Storia degli antichi popoli italiani/Capitolo XI
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CAPO XI.
Equi, Ernici, Volsci ed Aurunci.
Appresso alla Sabina e al Lazio antico dimoravano gli Equi: alquanto più addentro gli Ernici: sotto di loro i Volsci dalle vette appennine sino alla marina: indi, tra i Volsci e la Campania, in piccolo distretto stavano da per se gli Aurunci. Tutti questi popoli, benchè dalla politica romana giuridicamente compresi nel Lazio, non furono tuttavia da prima Latini1; ma indubitabilmente congiunti fra di loro, e parlanti una stessa lingua, discendevano insieme dalla paterna razza degli Osci, i cui fieri e nativi costumi si rinvengono vivi e veri nella loro posterità robusta. Così gli Equi e gli Ernici prodi sì, ma di rozza natura, non avean che vantare se non forza e coraggio. E tanta fu la loro inalterabile costanza nella difesa che, quantunque di poco stato, ben si meritarono il titolo immortale di grandi e feroci2. Addestrati in fanciullezza nell’arti di cacciare e saettare non fa maraviglia, che naturati in loro i duri abili di vita campestre e guerriera, dessi andassero sempre armati, o fosser cupidi di preda, come li ritrasse l’epico latino3. Nè altri costumi son da sperarsi ovunque l’aspra natura del montanaro, privo di commerci esterni, si piace del rozzo stato. E non di meno per la grande franchezza loro, e perfetta fede, in quel modo che gli Equi si mostravano terribili a’ nemici, obbedivano pure schiettamente alle santissime leggi del giusto: tanto che nel tempo antico essi stessi, pieni di lealtà, erano in concetto di istitutori, o almeno di fedeli custodi della legge Feciale4.
Gli Equi detti ugualmente Equicoli per usata prolungazione derivativa di nomi nazionali, tenean, come tutti i vicini montanari, le sue principali dimore sulle cime alpestri meglio difese dalla natura, il che più maggiormente fortificava nel popolo l’amor del luogo natio. Presso al gelido e selvoso monte Algido, ov’è buon pascolo estivo5, avean Algido, Corbione, e alquanto più sopra Vitellia, il cui vocabolo, propriamente osco, rammenta il nome che portava fino dall’origine Italia6. Vicino alle fonti dell’Aniene, il qual sorge dal monte di Trevi, stava Trebia o Trebula7, altro nome patrio degli Osci, il cui omonimo si ritrova più volte nella Sabina, nell’Umbria e nella Campania8: indi, seguitando il corso di quel fiume, sedevano in sull’una e l’altra costa de’ monti Vola, Cliternio, e la fredda Carseoli: dove lo statuto9 vietava il nominare i lapi infesti alle campagne: il che solamente ricordiamo a fine di mostrare quanto ivi intorno, come altrove, luoghi inospiti e selvaggi fosser tolti dalla gagliardia de’ nostri padri alle fiere, per esservi diboscati, dissodati e coltivati. Mediante l’unione di queste terre popolose con altre minori si componeva tutto l’universale degli Equi, sì formidabili a Roma ne’ suoi primi secoli.
La confederazione degli Ernici, niente meno temuti e valorosi, comprendeva soltanto le comunità degli Alatrini, Verulani, Ferentini ed Anagnini: tutti stanziati non lungi alle sorgenti dell’Aniene e del Liri in angusto e dirupato territorio, il qual prendeva con voce sabina o marsa, ch’è quanto dir osca, il suo nome di petroso dalla natura de’ luoghi. E l’appellativo di Ernici non avea esso stesso altro propio significato, che quel di abitatori delle rupi10. La tradizione riferita da Servio, e probabilmente tolta come tant’altre di buona lega da Catone, portava che gli Ernici, aventi a guida un loro duce, fossero ivi passati dai luoghi dei Sabini: la qual notizia è tanto maggiormente importante, in quanto che ne dà a conoscere, che già nella prima incursione degli Osci una mano di quelli che discesero in moltitudine dall’alta Sabina, si collocarono in tra questi monti inespugnabili, e vi presero il nome d’Ernici e d’Equi: laddove altri, detti genericamente Aborigeni, s’avanzarono fino al Tevere; ed una parte di questi occupò anche il basso paese dei Volsci, secondo che narrava Catone11. Per natura guerriera eran gli Ernici quanto gli Equi precipitosi, e feritori gagliardi con armi da tiro. Ma non può udirsi senza sorridere quel che diceva inconsideratamente l’amico d’Ovidio12; esser gli Ernici intitolali da un Ernico, ed Etoli pelasghi, a cagione che entrambi usavano tenere in battaglia nudo il piè sinistro, e l’altro ricoperto d’un calzare13. Pure di tal modo, e spessissimo, s’andavano travisando nel bel secolo dagli eruditi le antichità italiane. Dove che si può francamente asserire, che nè Pelasghi, nè Greci di qualunque nome, non ebbero mai dimore nè tampoco frequentazioni in queste parti interne.
Anagni chiamata ricca da Virgilio14, e da Strabone illustre15, sarebbe stata, secondo un antico interprete virgiliano16, colonia de’ Marsi, o almeno d’un popolo congiunto di quelli, come son tutti i Sabelli originalmente Osci. Posta nel territorio più fertile irrigato dall’Amaseno s’adunavano in essa i parlamenti nazionali17: e quando Frontone la vide al tempo di M. Aurelio le rimanevano tuttavia non pochi ragguardevoli monumenti di sua fortuna. Templi, delubri, cose sante in quantità: libri lintei, riti divini, e ceremonie vetuste18. Nè Anagni era la sola che serbasse in casa sì fatte memorie dello splendore antico. La patria di Cicerone, ne’ prossimi Volsci, custodiva ugualmente molte vestigie delle sue nobili antichità19. Ed altrettante al meno dovean possederne le città italiche, dove i Romani mandarono a raccorre documenti della prisca religione, onde riparare alla perdita di quelli che furono arsi nell’incendio del Campidoglio dopo la guerra marsica20. Le mura bensì ancor sussistenti di Anagni, d’Alatri e di Ferentino, fabbricate d’uno stesso sistema con grosse pietre tagliate a poligoni di più lati21, dimostrano per altro la forza loro: e fan vero testimonio che così fatta maniera di costruzione, se non tanto antica quanto si presume, era per lo meno propria delle genti di questi luoghi, ed usata al pari comunemente dai Volsci e Marsi confinanti22.
Il nome nazionale dei Volsci ha dovuto essere Vulci o Vulsci23. Gente copiosa, valente, ed all’armi nata, si trovano essi nelle storie possessori d’un paese di molta estensione e fertilità, il qual non solo comprende la catena inferiore de’ monti appennini, chiamati oggidì Monti Lèpine, ma occupa di più tutta la bassa contrada di maremma, incominciando dal porto d’Anzio infino a Terracina. Abbiamo toccato di sopra coll’autorità di Catone, che quivi pure discesero, come nel Lazio, gli Aborigeni, e vi tennero il piano: mentrechè i più potenti di loro tolsero per se i luoghi montuosi e forti, dove nacque e venne su la nazione intitolatasi dei Volsci. Per questi monti dimoravano essi allora quando gli Etruschi nella pienezza della fortuna invasero le piagge marine, e di qui s’avanzarono oltre il fiume Liri nella Campania: ma non s’arrischiaron però di combattere il forte della nazione: costeggiarono al contrario i monti Volsci; oppugnarono e soggettarono i soli Aborigeni pianigiani, che dovean essere la più debole tribù, se non anche soggetti eglino stessi a’ Volsci della montagna, i quali recuperarono dipoi sopra gli Etruschi conquistatori il basso paese, che avean lungo tempo tenuto con imperio24. Come prima i Volsci vengono in iscena già si veggono prendere l’attitudine ferma d’una delle più forti nazioni dell’Italia, destinata dalla sorte, dice Livio, ad esercitare quasi in eterno la prodezza di Roma25. Ed in qualunque età furono essi ugualmente vicini intolleranti pe’ suoi conterminali Marsi e Sanniti a cagione di confini. La perpetua unione de’ Volsci con gli Equi, nelle interminabili loro guerre contro Roma, è inoltre un fortissimo indizio dell'affinità o parentela della gente: certo la lingua stessa dei Volsci non era di sua natura altro che un dialetto dell’osca26. Titolo osco portava nell’ufficio il supremo magistrato27: così in tutte cose appariscono ne’ Volsci costumi, riti, e religioni conformi a quelle degli altri popoli originari della contrada.
L’alto paese dei Volsci conteneva il nerbo della unione potentissima d’uomini fautori della repubblica, infino a tanto che l’universal moltitudine crebbe libera in quel paese fedele a’ suoi, semplice ed operoso28. La loro lega si componeva di molte città maggiori, fra le quali Velletri, detta dai paesani Velestrum29: indi Cora, Norba e Segni, delle cui fortissime mura durano ancora considerabili avanzi30: la volsca Sulmona, ov’è oggidì Sermoneta; e in sul giogo de’ monti Sezze e Priverno31: Fronteggiavano i Latini, al par che gli Equi e gli Ernici, Coriole, Verrugine32, Ecetra e Frosinone la guerriera. In sul Liri sedeva Sora e Fregelle, la qual reggeva altri popoli sotto sua custodia33: ed alla sinistra di quel fiume inverso Campania e Sannio avean pure i Volsci le città notabili d’Aquino, Arpino, la potente Atina, e Cassino, che prendeva il suo titolo di vetusta da un vocabolo noto degli Osci 34. Occuparono i Volsci, come sembra, questa parte di fertile contado intorno al Liri per ragion di conquista: quel di Fregelle era stato dei prossimi Sidicini, prima che in loro dominio35: ed il patto sacro, che i Fregellani si facean coscienza d’osservare lealmente verso quelli, anche al tempo in cui il lor comune era ridotto al niente, prova alla volta ed il modo consueto di concordia fra popolo e popolo, e la forza fermamente permanevole di religione36. All’opposto Cassino più prossima al monte Massico fu tolta dai Sanniti a’ Volsci37: poi da loro stessi recuperata: e sebben taccia la storia si può aver per certo, che da questa parte mai non cessarono offese e danni tra i feroci vicini confinanti.
Di tutt’altra natura è il basso paese dei Volsci, dove in giacente piano sta situata la maremma Pontina, che dopo tanti secoli, e tanti sforzi, non ha potuto mutar finora lo squallido aspetto d’una malsana palude38. Gli Etruschi han dovuto trovare questi luoghi stessi più mangiormente paludosi e pestilenti a cagione dell’aria infettata; e quantunque ne manchino i documenti si può ragionevolmente pensare, che opera loro fosse il primo ed efficace bonificamento della contrada. Uguali lavori idraulici avean fatto gli Etruschi alle paludi Atriane nell’Italia superiore, già prima che occupassero questo lembo dei Volsci39: e certamente tutta la spiaggia tra Anzio e Circeo, la qual si nominava tirrenica, senza grandi e perseveranti fatiche dei paesani non sarebbesi mai ridotta in tal floridezza, che sopra d’essa potessero alzarsi una volta, come si tiene per cosa indubitata, ventitrè grosse terre40. Fra queste Suessa, cognominata dal suo territorio Pomezia41, si ritrovava potente e ricca innanzi che Roma s’ingrandisse: ma d’assai maggiori per istato erano Anzio e Terracina detta Anxur in lingua volsca42; ambo città prossime al mare, e comunicanti con quello per mezzo d’un porto, che serviva in oltre a ciascuna d’arsenale e di piazza di mercato43. Sul lido stesso non molto lungi dall’antica foce dell’Uffente, detto innanzi Clanis con appellativo dei Toschi44, sporge in mare il capo o promontorio Circello alto 527 metri sul livello dell’acque: altra volta isola, secondo che si vede fisicamente con certezza indubitabile; e ben lo credeva Varrone45, e Plinio stesso46 per autorità di Teofrasto47. Ivi sul monte sorgeva la città di Circeo, dove si veggono ancora le sue rovine.
Gli Etruschi avveduti possessori di queste piagge, sì acconce a navigare nel basso Tirreno, v’introdussero di buon ora l’arti marinaresche, che indi appresso divennero una professione speciale dei paesani Volsci della regione marittima. L’unanime opinione de’ Greci antichi che l’isola d’Aea, mentovata da Omero48, fosse Circeo nella Tirrenia49: il mito stesso della magica Circe quivi trasferito, e gli onori divini che le porgevano i Volsci50; son manifesti contrassegni, che i navigatori ebbero molto per tempo notizia di questi luoghi littorali. I Volsci datisi una volta nella marineria, si fecero anch’essi franchi e valenti al pari degli Etruschi: nè men di loro, per uso di corseggiare con legni armati, ebber nome infamato di pirati51. Quanta si fosse però l’importanza delle navigazioni de’ Volsci sul Tirreno si conosce apertamente dai notabili avanzi dell’antico porto d’Anzio, e di quel di Terracina, il cui perimetro ha 1160 metri, costruito di tal modo che potesse comodamente contenere un naviglio numeroso: ed in fatti i Volsci ben forniti di legni e di galere, e padroni a un modo dell’isola popolosa di Ponza, situata di rimpetto, e lungi non più che poche miglia dal capo Circello52 tenevano come signori del propio mare infestata la costa con frequenti scorrerie sin oltre al Faro siciliano: e per costume antico durarono sì lungo tempo in queste temerarie corse piratiche, che ne fece querela ai Romani in pro dei Tarantini Alessandro Molosso circa all’anno 42053. Nel qual torno di tempo vinti gli Anziati, tolsero loro i Romani una parte delle navi rostrate: l’altra fu arsa54.
Ma fossero pure gli Anziati per abiti di vita marinesca audacissimi corsali, sarà sempre vero, che alle navigazioni de’ suoi dovettero Anzio stesso, Circeo e Terracina, la loro vantata opulenza55. Queste navigazioni prospere ed i commerci floridi ancora al tempo del già mentovato trattato fra Cartagine e Roma, dove le tre anzidette città son comprese, introdussero certamente ne’ Volsci marittimi l’uso d’arti e di comodi sconosciuti o non curati dai rozzi montani: nè perciò adduce maraviglia che in casa loro fossero anche coltivate alcune nobili arti, come la plastice, di che ne fanno fede i notissimi bassi rilievi di terra istoriati e dipinti trovati nelle vicinanze di Velletri: dove son figurate corse di cavalli, bighe, ed altre molte cose pertinenti al costume antico56. Sappiamo di più che un Turiano da Fregelle formò la statua di Giove Capitolino, e condusse in Roma altre opere di sua mano57. Per modo che, lungo tempo innanzi l’età del primo Tarquinio, ben doveano i Volsci coll’acquistate industrie usare in patria e godersi i beni che derivano da queste arti civili. Nè fu di poco momento l’esempio che davano loro gli Etruschi. La prosperità grande, e la ricchezza de’ Volsci fino dai primi secoli di Roma, è non solo accertata da tutti gli scrittori che han parlato di loro nelle storie, ma più ancora dalla miserabil ricordanza del fatto dichiarato da Plinio: che di cinquantacinque luoghi di popoli per lui nominati, altre volte fiorenti nel Lazio antico, non v’era più al suo tempo vestigio alcuno58. Una buona parte di queste città era dei Volsci: e qualor si pensa che per sì atroce abuso di forza Roma struggeva con le genti agricoltura, arti, navigazioni, e progresso morale, non parrà di certo esagerato il patetico lamento di Livio59; che ove ne’ Volsci prosperavano felicemente moltitudine d’uomini liberi, più non si vedessero a’ suoi giorni altro che schiavi.
In piccolo e montuoso territorio tra i Volsci e la Campania risedevano gli Aurunci, ch’ebbero in sorte di salvare il nome nativo dell’antica schiatta. Attenenti per origine al gran tronco degli Osci, tanto significava dire Aurunci, quanto Opici e Osci; od Ausoni alla maniera greca60: ond’è fuor di dubbio, che in quest’angolo stesso fra i monti e il mare s’annidò fin da remotissimi tempi, e vi si tenne sicura, una qualche ferocissima tribù degli Osci primitivi61. Se mai è vero che Omero, come si vuole, ponesse nelle loro sedi i fieri pasti dei Lestrigoni62, una sì fatta incredibile tradizione dovea venire ai Greci dalle mostruose narrazioni de’ navigatori che frequentavano in quelle marine, e trovarsi fondata nell’asprezza di natura degli abitatori: benchè sien dessi ritratti ancora dal poeta dimoranti in sua città con pastori stipendiati, e facenti uso di carri: costumi difformi tra se, e affatto incompatibili di civiltà mista con troppa barbarie. Tuttavolta nel concetto degli antichi continuava la fama della indomabil fierezza degli Aurunci: e dove Livio63 e Dionisio64 mostrano a un modo gli Aurunci di alta statura, terribili nell’aspetto, precipitosi e minacciosi a tal segno, che nella forma del corpo vie più scoprivano il vigor dell’animo, si vede manifesto, che ambedue gli storici delinearono senza più quel feroce ritratto della gente, tal quale l’adombrava alcun scrittore più vetusto.
Aurunca, poi detta Sessa, città principale, stava situata dentro terra in sito alpestre65, che ritiene ancora il nome di monte Auronco. Uno stesso omonimo in tre città di popoli l’uno all’altro confinanti, Volsci Aurunci e Campani, non è leggiera conferma della identità della lingua e della gente66. In fatti Sessa, non meno che Vescia e Minturna, serbavano tutt’ora nell’età romana il puro sangue degli Osci67, di cui sussisteva un altro ramo in Caleno68. Fondi, nel cui palustre territorio si raccoglieva il generoso ottimo vino Cecubo69, sovrastava al lago di questo nome dove sono isolette galleggianti70; ma le città poste sulla spiaggia a mare, che ha poco più di trenta quattro miglia furono anche le più celebrate degli Aurunci: cioè Amucla, Gaeta e Formia. Non v’ha fola di romanzo che non spacciassero i Greci intorno a questi luoghi, sì prossimi alla Campania, dove di gran tempo avean sede. Per le loro narrazioni erano città greche fondate dai Laconi o nel tempo eroico, o in quel di Licurgo: avean tolto il nome dalla balia d’Enea o di Creusa: in fine col solito corredo di etimologie sognate teneano altri titoli e origini superbe71. Queste cose le dicevano i Greci; le credevano i grammatici; e le ripete in parte anche il savio Strabone: ma egli è troppo lagrimevole abuso di tempo il trattenersi in confutare siffatte finzioni di romanzieri, privi ugualmente e di vaghezza e di senno. Domati gli Aurunci vennero anch’essi, ultimi di tutti, compresi dai Romani nel Lazio legale e politico, che di tal modo s’estese dai contorni del Tevere insino al placido Liri72; il qual sorgendo dall’alto Appennino scorreva pel paese dei Volsci nutrito d’altre acque nel suo corso; passava per mezzo a Minturna; e traversando il sacro bosco di Marica e la prossima palude gettavasi con larga foce in mare. La stessa Marica dea indigena e locale di Minturna73; Giove fanciullo, cognominato dal luogo sotto sua tutela Anxurus74; Feronia similmente indigena75, e al pari venerata dagli Etruschi, Latini, Sabini e Volsci, fan palese per questi luoghi la conformità di religioni nazionali e di miti; anzi la fratellanza dei popoli: il che vuol aversi per validissimo argomento non pure di attenenza scambievole, ma di somigliante istituzione.
Note
- ↑ Strabo v. p. 158.; Plin. iii. 5.
- ↑ Aequorum magnam gentem et ferocem. Cicer. de rep. ii. 10.
- ↑
Horrida præcipue cui gens, assuetaque multo
Venatu nemorum, duris Aequicula glebis.Armati terram exercent, semperque recentis
Convectare juvat prædas, et vivere rapto.- Virgil. vii. 746.
- ↑ Liv. i. 32.; Val. Max. x.
- ↑ Horat. i. od. 21. 6.; iii. od. 23. 9.
- ↑ Vedi pag. 61.
- ↑ Trebula poi Trebia, Treba.
- ↑ Trebula Suffena: Trebula Mutusca: Trebia nell’Umbria, oggidì Trevi: e Trebula sul confine della Campania e del Sannio: in origine capi luoghi d’una distinta tribù: in osco; come più volte nel sasso di Abella.
- ↑ Lex carseolana. Ovid. Fast. iv. 710.
- ↑ Quidam dux magnus (cioè a dire un Meddix Tuticus) Sabinos de suis locis elicuit, et habitare secum fecit saxosis in montibus. Unde dicta sunt Hernica loca, et populi Hernici. Serv. vii. 684. Dicti sunt a saxis, quæ Marsi herncæ dicunt. Fest. s. v.
- ↑ Agrum quem Volsci habuerunt campestris, plerus Aboriginum fuit. Cato ap. Priscian. v. p. 668. ed. Putsch.
- ↑ Igin. ap. Macrob. Satur. V. 18. 13.
- ↑
... vestigia nuda sinistri
Instituere pedis; crudus tegit altera pero.Virgil. vii. 689. Il pero è una specie di calzare rustico fermato alla gamba con coreggiuoli, ed usato ancora oggigiorno dai montanari di questi luoghi.
- ↑ vii. 684.
- ↑ v. p. 164.
- ↑ Asper, in schol. ver. vii. 684. add. Iuven. sat. xiv. 180. O pueri, Marsus dicebat, et Hernicus olim.
- ↑ Liv. ix. 42.
- ↑ Deinde id oppidum antiqum vidimus, minutulum quidem; sed multas res in se antiquas habet, ædes sanctasque cærimonias supra modum. Nullus angulus fuit ubi delubrum aut fanum, aut templum non sit. Præterea multi libri lintei quod ad sacra adtinet. Deinde in porta, cum eximus ibi scriptum erat bifariam sic flamen . sume . samentvm. Rogavi aliquem ex popularibus, quid illud verbum esset. Ait, lingua hernica pelliculam de hostia, quam in apicem suum flamen cum in urbem introeat imponit. Fronto ad M. Aurel. imp. epist. p. 100.
- ↑ Hinc enim orti stirpe antiquissima, hic sacra, hic gens, hic maiorum multa vestigia. Cicer. de Leg. ii. 1.
- ↑ Varro ap. Dionys. iv. 4. 62.; Tacit. vi. 12.
- ↑ Vedine i disegni dell’opera pittorica di Marianna Dionigi: Viaggi in alcune città del Lazio.
- ↑ Vedi p. 195.
- ↑ Vusculus perdidit Anxur. Enn. ap. Fest. v. Anxur. Perpetua proprietà di queste lingue si era l’adoperare l’U vocale in cambio dell’O che non avevano.
- ↑ Vedi p. 116.
- ↑ Volscos velut sorte quaedam prope in aeternum exercendo Romano militi datos. vi. 21.
- ↑ Osce et Volsce fabulantur. Titinn. ap. Fest. s. v.
- ↑ medix. tvticv: come nella lamina Borgiana.
- ↑ Tota denique nostra illa aspera et montuosa, et fidelis, et simplex, et fautrix suorum regio. Cicer. pro Cn. Plancio, 9.
- ↑ Vedi la lamina volsca soprammentovata scritta alla latina.
- ↑ Vedi i monumenti tav. xiii.; Piranesi Antich. di Cora p. 3. e le tav. i. ii. iii. degli Annali di corris. archeologica per l’anno 1829.
- ↑ Sulla topografia e le altezze principali de’ monti volsci vedi De Prony, descript. hydr. et hist. des Marais Pontius. Norba o Norma ha 431 metri sopra il livello del mare: Cori 430 ec. idem p. 124.
- ↑ Verrugo: verruca: appellativo (osco?) denotante siti aspri e forti. Cato in orig. ap. Gell. iii. 7.; Non. ii. 909.
- ↑ Strabo v. p. 164.
- ↑ Casnar: item ostendit, quod oppidum vocatur Cassinum. Varro l.l. vi. 3.; Festus, De Verb. sign.
- ↑ Sidicinorum is ager inde Volscorum fuerat. Liv. viii. 12. Ed ecco perchè dicevasi Fregelle degli Osci, ἣ τὸ μέν ἀρκαῖον τῶν Οπικῶν. Steph. V. Φρὲγελλα.
- ↑ Strabo v. p. 164.
- ↑ Hoc enim a Sabinis orti Samniles tenuerunt. Varro l.l. vi. 3.
- ↑ V. De Prony, op. citata.
- ↑ V. sopra p. 111.
- ↑ Accessit Italiae aliud miraculum a Circeis Palus Pomptina est, quem locum xxiii urbium fuisse Mutianus ter Consul prodidit. Plin. iii. 5.
- ↑ Pomtia: da cui Pometia, Pometinus, Pomptinus, e per eufonia Pontia, Pontinus.
- ↑ Anxur, quac nunc Terracinae.... oppidum vetere fortuna opulentum. Valer. Antias ap. Liv. iv, 59.; Plin. iii. 5.
- ↑ Dionys. ix. 56.
- ↑ Ufentem fluvium (quod etiam Clanarium est) cuius terras vicinas Thusci aliquando tenuerant. Cato ap. Serv. xi. 316.
- ↑ Ap. Serv. iii. 386.; viii. 10.
- ↑ iii. 5.
- ↑ Hist. plant. v. 9.
- ↑ Odyss. x. 135.
- ↑ Circes domus aliquando. Mela, ii. 4. Vedi sopra p. 116.
- ↑ Cicer. de Nat. Deor. iii. 19.
- ↑ Dionys. vii. 37. ix. 56.; Strabo v. p. 160.
- ↑ Liv. ix. 18.
- ↑ Strabo v. p. 160.
- ↑ Liv. viii. 12-15.
- ↑ Liv. ii. 63. iv. 59.; Strabo l. c.
- ↑ V. Becchetti, Bassi rilievi Volsci, ed i nostri monumenti tav. lxi.
- ↑ Varro ap. Plin. xxxv. 12
- ↑ Interiere sine vestigiis. Plin. 5
- ↑ vi. 12.
- ↑ Vedi p. 161.
- ↑ Ultra Circeios, Osci, Ausones. Plin. iii. 5.
- ↑ Odyss. x. 89-134.
- ↑ ii. 26.
- ↑ vi. 32.
- ↑ Dov’è Rocca Monfina.
- ↑ Suessa-Pometia: Suessa-Aurunca: Suessula.
- ↑ Livio ix. 25, dice Ausoni alla greca.
- ↑ Liv. viii. 16.
- ↑ Strabo v. p. 160.; Plin. xiv. 6.
- ↑ Plin. ii. 95.
- ↑ Serv. x. 564. vii. 1.; Plin. iii. 5., viii. 29.; Solin. 8.; Festus v. Formiae.
- ↑ Più anticamente Clanis come l’Uffente. Strabo v. p. 160.; Plin. iii. 5.
- ↑ Strabo v. p. 161.
- ↑ Serv. viii. 799.
- ↑ Strabo v. p. 156. All'opposto i favolatori che seguiva Dionisio (ii. 49) riferivano mattamente il suo nome al laconio Pharae.