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CAPO XI. 241

fola di romanzo che non spacciassero i Greci intorno a questi luoghi, sì prossimi alla Campania, dove di gran tempo avean sede. Per le loro narrazioni erano città greche fondate dai Laconi o nel tempo eroico, o in quel di Licurgo: avean tolto il nome dalla balia d’Enea o di Creusa: in fine col solito corredo di etimologie sognate teneano altri titoli e origini superbe1. Queste cose le dicevano i Greci; le credevano i grammatici; e le ripete in parte anche il savio Strabone: ma egli è troppo lagrimevole abuso di tempo il trattenersi in confutare siffatte finzioni di romanzieri, privi ugualmente e di vaghezza e di senno. Domati gli Aurunci vennero anch’essi, ultimi di tutti, compresi dai Romani nel Lazio legale e politico, che di tal modo s’estese dai contorni del Tevere insino al placido Liri2; il qual sorgendo dall’alto Appennino scorreva pel paese dei Volsci nutrito d’altre acque nel suo corso; passava per mezzo a Minturna; e traversando il sacro bosco di Marica e la prossima palude gettavasi con larga foce in mare. La stessa Marica dea indigena e locale di Minturna3; Giove fanciullo, cognominato dal luogo sotto sua tutela Anxurus4; Feronia similmente indigena5, e al pari

  1. Serv. x. 564. vii. 1.; Plin. iii. 5., viii. 29.; Solin. 8.; Festus v. Formiae.
  2. Più anticamente Clanis come l’Uffente. Strabo v. p. 160.; Plin. iii. 5.
  3. Strabo v. p. 161.
  4. Serv. viii. 799.
  5. Strabo v. p. 156. All'opposto i favolatori che seguiva Dio-