur obvia muro
- Uròs, Lybiam contra, Tyro fundata potenti
- Tenditur in longum Caralis tenuemtque per undas
- Obvia demittit fracturum, flamina collem
- Efficitur portus medium mare. . . . .2
- Parte litoreo complectitur obvia muro
Quel tenditur in longum indusse a ritenere che la città si svolgesse ai tempi di Claudiano unicamente nel piano, dalla base della collina di Bonaria allo stagno di S. Gilla. L'interpretazione che sino dal XVI secolo si diede a questa frase del poeta Claudiano, suggestiono i topografi di Cagliari romana anche i più valenti. Eppure sol che si Cagliari — Porta di Castello o dei due leoni.riguardi oggidì la nostra Cagliari, ascendente luminosamente dal mare all'alto del colle, non si potrà non avere la stessa impressione dell'ultimo dei poeti romani, di una città, cioè, che si estende in lungo sul colle e sul piano e non su questo soltanto.
E molteplici fatti comprovano quest'asserto: le colline di Tuvixeddu conservano profonde e numerose vestigia di abitati romani, che estendenvansi su fino alla collina che sovrasta la vallata, dalla quale si trasse l'anfiteatro.
Le cortine dell'antico Castello, che contornano la sommità del colle, hanno nei loro paramenti molti frammenti romani, il che significa che vennero tolti da fabbriche antiche, poste nelle vicinanze, non essendo Cagliari del XVI secolo.
(Planimetria inserita nella Cosmografia del Münster edita a Basilea nel 1553).concepibile che si andasse giù in basso a portare con maggiore fatica e dispendio massi che per i costruttori dei poderosi baluardi non doveano avere altro valore se non quello, per cui vennero usati.
Nelle arcate sostenenti il palazzo provinciale, già vice regio, e nel portico detto del Palazzo Boyl sono alcuni massi con iscrizioni romane; in moltissimi lavori di scavo si rinvennero frammenti romani e nelle roccie sulle quali poggiava il convento di S. Caterina, ora demolito, erano molte cisterne d'origine punica e romana.
Se il Castello conservò poche tracce della dominazione romana devesi alla natura sua ripida e rocciosa, la quale fece si che per elevar i nuovi fabbricati si dovettero demolire gli antichi, il che non avvenne per il piano e per il declivio a mezza costa, in cui vi furono profondi Cagliari — Planimetria della Torre di S. Pancrazio.rinterri che permisero la secolare conservazione delle vestigia di una potente dominazione. Gli archeologi sanno per esperienza che la maggior messe di materiali antichi si ritrae non dalla vette rocciose, ma dai piani e dai declivi a mezza costa, dove formansi le discariche provenienti dall'alto.
Al tempo dei giudici la parte più nobile della città era giù basso nella regione di S. Gilla. Ivi era la chiesa collegiale di S. Maria de Cluso, il palazzo dei giudici e probabilmente anche l'antico duomo che, Cagliari — Torre di S. Pancrazio (prima dei restauri).secondo una tradizione antichissima, era dedicato a Santa Cecilia. Questo, che risulta incontestabilmente dai documenti medioevali, non esclude che la rocciosa collina di Cagliari non fosse abitata, benché la lettera di Benedetta abbia indotto gli storici a ritenere il contrario. Altrimenti non si spiegherebbe che nello stesso anno Ubaldo Visconti a nome del Comune Pisano affittava ad un privato una casa comunale in Castel Nuovo di Sardegna con atto di concessione che porta la data del 11 ottobre 12173.
Cagliari — Torre di S. Pancrazio (dopo i restauri).
Nella Cattedrale di Cagliari alcuni frammenti ornamentali, che si rinvennero demolendo la settecentesca facciata, inostrano particolarità stilistiche, indubbiamente anteriori al XIII secolo.
Forse sulla vetta del colle petroso andò a stabilirsi la ricca e numerosa colonia pisana, composta per lo più di mercanti, la quale poscia, quando l'elemento indigeno fu eliminato — se non totalmente certo in buona parte — volle premunire le persone ed i propri averi da eventuali assalti sia dai genovesi che dalle soldatesche dei giudici, costruendo opere fortificatorie nel monte, che antichi documenti menzionano col nome di Castro. Da qui il colpo di mano di cui si lagnò Benedetta nella sua lettera al pontefice Onorio. Queste prime fortificazioni dovettero aver un carattere provvisorio; esse dovettero soddisfare alle condizioni d'urgenza che erano imposte dal trovarsi in territorio usurpato e dal sapere che si sarebbero mosse avanti forti influenze per impedire i nuovi baluardi, i quali avrebbero consacrata e resa definitiva la spogliazione per opera dei mercanti pisani.
E che ciò fosse è convalidato anche dal fatto che le più antiche fortificazioni, tutt'ora conservantisi, risalgono agli ultimi del XIII secolo.
Il castello di Cagliari venne ultimato e reso inespugnabile colle tre grandi torri dette di S. Pancrazio, dell' Elefante e dei Leoni.
Quale fosse l'andamento di questi formidabili bastioni, che cingevano il colle calcareo sovrastante l'antica Karalis, ci è dato determinare con una certa esattezza, giovandoci degli avanzi tutt'ora rimasti e delle antiche memorie.
Del baluardo, eretto dai Pisani, pervennero a noi le due belle torri dell'Elefante e di S. Pancrazio, la porta detta dei Leoni, il passaggio sotto la terza torre, la torretta di S. Lucia presso la chiesa omonima, il tratto di bastione che ad un'estremità attacca alla Torre di S. Pancrazio, terminando presso la Scuola Normale Femminile, ed infine il tratto che si distacca dal bastione S. Croce e termina presso la torre dell' Elefante.
Le fortificazioni del Castello di Cagliari vennero estese durante le susseguenti dominazioni di Aragona, di Spagna e di Savoia, tanto che la cinta fortificata come presentemente si conserva non rispecchia che in parte le primitive opere fortilizie di Pisa.
Pur tuttavia se noi teniamo per capisaldi gli avanzi dell'antico Castello pisano, che sono facilmente distinguibili per l'accurata lavorazione e per la scelta dei materiali, e questi capisaldi riscontriamo colle antiche piante di Cagliari. una ricostruzione ideale dell'antico Castrum Kallaris si presenta non solo possibile ma sufficiememente facile.
Nell'archivio della Corona d'Aragona in Barcellona si conserva una veduta prospettica della parte del Castello volta a mezzodì. In questo documento interessantissimo, che per la cortesia del Direttore dell'Archivio di Cagliari potei per primo riprodurre in un mio studio su Cagliari Medioevale4, è disegnata anzitutto un'alta torre isolata, circondata da una muraglia esagonale nella quale è aperta una porta. Da questa cinta si Cagliari — Iscrizione della Torre dell'Elefante.dipartono i bastioni merlati che terminano nell'altra torre o porta dei Leoni, detta poscia dell'Aquila, ch'è incorporata nel palazzo Boyl. La veduta suddetta mostra chiaramente che alla torre del Leone era annessa una corte circondata da bastioni, cui susseguivano in basso altre mura, in cui era aperta la porta principale di accesso al Castello. ora detta Porta Castello ed anticamente conosciuta come porta duorum leonum dalle due teste di leoni, scolpite con arte medioevale ed incastrate nelle mura al di sopra dell'arco che poggia su piedritti inclinati.
Porge un valido aiuto alla determinazione della forma del Castello Pisano la veduta di Cagliari a volo d'uccello, inserita nella Cosmographia del Munster, edita a Basilea nel 1553. Questa pianta insieme ad una sommaria relazione sulle condizioni fisiche e sociali della isola è dovuta a Sigismondo Arquer, che fu il primo in Sardegna a scrivere di cose storiche e che con la vita, spenta crudelmente fra le fiamme di un rogo a Toledo, pagò il fio di aver enunziato molte e scottanti verità.
In questa pianta sono anche riprodotte le fortificazioni costrutte posteriormente al Castrum Kallaris, eretto dai Pisani, le quali ancor oggidì rendono interessante e suggestiva la nostra città.
Questi elementi ei mettono in grado di determinare l'estensione e la forma dell'antico Castello nonchè l'andamento della sua cinta.
Stabilendo per punto di partenza la torre di S. Pancrazio, i bastioni svolgevansi e svolgonsi tuttora lungo la testata di Buon Cammino e la rampa di Via Genovesi, questo tratto, ad un vertice della cinta, abbiamo una torre circolare ed altra più piccola era fra questa e la la torre di S. Pancrazio. Presso la Scuola Normale Femminile ha principio la cinta aragonese, per cui le mura pisane, che restavano interne, vennero demolite per quell'ampliamento del Castello che s'era reso necessario ai primi del XVI secolo. Pur tuttavia, tenendo conto che la Chiesa di S. Croce fu sempre anche quando era adibita a sinagoga dagli ebrei dentro le mura, e che l'architetto Gaetano Cima nella costruzione della casa Pintor rinvenne le fondazioni di una torretta circolare, si può ritenere che i bastioni pisani si svolgessero per Via Genovesi, toccando la Chiesa del Monte ed estendendosi poscia da Nord a Sud lungo le case, che presentemente prospettano al Bastione di S. Croce fino a raggiungere il tratto antico che anche ora sussiste intatto presso la Torre dell'Elefante.
Fra questa e la Torre di S. Pancrazio erano quattro o cinque torrette, in parte rettangolari ed in parte circolari, oggidì non più esistenti ad eccezione delle due attigue al baluardo di S. Pancrazio.
Dalla Torre dell'Elefante a quella eretta a difesa della porta dei Leoni le mura svolgevansi lungo il corpo dei fabbricati, posti per la Via Università e per il Vicolo S. Giuseppe.
Il muro perimetrale del Tribunale venne eretto sull'antica cinta, come può desumersi dallo spessore del muro e da alcuni avanzi del paramento. In questo tratto, che il disegno dell'Archivio di Barcellona riproduce così chiaramente ed esattamente, erano tre torrette circolari.
Cagliari — Torre dell'Elefante (planimetria).
Infine dalla Torre del Leone si dipartiva un altro tratto della cinta, che andava a terminare ad un vertice della rocca, in cui venne cretta una torretta circolare. Da qui la cinta si svolgeva lungo il ciglio dell'alta parete rocciosa di levante, prospiciente alla Passeggiata del Terrapieno, per rincongiungersi poscia alle pertinenze, fortificatorie della Porta di S. Pancrazio.
Di quest'ultimo tratto non rimane che la torre di S. Lucia. Le altre torrette e le mura doveano avere limitata importanza, giacchè la più valida difesa era costituita dall'alta parete verticale, con cui era tagliata la roccia del colle verso levante. Anzi in alcuni tratti dovea mancare ogni fortificazione: la cattedrale e l'antico episcopio, quest'ultimo ora occupato dal Palazzo della Provincia, giungevano fino al ciglio del burrone.
Cagliari — Torre dell'Elefante vista da Buon Cammino.
La cinta, di cui abbiamo determinato lo svolgimento, racchiudeva una zona abbastanza limitata del colle calcareo. Malgrado ciò, la vita quivi palpitava attiva ed intensa, mentre decadeva in quella parte della antica città, che avea costituito il centro della potenza del giudicato cagliaritano ed in cui era stata la reggia dei giudici e la collegiata di S. Maria de Cluso.
Cagliari — Torre dell'Elefante (durante le demolizioni).Nel Castello prese rapido aumento il nucleo di popolazione schiettamente pisana: quivi mercanti e banchieri aveano aperto banche commerciali, impiegando i loro capitali nelle industrie locali; i marinai ed i mercanti eransi ridotti sotto le ali sicure del forte5.
Sull'altipiano del colle era una piazza che fimo dal 1217 si trova menzionata col nome di platea communis. In questa piazza pulsava intimamente e con febbrile attività la vita della colonia pisana anche prima che il console ottenesse da Benedetta di fortificare il colle dominante l'antica città dei giudici. Infatti, poichè dalla lettera di questa giudicessa si deduce che la cessione del superbo colle venne strappata dai mercanti pisani verso il 1217, non è concepibile che in meno di un anno si potesse erigere non solo quel formidabile baluardo, di cui i grandiosi avanzi ci danno un criterio per giudicar della sua imponenza, ma anche buona parte dei fabbricati privati e pubblici del Castello. Intorno alla platea communis, di cui si ha memoria sicura in un documento del 1217, era la casa del Comune, che radicalmente trasformata pervenne sino a noi colla stessa destinazione, la Cattedrale di Cagliari e le case di S. Maria di Pisa, in cui era l'amministrazione delle ricche proprietà che l'Opera avea in Sardegna.
«La piazza era traversata. scrive il Solmi in Cagliari Pisana. dalle vie che segnavano la lunghezza del Castello. e principalmente da quelle che dai nomi delle diverse professioni, dominanti nella vita urbana di Cagliari e distribuite secondo l'uso medioevale per distinte strade da esse denominate, prendevano nome di ruga mercatorum, ruga marinariorum, ruga fabrorum, e non sarebbe difficile trovare per esse la corrispondenza con le attuali Vie La Marmora, Canelles e Martini. Ad un lato di queste vie principali erano la raga elefantis, e la ruga communalis, forse in corrispondenza colle attuali vie di S. Giuseppe se Genovesi. E queste strade, sul principio del secolo XIV erano organizzate in società armate per la difesa del Castello, sicchè un documento anch'esso inedito del 1307 ci presenta gli anziani di Cagliari con sette capitanei societatum rugarum, corrispondenti all'ordinamento armato delle contrade negli altri comuni italiani.
Quelle lunghe strade erano poi incrociate da una serie di vici, che prendevano nome di traverse. La traversa per cui dalla piazza si discende alla via pubblica prendeva nome di classum communale e a le altre prendevano nome dalle ricche famiglie mercantili, che vi avevano in angolo le loro dimore. I testi ricordano le due traverse dei Buonconti e dei Gambacorta, due grosse società mercantili che avevano case a Pisa, a Tunisi e in Siria e che tenevano una ricca sede in Cagliari. I documenti dicono che quelle case erano disposte a più piani, con corridoi esporgenti a mensole solariate et ballatoriate, secondo il sistema pisano ed avevano al pianterreno vastissime apothece. che servivano di magazzino per le merci e di riunione fra i soci.
Fra le due traverse dei Buonconti e dei Gambacorta sulla principale ruga mercatorum era la loggia dei mercanti dove si discutevano gli alti interessi del traffico dove si tenevano le armi6 ».
Sono indubbiamente pisane le tre porte turrite nelle quali si con servano ritmiche iscrizioni e stemmi di antiche famiglie pisane. Cagliari — Torre dell'Elefante.
Ritenevasi fino a pochi anni or sono che le tre torri fossero dedicate ai tre forti campioni della fauna: il leone, l'elefante, e l'aquila. Ed infatti nella porta di S. Pancrazio sopra le armille dell'arcata, in un concio rettangolare di marmo ch'è murato di traverso, è scolpito a bassorilievo una zampa leonina: nella torre dell'Elefante, sostenuto da una mensola, è un piccolo elefante di marmo ed infine era accreditata opinione che nella torre, che chiameremo Boyl dal palazzo in cui è incorporata, fosse scolpita un'aquila, Cagliari — Torre dell'Elefante (porta con saracinesca).e che da questa le fosse derivato il nome di Torre dell' Aquila, con cui veniva chiamata nel XVIII secolo fino a che non venne ridotta ad abitazione.
Alcune divergenze e contradizioni fra le memorie, rievocate per queste denominazioni, diede origine ad una polemica, per cui un gruppo di studiosi riteneva doversi chiamare del Leone la torre conosciuta col nome di S. Pancrazio e dell'Aquila la torre Boyl, mentre altri, basandosi su antichi documenti, opinavano che le denominazioni doveano essere invertite.
La polemica vivace, se fu senza risultati diretti, giacchè ciascuno resto del suo parere, diede modo a queste egregie persone di presentare e di studiare i più antichi documenti, riguardanti le belle torri di Cagliari, il che fu di grande giovamento alle indagini istituite al riguardo, le quali mi portarono a conclusioni che ritengo le più attendibili.
Incontestabilmente la zampa scolpita in bassorilievo sopra la porta di S. Pancerazio è una zampa di leone e non d'aquila, come si volle sostenere per metter d'accordo questo simbolo con antichi documenti.
Questi risalgono ai primi del XIV secolo: nell'archivio di Stato di Cagliari conservasi una carta reale del 6 Gennaio 1331 con cui s'ordina all'Amministrazione Generale di non permettere il transito dei carri nella porta di S. Pancrazio"7.
Con altra carta reale del 5 maggio 1441 il Governo Aragonese ordina al Procuratore Reale di riparare immediatamente le principali torri della città, denominate del Leone. di S. Pancrazio e dell'Orifani8.
Caglairi — Torre dell'Elefante (particolari delle mensole e sottomensole delle traveture.Molti altri documenti attestano egualmente che la torre Boyl era chiamata del Leone e ciò fino al XVIII secolo, da cui incomincia la serie degli scrittori che la indicarono come Torre dell' Aquila, il qual nome perdurò fino alla metà dello scorso secolo.
Per spiegarci queste con tradizioni è d'uopo premettere che il leone venne nel medioevo assunto come simbolo di forza e di potenza, per cui di quest'animale nel medio evo solevasi porre l'effigie nelle porte turrite. Così sopra la porta dell'antica cinta ora chiamata Porta Castello sporgono a guisa di mensole due teste di leoni. L'Aleo ricorda che nella torre Boyl era scolpito un leone e Cagliari Torre dell'Elefante che in essa era incastrato un particolari delle mensole e sottomensole delle travature, marmo con un' iscrizione — ora perduta — in cui ricordavansi l'epoca della sua erezione, i castellani e l'architetto, che forse fu lo stesso Capula che costrusse le altre due torri.
Questo pur tuttavia non deve portare alla conclusione che l'altra di S. Pancrazio abbia avuto per simbolo l'aquila e che perciò sia stata indicata come Torre dell'Aquila.
Essa venne sempre chiamata col nome di S. Pancrazio, che le derivò da una chiesetta che è posta in vicinanza e che è ricordata nella relazione della visita pastorale che l'arcivescovo di Pisa, Federigo Visconti, fece nell'isola quale primate e legato pontificio . . . . et postea ivimus per sanctum Ephiseum, et Sanctam Restitutam et Sanctam Annam. quae erant in supradicta villa de Stampace, quonsque pervenimus ad sanctum Brancasium, ubi requievimus . . . . . 9.
Questa chiesetta, che nella pianta inserita nella Cosmographia di Munster è indicata col nome di S. Brancatius, sussiste tuttora modificata nella struttura e nel nome, essendo stata riconsacrata e messa sotto l'invocazione di S. Lorenzo.
In prossimità a questa, anche prima dell'erezione della Torre di S. Pancrazio, dovea esser una delle principali porte del Castello di Cagliari, se Federigo Visconti, dopo essersi riposato in detta chiesetta. rientro senz'altro dentro cinta. Questa porta venne nel 1305 fortificata formidabilmente coll'erezione della torre, che nell' iscrizione metrica incisa nel paramento calcareo è chiamata PORTA BEATI SanCtI PANCRATII.
E questo nome conservò in tutti i documenti anche i più recenti, nè oggi la si chiama altrimenti. Vi apposero i costruttori la zampa leonina, che sembra un frammento di più grandioso bassorilievo, ma con ciò non intesero denominarla da questo forte campione della fauna. Nè ciò è fuori delle consuetudini; anzi ordinariamente le porte colle sovrastanti torri prendevano il nome dalla chiesa più vicina, mentre sopra la porta si usava scolpire la testa oppure l'intero corpo del leone.
Un'eccezione si ha per la torre dell'Elefante, che con tal nome, conservato a tutt'oggi, è indicata nell'iscrizione. Essa venne eretta nel 1 306, ma indubbiamente vi preesisteva altra porta, che avea lo stesso nome e che forse era adornata dell'elegante marmo, effigiante l'elefante che è simbolo di forza e di tenacia. Infatti una ruga leofantis è attestata da un documento del 30 Luglio 1229, cioè quando si diede principio alle fortificazioni del colle10.
È anche presumibile che nelle vicinanze fosse la contrada, cui era preposta la Società dell'Elefante, e che siasi voluto estendere questo nome alla vicina porta, adornandola dello strano simbolo.
Concludendo, ritengo che si debba scartare la denominazione della Aquila, sia che venga attribuita alla Porta di S. Pancrazio, sia che con essa si voglia designare la torre incorporata nel Palazzo Boyl, e che le due maggiori torri vennero sin dalla loro costruzione indicate coi nomi di S. Pancrazio e dell'Elefante, mentre l'altra non ebbe dai costruttori un nome speciale e prese il nome dalla sottostante porta del Castello indicata come Porta duorum leorum.
Come e quando si cresse la formidabile torre di S. Pancrazio risulta da un'iscrizione che leggesi tutt'ora in una lastra di marmo, murata nel paramento calcareo a fianco dell'arcata interna del sottopassaggio:
- ✠ SUB AnNIS MillenO NostRI REDEnPTOrIS
- QVINTO TRECENTENO BINE INDicionis
- DEI DeORum
- DumiNORum TemPoRe BECTI ALLEATA
- RAYNErII De BALNEO TurRIS HEC FVnDATA
- CASTELLANORum
- CVIus OPerARIVS FVIT COnSTITVTVS
- BECTVS CALZOLARIVS ProVIDVS ASTVTVS
- VBIQVE LOCORum
- ATQVE SCRIBA PVBLICVS SIBI ASSIGNATVS
- ELDISVS NOTARIVS QVI SIT DEO GRATVS
- CELI CELORum
- CEFAS HVIVS FABRICE OPERA SEDVLA
- ARCITECTOR OPTIMVS IOAnNES CAPVLA
- MVRARIORum.
- ✠ POrTA BEATI SanCtI PANCRATII.
Capula fu anche il costruttore della Torre dell'Elefante, e ch'egli fosse arcitector optimus murariorum dimostrano le due opere fortilizie che destarono sempre ammirazione per l'imponenza delle moli e per la accuratezza della costruzione.
Che fosse di Pisa nimo sino ad ora dubitò. ma effettivamente in questa città non solo non si conosce opera alcuna di quest'architetto, ma non si conservano documenti che attestino di questo valente costruttore.
Per queste considerazioni io propendo a ritenerlo originario della nostra isola, considerato anche che il nome suona sardo.
Di più, nell'atto solenne di pace tra il re Don Giovanni d'Aragona e la Giudicessa egregie domine Flienoris de Arborea, stipulato nel 24 Cagliari Torre dell'Elefante (particolari).Gennaio 138811, fra i rappresentanti delle città delle ville e dei comuni dipendenti da quest'ultima e dai sardi, di lei fautori ed aderenti, è menzionato un Elia Sanna habitator laci de Capula ed un Barroche de Serra officiali loci de Capula.
Non è improbabile che qualche ascendente dell'architetto delle due belle torri di Cagliari abbia avuto i natali a Capula, villa ora distrutta del Logudoro presso Ardara, e che, portatosi in altre contrade, sia stato chiamato col nome del paese d'origine, e che questo per forza di consuetudine sia stato trasmesso ai discendenti.
Ad ogni modo, sia questa od altra considerazione, non havvi ragione alcuna di ritenere pisano quest'artefice, che molte circostanze, fra le quali il posto dove svolse la sua attività ed il nome, inducono a ritenerlo per sardo.
Nel XVI secolo la torre, avente una specula pro navigis appellentibus era circondata da tre ordini di bastioni con tre porte « tres murarum ordines cum tribus portis12.
Pur tuttavia la forma primitiva del baluardo di S. Pancrazio, quale lo innalzarono i Pisani, non risulta nè dai pochi cenni del Fara che trascrivemmo più sù, nè dallo schizzo dell'Arquer, essendosi questi due scrittori riferiti alla struttura delle fortificazioni, quali essi la conobbero, senza scindere le mura pisane da quelle che vennero aggiunte dagli aragonesi.
Posteriormente nuove costruzioni s'aggiunsero alle prime e l'antico baluardo si trasformò in un ammasso di caseggiati, dai quali s'ergeva la bella torre, chiusa da un muro informe e suddivisa in cameroni carcerari da massicci muri e da pesanti volte.
Incaricato anni or sono del progetto e della direzione dei lavori di sistemazione nei locali di S. Pancrazio del Museo Archeologico, ritenni che a questo dovesse derivare una speciale attrattiva dall'isolamento e dal ripristino della torre.
Feci abbattere le casupole addossate alla torre e demolire le suddivisioni interne, procedendo poscia al ripristino degli antichi impalcati, il che mi fn possibile, essendosi rinvenuti fra le murature rimosse gli elementi per stabilire con esattezza matematica tutte le particolarità dello antico organismo. Questo venne ripristinato rigorosamente in modo che ciascuna parte ha il suo riscontro nei frammenti e nelle traccie rinvenute durante le demolizioni.
La bella torre, eseguita con grossi macigni calcarei della collina di Cagliari, s'erge poderosa, abbellita di stemmi che gli artefici medioevali scolpirono a perenne memoria della potestà di Pisa. Superiormente essa ha un coronamento di mensole, formate da pezzi monolitici in calcare forte, l'uno sovrapposto all'altro, e decrescenti dall'alto in basso per aver la sagoma razionale di trave incastrata ad una sola estremità.
L'esistenza di queste mensole induce senz'altro a ritenere che la torre era originariamente munita di piombatoi, per cui dall'alto i combattenti poteano offendere con efficace risultato le soldatesche nemiche.
Le mensole non potevano aver altro uso, e sopra questi piombatoi a sbalzo gravitava il parapetto merlato della forma quale noi riscontriamo in tutte le cittadelle della Toscana e quale può rilevarsi dalla pianta dell'Arquer.
Non ritenni opportuno ripristinare questo coronamento, giacchè, pur essendo sicuro che esso sussisteva colle forme suddette, non si ebbe e non si ha modo di determinare le particolarità costruttive necessarie per riprodurlo esattamente.
La torre internamente ha quattro impalcati, sostenuti da un'armatura di travi, incastrati per un'estremità al muro frontale e per l'altra poggianti su una travata maestra.
Cagliari — Castello di S. Michele.
Questa travata è costituita da tre travi di legno rovere, le quali non sono di un sol pezzo ma sono unite nel mezzo, dove poggiano per ciascun impalcato sopra un montante verticale con base e capitello rozzamente lavorati.
Le teste delle travi secondarie sono elegantemente sagomate, mentre all'estremità d'incastro ciascuna ha una mensola di legno e una sottomensola in calcare. Sotto le parti estreme dei travi maestri erano mensole in legno con sobria decorazione con sottomensole in pietra da taglio.
Tutte queste particolarità costruttive colla loro forma e colle loro dimensioni risultarono dalle demolizioni: si rinvennero non solo tutte le buche d'incastro delle travi secondarie e le mensole di calcare — ottenendo in tal modo di conoscere esattamente il numero delle travi, la distanza fra l'una e l'altra ed i livelli degli impalcati — ma l'intere travi maestre colle mensole in legno e colle sottomensole in calcare. Vennero allo scoperto anche i montanti verticali degl'impalcati, tanto che nel primo piano mi riuscì a lasciar sul posto la colonna e la travata maestra a testimonianza dell'esattezza del restauro, rinversando l'immane peso sovraincombente, che non avrebbe potuto più sopportare le vecchie travi deteriorate, su un'ossatura di travi di ferro poggianti sopra una colonnina Cagliari — Castello di S. Michele.di ghisa, collocata in modo da non alterare l'originario aspetto del monumento.
In ogni piano sono dei grandi vani arcuati terminanti in feritoie all'esterno. Nel sottopassaggio sono diverse arcate munite in antico di porte e di saracinesche. Queste ultime scorrevano in scanalature, che sono tuttora visibili, e venivano sollevate dall'interno con funi, attraversanti una feritoia che rimisi in luce, rimovendo le murature che la chiudevano.
Da due lati della torre si diparte una prima cinta, la quale contorna un vasto piazzale, da cui per la porta sottostante alla torre si accedeva all'interno del Castello.
Questa cinta, mentre da un lato prospetta alla piazzetta, ora detta dell'Arsenale, per il rimanente limita al ciglio del burrone del Terrapieno e dell'antico fossato, ora chiamato s'Avanzada, che fu indubbiamente cavato dal vivo sasso.
Nella muraglia di tramontana era aperta una porta, che originariamente comunicava col ponte levatoio, che ad una certa altezza attraversava il fossato. Questa porta era sormontata da una torretta che le demolizioni rimisero a luce nelle primitive sue forme.
Il ponte levatoio all'altro estremo poggiava sopra un'altra cinta poderosa, rinchiudente ampi magazzeni e costituente la prima difesa della porta di S. Pancrazio. Nel muro prospiciente al Distretto si conserva tutt'ora, benchè murata, la caratteristica porticina di questo baluardo sormontata Siliqua — Castello dell'Acqua Fredda.da una cornice sagomata ed ornata di stemini; essa dava alla campagna rilevandosi tutt'ora alcuni gradini scavati sulla viva roccia.
La torre dell'Elefante è il più bel monumento di Cagliari, che a ragione n'è fiera ed orgogliosa.
E veramente per l'accurata costruzione per il collocamento dei massi calcarei che il sole abbelli di una patina dorata, per la grandiosità ed imponenza delle masse murarie, ingentilite da stemmi finamente scolpiti, quest'alta e poderosa torre è opera sorprendente e spiega l'ammirazione e la meraviglia, ch'essa sempre destò.
Essa venne eretta nel 1307 dall'architetto Giovanni Capula, il costruttore dell'altra torre di S. Pancrazio, essendo castellani di Castello di Cagliari Giovanni Cinquina e Giovanni De Vecchis.
Queste notizie ci vengono fornite dalla metrica iscrizione, dovuta al bizzarro ingegno del Notaio Oddo di Ubaldo e scolpita con belle lettere in una lastra di marmo infissa ad altezza d'uomo nel muro d'avancorpo della torre, a sinistra di chi entra dalla Via Università all'interno del Castello.
- ✠ PISANO COmunI OmuIA CVm HONOrE
- COnCEDEnTE DomiNO CEDAnT eT VIGOrE
- ET Hoc OPus MAXimE TurRIs ELEF(antis)
- FVD(atu)m IN NOmI(ne su)MMI TRIVNPHAnTIS
- SVB ANnis CVRrEnTIBus DomiNI MILLEnIs
- QuaRTE INDICIOnIS SEPTEM TRECENTENIS
- DomiNIs PRVDEnTIBus IOHannE CInQuiNA
- IOAannE DE VECCHIIS GRATIA DIVINA
- CASTELLI ExistENTIBus CASTri CASTELLANIs
- ATQue FIDELISSIMIS CIVIBVS PISANIS
- CVIus FVIT ELECTus SAGAX OPerARIus
- PROVIDus eT SAPIENS MARCVS CALDOLARIVS
- ATQue Sibi DEDITus FVIT ODO NOTariuS
- HVBALDY COMPOSITOR HORum RITIMARIVS
- ET CAPVLA IOHannES FVIT CAPut MAGIsteR.
- NUNQVAM SVIs OPerIBus INVENTVS SINIXTER
Fino dai tempi della dominazione d'Aragona anche questa bella ed alta torre venne adattata per prigione e tale uso si mantenne sino a pochi anni or sono. Si addossarono, all'ingiro delle ciclopiche mura, costruzioni su costruzioni in modo che il monumento si elevava maestoso e severo da un mucchio di catapecchie, stridente contrasto tra la grandiosità e nobiltà di concepimento d'altri tempi e d'altri uomini ed il sentire piuttosto gretto e meschino dei governi che a Pisa susseguironsi nell'isola.
Una merlatura in tufo presentemente circonda nella parte superiore la bella torre, dandole un coronamento, che non riscontriamo in alcun'altra torre dell'isola e della Toscana.
Infatti questa merlatura risale alla prima metà dello scorso secolo e devesi alla fervida fantasia del Conte Boyl. La presunzione che questo originale distruttore delle antiche memorie abbia voluto rifare con nuovi materiali la originaria e cadente merlatura in modo che la nuova non fosse che una copia dell'antica, è anche da scartare, perchè coll'attuale coronamento le mensole non avrebbero alcuna funzione.
Del resto il Boyl non poteva aver presente i merli originari, perchè un'incisione inserita nell'Itinerario del La Marmora, anteriore ai lavori e riproducente le corse di S. Michele collo sfondo della cittadella, ci dà modo d'appurare con certezza che il coronamento della Torre dell'Elefante era ai primi dello scorso secolo eguale a quello della Torre di S. Pancrazio, ossia senza merli e con un parapetto alto circa un metro dal piano delle mensole.
Per la torre dell'Elefante, improntata allo stesso tipo architettonico, che abbiamo rilevato nella torre di S. Pancrazio e di poco differente anche nelle dimensioni, valgano le considerazioni già esposte circa la forma originaria di questa. E che esse sieno conformi alle forme primitive oltre gli elementi stilistici e costruttivi, i quali possiamo facilmente riscontrare con quei che ci offrono le fortificazioni di Pisa, di Lucca, e di S. Gemignano, ce ne persuadono i pochi elementi grafici che tutt'ora si conservano, e fra questi in modo decisivo il disegno delle fortificazioni il quale, come si disse, si conserva nell'Archivio della Corona a Barcellona.
Da questo schizzo, tracciato con sicurezza da persona che dovette ben conoscere il Castello di Cagliari, si rileva che la torre dell'Elefante — lo orifay — aveva il coronamento a piombatoi con parapetto merlato munito di feritoie. La torre apparisce isolata e contornata da una cinta, in cui è aperta un'altra porta.
Questa bella torre è oggi oggetto di speciali cure per parte dello Stato ed io ho la fortuna di dirigerne i lavori di ripristinamento e di isolamento. Nella demolizione dei muri, delle volte e delle scale, che ne aveano alterato il primitivo aspetto, rinvenni sicure traccie di quattro impalcati. Sopra il porticato o sottopassaggio era un vano, per cui era possibile il sollevamento ed abbassamento delle saracinesche mediante funi attraversanti una feritoia e scorrenti su un rullo di ferro, murato con grappe di ferro.
Le saracinesche e le porte ferrate coi loro congegni si conservano tutt'ora in buone condizioni e costituiscono un insieme interessantissimo di chiudende, forse il più completo ed il più ben conservato che si abbia in Italia.
Il primo impalcato era sostenuto da sei grosse travi di rovere di 0.28 X 0.25, incastrate nel muro di fronte e poggianti colle opposte estremità ad una travata maestra Questa è alleggerita nella parte centrale da un montante, ancor esso di legno rovere, di sezione rettangolare di metri 0.45 X 0.45, con capitello sagomato, largo m. 0.94, in modo da permettere l'appoggio delle tre travi longitudinali costituenti la travata maestra.
Il numero delle travi trasversali risultò dai fori rettangolari e dalle sottostanti mensole che vennero rimesse a luce. In questi fori e nel Iglesias — Avanzi della cinta medioevale.Iglesias Avanzi della cinta medioevale. muro di chiusura del grande vano si rinvennero molte teste di travi ed intere le travi longitudinali, per cui mi fu possibile determinarne esattamente le dimensioni. Internati in questo muro di chiusura si rinvennero anche i montanti verticali, giacchè, quando si volle chiudere la torre anche dal lato prospiciente al castello, si elevò il muro di chiusura senza rimovere le travate maestre, le colonne verticali, le mensole in legno, e le sotto mensole in calcare.
Le travi trasversali vennero tagliate per dar luogo alle pesanti volte di suddivisione, lasciando pur tuttavia le teste sagomate nel muro di chiusura e le teste dell'altra estremità nei fori d'incastro.
Gli stessi frammenti costruttivi si rinvennero negli impalcati superiori; solo negli ultimi due si aveano sette travi trasversali invece di sei.
In base a questi elementi l'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti della Sardegna ha disposto per il ripristino degli impalcati, che corrisponderanno esattamente agli antichi.
Il legno usato dal Capula nella costruzione degli impalcati fu la quercia; ciò desumesi dall'aspetto fisico delle travi rinvenute, ma per sincerarmene mi rivolsi alla nota competenza del Prof. Gibelli, insegnante di botanica dell'Università di Cagliari e scienziato valente quanto cortese, che espresse, dopo accurate ricerche, i risultati ottenuti in una dotta relazione, di cui stralcio il seguente brano: « Dall'esame stesso macro e microscopico risulta indubbiamente che detto legno appartenne ad un albero della specie Quercus robur (Famiglia delle Cupulifere). La struttura del parenchima; i raggi midollari grandi e piccoli, le trachee punteggiate e le fibre sottili non lasciano alcun dubbio a questo riguardo. Il trave a giudicare dal diametro suo e dalla pronunciatissima sclorosi dei suoi elementi deve essere stato fornito da un albero di 150 0 200 anni d'età.
Com'è noto, il Quercus robur cresce anche in Sardegna, onde nasce dubbio che i travi possono esser stati forniti dalle foreste che popolavano altre volte, meglio d'oggidì l'isola.
Noto ancora che su di un lato del campione confidatomi esisteva «una patina di resina, la quale deve esser stata, a disegno, applicata esternamente per la conservazione delle testate nel muro sotto forma di bitume e d'altro indumento. Con tutta probabilità è successo che coll'andare del tempo si è conservata la parte cellulodica del bitume stesso, ed è rimasta sala la parte resinosa ».
Il chiarissimo Prof. Gibelli esprime la possibilità che le travi della torre dell' Elefante sieno state tagliate dalle foreste esistenti in Sardegna. Dissento in ciò dall'egregio insegnante che fondo il suo parere sulla credenza, formatasi non si sa come, che nella nostra isola fossero foreste di ginepro e di quercie capaci di fornire grosse e lunghe travi.
Nell'isola furono, è vera, fino a non molto estesissime foreste di quercia ma la maggior parte di quercus ilex e raramente di quercus robur o di ginepro. Queste varietà per la natura del terreno, per i forti venti e per la mancanza di coltivazione, si presentano per lo più contorte e poco alte, per cui, se da esse è possibile ricavare travi di usuale grandezza per caseggiati di poca importanza, non è e non era possibile trarne travi di eccezionali dimensioni come quelle rinvenute nella torre dell'Elefante.
Queste considerazioni sono suffragate per il legname occorso nelle fortificazioni di Cagliari da documenti storici.
Infatti emerge dagli studi eseguiti sulla Casa Pisana del Prof. Clemente Lupi, accurato indagatore delle vicende e delle costumanze pisane nel medioevo, che molti carichi di legname vennero agli ultimi del XIII ed al principio del XIV secolo spediti da Pisa a Castrum Kallaris.
Iglesias — Avanzi della cinta medioevale.
La menzione di queste partite di legname, destinate per Castello di Cagliari, c'induce a ritenere che anche le travi delle due torri dell'Elefante e di S. Pancrazio sieno provenute da Pisa, giacchè in questi due baluardi usaronsi travi di dimensioni tali da riuscire impossibile più che difficile il taglio dalle foreste di Sardegna.
L'altezza della torre, dalla terrazza alla roccia nel punto in cui questa è più bassa, è di m. 40.00 circa, ma bisogna aggiungere l'altezza del coronamento, che non ci è dato conoscere per mancanza di traccie che portino qualche luce sulle sue dimensioni.
Nello schizzo del Castro di Cagliari dell'Archivio di Barcellona la torre dell'Elelante apparisce isolata e contornata da una cinta poligonale. Sembrava che ciò non corrispondesse al vero, giacchè la cortina poderosa, che si stacca dal bastione di S. Croce, pareva attaccarsi direttamente alla torre.
Durante l'esecuzione dei lavori procedetti a numerosi assaggi con risultati, che attestano dell'esattezza del detto disegno. La cortina pisana invero non attacca direttamente alla torre, ma termina con una testata in pietra concia a metri undici dal suo spigolo. Fra questa testata, avente nel paramento due scanalature triangolari, e la torre dovea essere un passaggio roccioso, protetto dal bastione e dal torrione. Posteriormente questo passaggio venne coperto con terre di gettito, per sostenere le quali in epoca relativamente recente si costruì un informe muro, in cui la deficienza di tecnica e di materiali fa spiccare maggiormente la bellezza e l'imponenza del bastione pisano.
A giorni si procederà alla demolizione di questo muro di sostegno e di conseguenza al ripristino parziale se non totale del passaggio roccioso.
Coi lavori in corso si procede di un buon passo all'isolamento ed al ripristino della torre.
Speriamo che Cagliari, che di questa torre ebbe sempre giusto orgoglio, continuerà l'opera iniziata acquistando e demolendo le catapecchie, addossate dal lato del mezzogiorno al monumento, le quali sacre al culto di Venere Pandemia, nascondono il bel panorama del piano di Cagliari.
Demolendole, se ne avvantaggerebbe, e non di poco, l'estetica della zona risultante, e riuscirebbe non priva di suggestivi fascini per la medioevale torre, che spiccherebbe in tutta l'armonia delle sue primitive linee, simbolo di un passato a cui molto spesso si ritorna colla mente e col cuore.
II Castello di Cagliari, come tutte le città fortificate del medioevo, era contornato da diverse cerchia di mura merlate con porte e torri. Nella cerchia che fu eretta a difesa della zona circostante la torre del Leone, ora incorporata nel Palazzo Boyl, era ed è tutt'ora aperta la porta principale d'accesso al Castello, detta Porta Castello ed antica mente conosciuta come porta duorum leonum.
Connessi alla difesa del Castro di Cagliari erano i bastioni che con torri e baluardi, come si vede nella pianta dell'Arquer, svolgevansi in Stampace e probabilmente anche negli altri rioni. Della cinta di Stampace, demolita per far posto a moderne costruzioni, non ci rimane che la porta adiacente alla Chiesa di S. Michele, costrutta nel 1293 come risulta dalla seguente iscrizione: ✠ IN NOmInE DomiNI | AMEN HOC | OPUS FUIT PERFECTUM | TEMPORE | CAPITaneatus DomiNI | GRatiE ALBERTI (stemma gentilizio) CAPITanei COM | VNIS ET PO | PVLI CASTELLi CASTRI CUREN | TIBus ANNIs MCC | LXXXXIII DE | MenSE MARTII |.
Quest'iscrizione, incisa in una lastra di marmo rotta sull'orlo sinistro per il collocamento di una persiana, ci fa conoscere che Cagliari, pur essendo in dipendenza della città di Pisa, era come questa retta a comune sotto un capitano che nel 1293, all'epoca dell'erezione della torre, era un gentiluomo della nobile famiglia degli Alberti ch'ebbero nel medioevo grande potenza nelle vicende di Toscana e di Pisa in special modo.
Essa si collega con altra d'ignota provenienza che ora si conserva nel Museo Archeologico: TempORe DomiNORum IOHannIS CARFA GnINI RECTORIS eT NICOLAT | IVDICIS CAPITanei | COMunIS | eT PoPuLI CASTELLL CASTrI CVRrrentibus | AnNIS DomiNI -M.°CC.°XC.°VI.
Due stemmi gentilizi, uno a quattro bande verticali e l'altro a sega dentata trasversale sormontano quest'epigrafe, che ritengo proveniente da qualche altra torretta o porta dell'antico castro.
Il significato di queste iscrizioni, attestanti un reggimento comunale in Cagliari, quando ritenevasi più ferma e più stabile la Signoria di Pisa in Castello di Cagliari, e oltremodo interessante per la storia della nostra città.
Il Solmi, che delle vicende storiche di questo periodo fu lo scrittore più diligente, ritiene che i pisani per evitare la consegna del Castello di Cagliari ai genovesi, compresa fra i patti della pace stipulata nel 1288, figurarono che Cagliari, scacciati i castellani, si reggesse a forma indipendente. Perciò il governo è tenuto da un capitano, apparentemente in nome del comune e del popolo di Cagliari, in effetti in rappresentanza del Comune Pisano, volendosi cosi dimostrare che non era in potere di Pisa di cedere il forte castello13. E che quella di Cagliari fosse una larvata indipendenza mostrano i nomi di reggitori del Comune Cagliaritano, un Alberti nel 1292, un Garfagnino nel 1296, ambedue appartenenti ad influenti famiglie di Pisa.
Non appena la fortuna pisana ebbe di nuovo a risplendere, ecco nelle carte diplomatiche e nelle epigrafi dedicatorie a commemorative riapparire i castellani in nome di Pisa.
Alle potenti fortificazioni del Castrum Kallaris vennero annesse altre opere fortilizie di minore importanza conie la torre di S. Elia ed il Castello di S. Michele.
Della prima non rimase forse che il basamento, essendo stata ridotta a nuove forme nel secolo XVI dal governo di Spagna e profondamente alterata dal nostro per impiantarvi il semaforo di S. Elia.
Della sua origine pisana attesta la seguente iscrizione, ora perduta, ma che venne trascritta dall'Aleo quand'era ancora in sito, e riprodotta poscia dal Piazza e dal Baille: HOC OPVS FACTVm FVIT TEM | PORE DomiNORum COLITRAPANIS eT | BONDI CAMVLITANI CASTELLA | NORum CASTELLI CASTRI EXISTENTE | OPerARIO IPsIVS OPerIS BARTOLOME | O ProVINCIALIS CURRENTIBVS AN | NIS DoniNI MILLESINO. M. CC.LXX | XII. INDICTIONE DECIMA.
Gli ampliamenti portati dal governo di Spagna sono ricordati in una magniloquente iscrizione, incisa in un marmo che tutt'ora si conserva nella torre. Questa, eretta sopra un promontorio di vivo sasso, a picco sul mare, dovea costituire una delle vedette fortificate dell'antica città.
Nulla di positivo si sa circa l'origine del Castello di S. Michele, che la tradizione, benchè senza alcun fondamento storico, vuole che sia stato cretto presso un oratorio, dedicato all'arcangelo ed annesso ad un monastero di certosini.
Lo stemma pisano sull'ingresso principale c'indica ch'esso venne costrutto quando Cagliari era soggetta alla dominazione della fiorente republica, probabilmente nel XIII secolo.
Le varie vicende subite sino dalla sua fondazione, il cambiato livello all'interno causa gli sterri e le demolizioni, gli usi diversi ai quali venne adibito, lasciarono sul vecchio maniero le loro tracce, alterando l'antica struttura che si estrinsecava corretta e maestosa, ma in pari tempo ingentilita da vaghe finestrine, ornate d'eleganti trafori, dei quali alcuni frammenti si rinvennero nei lavori di consolidamento eseguiti nel 1896.
La sua massa si stacca severa sul culmine della collina di S. Michele e le torri con le mura determinano sull'orizzonte una linea imponente e nello stesso tempo simpatica.
Il castello ha forma quadrata con tre torri su tre vertici: due di esse, quelle che hanno minore altezza, sono coeve all'erezione della rocca, mentre la terza, per la struttura dei muri e per la sua Sardara — Castello di Monreale.forma, devesi ritenere eretta dagli aragonesi, che nel 1324 succedettero ai pisani nel dominio e nel possesso del forte.
Malgrado la semplicità della sua struttura, questa rocca, per la sua antichità, per la posizione dominante, e per le vicende storiche alle quali esso fu intimamente collegato, desto sempre l'interesse degli studiosi e degli artisti, i quali ultimi ne apprezzarono la posizione pittoresca, degna cornice colle colline di Cagliari e di S. Elia agli ubertosi vigneti del Campidano.
Circondavano il Castrum Kallaris molti altri castelli, i quali, costrutti in cime dominanti i passaggi ed i valichi, costituivano le punte avanzate di un complesso di opere fortificatorie, tendenti a difendere la capitale del giudicato di Cagliari.
Di molti di questi castelli si conservano avanzi di mura e di torri, e di molti altri, che l'incuria degli uomini distrusse completamente, rimangono sicure memorie nei nostri archivi e nei nomi della località in cui sorgevano.
Si chiamano castelli, ma la parola non è adatta, giacchè queste presuppongono abitazioni per famiglie, dimore di signori nelle quali le cinte, i torrioni, ed i ponti levatoi non impedivano eleganza e comodità all'interno; invece gli avanzi dei nostri castelli, fatte poche eccezioni, ci attestano che altro scopo non aveano se non di guardare e di difendere una certa zona di territorio. Più che castelli quindi furono rocche o fortilizi.
Molti di questi erano in vicinanza a Cagliari: oltre il Castello di S. Michele, le carte del XIV secolo ricordano le fortificazioni elevate dagli aragonesi nel colle di Bonaria, quando posero l'assedio al Castello di Cagliari, dove era rinchiuso l'ultimo nucleo dei difensori della potenza e dell'idea pisana. Oggi di esse non si ha avanzo alcuno, non potendosi accettare per buona l'opinione dello Spano, seguita senza discussione dagli scrittori che gli susseguirono, che il campanile della Chiesa di Bonaria non sia che un mozzicone di torre delle antiche fortificazioni del borgo che gli Aragonesi, a ricordo della gloriosa città di Catalogna, chiamarono Barcellonetta. In questa costruzione invece sono frammenti decorativi, ad esempio una finestrina circolare elegantemente sagomata, che sarebbero un non senso in opere militari, e che ci attestano che anche originariamente essa era adibita per campanile della chiesa gotica, cretta ai primi del XIV secolo.
Erano nel giudicato di Cagliari il castello di Pula, posto in una collina presso l'abitato omonimo, di S. Igia, di Villamassargia o Gioiosa Guardia, di Baratuli e di Acquafredda.
Quest'ultimo dista una mezzora da Siliqua e venne costrutto sulla cima di un colle che s'erge isolato dal piano, in cui scorre il Cixerro.
La sua pittoresca posizione ed i ricordi storici, che a questa rocca si collegano ne fanno uno dei più suggestivi avanzi del medioevo.
Non si può salire gli erti dirupi del monte senza che l'immaginazione non si porti alla fosca tragedia che insanguinò le rughe di Pisa e le valli dell'Iglesiense. Il Castrum Acquae-Frigidae apparteneva infatti alla famiglia Donoratico e fu l'ultimo rifugio dei figli superstiti del Conte Ugolino e delle poche soldatesche che si mantennero fedeli. Narra il Roncioni che ai piedi del monte il Conte Guelfo della Gherardesca fece perire fra i tormenti il complice dell'arcivescovo Ruggeri, Vanni Gubetta.
Di questo nido d'aquila oggi non rimangono che alcuni avanzi delle mura che si svolgevano nelle falde, ed una porta del castello propriamente detto.
I castelli di Acqua Fredda, di Gioiosa Guardia e di Baratuli costituivano una formidabile linea strategica, che metteva capo alla città di Villa di Chiesa, ora Iglesias.
Ricordiamo: Assediato da Guglielmo d'Arborea il Castello di Cagliari, ch'era tenuto dalle soldatesche di Genova, una parte degli abitanti di S. Igia si rifugiò a Villa di Chiesa. Questa città fu espugnata dal Conte Ugolino della Gherardesca che insieme a Gugliemo di Capraia, al giudice di Gallura e ad altri gentiluomini di Pisa, partecipò alla conquista del giudicato di Cagliari.
Caduto il Castello di Cagliari, il giudicato venne diviso fra queste tre potenti famiglie, essendosi riservato il Comune di Pisa la sola città di Cagliari col formidabile colle. Ai fratelli della Gherardesca, Ugolino e Gerardo, fu assegnato un terzo del giudicato, per cui a ciascuno dei due ne toccò un sesto. Questo spiega le iscrizioni murate nella Cattedrale d'Iglesias, in cui il primo dei due fratelli è chiamato domino conte Ugolino de Doneratico segnore de la sexta parte de lo regno di Kallari.
Nell'antica città di Villa di Chiesa ebbe inizio il dramma di Guelfo e di Lotto, ribelli alla potestà di Pisa e terribili vindici della morte del padre e dei fratelli, dramma, tutt'ora avvolto nel mistero, sul quale nè le storie del Roncioni, nè quelle di altri scrittori italiani e del nostro Fara poterono far completa luce.
Certo è che nelle ricche vallate di Iglesias e del Cixerro si ebbe l'epilogo tragico delle lotte terribili svoltesi nelle rive dell'Arno. Nella collina sovrastante la turrita città era il torrione costrutto dai pisani e da questi chiamato Castello di Salvaterra; Castrum Salvaterrae alias S. Guantini appellatum, et in colliculo optima structura satis munitum, reddit tutam civitatem14.
Nell'architrave della porta di questo Castello era incisa la seguente iscrizione: IN NOMINE DomiNI IESV CHRISTI AMEN ANNO INCARNATIONIS EIUSDEM MCCCXXV INDCTIone VII. KALendis MARTII INCEPTUM EST CASTELLUM CASTRI REGALIS VILLE ECCLESIE REGNANTE IN SARDINIA FELICISSIMO PRINCIPE DomiNO IACOBO DEI GRatiA ARAGONUM REGE EXISTENTE CUM GRAnDIBUS PROSTrATORE SERENISSIMO DoniNO INFANTE ALFONSO IPSIUS PRIMOGENITO GUBERNATORE EXTSTENTE IN SARDINIA NOBILI VIRO BERINGARO CARROZ EXISTENTE COMVNITATIS CAPINEO . . . . . . . . .
Ricordando che ai primi del 1324 la città, già soggetta a Pisa, era caduta in mano dell'infante Don Alfonso, la costruzione nel 1325 del Castello di Monreale sulle rovine di quello Salvaterra, indica che gli aragonesi rinforzarono con nuove mura e con nuovi baluardi l'industre città.
Dell'antico castello, che continuò malgrado l'imposizione di un nuovo nome per parte degli aragonesi ad esser chiamato di Salva terra non rimangono che poche tracce affogate nelle informi costruzioni, elevate con pretese stilistiche medioevali a scopo industriale. Parte della Oristano — Torre di S. Cristoforo o Porta Manna.cinta con diverse torrette si conservano tutt'ora. Questi avanzi ci attestano una costruzione piuttosto deficiente, che non ha certo riscontro culla bellezza ed imponenza della cinta del Castello di Cagliari. Queste costruzioni a murature informi c'inducono a ritenere ch'esse sieno dovute agli aragonesi, essendosi sempre gli artefici pisani distinti per la accuratezza nel rivestire i muri di pietra concia.
Altre opere accessorie erano annesse alle fortificazioni della città, e cioè forti e porte turrite. Queste erano in numero di quattro: Porta Maestra. Porta Nuova, Porta San t'Antonio, e Porta di Castello: ora più non esistono, essendo state demolite per lasciar sfogo allo sviluppo dei fabbricati. Le fonti si conservano tuttora ed in alcune di esse sono scolpite le armi di Aragona.
Erano nel giudicato di Cagliari il Castello di Sassai o Castrum Orgogliosi, il Castrum Agugliastri, il Castrum Chirrae, che nel 1297 venne in possesso del Giudice Nino di Gallura, il Castrum Palmae presso l'abitato di Palmas Suergiu, ed infine il Castrum Sulcitani a difesa del ponte che unisce l'isola di S. Antioco alla madre isola. Il La Marmora ritiene che quest'ultimo castello sia stato cretto dai Saraceni, che aveano invaso l'isola di S. Antioco, per difendersi da soldatesche provenienti Oristano — Torre medioevale di S. Cristoforo o Porta Manna dall'isola madre. Non ritengo attendibile quest'assegnazione, giacchè nessun documento ci attesta di una lunga permanenza di saraceni nei lidi e nelle città sarde; anzi tutto c'induce a ritenere il contrario, come si può desumere da diversi passi della storiografia mussulmana.
Quando lo studiò il La Marmora, questo castello, benchè in rovina, non presentava aggiunte e sovracostruzioni che ne alteravano il primitivo e pittoresco aspetto. Oggi si costrusse sopra le vecchie mura, Oristano — Avanzi dell'antica cinta medioevale.rivestite di grossi macigni trachitici tolti da edifici dell'antica Sulcis, e l'antica fortificazione ha perduto non poco del suo fascino. Malgrado queste alterazioni, appare indubbia la diversità fra questo castello e gli altri eretti al tempo dei giudici che gover narono dopo il mille. Per la sua disposizione planimetrica, per la struttura che ricorda le più antiche costruzioni dell'isola, ritengo che la sua origine sia bizantina, benchè i pochi elementi costruttivi rimastici non siano tali da permetterci esatti riscontri colle opere fortilizie, che gli imperatori d'Oriente cressero in Italia e nelle coste africane.
Eretto nel confine fra il giudicato d'Arborea e di Cagliari, il Castello di Sanluri fu il teatro di quelle sanguinose lotte fra gli ultimi giudici nazionali ed il governo aragonese, nelle quali un piccolo giudicato, sostenuto dalla tenacia di un valoroso popolo e dalla virtù di principi, tenne per secoli fronte ad uno dei più potenti reami d'Europa che coll'occupazione degli altri giudicati l'attorniava da ogni parte.
Esso sorge ad un'estremità dell'abitato di Sanluri ed è costituito da un corpo di fabbricato rettangolare con cortile centrale. Agli angoli erano quattro torrette, di cui tre si conservano tutt'ora e sono riunite da una terrazza di ronda. Questo di Sanluri è uno dei pochi castelli che meriti tal nome, giacchè indubbiamente dovette servire anche d'abitazione e d'alloggio ai signori del luogo.
Le mura di forte spessore non sono rivestite in pietra concia, se pur il paramento non sia stato rimosso per usar dei cantoni in pietra da taglio. Quest'ipotesi anzi si presenta attendibile se si considera che in alcuni tratti e nelle torrette si riscontra il rivestimento in pietra concia. L'interno venne modificato ed ora lo si adibisce ad appartamenti d'affitto ed a magazzeni. Rimane inalterato un grande camerone con un camino monumentale.
Oltre che da questo castello, l'abitato di Sanluri era difeso da una cinta, di cui rimangono alcuni avanzi ed una delle antiche porte, posta in prossimità al castello.
Nel giudicato d'Arborea era il Castello di Laconi, le cui pittoresche rovine danno una nota suggestiva ad un naturale parco, folto di quercie ed attraversato da un ruscello. 11 La Marmora trascrisse nel suo Itinerario un'inscrizione, ch'era incisa sopra una porta del Castello: HEC PORTA DomiNi FACTAM | ETRE ET NOVA PORTAS APerTA | Anno MLIII. INdicione SEPtimA XIII KaLendas IVLII | P. P.
Aggiunge il benemerito illustratore della Sardegna che gli archi anteriori e certe ornamentazioni delle finestre sembrano rimontare al VIII e IX secolo.
A me non fi dato rinvenire la suddetta iscrizione. Sfuggi essa alle mie ricerche od andò perduta? Non vorrei quindi su di essa pronunciarmi in modo definitivo, ma dal fac-simile riportato nell' Itinerario e dalle sue indicazioni ebbi l'impressione che i caratteri d'antichità nelle lettere siano d'attribuirsi alle esitazioni di un mal destro scalpellino del XV secolo più che all'esser stata incisa nel XI secolo. Non è quindi improbabile che il La Marmora abbia letto erroneamente la data, che, se fosse esatta, farebbe dell'iscrizione il più antico monumento epigrafico latino del medioevo e porterebbe l'origine del castello ad epoca antichissima, certo anteriore al mille.
D'altra parte le particolarità decorative, che il La Marmora assegnava al VIII o IX secolo, sono indubbiamente dovute ad artefici aragonesi.
Certe finestrine, che nelle forme gotiche ricordano le linee eleganti delle costruzioni moresche di Granata, di Toledo, di Cordova, e d'altre cità di Spagna, si possono osservare in molti edifici aragonesi dell'isola ed in special modo nella cosidetta Torre di Ghilarza, che è un avanzo di casa patrizia.
Domina il piano ubertoso che da Uras si distende a S. Gavino il castello di Monreale, Castrum Montis Regalis, eretto nella cima di un colle, posto in vicinanza all'abitato di Sardara. Non si sa quando e da chi fu eretto, ed il primo documento, in cui esso è menzionato, è del 1324.
Bosa — Torre del Castello di Malaspina o di Serravalle.Erano nel vasto giudicato d'Arborea i Castelli d'Arculentu, di Cabras, d'Cras, di Senis, di Barumeli, di Lasplassas, di Fordongianus, di Oladdu, di Macomer e di Medusa, tutti ruinanti e senz'accenni a forme decorative che li facciano ritenere usati per altri scopi se non per quelli puramente strategici.
Sede dei giudici d'Arborea era Oristano o Aristanis come si legge nei più antichi documenti.
Di essa scrive il Fara: Urbs Oristani, vel ut habent vetusta monumenta, Aristanis juxta flumen Thyrsi in solo campestri posita IV. M. P. a mari X. M. a capite S. Marci, et cincta moenibus et turribus a Mariano Iudice Arborensi, duas dumtaxat habet portas, unam Pontis dictam, quae ad Circumpersus anno 1291, ab ipso Mariano fuit condita; alteram, quae Portamaris nuncupatur, contra meridiem, et S. Justam, anno 1293, fuit ab eodem, ut ex illorum inscriptionibus constat, fabricata15.
Le origini della città di Oristano sono avvolte nel buio più intenso; il Fara scrisse che, abbandonata Tarros il giudice Orzocco de Zori nel 1070 trasportò la sede del giudicato e gli uffici pubblici nella città di Oristano.
Tralascio d'accennare alle opinioni del La Marmora, dello Spano e di altri, per cui la città venne fondata da una principessa di nome Aristana, giacchè esse si basano unicamente sulle pergamene d'Arborea. Indubbiamente sino del XII Secolo la città venne difesa da fortificazioni e da muraglie, ma le due torri, che fino a non molto imprimevano un aspetto caratteristico alla città, vennero elevate posteriormente, agli ultimi del XIII secolo.
Di queste due torri una si conserva ancora in buon stato, malgrado Castello di Sassari (demolito).le aggiunte, fattevi in tempi recenti, che, se alterarono le originarie forme, non sona pur tali da impedire colla loro demolizione un ripristino secondo le antiche linee.
Essa si eleva nella piazza Roma, isolata per tre parti; i suoi muri sono rivestiti con cantoni di grès quaternario, provenienti dalle cave di Sinis. L'arcata esterna, eseguita con bugne rustiche, è circolare a tutto sesto, mentre l'interna è a sesto acuto. Il bugnato rustico si eleva nelle pareti fino all'estradosso dell'arcata esterna. Dalla parte volta verso la città la torre era originariamente aperta, mentre ora fra le due testate venne elevato un turo informe di chiusura, Una merlatura corona la sommità della torre, sormontata da altra torretta, nel vano della quale è appesa una antica e grande campana, fusa nel 1430.
All'interno sono visibili traccie degli antichi impalcati in legno, ai quali si accedeva per mezzo di scale in legno.
Questa porta, detta Porta Manna e negli antichi documenti indicata col nome di S. Cristoforo, ha la seguente iscrizione: (i)N NOmInE DomiNI NostRI IHESu CHIRistI AMen. HOC OPVS TURRIS HuIus ET MVRVm ET.......... CIVITatis ARESTANI FECit FIERI DomiNVS Marianus VICECOMES De BASSO IVDEX ARBORee Qui FELIX DIV (vi)VAT ET Post OBITVm In CHRistO QuIESCAT ANNO MCCXC INDicione III. REGni EIus ANnO Currente.
Da questa si deduce che la torre colla cinta contigua venne elevata nel 1290 da Mariano, visconte di Basso e giudice d'Arborea.
Dell'altra torre, chiamata Porta a mari, non rimangono che l'arcata inferiore ed alcuni muri crollanti. Essa faceva parte delle fortificazioni costruite dallo stesso giudice Mariano che elevò l'altra torre. Ciò consta dal seguente marmo, che era murato sopra l'arcata e che ora si conserva nel museo di Cagliari: ✠ IN NOmInE DomiNI NostRI IHesV CHRistI AMen HOC | OPus HVIus TURRIS POST COnFECTIOnEM POrTE | PUBLICE HVIns MVRi FACTUm FUIT HANC TURREm | ET FABRICAM MVRI FECit FIERI DomiNus MARIAnus VICecomes | DE BASSO IVDEX ARBORee QVI FELIX DIV VIV | AT ET POST eius oBITUM IN CHIRistO QVIESGAT | PRO CVIus ANIMA QVICUMQUE HAS LITERAS LEG | ERIT INTERCEDAT AD DomiNuM. MCCXCIII. IoDiCione VI | ANNO REGnI EIus XXVIII.
Oltre queste due torri pervennero a noi molti avanzi di mura ed una torre circolare, che dovea costituire un vertice della cinta medioevale che racchiudeva la città dei giudici d'Arborea.
Una rete formidabile di rocche e di castelli, veri nidi d'acquila posti sulle cime più alte e più difficili delle montagne del Logudoro, dell'Anglona e della Planargia, proteggeva il giudicato di Torres.
Alcuni di questi castelli hanno origine antichissima; la reggia o castello di Ardara venne elevato da quella Giorgia, sorella di Comita, che costrusse la Chiesa di S. Maria del Regno di Ardara. Molte altre sono d'origine più recente, essendo state elevate dalla potente famiglia dei Doria che sul finire del XIII secolo avea estesa la sua influenza per tutto il giudicato. Devonsi all'ardita azione di questa nobile famiglia Castello Doria, Castel Genovese e le rocche di Chiaramonti, di Bonvechi, di Monteleone e di Giave.
Per opera dei Malaspina sorse il pittoresco Castello di Serravalle sulla cima di una collina dominante la città di Bosa. Le origini di questo castello, che fu splendida dimora dei Marchesi Malaspina, è riferita dal Fara: Veteri hac destructa urbe fuit a Marchionibus Malaspinae Burgos — Castello del Goceano.anno circiter 1121, nova constructa Bosa, mari vicinior, ad fluvii dexteram oram, et montis radicem, qua meridiem spectat, moenisque cincta, Serravallis arce in vertice ipsius montis turris et duplici murorum corona munita, in qua duae sunt portae...
Dell'antica dimora dei Mala- spina non rimangono che la cinta e le belle torri, delle quali una, altissima e coi muri rivestiti di cantoni trachitici, ha affinità di forme e di struttura colle torri del Castello di Cagliari. Come queste la torre Malaspina aveva i piombatoi, dei quali si mantennero i merli in trachite rossa: era aperta verso l'interno del castello ed avea gl'impalcati in legno sostenuti da travi incastrate nei muri. Altre torrette quadrate ed una pentagona rompono pittorescamente la bella cinta che contorna l'altipiano, in cui erano gli appartamenti dei castellani, e dei famigliari, nonchè la cappella che, alterata da informi costruzioni, si conserva tuttora.
Trattando delle fortificazioni del Logudoro si dovrebbe estesamente trattare delle opere fortificatorie di Sassari e d'Alghero ch'erano imponentissime.
Delle prime non rimangono che alcune muraglie rivestite di cantoni calcarei ed alcune torrette. Era principale ornamento del Castrum Sassari un poderoso castello che avea forma trapezia, con quattro torri quadrate agli angoli ed una nel centro dell'edificio sopra la grande porta. Esso venne costrutto, forse nell'area di altro castello, dal primo Governatore Generale del Logudoro, Raimondo di Monpavone. Infatti a lato dello stemma d'Aragona era uno scudo raffigurante un pavone, stemma parlante della famiglia di Monpavone o di Monte Pavone.
Questo castello, a cui si collegano le vicende storiche non solo di Sassari ma dell'intero giudicato del Logudoro, architettonicamente ricorda Burgos — Castello del Goceano (torre).le poderose strutture dei forti castelli, eretti per le balze montuose dei nostri monti, se non che rendevano movimentate queste nude muraglie le torri angolari e fra le disadorne pareti, sopra la porta saracinesca sorridevano di grazia italiana alcune finestrine gotiche, squisitamente scolpite.
Ora il castello non è che una memoria, conservataci solo dai documenti d'archivio e da un'antica fotografia che mi piace riprodurre. Come a Cagliari per S. Francesco ch'era la più bella chiesa gotica dell'isola, un'empia mania edilizia, tendente alle linee dritte ed ai grandi caseggiati dai candidi intonaci e dalle cornici di stucco, rase al suolo il suggestivo castello per sostituirvi una brutta caserma.
Sorgevano nel giudicato di Torres, con questi che abbiamo esaminati, i castelli della Crucca, di Essole di Monte Ferro, di Giave, di Monte Santo, d'Osilo, Pisano, di Sorra, di Bulzi, di Monte Acuto e del Goceano.
Quest'ultimo è uno dei più interessanti e dei più pittoreschi: costrutto sulla cima di un monte accessibile solo dalla parte dov'era il borgo — ora eretto a comune col nome di Burgos — domina la bella ed ampia vallata del Tirso, prima che questo fiume si stenda nel vasto e fertile piano dov'era l'antica città di Ottana.
Quante e suggestive memorie non richiamano le tetre mura rivestite di granito e di trachite che videro svolgersi i drammi che agitarono le ultime famiglie dei giudici del Logudoro, ed ordire tutta una sottile trama di cupidigie e d'ambizioni intorno all'ultima giudicessa, Adelasia di Torres, che ragioni politiche e non d'affetto unirono ad Enzo, il biondo e gentil poeta morto nella muda di Bologna!
In Gallura i castelli sono pochi e non suscitano per le loro vicende e per la loro costruzione l'impressione che destano gli altri manieri disseminati nelle più alte e difficili vette dei nostri monti.
Il più insigne è indubbiamente il Castello di Posada o Castrum Fabae, eretto sopra un colle isolato, di faccia al Tirreno presso l'abitato di Posada.
I castelli Pedresu, di Longone Sardo, di Galtelli, di Orosei e di Monte Cucu (Castrum Curati), compaiono nelle lotte combattutesi fra i diversi giudicati. Distrutti da secoli, la loro memoria a noi pervenne per la storia di queste vicende e per le pittoresche ruine che danno una nota suggestiva e romantica al rude e severo paesaggio.
- ↑ Tola, Cod. Dipt. Sardinive, Sec. XIII, pag. 310.
- ↑ Claudianus. De bello Gildonico, 510.
- ↑ Solmi, Cagliari Pisana, pag. 18.
- ↑ Dionigi Scano. Cagliari Medioevale, pag. 27, Tip. Valdès 1902.
- ↑ Solmi. Cagliari Pisana, pag. 20.
- ↑ A. Solmi, Cagliari Pisana, pag. 23-24.
- ↑ M. Pinna, Indice dei documenti Cagliaritani del R. Archivio di Stato, Cagliari Tip. Commerciale 1903, pag. 16.
- ↑ M. Pinna, Indice dei documenti Cagliaritani del R. Archivio di Stato, Cagliari Tip. Commerciale 1903. pag. 54.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sard., Secolo XIII.
- ↑ Solmi, Cagliari Pisana, pag. 23.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sard., Secolo XIV.
- ↑ Fara, De Corographia Sardiniae, pag. 100.
- ↑ Solmi, Cagliari Pisana, pag. 30.
- ↑ Fara, De Chorographia Sardiniae, pag. 105.
- ↑ Fara, De Chorographia Sardiniae, pag. 92.