Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo IV.
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Episodi della vita di S. Efisio, patrono di Cagliari, affrescati nel Caraposanto di Pisa.
CAPITOLO IV.
GIUDICATI SARDI — COSTITUZIONE SOCIALE IN SARDEGNA.
INFLUENZA DI PISA — L'OPERA DI S. MARIA DI PISA IN SARDEGNA.
Gli annalisti pisani narrano che, avendo le galee dell'ardita repubblica marinara sconfitto la flotta di Museto, la Sardegna venne divisa nei quattro giudicati o reami di Cagliari, Torres, Gallura ed Arborea, assegnando alla famiglia pisana dei Gherardeschi alcune ville confinanti a Cagliari, ai Caietani la terra d'Oriseto, ai Sismondi l'Ogliastra, alla casa pisana chiamata dei Sardi la regione d'Arborea, a Pictro Doria Genovese Alghero, al casato dei Malaspina le montagne della Barbagia ed al Conte di Mutica la provincia di Sassari, restando ogni altra parte dell'isola sotto la signoria di Pisa.
Abbiamo una confusione d'epoche e di nomi che sin dal principio dello scorso secolo, il nostro maggiore storico, il Manno, faceva rilevare nella sua Storia di Sardegna.
Dopo il Manno gli studi sull'origine dei giudicati sardi non progredirono gran che e solo negli ultimi anni per opera del Dove, del Santoro, del Besta, del Calligaris, del Bonazzi, del Brandilcone, del Zirolia ed in special modo per le dotte ed accurate ricerche del Solmi, che dedicò al periodo storico sardo dell'alto medio evo il suo acuto ingegno e la vasta dottrina, si potè ottenere sulla costituzione sociale e politica anteriore al mille e sulle prime relazioni fra Pisa e la Sardegna un com plesso di elementi e di deduzioni, che se non portarono l'ultima parola sopra il discusso e grave argomento, certo lo schiarirono e lo delinearono.
Chiesa di S. Ferdinando in Pisa.Per questi studi risulta lucidamente chiarita alle vicende storiche della Sardegna l'immunità da ogni dominazione longobarda e franca fino allora affermata e supposta: tutt'al più qualche secolo prima del mille erano rapporti commerciali e monastici fra l'isola ed il mezzodì della Francia, che dovettero influire sulle istituzioni sarde. I saraceni resero infide le coste dell'isola, ma la loro azione fu da pirati e non da dominatori.
Il governo dei giudici si è svolto direttamente e spontaneamente dalle magistrature bizantine, dopo che la Sardegna, tra il secolo VIII ed il X, si trovò sciolta da ogni effettiva soggezione dall'impero orientale, e potè trarre dalle vecchie istituzioni non pure il nome, ma la forma ed il contenuto del suo nuovo organismo. Sulla via di procedimento, seguita da questo sviluppo, sulle cause, sul tempo della divisione della Sardegna in quattro giudicati e sul carattere interno di questo dominio in quei primi secoli sono le opinioni tanto più varie ed incerte, quanto più scarse le testimonianze storiche; na par già che, in tanto buio di storia, sia sufficiente il poter fissare, con relativa sicurezza quel punto di partenza1.
Come si vide, trattando delle forme bizantine svoltesi nell'isola, la serie sin'ora conosciuta dei giudicati, s'inizia nel X secolo con memorie epigrafiche che ricordano origini orientali.
I documenti medioevali dal XI al XIII secolo raccolti dal Tola nella sua magistrale opera Codex Diplomaticus Sardiniae e quelli altri che dopo di lui vennero pubblicati dal Bonazzi, dal Solmi e da altri permettono di forotarci un sufficiente esatto concetto delle costituzioni sociali e politiche dei quattro giudicati. Questi erano autonomi, benchè tutto induca a ritenere che le famiglie che li governavano ai primi del XI secolo, traessero da un unico ceppo, dalla famiglia dei Lacon-Unali. Assunsero i titoli di iudex e di rer e molto spesso l'uno e l'altro e la loro funzione fu di sovrani: rennante domino Barasone2 ; viro magno venerabili Marianus rex3 ; Rex a deo electus vel coronatus4 , rex et iudex calaritanus5 .
Con la voce regnum o rennu è designato il dominio spettante al sovrano. le terre, le chiese, i servi ecc.
Il trapasso del potere avviene in ogni giudicato rigidamente, secondo le regole della successione ereditaria e molto spesso anche prima della morte del giudice il doumicello ereditario è partecipe al governo sovrano.
Tutto indica una potestà sovrana, che non potevano diminuire le velleità sul temporale dominio per parte dei l'ontefici, le quali erano di carattere generale ed erano inspirate alla politica seguita dalla Chiesa, per cui era dato al papa il diritto di dominare su tutti i sovrani della terra, di deporre e di eleggere imperatori e monarchi. Per i giudicati della Sardegna queste pretese non vennero mai smentite ed in ogni carta pontificia abbiamo l'eco di questa politica: il giudice è sempre chiamato iudex e mai rex, ed il governo è considerato alla stregua di un semplice honor o di un officium6.
Ed a questa politica accampante una dogmatica protezione dell'isola, si rivolgevano in appresso le duc comunità di Pisa e di Genova nella loro titanica lotta per contendersi il dominio della Sardegna.
La ricchezza precipua dei giudicati è rappresentata dall'agricoltura e dalla pastorizia, ma per deficenza di braccia, spazi amplissimi di territorio rimangono incolti e su di essi (saltus, montes) lo stato esercita un supremo dritto di dominio. Accanto o dentro queste immense estensioni sono terreni ridotti a coltura intensiva (scolca), che fanno capo alla villa, dove abitano i proprietari di detti terreni7.
Altre notevoli estensioni di terreni venivano coltivate sotto l'immediata direzione economica del Signore e di esse è centro la domus, un complesso di case rustiche, con terre coltivate e chiuse, con campi, vigne, con animali e sopratutto con servi (servos et ankillas, terrales, homines) destinati alle opere del suolo e legati ad esso.
Si aveva in tal modo una specie di azienda agricola, che per dipendere direttamente dal Signore (donnu) veniva chiamata dominicalia o donnicalia.
Non si ha traccia di mercato anteriormente alle conquiste delle repubbliche di Genova e di Pisa e gli scambi e i pagamenti si compiono con prodotti di natura, con servi e con animali. raramente colla moneta e questa è sempre moneta straniera, bizantina, genovese o pisana.
È una società ritornata. quasi per reversione spontanea, alle forme primitive dell'economia e del dritto che lentamente e faticosamente si evolve verso una più intima trasformazione.
In ambienti così poco evoluti rispetto a quelle rinascenze d'energie e di coltura che già svolgevasi in Italia, massima dovea esser la decadenza in tutte le manifestazioni della vita civile. L'arte costruttiva era affidata a servi, che, prendendo a modello le forme architettoniche bizantine, le aveano grossolanamente adattate alle nuove strutture romaniche. Una carta in volgare dell'archivio arcivescovile di Cagliari ricorda la donazione fatta a Pietro Pintori vescovo di Suelli di chiese erette da servi fazzumi carta pro sancta Lukia d'Arigi, ki fabricarat Mariani Mellu, serbu de Cumida de Serrenti e più sotto fraigarunt serbus de donnu Arzoccu de Lacon, Basili e fradis suus.... 8.
Queste chiese non assurgono ad eccellenza d'arte, consistendo per lo più in quattro muri rivestiti di cantoni e ornate di cerchetti pensili sorretti ognuno da mensoline, costituenti quel noto motivo decorativo che gli architetti ravennati usarono nelle chiese di Ravenna e che poscia divenne elemento spiccatamente caratteristico dell'architettura prelombarda e della lombarda insieme. Di opere scultoriche e pittoriche neanche parlarne e i pochi sigilli rimasti ci attestano un'arte bambina, che sembra abbia perduta ogni nozione di forma e di disegno.
Mai l'isola nostra giunse a tanta decadenza; nè poteva esser altrimenti: abbandonata da Bisanzio e da questa poscia resasi indipendente l'azione dei giudici svolgevasi in una cerchia limitata d'interessi. Le coste erano rese infide dalle rapaci gesta dei pirati saraceni e limitati di conseguenza gli scambi commerciali ed i rapporti con le regioni più progredite d'Occidente.
Chiesa di S. Maria del Giudice in Lucca.Il pericolo delle scorrerie dei saraceni, che della Sardegna avevano fatto il covo da cui spiccavano le loro flotte, e l'abbandono, in cui era l'isola nostra, che, vasta per estensione, feracissima per natura e posta nel bel mezzo del Tirreno, non poteva non solletticare le brame di conquista e d'espansione, indussero Genova e Pisa ad un'azione concorde contro il forte condottiero Mogehid, Signore di Denia. Questi all'apparire delle forze collegate prese il largo, sottraendosi ad una battaglia di esito non dubbio.
Pisa esultò di questa vittoria, che garantiva il mare interno ai commerci rinnovati e proficui ed offriva un ferace campo, in cui avrebbe trovato facile sfogo la sua gagliarda attività. Caratterizzava allora l'azione di quel giovane popolo di armatori e di mercanti lo slancio alle più alte conquiste. Le galee della fiorente ed ardita repubblica spingevansi sino alle coste dell'Asia Minore e della Grecia, spargendo lungo tutto il Mediterraneo il prestigio delle sue anni e della sua civiltà. Mentre lotte fratricide dilaniavano le altre provincie italiane, Amalfi cedeva alle armi di Pisa; e insieme alla conquista arrise a lei il possesso delle Pandette di Giustiniano. Altre spedizioni arricchirono i suoi monumenti di statue, di colonne e di fregi ornamentali trasportati dai più lontani lidi.
La città fioriva di ricche officine e il porto pisano, estendentesi quasi sino alla bella Chiesa di S. Piero in Grado, rigurgitava di merci e di galee. Moltiplicaronsi le chiese nella città e nel contado ed i maestri dell'arte di murare spiegarono l'ingegno nella costruzione di palazzi pubblici di mura turrite, di basiliche, di cattedrali e di monasteri.
Dalla spedizione di Mogehid in poi Pisa influì direttamente sulle vicende politiche della Sardegna, ora proteggendo i giudici, ora aizzandoli in lotte fratricide, usufruendo concessioni ed estendendo la sua larvata signoria non solo nei paesi del litorale, ma anche in quelli dell'interno, sempre in odio a Genova, l'odiata rivale.
Con questa in Sardegna non ebbe mai tregua ed anche quando si firmò il trattato di Porto Venere, per cui le due repubbliche rivali pro misero di non offendersi anzi di difendersi a vicenda per 29 anni in ogni luogo di terra e di mare, ne eccettuarono la Sardegna, in cui riservavansi libertà d'azione: Haec omnia observabinus bona fide sine dolo et fraude, excepto de Sardinia, de qua Psanis nullo modo sacramento tenebimur, qui non possimus adiuvare et eis nocere, si voluerimus9.
In quei secoli fortunosi che dal XI secolo vanno alla conquista d'Aragona (sec. XIV), oltre le aspirazioni e le cupidigie delle due potenti città marinare appuntavansi verso l'isola nostra le pretese della Chiesa e le ribellioni dei giudici locali, che mal sopportavano queste ingerenze nel loro dominio.
L'influenza di Genova per mezzo di potenti famiglie si svolse nel Logudoro ed in Arborea, tentando d'estendersi negli altri giudicati, ma inutilmente, giacchè dopo quasi due secoli di un'azione forte e cosciente, svoltasi con alternate vicende, la potitica di Pisa prevalse e da questa città specialmente provennero quelli clementi di civiltà che maturarono profondamente la vita e le istituzioni sarde.
Quest'azione delle due fiorenti comunità del Tirreno volta alla conquista in parte politica ed in parte commerciale della Sardegna costituisce una vera rinascita d'energie che agita e commuove tutta la storia di Sardegna.
I porti si riaprono al traffici e le navi genovesi e pisane più volte solcano il tratto del Tirreno che l'isola nostra divide dalle loro città.
Gli archivi di Pisa e di Genova rigurgitano di carte che attestano di quest'intensità di rapporti; formaronsi compagnie di commercio per facilitare i traffici ed i trasporti; tutta un'organizzazione commerciale ed industriale si svolse per l'utilizzazione del sale e delle miniere d'argento, le quali ancora oggi colle gallerie e coi pozzi scavati dai maestri Chiesa di S. Giulio in Lucca.della pietra, iniziati nelle industrie minerarie dell'Appennino, ci dicono dell'opera intensa ed intelligente dei minatori pisani.
Questo sollecito fiorire di commerci genovesi e pisani fece fluire numerosissima la popolazione continentale in Sardegna. Formaronsi nelle stesse terre dei giudicati ed in special modo presso gli scali intere borgate di genovesi e di pisani, più di questi che di quelli giacchè in breve volgere d'anni Pisa, favorita anche dalla supremazia religiosa, vi conseguiva il predominio commerciale e politico10.
Potenti famiglie feudali, che da tempo erano entrate nell'ingranaggio della vita comunale italiana, svolsero un'azione diretta sull'isola: ottennero concessioni, privilegi, e, forti di unioni matrimoniali colle famiglie dei giudici e dell'aiuto delle loro città, costituirono tale rete di rapporti da scalzare la vecchia compagine sarda.
I più potenti ordini monastici inviarono arditi ed attivi religiosi, che nelle vallate più fertili eressero monasteri e chiese, che diventarono centri di culto ed insieme d'industrie agricole.
Ad innalzare queste chiese, che i giudici donavano a sconto dei loro peccati pro remedio anime patris et mee et coniugis. . . ., che i Donaratico, i Massa, i Capraia, i Doria erigevano ad attestar colla devozione a Dio la loro potenza ed il loro dominio e che i benedittini, i camaldolesi costruivano per intensificare ed idealizzare la loro azione terrena, chiamaronsi artefici toscani, che svolsero con forme rinnovate ed ingentilite l'arte che, germogliata nei piani lombardi, fiori nelle terre di Provenza, inondate di luce e di poesia.
Lo stile romanico si diffuse con forme rinnovate per le belle città italiane e ne furono alfieri quelle corporazioni o maestranze di costruttori e di scalpellini, che tanta parte ebbero nelle vicende artistiche d'Italia e di Francia. I maestri comacini, antelami e campionesi giravano per le belle contrade italiane, erigendo le cattedrali ed i monasteri più insigni. E quest'opera dei maestri dell'alta Italia a noi pervenne per il tramite degli artefici toscani, quando l'innato classicismo ne avea ingentilito le rudi forme.
Le Chiese di Pistoia, di Lucca e di Pisa furono i modelli, cui s'inspirarono in Sardegna i costruttori toscani e gli artefici locali che educaronsi alla loro scuola. Dalle Chiese di S. Andrea e di S. Bartolomeo in Pantano di Pistoia l'architetto della Chiesa di Sorres in Sardegna tolse l'ornamentazione cosmatesca ad intarsi di pietre dure e quello della Chiesa di Saccargia la decorazione degli archi con cinghiali rincorrentisi.
Le finestre della Chiesa di S. Pietro Maggiore di Pistoia richiamano le finestrine dell'antica Cattedrale di Suelli, Le stesse modanature riscontransi negli avanzi dell'antico Duomo di Cagliari e nelle Chiese di S. Alessandro di Lucca.
Il secondo ordine ed il frontone della facciata della Chiesa di Saccargia sono per la disposizione delle false arcate e delle colonnine modellati sulla parte della facciata di S. Giusto di Lucca corrispondente alla navata centrale, mentre la porta di Ardara ne richiama una delle due porte laterali.
La tomba ad arcosolio di S. Pantaleo par tolta dai sepoleri addos sati al lato di tramontana della Chiesa di S. Romano in Lucca. Che dire dei monumenti di Pisa? S. Sisto, il Santo Sepolcro, S. Matteo, S. Andrea, S. Pierino. S. Paolo, S. Caterina, S. Frediano, S. Paolo in Ripa d'Arno, tutte queste chiese alle quali le cave di Carrara e di Pietrasanta fornirono il più bel marmo ed artefici geniali la squisita eleganza delle loro concezioni, tutti questi edifici preludianti già a quello spirito innovatore, che dovea poscia in Firenze dar origine col Rinascimento ad una nuova giovinezza dell'arte, contengono quasi tutte le forme decorative ed architettoniche, sulle quali modellaronsi quelle di Sardegna.
E quest'architettura così rinnovata Pisa svolse in Sardegna con innato e squisito sentimento dovunque la potestà apponeva le sue armi e gli artefici suoi scolpivano la Madonnina.
I marmorari toscani chiamati dai giudici e trascinati a svolgere come i maestri comacini, da cui derivarono, la loro attività in lontane regioni, eressero chiese dalle linee sobrie e corrette, rese leggiadre con fasce ornate di quell'acanto, i di cui caulicoli mai inaridirono nell'arte toscana.
Chiesa di S. Pietro in Lucca.Mentre queste aspirazioni altrove si estrinsecavano nelle residenze del principe e nel palazzo del Comune, costruzioni rudi e massiccie, nelle quali una bifora era sufficiente ad esprimere l'innata gentilezza delle popolazioni, che vollero erigerle, in Sardegna le condizioni di coltura e di governo non permisero alcun'opera che assurgesse a monumento civile.
I fasti della Reggia d'Ardara e della Corte d'Arborea, che si vollero ritrovi di squisite ed intellettuali eleganze, dove per poco non si faceva aleggiare come nelle corti della Rinascenza l'umanesimo di Marsilio Ficino, ed il gusto di Lorenzo dei Medici, non resistono ad una spassionata critica.
Questa fioritura architettonica nella nostra isola ha un'importanza non lieve per la storia dell'arte non solo di Sardegna ma di Toscana, perchè le nostre chiese medioevali, pur essendo di ristrette dimensioni, assurgono a tale ideale di finezza e di leggiadria nei dettagli architettonici ed ornamentali da ritenere negli artisti che li scolpirono una genialità ed una valentia non comune.
Un altro pregio rende questi edifici oltremodo interessanti: il non aver subìto, cioè, che lievi modificazioni, per cui quello stile che in Toscana precedette l'architettura del Duomo di Pisa, di S. Paolo in Ripa d'Arno, di S. Michele in Borgo. di S. Caterina e di cui non rinvengonsi che pochi ed incompleti frammenti, si svolge integro in Sardegna senz'alterazioni e senza aggiunte posteriori.
Le tradizioni latine che mai si disgiunsero dall'architettura toscana trovarono nell'isola nostra buon terreno. A mantenerle vive influirono le imponenti rovine di Olbia, di Torres, di Tarros, di Neapolis, di Nora e della stessa Cagliari, che offrivano splendidi avanzi per la costruzione di nuovi edifici. Le navate della basilica di S. Gavino di Portotorres sono sostenute da 22 colonne di marmo con capitelli, tolti per buona parte dalle vicine rovine di Turris Libyssonis. Nelle porte del Duomo di Cagliari specialmente in quella a destra abbiamo un'amorevole e leggiadra fusione di clementi decorativi medioevali con classici frammenti d'arte pagana. Il bellissimo sarcofago rappresentante un personaggio romano togato in mezzo ad un festoso trionfo di genietti è collocato sopra l'architrave non a casaccio ma col chiaro intendimento di metterne in evidenza le belle sculture e di farle trionfare nella lunetta sotto il simulacro della Madonnina. Un artefice che non avesse avuto il culto dell'arte classica avrebbe forse scalpellato la leggiadra ridda di bimbi per eseguirvi ana qualche scena simbolica con forme tolte dai Bestiarii, certo di soddisfare il suo gusto a di far cosa grata a Dio. La stessa architettura frammentaria riscontriamo in S. Antioco di Bisarcio, in S. Giusta d'Oristano, in S. Maria d'Uta ed in tante altre Chiese di squisita arte toscana.
Il vento medioevale che nelle altre regioni italiane alterò le classiche e belle forme ornamentali, trovò nella nostra isola un forte ostacolo in questi modelli delle antiche civiltà.
I mostri che si rincorrono, s'inseguono, s'affrontano, si dilaniano, popolando di spaventose immagini le tetre navate delle chiese dell'alta Italia, si ritrassero dalle nostre, mal sofferenti del nostro ciclo perennemente azzurro e del candore dei marmi e dei calcari ornanti le nostre basiliche.
Le mirabili forze della civiltà italiana sembrano prorompere nei monumenti che la feconda arte pisana eresse nell'isola. Possente intermediaria di questi rapporti artistici fi la Chiesa di S. Maria di Pisa. Stretti ed indissolubili furono i legami che avvinsero la Sardegna alla Chiesa, che col Battistero, colla Torre Pendente e col Camposanto orna la piazza più suggestiva d'Italia.
Giravano per le aspre giogaie dei nostri monti, per le fertili vallate i missi dell'opera del Duomo di Pisa. Giudici e magnati, maiorales, concedevano elargizioni, terreni, Chiese, oro ed argento, Turbino, giudice di Cagliari (1103), dona all'opera di S. Maria quattro casolari con terre, vigne e servi, il che non impedi al Comune di Pisa di aiutare Torcotorio a spogliarlo del governo della provincia.
Lunetta in una delle porte del Duomo di Cagliari.Questi alla sua volta concedeva alla detta opera quattro corti e per ciascun anno una libbra d'oro ed una nave carica di buon sale. E ciò non tanto per la salvazione dell'anima sua e dei suoi parenti quanto per sdebitarsi dell'aiuto da togli dai Pisani « et pro magno servitio quod mihi nobilissimi et prudentissimi cives pisani cum grandi inopia atque plurissimis angustiis operati sunt »11. Ricche elargizioni fecero ancora Padulesa di Gunale. giudicessa di Gallura ed i regoli di Torres e d'Arborea.
Questi operai del Duono di Pisa, che nei diplomi medioevali sono chiamati missi, ebbero non lieve influenza nelle vicende politiche dell'isola: essi avevano bottega nel Castro di Cagliari in vicinanza alla Chiesa di Santa Maria, dove un operaio, rappresentante l'amministrazione maggiore, teneva il governo delle ricche proprietà, che l'Opera aveva per tutta la Sardegna12.
Non sempre arrise loro il favore dei giudici ed una strana ritrattazione di Itocorre di Gallura ci fa conoscere che fosse nelle abitudini dei suoi antecessori l'uccidere e lo spogliare questi missi dell'opera di Santa Maria13.
Ma dalla sua influenza sui giudicati, Pisa non solo si giovò per ottenere elargizioni e concessioni a beneficio della primaziale ma di essa si valse anche per aver nell'isola buoni materiali da costruzione per l'erigendo tempio.
I Pisani, grandi spogliatori di marmi e di sculture delle rovine delle antiche civiltà e resisi celebri per il gusto, con cui sapevano scegliere il bottino, trovarono una miniera nelle rovine di Olbia e di Torres e nelle cave di S. Reparata in Gallura. Ettore Pais rinvenne ed illustrò nel Duomo di Pisa molti di questi frammenti incassati nelle terse muraglie del marmo dei Monti Pisani14.
Le cave di Santa Teresa di Gallura provvidero il Duomo ed il Battistero di belle e granitiche colonne che possono gareggiare con quelle di Baveno.
Nella facciata ornata di cinque ordini di gallerie poggianti su centinaia di colonnine, tutte diverse e tutte squisitamente eleganti, Pisa ricorda in una metrica iscrizione le vittorie riportate sui lidi sardi contro i saraceni e la conquista della Sardegna15.
Più tardi un monaco sardo, Fra Domenico, un artista complesso che per le molteplici forme del genio suo par che preannunzi il sommo Leonardo, dipinse verso la metà del XIV secolo alcune vetrate del tempio pisano16.
Il cinquecentista Roncioni e gli altri storici pisani ricordano la traslazione alla primaziale dei resti del martire di Cagliari, S. Elisio, di cui Spinello Aretino ebbe ad affrescare le vicende con magistero d'arie nel Camposanto, disegnato da Giovanni Pisano.
Sono tanti i ricordi dell'isola nostra che palpitano nell'opera mira bile ornante una delle più belle piazze d'Italia da potersi dire che la Primaziale di Pisa sorse dalle rovine dell'antica S. Reparata in Palude per affettuosa comunanza di voglie e d'affetti fra la prospera repubblica marinara e la nostra isola a lei tanto cara.
E di questi legami, di questa comunanza d'interessi e d'affetti fui in grado or son pochi anni di mettere in evidenza un altro nobile pegno nel grandioso pulpito che tuttora si conserva nella Cattedrale di Cagliari ad attestare l'antica amicizia delle nostre genti ed a colmare in pari tempo una lacuna nelle vicende artistiche del Duomo di Pisa.
- ↑ A. Solmi, La Costituzione Sociale e la proprietà fondiaria in Sardegna in Archivio Storico Heliano, Disp. 4 del 1904.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sardo, Vol. 1, pag. 159.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sardo, Vol. 1, pag. 159.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sardo, Vol. 1, pag. 153-154.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sardo, Vol. 1, pag. 160.
- ↑ A. Solmi, La Costituzione Sociale ecc. ecc., pag. 21.
- ↑ A. Solmi. La Costituzione Sociale ecc. ecc., pag. 26.
- ↑ A. Solmi, Le carte volgari dell'Archivio Arcivescovile di Cagliari, pag. 17.
- ↑ Dal Borgo, Diplomi Pisani, pag. 311.
- ↑ A. Solmi, La Costituzione Sociale ecc. ccc., pag. 55.
- ↑ Tola, Cod, Dip. Sardo, Diplomi del XII secolo n. 6.
- ↑ A. Solmi, Cagliari Pisana, pag. 22, Cagliari, Tip. Valdès, 1901.
- ↑ Et nullum missum sante Marine occidere vel occidere faciam, neque capiam vel capere faciam, et si aliquis fecerit justitiam inde faciam. Pergamena dell'Archivio della Primaziale di Pisa, a. 1115 riportata dal Tola nel Cod. Dipi. Sardo, Sec. XII, n. 201.
- ↑ E. Pais, Prefazione alla Silloge epigrafica olbiense, di P. Tamponi, Sassari Tip. Dessì, 1895.
- ↑
- HIS MAIORA TIBI POST HAEC CLARA DEDISTI
- VIRIBVS EXIMIS CVM SUPERATA TVIS
- GENS SARACENORVM PERIIT SINE LAUDE STORVM
- HINC TIBI SARDINIA DEDIT SEMPER EGIT
- A. D. MXXXIII.
- HIS MAIORA TIBI POST HAEC CLARA DEDISTI
- ↑ Di quest'artista scrisse l'ignoto annalista del Convento di Santa Caterina di Pisa, dipingendolo soave cantore, eccellente miniatore ed abile pittore: Frater Dominicus Sardus de Pollinis Kalaritani fuit valde gratiosus et probus. Starvissimae conversationis, cantabat bene, seribebat pulchre et fenestras vitreas operebatur optime. (Cronaca del Convento di S. Caterina n. CC).