Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo V.

CAPITOLO V.

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CAPITOLO IV. CAPITOILO VI.
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CAPITOLO V.

ARCHITETTURA ROMANICA TOSCANA E SUA INFLUENZA IN SARDEGNA. CARATTERI GENERALI DELL'ARTE MEDIOEVALE IN SARDEGNA. FORME BASILICALI — ORIENTAMENTO — COPERTURE. GRUPPI ARCHITETTONICI PORTE E FINESTRE — MATERIALI DA COSTRUZIONE. INFLUENZE NON TOSCANE.


A Buschetto si attribuisce comunemente il merito d'aver condotta l'architettura toscana a quell'eleganza gaia e squisita sintetizzata dal Taine con tratti efficaci: Une renaissance avant la renaissance, une seconde pousse presque antique de la civilisation antique, un précoce et complet sentiment de la beauté saine et heureuse, une primevère après une neige de six siècles, voila les idées et les paroles qui se pressent dans l'esprit. Tout est marbre et marbre blanc, dont la blancheur immaculée luit dans l'azur. Partout de grandes formes solides, la coupole, le mur plein, les etages equilibrès, la ferme assiette du massif rond on carré; mais pardessus ces formes renouvelées de l'antique, comme une feuillage délicat sur un vieiux tronc qui recerdit, il étendent leur invetion propre, un revêtement de colonnettes [p. 70 modifica]surmontées d'arcades, et l'originalitè, la grâce de cette architesture ainsi renevoulée ne peuvent s'exprimer1.

Buschetto, fu il primo architetto del Duomo di Pisa, emerge per uno strano miscuglio di gloria e di mistero.

Si vuole che, quando rialzò a Roma l'obelisco di Nerone, i poeti cantassero le sue lodi a voce spiegata: dieci giovanetti, disse uni di costoro, poterono, grazie al genio di Buschetto, sollevare colle loro mani un peso, che mille paia di buoi avrebbero a mala pena potuto scuotere.

Ch’egli abbia dato i primi piani del meraviglioso tempio risulta da una nota iscrizione, ma che le forme architettoniche, quali sono presentemente, sieno quelle disegnate da Buschetto, è forse lungi dal vero. In confronto alle precedenti il Duomo è tale opera ardita e nuova da non poter essere concepita d'un tratto senza che essa di riconguiunga alle costruzioni non solo dei suoi antecessori ma anche dei suoi contemporanei. Michelangelo stesso, osserva il Cavalcaselle, per quanto sieno sublimi le sue opere non spiega se non dolo il Ghirlandaio ed il Donatello, così come il Perugino e la scuola toscana a Roma ci spiegano Raffaello nelle diverse maniere. L'arte non va a salti ma è stata e sarà sempre evolutiva.

Gli edifici toscani, quando Buschetto iniziò i lavori, ancora non erano [p. 71 modifica]inghirlandati di quelle logge a colonnine isolate che riscontriamo nella Primaziale, in S. Paolo in Ripa d'Arno presso Pisa. in S. Martino, in S. Michele, in S. Pietro Somaldi in Lucca. Questo smagliante motivo decorativo è accennato vagamente nelle chiese di S. Pierino e di S. Frediano in Pisa e di S. Giusto in Lucca, costrutte nel XII secolo. Negli edifici, inalzati anteriormente gli accenni sono ancora meno delineati ed il motivo predominante è quello semplicissimo della Chiesetta di S. Sisto in Pisa, in cui l'ornamentazione principale è costituita dagli archetti pensili, che, poggiati in parte su lesene ed in parte su mensoline, si svolgono nella facciata secondo le pendenze della copertura.

Se si esaminano e si studiano i monumenti Pisani non in base alle sole notizie epigrafiche e storiche ma tenendo anche conto degli elementi stilistici e tecnici, si riconoscerà che dell'opera ideata da Buschetto poco venne attuato e poco ci rimane. Non v'è chiesa del resto in Toscana, in cui non sieno traccie di diversi organismi costruttivi, indicanti epoche ed artetici diversi. La parte superiore della Chiesa di S. Pietro Somaldi in Lucca è posteriore ai fianchi ed al primo ordine della facciata.

Nella facciata della Chiesa di Paolo in Ripa d'Arno, che si vuole anteriore alla Cattedrale, si manifesta netto e chiaro il distacco dei due periodi: inferiormente, fino al livello degli architravi delle porte minori abbiamo le parti originarie distinguentisi per il paramento in pietra verlucana. Dello stesso materiale sono il muro laterale a destra e le membrature architettoniche originarie della chiesa. Posteriormente, forse verso il XIII secolo, ampliatosi il vano della chiesa, s'inghirlando di diversi ordini di loggie la facciata, rivestendola di fini marmi.

Il tipo architettonico del Duomo di Pisa non inizia ma finisce il periodo artistico pisano ed a questa, ch'è la manifestazione più ricca, [p. 72 modifica]più smagliante e diciamo anche più raffinata si venne non nel XI secolo ma molto più tardi dopo un'evoluzione di forme che va dalla semplicità di S. Sisto, attraverso i tentativi di S. Pierino, di S. Paolo, di S. Andrea, di S. Frediano fino alle chiese di S. Pietro Somalli e di S. Giusto in Lucca, dove le loggette si moltiplicano e s'abbelliscono di ricche ed eleganti colonnine, preludiando a quell'organismo architettonico di cui i migliori e più ricchi esempi sono in Pisa il Duomo e S. Paolo in Ripa d'Arno ed in Lucca la Cattedrale e la Chiesa di S. Michele.

In Sardegna abbiamo un riflesso di questi periodi artistici ed i nostri monumenti medioevali possono suddividersi in gruppi, in ciascuno dei quali sono compresi quegli edifici, che pur differendo nei particolari. hanno fra loro profonde analogie decorative e costruttive.

Allo sviluppo di ciascun periodo artistico sardo contribuirono indubbiamente e non in piccola misura gli architetti toscani. Furono pisani i costruttori della più ampia fra le più antiche chiese romaniche dell'isola, S. Gavino di Torres, e da Pisa Costantino di Torres e sua moglie Marcusa chiamarono i maestri dalla pietra per inalzare la Chiesa della SS. Trinità di Saccargia, adorna di logge e di colonnine, che presenta analogie spiccatissime con le chiese pisane del secondo periodo.

Palesa origine pisana il nome di un artista che lavorò nella Chiesa Parrocchiale di Tratalias, magistrum Guantinum Cavallinum, ed alcune Chiese dell'antica Villa di Chiesa, ora Iglesias, vennero costrutte da artefici inviati dal magnifico domino Conte Ugolino di Donoratico. Ma dell'influenza artistica di Pisa più che questa menzione d'artefici persuadono i caratteri stilistici e costruttivi delle tante chiese medioevali sparse nell'isola.

Nè mancano altre manifestazioni artistiche; la facciata di S. Pietro in quel di Bosa e l'altra sotto la stessa invocazione nell'abitato di Zuri non possono considerarsi come monumenti della scuola pisana; l'influenza [p. 73 modifica]dell'arte romanica svoltasi nel mezzodì della Francia ed in Catalogna si rivela nella Chiesa di S. Maria in Tiesi, che ha pochi confronti per la purezza e semplicità dello stile, nel portale di S. Gavino di Torres ed in quelle chiese, che susseguirono il brillante e meraviglioso svolgimento dell'architettura toscana.

Le chiese medioevali della Sardegna, benchè assurgano per nobiltà di linee e per eleganza di forme a vere opere d'arte, sono modestissime.

Le condizioni economiche dell'isola non permisero l'erezione di basiliche a cinque navate, come sono frequenti in Toscana. Le cupole, che gli artefici romanici elevavano agl'incrocicchi delle navate longitudinali con quelle trasversali, non si riscontrano in alcuna chiesa romanica dell'isola.

Mancano inoltre le costruzioni rotonde e poligonali, per lo più battisteri, che son così frequenti nell'architettura romanica presso basiliche a prospettiva longitudinale. La rotonda di Mesu Mundu presso Siligo non deve considerarsi come un organismo medioevale, giacchè i fedeli non fecero che usufruire una sala di terme romane, adottandovi alcune piccole absidi.

Le variazioni al tipo originale basilicale sono molteplici anche nei nostri monumenti e taluna degna di considerazione. La forma iconografica a tre navate con due absidi terminali che deriva dalla tradizione artistica carolingia si riscontra nella Chiesa di S. Gavino di Torres.

La pianta a croce latina non è frequente, nè di essa giovaronsi le chiese più ricche, e più pregevoli.

Invece nelle chicse di maggior rilievo come in S. Pietro di Sorres, in S. Maria di Tratalias, in S. Pantaleo di Dolia. in S. Antioco di Bisancio, in S. Maria del Regno d'Ardara, in S. Maria d'Uta domina la forma basilicale, inspirata alle forme palco-cristiane. colla sala spartita [p. 74 modifica]in tre navate da due file di colonne o di pilastri, terminate dalla facciata a ponente e dall'abside ad oriente.

Quest'orientamento, per cui il sacerdote officiante e i fedeli avevano il viso verso l'oriente, simbolo del paradiso terrestre, è rispettato in tutte le chiese medioevali della Sardegna fino al XIV secolo, nè ancora mi avvenne di trovare un'eccezione.

Nelle piccole chiese di campagna la sala non è divisa, ma riducesi ad una sola navata terminata dall'abside, per lo più circolare, e qualche volta quadrata o semi esagona come nella Chiesa della Maddalena presso Oristano e nella Chiesa Parrocchiale di Zuri.

Infine ricorderò un'altra particolarità nella forma iconografica basilicale e cioè quella a due navate, derivanti dalla divisione della sala mediante una sola fila di pilastri o di colonne. Esempi di questa disposizione planimetrica si hanno in molte chiese di campagna, come in Santa Maria di Sipiola e in S. Pietro di Villamar.

Questi cenni dimostrano che nelle nostre chiese medioevali si seguirono norme fisse, che l'arte sacra, sussidiata dalla liturgia aveva elaborate e che erano imposte per forza dalla loro rigida persistenza. Pur tuttavia, anche non uscendo da questi capisaldi architettonici, riscontriamo una [p. 75 modifica]molteplice varietà di tipi. quali del resto da per tutto in Italia durante il periodo romanico.

Penetriamo nell'interno di una delle nostre Chiese medioevali, debolmente illuminate dalla luce, che entra attutita dalle finestrine feritoie a sguanci interni ed esterni. Non ravvivano le pareti le ornamentazioni ricche di colori. di musaici delle chiese medioevali dell'altra isola a noi vicina, non marmi preziosi quali si ammirano nelle chiese toscane, alle quali le cave di Carrara, di Siena e di Prato diedero coi tersi paramenti il fascino delle loro tinte, non musaici a fondo d'oro, ma il semplice paramento in pietra da taglio, qualche volta alternato a pitture a bon fresco, imprimente una nota d'austerità alle oscure navate.

Questa semplicità che tanto stranamente contrasta colle ornate pareti esterne rispecchia le condizioni economiche, caratterizzanti il periodo dei giudicati, ch'ebbi cura di rilevare nei brevi cenni storici, premessi a questi studi critici.

Prima che le condizioni sociali della Sardegna si evolvessero a contatto delle fresche energie di Pisa e di Genova i maestri di muro c di pietra crano alla dipendenza diretta del signore o del giudice come servi inerenti alle donnicalie.

Le cave abbondantissime di arenarie, di trachiti, di calcari e di graniti fornivano belle pietre da taglio dalle diverse e vaghe gradazioni di tinte e le foreste fiorenti nelle brulle pendici dei nostri monti la quercia dura e forte per i coperti. Con questi materiali, che i giudici, i signori e le corporazioni monastiche aveano a mano, e con gli artefici, che come servi erano parte dei loro tenimenti e di cui potevano usufruire come [p. 76 modifica]le cave e le foreste, si costruiva quasi senza sborso di moneta. E se qualche volta chiamaronsi maestranze di muratori e di scalpellini da lisa, a questi era sufficiente compenso del loro lavoro i buoni desinari e le comode celle per dormire.

Scarsa essendo nel mercato economico la moneta, evitavansi quant'era possibile le spese vive e perciò quei lavori, come i rivestimenti marmorei ed i musaici, in cui più che l'opera dell'artefice avea valore la preziosità della materia, raramente trovarono applicazioni nelle nostre costruzioni medioevali.

Per lo più il paramento esterno estendevasi anche nell'interno e la tradizionale lavorazione medioevale della pietra da taglio trovava mirabili applicazioni nelle arcate, nei pilastri, nelle cornici, qualche volta nelle transenne e molto spesso negli amboni <! negli altari.

Questi erano semplici ed in pari tempo eleganti: una tavola monolitica in marmo od in altra pietra consistente sopportata da quattro colonnine agli angoli. Ebbimo la ventura di rinvenirne due, che sono ancora in ottimo stato senz'alterazione alcuna, in S. Pietro di Sorres e nel Duomo di Cagliari. [p. 77 modifica]

Le arcate poggiano sui sostegni, colonne o pilastri, direttamente sui capitelli senza trabeazione alcuna all'uso romanico.

Per lo più la navata centrale è senza volta con coperto sostenuto da cavalletti in legname, mentre le due laterali sono scompartite in campate coperte da volte a crociera.

In una sola chiesa abbiamo le volte anche nella navata centrale: nella mirabile basilica di S. Pietro di Sorres, in cui par che si sieno fusi il razionalismo dello scienziato e la poesia dell'artista.

In S. Maria di Tratalias anche le due navate laterali hanno la copertura sostenuta da travi.

La forma dei cavalletti è la primitiva: triangolare con catena e due puntoni: mancano gli arcarecci e perciò il tavolato sostenente il coperto laterizio o plumbeo poggia direttamente sulle incavallature, le quali sono a piccola distanza, da m. 0,80 a m. 1,00 l'una dall'altra. Di conseguenza una folta armatura di travi sovrasta la scura navata e ne termina nobilmente le linee verticali.

Solo più tardi, all'apparire delle prime forme gotiche, prima che s'a dottassero le volte a crociera a costoloni sagomati intersecantisi in gemme anulari, il tipo della capriata s'arricchisce del monaca e delle saette. E così irrobustita l'incavallatura si discosta: si aggiungono gli arcarecci e poichè dalle ampie bifore si distende per la navata la luce smagliante del nostro cielo, l'artefice sente il bisogno di decorar le travi e le tavole con ornamentazioni policrome, come a S. Pietro di Zuri ed alla Chiesa della Maddalena d'Oristano.

L'uso frequente di queste armature di legname ci mostrano, che gli artefici vollero continuare le antiche tradizioni, non scostandosi dalle forme usuali della primitiva basilica cristiana, in cui le navi si coprivano interamente di legname; fors'anche non si peritarono d'accingersi ad opere superiori alle loro cognizioni costruttive e statiche. L'esecuzione delle volte [p. 78 modifica]infatti richiede accuratezza di costruzione, studio c conoscenza delle spinte, in che dimostraronsi più che capaci le maestranze lombarde, che coprirono le navi delle basíliche dapprima con volte a botte rinforzate con anelli in muratura, in appresso con crociere di sesto rialzato dagli spigoli interamente e fortemente accusati oppure munite di costoloni per il triplice scopo di facilitarne la costruzione, di rafforzarle dopo costrutte e di decorarle. Questi elementi costruttivi come gli altri che ne sono una conseguenza diretta e cioè le nervature verticali dei pilastri e la forma più complessa dei piloni, trasformarono le antiche forme, creando un nuovo tipo, la basilica lombarda a volta che, se tanto seguito ebbe nelle chiese romaniche delle altre regioni, non in flui nell'isola se non dopo il XIV secolo.

I costruttori delle nostre chiese medioevali, mentre nei muri laterali e nelle absidi svolsero con un'uniformità, che impressiona, il solito motivo degli archetti pensili più o meno ricchi, più o meno ornati. nelle facciate svilupparono diverse e spiccate forme architettoniche, che non sempre hanno riscontro con i modelli toscani da cui derivarono la loro arte e la loro tecnica.

Così il motivo architettonico della facciata della Chiesa di S. Maria del Regno di Ardara, pur avendo molte analogie nelle linee generali, differenzia dalle facciale di S. Giusta e di S. Semplicio di Terranova che alla loro volta si discostano dall'architettura di S. Maria d'Uta e di S. Maria di Tratalias.

Tuttavia queste chiese, malgrado tali differenze, hanno di comune una forma predominante: il paramento in pietra da taglio senza logge e senza colonnine, nel quale spiccano con diversità di tecnica e d'arte a seconda del monumento i fattori costruttivi più essenziali dell'architettura [p. 79 modifica] romanica e cioè la porta architravata, le finestre bifore o trifore, i rosoni e gli archetti pensili.

Per questo concetto fondamentale comune queste chiese possono rientrare in un primo gruppo, che chiameremo arcaico, giacchè i prototipi, S. Gavino di Portotorres e S. Maria del Regno di Ardara, rimontano indubbiamente al XI secolo e sono i primi edifici religiosi in ordine cronologico, che susseguono le chiese bizantine da noi esaminate.

Un secondo gruppo, comprendente le Chiese di Saccargia, di S. Maria di Tergu, di S. Michele di Plaiano. di S. Pietro di Sorres, di S. Pietro di Bulzi e tante altre di minore importanza, rispecchia le forme decorative che in Pisa preludiarono all'architettura del Duomo di Pisa, di S. Paolo in Ripa d'Arno, e che troviamo svolte in Lucca in San Giusto, in S. Maria del Giudice ed in Pisa in San Frediano ed in S. Pierino.

In queste chiese le facciate sono inghirlandate da false logge con archetti sporgenti dai venti ai trenta centimetri e poggianti su colonnine isolate oppure su pilastrini.

Un terzo gruppo infine raccoglie un tipo architettonico elegantissimo, in cui nella parte inferiore si svolgono le sobrie e corrette linee romaniche, archetti pensili, porte architravate con archi di scarico a tutto sesto, mentre superiormente sono formie spiccatamente gotiche come le finestre bifore ed i fasci sagomati, svolgentisi secondo le pendenze dei frontoni con archetti tribolati.

La divisione delle nostre chiese in tre gruppi, aventi ciascuno analogie stilistiche, benchè a grandi linee, corrisponde a criteri cronologici, poichè, come vedremo, nel primo per lo più debbono comprendersi le chiese del XI secolo e della prima metà del XII secolo, nel secondo quelle costrutte posteriormente fino alla seconda metà del XIII secolo ed infine nel terzo, avente uno spiccato tipo architettonico che differenzia [p. 80 modifica]Portale della Chiesa di S.ta Maria d'Uta. [p. 81 modifica]da tutti gli altri e che non ha il riscontro neanche nella stessa Toscana, le chiese erette quando la potenza di Pisa tramontava e cioè dagli ultimi del XIII alla prima metà del susseguente secolo.

Nelle chiese schiettamente romaniche la porta ha una funzione decorativa prominente: nell'architettura romanica-pisana delle chiese sarde questa preminenza, se ancora sussiste negli edifici del periodo arcaico, svanisce invece quasi del tutto nelle altre chiese.

Il tipo costruttivo è l'architrave a fior di muro poggiante su solidi stipiti, per lo più di un solo pezzo ed alleggerito da un arco di scarico ancor esso a fior di muro e rientrante in questo per lo spessore che ha l'architrave monolitico.

Questo tipo schematico, che riscontriamo integro nelle Chiese di Saccargia e di S. Nicolò di Ottana. è spesso arricchito con cornici, con capitelli e qualche volta con ornamentazioni figurate. Così nella Chiesa di S. Pietro di Sorres i pilastri stipiti sono costituiti da due monoliti e l'arco a fior di muro è contornato dall'arcata centrale dell'intercolonio vagamente ornata a fogliami.

In S. Maria di Tergu gli stipiti hanno capitelli squisitamente ornati e la cornice che limita l'arcata di scarico a cunei alternati di calcare bianco e di trachite scura ha una funzione puramente ornamentale, contornando elegantemente la lunetta della porta.

Lo stesso tipo costruttivo e decorativo riscontriamo in S. Maria d'Uta, un gioiello architettonico, che il tempo ed i moderni costruttori — questi ultimi ben più temibili per l'integrità del nostro patrimonio artistico — risparmiarono, lasciando integre senza sostanziali modifiche le antiche e belle forme; la cornice arcuata, nella quale si svolge un ornato con nastri intrecciati, contorna l'arco di scarico e poggia su due mensoline con figure d'animali; mentre nella lunetta campeggia una rosa di elegante disegno ad intarsi di pietre dure.

In molte porte sono effigiati i due leoni simboli della custodia della Chiesa. Nella Chiesa di S. Giusta le duc fiere sono collocate stranamente colle terga volte all'ingresso del tempio.

Nella porta della Chiesa di S. Pantaleo abbiamo forme in cui la struttura toscana s'accoppia a decorazioni lombarde.

Dal tipo costruttivo sovraindicato s'allontanano le porte di S. Pietro [p. 82 modifica]di Zuri, di S. Maria di Tiesi, elegante concezione di geniale artista e tutte quelle altre che vennero erette sotto l'influenza degli artefici catalani.

Ma salvo queste eccezioni in cui per reversione ricompaiono le antiche e schiette forme romaniche, predominarono le porte del tipo toscano.

La semplicità di queste dal punto di vista ornamentale contrasta vivamente col rimanente della facciata, al contrario di quanto si riscontra nelle chiese dell'alta Italia e del mezzodì della Francia in cui gli architetti memori di quanto scrisse S. Gregorio « le porte debbono porgere l'immagine della grandezza del santuario e della maestà di Dio » dedicarono a queste i motivi più leggiadri e le cure più attente.

Le lunette delle porte delle chiese sarde sono solitamente liscie: in S. Pietro di Sorres ed in Santa Maria d'Ardara lo sfondo cupo della trachite nera è rotta da croci eseguite con cantoni bianchi di calcare: in S. Gavino, in S. Pietro di Bulzi, sono scolpite in piccolo rilievo alcune figure, che eseguite rozzamente paiono concepite da menti puerili. Nelle porte della Cattedrale di Cagliari gli architetti ottennero effetti gradevoli intarsiando le lunette con frammenti d'arte pagana e cristiana.

Nell'architettura romanica le finestre non ebbero l'importanza che poscia diedero loro gli artefici del periodo gotico, che ne adornarono gli stipiti con intagli, suddividendo il campo della luce in numerosi motivi più a meno pittorici: la finestra romanica è costantemente arcuata a tutto sesto senza fioriture; tutt'al più la lunetta contornata dall'arco è divisa da altri due o tre archetti poggianti su colonnine dando origine alle bifore, trifore e polifore in [p. 83 modifica]genere, che poscia il rinascimento fiorentino, riprodurrà vagamente nei suoi splendidi palazzi.

Nelle nostre chiese le finestre sono di nobili proporzioni con una o più colonne quando campeggiano nelle facciate, di cui costituiscono il migliore ornamento, ma riduconsi ad una semplice feritoia, più o meno ornata, nei fianchi e nelle absidi.

Questa semplicità devesi non solo a quel sentimento d'euritmia ch'era innato negli artefici toscani del medio evo, ma come già si disse, a motivi di sicurezza, giacchè, essendo per la poca altezza delle navate laterali queste finestre raggiungibili facilmente dall'esterno, si volle impedire un non difficile accesso limitando la larghezza della luce a non più di quindici centimetri.

Nelle finestre bifore o polifore trionfanti nelle facciate si ha una struttura organica, in cui ogni elemento architettonico adempie ad una funzione statica, al contrario delle finestre gotiche e del rinascimento, in cui colonnine e trafori sono collocati a semplice ornamentazione e possono esser rimossi senz'alterare la compagine dei muri. Non così nelle finestre romaniche, in cui gli archi girano per l'intero spessore dei muri, gravitando sopra le colonnine, sormontate da un pulvino, che nella parte inferiore si raccorda al collarino del fusto, allargandosi nella parte superiore fino a raggiungere lo spessore dei muri.

La policromia vale a dire l'arte di ornare una facciata non più con sole decorazioni a rilievo cavate dal marmo o dalla pietra, ma anche col sussidio di colori applicati sia a bon fresco sia a grafito ed infine con altri mezzi oltre che col solo materiale vivo non ebbe alcun seguace negli architetti ch'eressero i monumenti medioevali della Sardegna.

E ciò trova la sua ragione oltre che nelle condizioni economiche speciali dei giudicati nel fatto che gli svariati materiali costruttivi, di cui è ricca l'isola, poteano permettere d'ottenere gli stessi effetti con minore spesa e con più efficacia di risultati.

L'influenza delle condizioni geologiche di una regione è grande e molto spesso decisiva sullo svolgimento architettonico ch'essa deve eseguire.

Così l'organismo architettonico della Grecia, ricca di calcari, si estrinsecò per lo più in colonne ed in trabeazioni, che la morbidezza del [p. 84 modifica]marmo puro, scevro da chiazze e da fili quarziferi, permise di scolpire in modo da assurgere ai più elevati concepimenti d'arte.

Roma plasmò le argille, delle quali è ricco il suo suolo e dei mattoni si servi per gettare archi di un'arditezza mai ottenuta e per schiuder sale ed exedre di una grandiosità non più raggiunta.

Le cave di Pietrasanta, di Carrara e di Prato fornendo a Pisa marmi preziosi, i monumenti di questa città per lo splendore di queste pietre, per l'alternatività del marmo bianco col verde di Prato e per i musaici (opus alexandrinum) imitanti i ricchi tappeti d'Oriente hanno effetti d'abbagliante festosità.

In Sardegna l'influenza dei materiali è ancor più intensa per l'avvicendarsi in zone limitate di numerose varietà di materiali costruttivi.

Laddove, come ad Ardara, sono numerosi i crateri di vulcani spenti ed il materiale costruttivo è fornito unicamente dal duro basalto, gli architetti s'inspirarono a forme rozze e severe, mentre a Sorres, a Saccargia, a Tergu, dove le colate vulcaniche s'alternano con giacimenti calcarei. i costruttori trassero partito dalla differente natura e colorazione dei due materiali lapidei per un'armonica alternatività di filari bianchi e neri. profondendo nelle cornici, negli sfondi, nei capitelli, eseguiti nel morbido calcare, l'ornamentazione più ricca e più squisita.

S. Pantaleo ha le sue arenarie, che uscendo tenere dalle cave, permisero agli artefici della cattedrale di sbizzarrirsi senza grande dispendio di mano d'opera, prodigando le più grottesche figure che artista medioevale abbia potuto concepire. [p. 85 modifica]

Cagliari profitto della sua pietra forte (calcare) resistente alle azioni atmosferiche ed agli sforzi di pressione per innalzare le alte torri, superbe moli, che il tempo ingentilì con una patina dorata, quale non si può immaginare più perfetta.

La mancanza quasi assoluta di murature in cotto caratterizza la tecnica dei costruttori medioevali. E ciò malgrado che nell'isola sieno estesi banchi d'argilla finissima, da cui sarebbesi potuto trarre materia per plasmare non solo laterizi da costruzione ma anche oggetti di ceramica fine e delicata.

I romani invece ne usarono ampiamente come si può desumere dalle numerose e spesso imponenti rovine rimasteci; colla caduta della potenza di Roma si dovette perdere nell'isola ogni nozione di trattar le argille e, quando i tagliapietre e gli scalpellini che lavorarono alle cave dell'Appennino vennero nell'isola, non trovarono nè l'uso nè la tradizione del mattone. E poichè ciò si confaceva colla tecnica da loro seguita nella madre terra, continuarono a rivestire i muri ed a gettar le volte con cantoni.

La pietra da taglio (lapis quadratus) fu l'unico materiale usato negli edifici medioevali della Sardegna. Anche nelle chiese più modeste, negli oratori di campagna i muri tanto nella parte esterna quanto nell'interna sono rivestiti con bei conci parallelepipedi tagliati con rigore, dagli spigoli netti e messi insieme secondo l'antica tradizione muraria con pochissima calce.

A ravvivare questi paramenti in pietra da taglio furono incassate nelle mura esterne le ciotole. le sottocoppe, che venivano dalla Spagna, ornate, smaltate, iridescenti.

Dovea esistere un commercio regolare di tali prodotti fittili ed in fortuito scavo a Pula si rinvenne un deposito di svariate ceramiche ispano-moresche: boccali, piatti, coppe ecc, che costituiva certamente un carico proveniente dagli scali posti in vicinanza all'antica e già fiorente città di Nora.

La decorazione architettonica, che maggiormente caratterizza le Chiese medioevali della Sardegna, è il fregio con archetti coronante la sommità dei muri esterni o svolgentisi nei frontoni seguendone la pendenza. [p. 86 modifica]Questo motivo architettonico, pur mantenendo ferme le linee organiche, assume nelle nostre Chicse svariate forme: la più comune è quella dell'archetto sagomato con una gola rovescia contornata da due o tre listelli poggiante su mensoline sporgenti dal muro e sormontata da una cornice orizzontale di poco aggetto modanata ancor essa come gli archeti con gola rovescia e listelli.

L'esempio più ricco di questa forma decorativa è il fregio che svolgesi nei muri laterali e nell'abside della Chiesa di S. Pietro di Sorres.

Nelle Chiese di S. Gavino di Torres, di S. Giusta, di S. Paolo di Milis e di S. Simplicio strette e lunghe lesene s'alternano colle mensoline nel sostegno degli archeti.

Nelle Chiese di S. Nicolò d'Outana, di S. Maria di Tratalias ed in altre gli scomparti compresi fra queste lesene hanno un certo numero d'archetti in modo che ad ogni serie di essi colle loro mensoline corrisponde una lesena prolungantesi sino allo zoccolo, per lo più a smusso, dove poggia con basi quasi sempre sagomate atticamente.

L'archetto trilobate si riscontra nelle Chiese di S. Maria di Bonarcado e di S. Pantaleo e gli archetti circolari intrecciati in modo da risultarne archi acuti, secondo il tipo decorativo schiettamente lombardo, svolgonsi nelle Chiese San Pietro di Zuri e di S. Pietro di Bosa.

Predomina per eleganza e per accuratezza d'esecuzione il partito svolto nell'antica cattedrale di Cagliari quale si può desumere dagli avanzi rimastici presso le due porte laterali. In esso gli archetti hanno una ricca sagomatura con tori, cavetti e guscie, identica a quella della Chiesa di S. Alessandro a Lucca e poggiano parte su mensoline e parte su pilastrini. Alcune di queste mensoline sono foggiate a capitelli e nel secondo ordine sovra il rosone della porta a destra se ne rileva uno elegantissimo inspirantesi con arte medioevale al classico corinzio e palesante nell'artefice che la scolpi un sentimento ed una capacità decorativa non comune, [p. 87 modifica]

I pilastrini non sono semplici lesene di sezione rettangolare, come nella maggior parte delle Chiese medioevali della Sardegna, ma sono invece polistili con capitelli a fogliame e con sagome ricche, le quali magistralmente si raccordano colla sagomatura dello zoccolo.

Questi caratteri stilistici, che contradistinguono le nostre Chiese medioevali, ci permisero di suddividere questa fioritura architettonica, che trasse sua origine dalle rive dell'Arno, in tre periodi o gruppi.

Con questa suddivisione non levesi intendere che qualsiasi monumento medioevale debba rientrare in uno di essi; no, abbiamo chiese, che per particolarità stilistiche of per documenti epigrafici ci risultano erette da artefici pisani e che pur tuttavia non presentano i requisiti per esser incluse in uno dei tre gruppi. E ciò è naturale. perchè gli aggruppamenti in arte non possono aver la coesione e la rigidezza che si riscontrano nelle scienze positive, ma sono ordinamenti sistematici a grandi linee, non soggetti a leggi definite, e perciò con numerose eccezioni.

Così nella Chiesa di S. Platano di Villaspeciosa abbiamo un'armonica fusione di clementi, derivanti da altre tradizioni artistiche con forme pure c schiettamente toscane. Nella Chiesa della Maddalena le forme consuete [p. 88 modifica]toscane svolgonsi con eleganti linee nella facciata e nei fianchi mentre nell'abside quadrata una grande finestra archiacuta con traforo e colonnine sembra abbia voluto fra le vecchie e decadenti lince romaniche imporre le nuove e slanciate forme gotiche.

Fin qui consideraronsi chiese erette da artefici pisani o sotto l'influenza della loro architettura, e dall'estensione di questa si potrebbe dedurre quanto fu osservato dai pochi studiosi che s'interessarono del nostro patrimonio artistico: non aversi cioè in Sardegna altro sviluppo architettonico se non quello toscano. Non ritengo esatta quest'opinione, giacchè, se è vero che all'influenza di Pisa dobbiamo le nostre migliori costruzioni medioevali, conservantisi integre e scevre da posteriori aggiunte in modo da darci dello stile romanico-toscano un concetto più completo degli stessi monumenti di Pisa, di Lucca e delle altre città di Toscana, d'altra parte sono non pochi monumenti dovuti ad altre influenze che non siano quelle di Pisa e che hanno anche la loro ragione nelle vicende politiche dei giudicati sardi. Non bisogna dimenticare che Genova si oppose sempre all'influenza di Pisa e che con questa non ebbe mai tregua tanto che nella stipulazione del trattato di Portovenere, in cui le due repubbliche rivali promisero di non offendersi. anzi di difendersi a vicenda per ventinove anni in ogni luogo di terra e di mare, ne eccettuarono la Sardegna in cui si riservarono libertà d'azione. Finestra nella Cattedrale di Alghero.

D'altra parte, malgrado l'invadentismo delle due repubbliche del Tirreno che influirono con diversi eventi sulle sorti dell'isola. questa sino all'ultima metà del XIII secolo era ancora governata da re o meglio da giudici nazionali, che, se avevano una parvenza d'indipendenza, di questa spesse volte usavano per agire di propria testa. E così ordini monastici, traenti d'altri paesi e d'altre comunità non amiche alle [p. 89 modifica]due fiorenti città del Tirreno, chiamati o da questo o da quel giudice, stabilironsi in Sardegna spiegando molte volte un'azione lesiva agli interessi di Pisa e di Genova e fondando chiese e case conventuali, ad erigere le quali certo non chiamarono maestri toscani. Queste influenze politiche ebbero necessariamente la loro ripercussione nello svolgimento artistico. Ed infatti molte costruzioni medioevali manifestamente sottraggonsi all'influenza di Pisa e sano estrinsecazioni d'altre scuole artistiche, sulle quali allo stato odierno delle ricerche non è possibile emettere un esatto giudizio. La Chiesa di S. Pietro in Zuri, eretta nel 1291, governando Mariano il giudicato d'Arborea. è fra queste costruzioni. Gli elementi decorativi non sono più toscani: l'intercolonio del suo prospetto non è il classico quale abbiamo riscontrato nelle Chiese di Sorres, di Tergu e di Saccargia, ma segue il tipo puro romanico con cordonate concentriche — alcune delle quali intagliate a spirale — di raggio decrescente verso l'interno. Le sculture dei capitelli o delle fascie collegansi all'ornamentazione delle chiese dell'alta Italia più che non alle classiche della Toscana, e la stessa tribuna esagonale con fasci sagomati agli spigoli è elemento costruttivo e decorativo che non ha riscontro nell'arte toscana.

Anche la cornice che svolgesi sulle sommità dei muri segue altri tipi, essendo costituita da archetti circolari di poco rilievo intrecciati in modo da costituire quella forma decorativa che il Dartein qualificò come la più caratteristica delle cornici lombarde.

Questi rilievi stilistici sono confermati dai dati, che ci fornisce l'iscrizione lapidaria, inserita nella facciata, giacchè da essa desumiamo che la chiesa venne eretta con i disegni di un magister Anselmus de Cumis.

Scevre di ogni influenza toscana sono anche le Chiese di S. Pietro di Bosa, di S. Maria di Tiesi, di S. Maria di Betlemme in Sassari, della Cattedrale di Alghero e d'altre interessantissime costruzioni. Speriamo che ulteriori indagini ci permettano di delineare queste influenze artistiche, che ora non è possibile accertare. Per esse s'iniziarono nell'isola nuove forme, che si estesero poscia rapidamente e perdurarono fino al XVII secolo, quando le altre provincie italiane non solo avevano abbandonate le forme gotiche, ma. ritenendole barbare, dalle grazie del Rinascimento trascendevano alle esagerazioni barocche.

Dopo di esse, che rappresentano l'ultimo sorriso dell'arte medioevale, alla quale Pisa impresse forme latinamente vaghe colla festosità [p. 90 modifica]delle decorazioni scolpite dai suoi artefici, l'arte della sesta fu alla mercè di quelle corporazioni monastiche di mendicanti, che, moltiplicatesi con incredibile rapidità, soffocarono ogni aspirazione intellettuale, ogni tentativo di rinnovamento artistico.

  1. Taine, Voyage en Italie, Vol. II, pag. 65. Paris, Librairie Hachette et C. 1S95.