Saggi poetici (Kulmann)/Parte seconda/La storia della valle
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LA STORIA DELLA VALLE
Discesa dalla stirpe
D’Ellade la più antica,
In Aspledon — la cuna
Delle Grazie, fioriva
5Elisa, maraviglia
Di virtude e bellezza.
Il mondo mai non vide
Alma più pura e bella,
Sublime e in un modesta.
10Le recavan in dono
Le arti e le scienze i frutti
Delle lor lunghe veglie,
E s’ella con sorriso
Approvator li accolse,
15Entravan con fiducia
L’arduo e sdrucciolevole
Sentiero della gloria.
Ma più ch’all’alte scienze,
Della Natura intente
20Ad indagar gli arcani,
E più ch’all’arti vaghe,
D’abbellire capaci
Con lor magico scettro
Ogni menomo oggetto;
25Elisa dedicossi
A sollevar gli affanni
De’ miseri mortali.
Quale Flora al ritorno
Di lieta primavera
30Sparge sui morti campi
Con savia mano a mille
I variopinti fiori;
Tale Elisa consola,
Prospera, aita, e sparge
35I semi di ventura
Felicità costante.
Da tanti pregi acceso
Il glorïoso duce
De’ Tessali guerrieri
40Divennele consorte.
Ma per difesa altrui
Spesso lasciarla ei deve.
Di sua assenza dolente
Elisa abbracciar vuole
45I genitori suoi.
Quai dolci e care idee
Le smuovono la mente
Allor che nella estiva
Pompa loro rivede
50Le pittoresche sponde
Del superbo Cefiso.
Qual veloce farfalla
Allo splendor dell’alba
Vola da fiore a fiore,
55Non riposando mai;
Tale Elisa percorre
Ora i fioriti campi,
Ora i vezzosi colli,
Or le armoniose selve,
60Or rauche cateratte:
Il cor, che non oblía,
Subito li ravvisa
E pargli, che sovra essi
In magico splendore
65Sulle ali porporine
Si librino le grate
Ombre de’ dì passati.
Gli abitator, sorpresi
All’abbagliante pompa
70D’Elisa e di sua scorta,
Manifestar non osano
Il giubilo dell’alma;
Ma tosto che ne’ sguardi
Della Reina scorgono
75Che ’l di lei cor nel lusso
Di doviziosa corte
In niun modo cambiò;
Alla gioja ogni freno
Sciolgono lieti, e un coro
80Di giovani donzelle
Così la voce snoda:
Te salutiam, Reina!
Te che ’l nido natio
E ’l placido Cefiso
85Bramasti riveder.
Benchè men chiara splenda
Nel ciel Venere, donna
Della stellante torma,
Che tu sull’alto tron;
90Pur il tuo cor la patria
Non obliò lontana:
E tu, de’ pensier nostri
Fosti la meta ognor.
Qual con fiducia appende
95La rondine vagante
Della prole la cuna
Degli Dei alla magion;
Tale la speme nostra,
Ed in acerbi tempi
100Tutte le nostre mire
Giraro intorno a te.
Ma come se l’alma Ebe
Da sua magica coppa
Subito infuso un nuovo
105Avesseci vigor:
Più ratto nelle vene
Ne corre il lieto sangue,
E rimiriamo intorno
Tutto in roseo color.
110Ti salutiam, Reina!
Te che ’l nido natio
E ’l placido Cefiso
Bramasti riveder.
Così cantò giuliva
115La giovinetta turba.
I dì le parean ore
Ai genitori intorno.
Un giorno, allo spuntare
Del sol, tre leggiadrissime
120Barchette la Sovrana
Aspettano sull’onde
Del superbo Cefiso,
Acciocchè la conducano
Lungo le vaghe rive
125Del Copaico lago,
Fin a quel luogo dove
Con orrendo fragore
Si precipita tutto
In un immenso abisso.
130Intanto la Reina
In una barca assisa
Il Cefiso conduce
All’entrata del lago.
La Sovrana salutano
135Qui l’Orcomeno antico,
Signor delle pianure;
Là su declive monte
La nuova Cheronea
Dall’alte e bianche mura,
140Leggermente velate
Da diafani vapori.
Ed ecco il taciturno
Mela da canne cinto,
A cui d’intorno s’ode
145Dell’usignuolo il canto,
Mescer sue limpid’onde
Coll’abbrunato lago.
In qualche lontananza
Sorge graziosamente
150Il tempio di Minerva
Fra ridente boschetto
E sovrastanti sassi
Che pittoreschi rendono
Cespugli qua e là sparsi,
155E ben cento zampilli.
Passato quest’ameno
Ed attraente sito,
S’ode già lo tremendo
Strepito dell’Ercinia
160Immensa cateratta.
Dell’Elicon canuto
La bella prole, Ercina,
Disprezzando del saggio
Genitore gli avvisi,
165Si unì del sacro Pindo
Al torbido nepote,
L’impetuoso e fiero
Falarisse, ed or vittima
Infelice di cieca
170Ambizione qui viene
Terminare suo breve:
E tristissimo corso,
Slanciandosi nel lago.
Ella dall’alta ripa
175Precipita le gialle
Onde sue, con fragore
Che rassomiglia al tuono,
In tre large cascate.
Elle fra sè divise
180Son da enormi risalti,
Cui dier forme bizzarre
I rosicchianti flutti.
Niun fior, niun’erba veste
Quei sassi, ognor bagnati
185Dalle acque ridondanti;
Ma ambidue le sponde
Della total caduta
Smaltate son dall’alto
Al basso di fior mille,
190Frammisti d’arboscelli
Dalle nerette foglie
E dai purpurei frutti.
Formato ch’ha, dall’alto
Cadendo il rio tre archi
195Di lucidissimo oro,
Egli, riunito, piomba
Sovra marmoreo banco,
Che in due metà divide
Quasi eguali l’altezza
200Della caduta intiera.
Qui tutte l’onde accolte
In un medesmo scavo,
Ripercosse dal sasso,
Spumeggianti rimbalzano,
205E, smisurato nappo,
Con strepito tremendo
Si affondano nel lago.
Allo stuol navigante
S’apre innanzi e si stende
210Vastissima vallea.
Qui la cuopre di spighe
Un verdeggiante mare,
Che sotto al piè de’ venti
Aureo vapore esala;
215Là pecorelle sparse
Pascono l’erba intorno
A solitarie piante,
O al suon della zampogna
Seguono in dense file
220Il mastin condottiero
Ad altra prateria.
Di qua, di là si vede,
Quale isolotto in mare
O in arido deserto
225Un’öasi ridente,
Altifrondoso bosco
Con placidissim’ombre.
Appiè d’alte montagne
Che toccano le nubi,
230Pompa fa Coronea,
Delle feste superba
Che nel suo giro ogni anno
Adunano di Cadmo
La numerosa stirpe.
235Alla cittade in vetta
Maestoso risplende
Il tempio di Minerva,
Sede diresti argentea,
D’onde la Dea rimiri
240Le triennali feste.
Ecco Alalcomene,
Nè città, nè giardino,
Ma d’ambidue ridente
E vaga mescolanza.
245Sorgono a poco a poco
Pargolette colline
Sì presso al lago azzurro,
Che l’onda riflettente
Qua e là bagna lor piede.
250De’ colli le pendici
Dolcissime fan mostra
Degli abbondanti doni
Di Cerere benigna,
Mentre che l’alte cime
255Vantano quei di Bacco.
In seno a questi colli
Stendesi vasta vasta
La grotta delle vaghe
Copaïche Najadi.
260Non havvi grotta al mondo
Che disputarle possa
Il pregio di bellezza.
Al limitare innanzi
Sorge dal trasparente
265Fondo dell’onde fredde
Mormorante zampillo
D’acqua calda e bollente,
E manna argentea sembra
Con ricadenti spiche:
270Ei tutt’intorno sparge
Soavissimo odore.
Nell’interno dell’antro
Le pareti somigliano
A splendido zaffiro;
275Sostengono la vôlta
Bizzarre alte colonne
Di lucido diamante;
Germogliano nel suolo
Cento spontanee piante
280Ed alberi, ch’invano
Cercherïansi in altro
Luogo del vasto mondo;
Di qua di là coperti
Stan di musco i sedili,
285Ove, dai giuochi lasse,
Cicalando riposano
Le giovanette Ninfe.
Compiesi la catena
Delle vaghe colline
290Da antichissima selva
Sovra sassosa punta
Che s’inoltra nel lago.
Varcato appena il bosco,
In semicerchio scorgesi
295La vezzosa Ocalea.
Con uno sguardo solo
Scopri le lunghe ed ampie
Sue vaghissime strade
L’una sull’altra alzarsi.
300Le signoreggia tutte
In cima al monte l’alta
Acropoli vetusta,
Che fra le nubi ascondesi.
Con remi affaticati
305Ora fendon le barche
L’onda ritrosa e pigra
Del lentissimo Lofi.
Diresti tu quell’onda
Simile a molle cera,
310Che dell’azzurro lago
Galleggiando sull’acque,
Ostinata parea
Rifiutarne gli amplessi.
Ecco, vicina al lido,
315In tristo e muto campo,
Tra squallida palude
Gigantesca colonna
Giacer mezzo coperta
Da canne e ruvid’erba.
320Qui, così vuol la fama,
L’insaziabile rege
Della vasta Ocalea
Nell’ira al minornato
Fratel tolse la vita,
325Al furargli quel campo,
Povero patrimonio
Che gli assegnaron gli avi.
Trucidato il fratello,
E bruciata l’antica
330Modestissima stanza,
Ei, monumento eterno
Di sua vittoria eresse
Quell’orgoglioso marmo.
Ma Giove, d’ogni ingiuria
335Vendicator tremendo,
Abbattè fulminando
Pria l’orrido trofeo,
Poi l’esecrabil mostro,
Di sua già glorïosa
340Stirpe ultimo rampollo,
E subito fe’ cenno
Ai sotterranei fonti
D’alzarsi immantinente,
Ed inondando il campo
345Cangiarlo in insalubre
E sterile palude.
Sta il sole nel meriggio.
Ecco città novella,
Grandïosa ed immensa,
350La ridente Alïarte
Sorger sull’otto sponde
Del limpido Permesso.
Nato sull’alta cima
Del nevoso Elicona,
355Ei con innocuo corso
Or dell’agricoltore
L’auree messi traversa
Or del pastore allegro
I risonanti prati;
360Qui di barchette e navi
Numerose coperto,
Ei, fra marmoree sponde
Di bei palagi adorne,
Maestoso trascorre
365Della Tebe Cadméa
La crescente rivale.
Qual dolce zeffiretto
Con odoranti penne
I naviganti alletta?
370Tutta l’aria diresti
In ambrosia cambiata!
In piccola distanza
Della cittade sorge
Isolata collina.
375Da tre lati ella è cinta
Da vezzoso mirteto,
Sol libera è la vista
Verso l’azzurro lago.
Dall’alto al basso il poggio
380Vasto piano ti sembra
De’ più leggiadri fiori:
In cima a quel si vede
Di biancheggiante marmo
La tomba d’Euriclea.
385Dall’età fanciullesca
Sacerdotessa a Vesta,
Ella la breve vita
Tutta spese benefica
In atti di pietà.
390La vedova affannosa,
La timid’orfanella,
Le furo madre e suora,
Le furono fratelli
I miseri che s’ebbero
395Nemica ognor la sorte.
Discesa dalla stirpe
Regia di Cadmo e erede
D’innumeri tesori,
Ella mai non conobbe
400Diporti ovver riposo.
Con generosa mano
Ogni terrestre pena
E dolore alleviando,
La sua purissim’alma
405Co’ Dei viveva in cielo.
A sua tomba d’intorno
Incessante risuona
L’armonïoso canto
D’imperturbati augelli,
410E ne’ giorni festivi
La strepitosa gioja
D’innumeri fanciulli
Della città vicina.
Volgesi di repente
415De’ naviganti il guardo
Inverso il lato manco.
Là, solitaria sorge
In mezzo all’onde, vasta
Meravigliosa roccia,
420Tutta intorno vestita
Da ricchissimo ammanto
Di verdissimo musco.
Ne’ dì lunghi di state,
Allor che regna pace
425Nell’imperio de’ venti,
Numerosi delfini,
Molti augelli presaghi
Dell’orrende tempeste,
Abitan questa mole,
430A cui piedi l’audace
Alcion confida all’onde
Innocenti la cuna
De’ mezzonudi figli.
Sul pittoresco lido
435D’un vastissimo golfo
Risplende Oncheste sacro:
Riflette il puro speglio
Dell’onde limpidette
Di Nettuno l’antico
440Tempio e sacrato bosco.
E del golfo nel fondo
Alzasi Medeone
Cinto di bianche mura,
E signoreggia cinque
445Amenissime valli.
Antica fama vuole,
Ch’ivi in leggiadra villa,
Che già Cadmo fondava,
Coi bellicosi amici
450Stette ne’ mesi estivi,
Scorrendo le foreste
Inospitali, a struggere
Crudelissime fiere
Ch’ivi tenean la sede.
455Ma tosto i tralignati
Successori leziosi
Abbandonâr l’avito
Soggiorno agreste, e tosto
Col lungo volger d’anni
460Tutto cadde in rovine.
Ma che mai non abbella
L’inesausta Natura?
In mezzo all’aure stanze
Della crollata villa,
465Figli di polve e fango,
Ecco platani alzare
L’ombrifere lor teste
Sull’antiche pareti,
Cui tutte le aperture
470Tenace edera cinge;
Qual lunghissimo serpe
Dalla variata pelle,
Musco da vive tinte
Empie le molte e lunghe
475Crepature del muro.
Signora del castello
Rovinato e deserto
Sembra la passeggiera
Gru romita, che l’ampio
480Suo nido vi nascose,
E con crudo governo
Signoreggia le vaste
Circondanti paludi,
Ch’abita l’innocente
485Altogracchiante rana.
Spaventevoli echeggiano
Qui l’onde rinascenti
Del lago oltre que’ monti,
Cui dal rapito amico
490Ercole diè nome Ila.
Esse del lungo giro
Nel cavernoso seno
Di monti alpestri stanche,
Qui spalancan le porte
495Del notturno lor chiostro
Con orrido fragore,
E ricercan bramose
L’alma luce del giorno
Da spelonche spaziose,
500Che di Natura apriva
La man possente, sgorgano
Impetüose, e orrore
Alle pacifiche acque
Inspirano del lago,
505Sì che raccapricciante
Fuggon lontan lontano.
Qui le barche leggiadre
Abbandonâr la spiaggia
Meridional del lago.
510Pïetoso lo stuolo
De’ naviganti inchinasi
Innanzi al sommo Giove,
Che l’alte cime alberga
Del nebuloso Ipato;
515Poi parte delle vele
Spiega al vento che levasi
E increspa l’onde chete
Accelerando il corso
Per arrivare al capo
520Consacrato ad Apollo,
Pria che l’oscura, all’uomo
Nemica notte cada,
E si stenda sul lago.
«Là negli antichi tempi
525(Così ’l canuto nauta
A raccontare prese
All’alta Passeggiera,
Le mostrando uno stagno)
La dimora sorgeva
530D’incantator malvagio,
Mole vasta e superba
Che ammalïava gli occhi.
Tosto ch’uno straniero
Entrava nel dominio
535Dello stregon crudele,
Trasformato venia
In rabbïoso lupo,
O in feroce cinghiale
Od in orribile orso.
540Un dì, del luogo ignara,
Un’orfanella entrovvi.
L’incantator fallace,
In forma di fanciullo,
Subito fessi innanzi
545A lei, e la condusse
Alla vezzosa casa,
Che splende al par del sole.
L’orfanella tremante
E sbigottita segue
550Il condottier fanciullo.
Ed ei, per via, cangiato
In gigante, sogghigna,
E dietro a sè strascina
La giovin grata preda.
555Ella subito gli occhi
Alza al cielo propizio,
E ad alta voce esclama:
«Venite al mio soccorso,
Onnipossenti Numi,
560E me dall’empie mani
Del rapitor salvate!»
Ecco, la terra intorno
Orribilmente trema,
E l’orfanella, in forma
565Di candida colomba,
Sen vola all’alte cime
Del non lontano Ipato,
Dove de’ Numi il padre
E de’ mortali alberga;
570Mentre dell’empio mago
Lo splendente palazzo
È dal suolo inghiottito,
E tutto il suo dominio
Si cangia in uno stagno
575Ch’ha l’onde e sozze e nere,
Che fuggon paurosi
E gli uomini e le fiere.»
Così ’l piloto disse....
O luogo di bellezza
580Che non può degnamente
La parola laudare,
E che improvviso allegra
L’occhio che ’l guarda e ammira!
Si mostrano vicine
585Alla riva del lago,
Che infauste roccie asconde,
Due isole d’altissimi
Platani coronate,
La cui fresc’ombra e grata
590Invita i naviganti
Da cocente calore
Del sole stanchi, a scerre
L’ampissimo passaggio
Che fra di loro ameno
595Ed ospitale si apre.
Varcato ch’han l’ingresso,
Eccoli ’n mezzo ad otto
Isolette vezzose,
Che, quale smisurata
600Grotta ombrosa, rinchiusi
Tengonli tutto intorno:
Chè a prima vista invano
Cerchi uscita qualcuna
Da quel chiuso ricinto,
605Che par che non s’unisce
In verun modo al lago.
Ma dell’error piacevole
Tosto disingannati,
Essi rientrano lieti
610Dall’agguato nel lago,
Per una delle tante,
Benchè torte, sicure
Uscite, che separano
Ogn’isola dall’altre
615Che le giaccion vicine.
Ecco una valle angusta,
Ma vaga e in un pomposa,
Che dolcemente china
Fra discoscese mura
620D’alte montagne giace.
Rimangon le vestigia,
Che ne’ trascorsi secoli
Ivi in ristretta cuna
Scorresse un fiume rapido,
625Figlio di nevi alpine.
Ma coll’andar del tempo
Che tutto cangia, il fiume
Sparì, l’abbandonato
Da lui sabbioso letto
630Si coprì con ammanto
Ricchissimo di fiori
Aurati e porporini,
Che leggiadro contrasta
Con l’erba sempre verde
635Onde coperti miri
Da capo a’ piedi i monti
Che sorgongli d’allato.
Ma sovra questi innalzansi
Altri monti, e su quelli
640Altri più eccelsi ancora
Che fra le nubi ascondonsi.
Or mirate quel grande
Ardimentoso ponte,
Che d’una all’altra sponda
645Della valle si slancia!
Là, dirimpetto l’una
All’altra, nel principio,
Si sporgeano due rupi;
Ma improvviso tremuoto,
650Con furore scuotendo
Montagne e valli, stacca
Dalle superne cime
Smisurato macigno.
Ei con assordatore
655Scoppio dalle eccelsissime
Precipitò pendici,
Ed empie tutto il vuoto
Delle sporgenti rupi.
O miri cambiamenti
660Del tempo onnipossente!
L’antico ondoso letto
Di fiume, un dì fremente,
Ora, secco e di bosco
Ombroso ricoperto,
665Di placido covile
Serve a quelle cervette
Ch’impavide e briose
Seguitare vediamo
La madre che le guida
670Alla vicina sponda
Del limpidetto lago,
Ove, coi piè nell’acqua,
Acquetano la sete.
O magico novello
675Fenomeno stupendo!
Scostandosi dal lido
Del lago, vieppiù sparso
Di perigliosi scogli,
Or a fior d’acqua ed ora
680Dall’onde infide ascosi,
I naviganti tosto
Attorniati si veggono
Dall’un e l’altro lato
Da ridenti isolette,
685Che, non fra lor discoste,
Appajono quai foci
Di poderosi fiumi.
S’inoltrano le barche
E vedono, stupite,
690Che quasi ad ogni colpo
Del remo si discostano
Quell’isole incantate;
Celeri retrocedono,
Finchè velate restano
695Dai diafani vapori
Che innalzansi dal lago: .
Si dileguano agli occhi,
Qual nuvolette tenui
Che ’n aria si disfanno.
700Ecco quel diffamato
Spaventoso recinto,
Ch’ogni navigatore
Schiva con sommo orrore!
Colà, la fama dice,
705Ne’ primi dì sereni
Dell’alma primavera,
In mezzo all’alte canne
Onde l’isola è cinta,
Radunansi tremendi
710I numerosi serpi,
Abitatori infesti
Del lago e de’ contorni
Guai all’incauto nauta
Che ’l piè ponesse allora
715In quel lido funesto!
Un giovin pescatore,
Ignaro del periglio
Od oltremodo audace,
Ne’ dì che ’l sol si ferma,
720Approdavi coll’alba,
Ed attaccato ch’ebbe
Ad un tenace giunco
La sua frale barchetta,
Osa varcar l’infido
725Paludoso recinto.
Ma chi dire potrebbe
Lo gelido spavento
Ond’assalito viene
AI rimirar migliaja
730Di pelli variopinte,
Fra di loro diverse
Di forma e di colori,
E ’n mezzo a loro alzarsi,
Qual mobile colonna,
735Un angue smisurato,
Custode delle spoglie.
Tornò, tra vivo e morto,
Alla barca correndo
L’avventurier tremante,
740E non osando indietro
Volgere solo il guardo,
Rivenne al patrio tetto.
Deh! mirate quegli alti
Due monti, verno e state
745Da scintillanti bende
Di neve coronati,
E ’n mezzo a loro un colle
Di brillante verdura!
Qui si vede Agrafia,
750Città novella e posta
Sovr’eminente poggio,
Appiè del qual si stende
Foltissimo querceto.
La città s’assomiglia
755A veloce vascello
Colle spiegate vele,
Che rischiarato ancora
Viene dal sol cadente,
Mentre già l’atra notte
760Stende l’ali sul mare.
Ecco due promontorj
(Fine o principio d’aspra
Catena di montagne)
Sporger sublimi in fuori
765Dal rïentrante lido,
E discendendo a grado
Ingolfarsi nell’onde.
Ei formano profonda
E dilettosa baja,
770Ch’ognor solcata viene
Da numerosi cigni.
Altri vedi che vagano
In disegnando cento
Vezzosi andirivieni!
775Altri con amorosa
Pazïenza ammaestrano
La tenerella prole;
Altri, all’incerta fede
Fidandosi dell’onde,
780Col capo sotto l’ale
Non curanti e tranquilli
S’abbandonano al sonno,
Mentre solo soletto,
Qual vigilante guardia,
785Sulla spiaggia renosa
Immoto sta in un piede
Il vago fenicoptero
Dalle purpuree penne,
E dalla variegata
790Grazïosa cervice.
«Distingue l’occhio tuo,»
Così disse il piloto
Alla lieta Regina,
«Quel gruppo d’isolette,
795Ch’ora il sole, al ponente
Chinandosi, rischiara
Per mezzo de’ leggieri
Vapor, che ’l lago esala?
Direbbersi tre cigni
800Dalle candide penne,
Tre Veneri leggiadre
Sorte dal sen dell’onde!
Oscura fama dice,
Che nel principio fossero
805Nudi e ruvidi scogli.
Cui la spietata morte
Rapì nel fior degli anni
L’unica di lei figlia,
La generosa quanto
810Leggiadra Cariclea;
Lasciata l’ampia Tebe,
E per dimora scelti
Que’ solitarj scogli.
Stentò con istupenda
815Magnificenza ed arte
A fabbricarvi un vago
Ricchissimo palagio
In mezzo a bei giardini,
Ascendenti in terrazzi
820E abbondanti di fiori,
D’augelli e d’ogni oggetto,
Ch’altre volte faceano
L’impiego, le delizie
Della perduta prole,
825La cui tomba tu vedi
Quasi vision celeste
In sulla vetta starsi
Dell’isola maggiore,
Ch’ha nome Isola bella.
830Un’altra vien chiamata
Isola madre. Approdano
Nella bella stagione,
All’ore meridiane,
Alla terza talora,
835Ch’è la minor di tutte,
I pescator, con gaja
Cantilena pagando
D’ospitalità i doni,
Onde la chiaman Isola
840De’ Pescatori i providi
Cultori, che seguendo
De’ buoi ’l lento passo;
Rompono coll’aratro
Le negre e dure zolle
845Della ferace sponda
Opposita del lago.»
Là, sull’eccelsa vetta
Di solitario monte,
Donde l’intero lago
850E le sue vicinanze
L’occhio ad un punto scorge,
Appajon due castelli
A mezzo rovinati.
Anticamente quivi
855Signoreggiava un Sire,
Ch’era de’ suoi vassalli
Dispietato tiranno:
Egli Atteon nomavasi.
Preferiva il crudele
860Ai sudditi le fiere,
Con cui nelle foreste
Stavasi state e verno.
Il villanel non osi
Dal suo campo fugare
865Il cervo, che divora
La già matura messe.
Un dì l’ultimo figlio
E ’l solo ancor vivente
Di vedova attempata,
870Oltrepassar vedendo
Uno stuolo di cervi
La siepe dell’avito
Camperello meschino,
L’ira frenar non puote,
875E della torma il duce
Incontanente uccide.
Ma sul confin del campo
Inopinato appare
Il dispietato Sire.
880Con ira rattenuta
Il corridor ritroso
Forte spronando, ei ’l forza
A saltare la siepe
E calpestar la messe
885Che già la falce aspetta.
Raggiunto l’uccisore
Impallidito e immoto,
Nel molle cor gli pianta
L’acuta ferrea lancia.
890Vede la genitrice
Cader l’amata prole,
E nel suo duolo esclama:
«Potessero te, o mostro
Smembrare i proprj cani!»
895Immantinente il cielo
Compì ’l materno voto.
È trasformato l’empio
In un cervo, tremante
E pavido sen fugge
900Alla vicina selva;
L’inseguono latrando
I furibondi veltri;
In breve dalla selva
Risuonano le strida
905E i gemiti del mostro,
Che da suoi cani istessi
Dilacerato viene.»
Qual rovesciata barca,
Che dal lido lontana
910Lanciò, qual lieve paglia,
Furiosa burrasca, —
Ecco sul lago alzarsi
Un leggiadro salceto,
Cui i pieghevoli rami
915Si ricurvan foltissimi
A tuffarsi nell’onde,
Quella vaga isoletta
Se credi agli occhi tuoi,
Galleggia, ed a seconda
920Dell’onde vien portata!
Ella ne’ dì dell’ignea
Canicola difende
Numerosi conigli,
Che, su leggiere scorze
925Di betula imbarcati,
Vi approdano sicuri,
Lieta e vezzosa flotta,
Che l’amorosa lena
De’ pïetosi zeffiri
930Scherzevolmente spinge.
Ora che già s’inchina
Il sole ver l’occaso,
Ecco l’imperïale
Aquila dalle piume
935Dorate attraversare
Da banda a banda il lago.
Essa ne’ campi azzurri
Del cielo vola tanto
In su per le serene
940Nubi disperse, quanto
Sono esse in su dell’onde
Pacifiche del lago,
Che nel chiaro suo seno
Ne riflette le forme.
945L’augel dominatore,
Poi ch’ha compito il suo
Volo proteggitore
Dell’aligero stuolo,
Ritorna del gran Giove
950Alle sublimi stanze,
Che sulla sacra cima
Sorgono dell’Ipato
Dal selvoso pendio
Sempre di nebbia cinto.
955Ecco il canoro stuolo
Intonar di concerto
Un inno pien d’amore,
Mentre, quale un araldo
Dall’assemblea spedito
960La lodola sonora
S’alza sin alle nubi
Per salutar l’amato
Sovrano al suo passaggio.
Salute, veneranda
965Antica Erculea sede!
Mirate quella roccia,
Che in mezzo all’onde sorge!
Là, ne’ secoli andati
Onde sol tenue fama
970Fra i viventi rimane,
Spesso veniva Alcide,
Al tramontar del sole
L’atre selve lasciando,
Ch’allora tutto il lido
975Copaïco ingombravano,
Per ristorarsi alquanto
Dopo l’atroci zuffe
Contro l’orride fiere
Onde purgò il paese.
980Ei, respirando l’aura
Soave della sera,
La destra ancor grondante
Di sangue in l’onda pura
Immergeva, e alla rupe,
985L’alta, clava appoggiava;
Che, coll’andar degli anni
Cangiata in sasso, ancora
Ai dì nostri vediamo
Sulla rocca giacente.
990Or nella lontananza
Splendon le verdi cime
Del gigantesco Ptoo,
E dietro a loro assai,
Le culminanti punte
995Dell’azzurro Messapo,
Che terrazzo sublime
Pajono ovver scalee,
Che gli Dei si formaro,
Allor quando dall’etra
1000Discendono benigni
A visitar la terra
O che trascorso l’orbe,
Tornano alle dorate
Olimpiche lor sale.
1005Nel lago, alla distanza
Che rapido nell’aria
Percorrerian tre frecce
Da possent’arco spinte,
Il navigante stuolo
1010Scorge un’isola ovale,
Tutta da banda a banda
Ricoperta di svelte
E altissime colonne,
L’una dell’altra accanto
1015Senz’intervallo poste.
Sol al ponente appare
Aperto un largo varco,
Ingresso pittoresco
Di misteriosa grotta.
1020Intorno a lei, nell’ora
Del tramonto del sole,
S’affollano del lago
Le tumid’onde, allora
Da subitanea nebbia,
1025Quasi da roseo velo,
Coperte intorno intorno.
Esse così trasportano
Loro Signore, il Genio
Del lago, in misteriosa
1030Barca da niun veduta,
Alla sua solitaria
Magnifica dimora.
Ei là, su molle strato
D’odorifero museo,
1035Passa l’estive notti;
Ma subito che ’l cielo
A imbiancarsi comincia,
Ei nel veloce schifo,
Tra la sorgente nebbia,
1040Di bel nuovo ritorna
Alla lontana grotta
Delle Naiadi, allegre
Abitanti del lago,
Con cui fra i risi e scherzi
1045Stassi fin alla sera.
Passato un promontorio
Da tre quercie adombrato,
Ond’egli tiene ’l nome
Di Punta delle quercie,
1050Scuopresi incontanente,
In mezzo alla pianura,
Un dilettoso colle.
Scendono dalle dolci
Floride sue pendici
1055Con grato mormorio
Numerose sorgenti,
Che serpeggianti corrono
Dalla vallea al lago.
In cima al lieto colle
1060Sorge di Febo il tempio
Cui l’origin si perde
Nella notte de’ tempi.
Ei, dice antica fama,
Fu costrutto nell’era
1065Di Deucalione e Pirra,
Ed opera è stupenda
Delle Ciclopee mani.
Essi lo fabbricaro
Con smisurati sassi
1070Senza cemento alcuno.
Ei ride degli uniti
Sforzi distruggitori
Degli elementi ed anni.
Qui le vezzose barche
1075Giungon la spiaggia lieta,
Il giugnere temendo
Della veloce notte.
Sulle cerulee vette
Del delfico Parnasso,
1080Siede Sovran del mondo
Il vespertino sole
In manto di diamante.
A’ suoi piedi si stende
Sull’onde chete chete
1085Del silenzioso lago
Ricchissimo tappeto
Di topazi tessuto
E di cangianti opale.
Sul lido aquilonare
1090Del lago, or rischiarate
Dai moribondi rai
Momentanei dell’astro,
Di Copa a Febo cara,
D’Etta e d’Almon le mura
1095Brillano quali immensi
Rottami di ters’auro;
Ed il sassoso monte,
Che dietro a loro sorge
Fra verdeggianti colli,
1100Sembra celeste muro
Che crollando rimase
Sospeso sulle cime
D’un incantato bosco.
Ma apparve e poi spario
1105L’incantatrice scena:
Già l’Alba vespertina
Campi e colli ricopre
Con rugiadoso velo.
Già sulle cime Eubee
1110La mesta Notte appare,
Nelle braccia tenendo
La minornata prole:
Poco fa, la diletta
Figlia brillava ancora
1115Di tutto lo splendore
Di gioventù fiorita,
De’bmortali fissando
L’ammiratore sguardo;
Ora di giorno in giorno
1120Ella visibilmente
Diviene meno e meno,
Già le sta l’atra Morte
Minacciosa alle spalle.
Odesi nel silenzio
1125Della serena notte,
Quale lontano tuono,
Qui l’incessante e sordo
Scoppio del vasto lago,
Cui l’onde, riserrandosi,
1130Piombano in un profondo
Abisso spaventoso,
Ch’uom misurar non puote.
Spettacolo imponente!
Nel ciel sereno e sparso
1135Sol qua e là d’alcune
Diafane nuvolette,
Scoppian di quando in quando
Chiarissimi baleni
Non seguiti da tuono.
1140Essi di repentina
Abbarbagliante luce
Tutto da banda a banda
Rischiarano l’oriente,
E delle stanze Olimpiche
1145Spalancando le porte,
Ne svelano talmente
La più remota parte,
Che l’occhio de’ mortali
Con paurosa gioja
1150Spera ad ogni momento
Mirar sull’alto soglio
Lo stesso eterno Giove.
Lo stridulo susurro
D’innumere cicale
1155E ’l melodioso canto
Dell’usignuol romito
Addormentar bentosto
La giovine Sovrana,
E ridenti e leggiadri
1160Placidissimi sogni
Abbellir suo dormire
Sulla terra natia.
Ma quando il dì nascente
Discolorò la luna,
1165E in roseo cielo apparve
L’alba coll’auree dita,
Un armonioso coro
Di lodole dagli occhi
Della Sovrana scaccia
1170Le immagini notturne,
E sull’avito suolo
La saluta con giubilo.
La Regina risolve,
Costeggïando il lago,
1175Andarne coi seguaci
Colà dove quell’onde
Dispariscon cadendo
In uno smisurato
Baratro senza fondo.
1180Benchè profondamente
Dorman nell’aure i venti,
Crede l’attento sguardo
Vedere, ovver s’avvede,
Che dell’immoto lago
1185L’acqua la più vicina
Al lido, a poco a poco
A muoversi cominci.
A picciola distanza,
Ma quasi suo malgrado,
1190Cambia l’usata sede;
Un poco più lontano,
Forma già neghittosa
E languida corrente;
Pochi momenti dopo,
1195Eccola trasformata
In placido ruscello,
Da mormorante rio
In rapido torrente,
In fiume strepitoso,
1200Che ’l suo letto bentosto
Visibilmente allarga,
E le fiumane imita
Di gigantesco aspetto,
Che dell’Oceano immenso
1205Sono alimentatori,
O creator superbi
Si vantano di qualche
Mediterraneo mare.
A gran distanza ancora
1210Dall’orrendo baratro,
Sorge dal sen dell’acque
Triplicata catena
Di scogli nudi e negri,
Qual providi custodi,
1215Un ultimo soccorso
A porgere disposti
A temerarie navi
O del periglio ignare,
Ch’avventurate siensi
1220A quel punto fatale!
Corron tra loro a gara
Le rapid’onde a torme
A lor perdita omai;
Chè, chinandosi a un tratto
1225Il letto qui del fiume,
Il corso lor, la forza
Ed il tumulto aumenta.
Non lungi al nero abisso,
Nel canal già ristretto
1230Del lago, cui le sponde
S’avvicinano, un alto
Aguzzo scoglio giace,
E par crollata parte
Non picciola d’un monte,
1235O piramide eccelsa
Che rovesciò tremuoto.
Egli l’onde separa,
Lasciandone una parte
Alla caduta andarne,
1240E discostando l’altra
In modo di salvarla,
Come il vuole e il desia
Il faretrato Febo.
In secoli rimoti
1245Il Copaïco lago,
Da liquefatte nevi
Ed incessanti pioggie
Oltra misura gonfio,
Nello spazio di breve
1250Notte estiva talmente
Straripò, che le molte
Città vicine o vennero
Inondate e sommerse,
O sovra i flutti appena
1255Ne appariano le cime.
Già temerarie l’onde
S’innalzando batteano
I fondamenti eccelsi
Del delubro di Febo,
1260Quando l’irato Nume
Dalla sua stanza uscito,
Gli occhi qual foco ardenti
Girò tutt’all’intorno,
E la cara non vide
1265Copa che diede ’l nome
«Al lago, nè Cirtona;
E della ricca Almona
Sol vide gli aurei tetti:
Le cime della selva
1270Prossima e sovrastante
Ad Etta nella valle,
La cittade sommersa,
Sembravano un nascente
E galleggiante bosco.
1275Apollo immantinente
Scocca dall’arco argenteo
Uno stral che nell’aria
Orribilmente stride,
All’orgoglioso monte
1280Che presso a Copa sorge.
Toccato è appena il monte
Dallo strale divino,
Che gran parte ne crolla
E s’ingolfa in abisso
1285Che, nello stesso istante,
Atro, tremendo, immenso
S’apre al di sotto e abbassasi
Quasi scosso dal grave
Tridente di Nettuno.
1290Si precipitan l’acque
Con orrendo fragore
Nell’avido baratro.
In quel mentre il nascente
Sole appar sulle vette
1295Dell’azzurro Messapo,
Ed attonito vede
Il perforato monte,
Colla vaga sua luce
Indorando del fesso
1300Lo spaventevol orlo.
Ma scocca Febo un altro
Strale e distacca un’altra
Parte della montagna,
Che crollando compone.
1305Volta così formata,
Che par che dalla mano
Dell’arte sia costrutta.
Ma la rupe staccata,
Cadendo in mezzo all’onde,
1310Un argine vi forma
Che, dividendo l’acque,
Una parte abbandona
Al tenebroso golfo;
L’altra; passato il ponte
1315(Chè tal appare, il monte
Da ch’egli è perforato),
In tre fiumi divisa,
Percorre, fecondandola,
Arenosa vallea,
1320Che dall’aperto monte
Fino al mar si stendea.
Così gli Dei benigni
Trasformano sovente
Momentanea sventura
1325In infinito bene.
La Sovrana stupita
Non può ritrar lo sguardo
Dall’imponente vista;
Allora ch’un novello
1330Spettacolo l’attrae.
Un giovine pastore,
In sul bel ponte assiso,
Allegramente suona
Un’aria boscareccia,
1335Che le rupi vicine
Ripetono tre volte
Con illusion sì fatta,
Che crederesti ch’altri
Tre pastorelli, posti
1340A gran distanza, accordansi
Fra loro per sorprendere
Piacevolmente il primo.
Si vedono frattanto
Pecorelle, all’intorno
1345Del pastorello erranti,
Pascersi d’erba molle,
E temerarie capre,
S’inoltrando sull’orlo
Delle roccie salienti,
1350Con allungate labbra
Strappare il tenerello
Fogliame d’arboscelli,
Nati in seno de’ sassi.
«Non lungi dalle foci
1355De’ tre fiumi (disse uno
De’ seguaci alla Reina)
Un’isola si mira,
Che per estraneo giuoco
Dell’ascosa natura,
1360Allo spuntar del sole
Immergesi ne’ flutti,
E allor che l’astro siede
Radioso nel meriggio,
Alzasi di bel nuovo
1365Dall’alto sen del mare.»
Si risveglia nel core
Della Reina la brama
D’andar con i seguaci
A rimirar sì strano
1370Fenomeno da presso:
E veloce barchetta
Di pescatori esperti,
Superbi della scelta,
In poche ore trasportali
1375Al luogo della scena.
Veduto ch’ebbe questo
Spettacolo stupendo,
E presso ad Antedone
Passato, che suo nome
1380Ha dalle mura antiche,
Talmente rivestite
Di varie edere e viti
Presso che sempre in fiore,
Che le diresti un muro
1385Di fiori e di verzura;
La giovine Sovrana
Con piacere traversa
Del Messapo la valle
Ricchissima d’augelli
1390Di cascatelle e d’ombra.
Varca ella fra due fonti,
De’ quali l’occhio indarno
Stenta a vederne l’onde,
Ch’or strepitose or dolci
1395All’orecchie risuonano:
Tale è la densa volta
D’intrecciati cespugli,
Che vela il lor ramingo
E misterioso corso.
1400Con animo di gioja
E meraviglia pieno
La Sovrana pervenne
Al fine della valle,
Celebre per le tante
1405Chiare e fresche sorgenti,
Pel lusso de’ suoi fiori,
Per l’ombre deliziose
E per gl’inaspettati
Vaghi punti di vista:
1410Quando subito vede
Non lungi dalla valle
Gran numero di gente,
Che per mirarla accorse,
Mal ascosa tenersi
1415Fra rare basse piante
E moribondi arbusti
Quasi di foglie privi.
«Ditemi, che mai teme
Quell’adunata folla
1420Dalla presenza mia?»
Domanda la Sovrana,
Volgendosi ai seguaci. —
Altissimo silenzio.
Uomo, nel quale Elisa
1425Ha sua fiducia intiera
E che n’è degno, a lei
Rispettoso ne viene.
Sulla fronte, negli occhi
Pronto spirto gli splende,
1430Giustizia e compassione.
Padre lo chiama il vecchio
Sostenuto da grucce,
L’orfano senza tetto
E la dal mondo intero
1435Vedova abbandonata.
Alla Sovrana ei disse:
«Tu felici rendesti
Colla presenza tua
Dell’avito dominio
1440Tutti gli abitatori;
Segui del generoso
Tuo core il movimento,
E visita per pochi
Momenti quella valle,
1445Che in se gran parte acchiude
Delle miserie umane!»
A questi detti Elisa,
Accelerando i passi,
Se ne andò silenziosa
1450Ver l’infelice valle.
Oh scena miseranda!
Nella state null’ombra
Tempra l’ardor del sole!
Niun prato verdeggiante!
1455Niun’ondeggiante messe
Niun fiore bianco o giallo,
Niun’agile farfalla,
Niun augellin canoro
Saluta al suo ritorno
1460La dolce primavera!
Qua e là torreggia un pino
Col lugubre fogliame,
O qualche sitibondo
Arbusto d’ombra privo
1465Nel lacerato suolo:
Mentre i cocenti raggi
Del meridiano sole,
Rifranti dal sassoso
Monte, che al par di muro
1470Tutta la valle cinge,
Ne ricuopron gran parte
Con nebbia densa e secca,
«E qual dar posso aita?»
Domandò la Sovrana,
1475Mossa di compassione
Al suo fedel seguace.
L’uom pietoso rispose:
«Cagion di tal miseria
Sol è ’l difetto d’acqua.
1480Se delle cento fonti,
Che dall’alto Messapo
Scendendo, forman ampie
Insalubri lagune,
Poche adunate in fiume,
1485Da que’ sassi cadendo
Innaffiasser la valle,
Dubbio non v’ha, ch’in breve
Ella saria rivale
Delle più belle valli.»
1490Quel giorno un gran diamante
D’alta e rara bellezza
Sulla testa splendea
D’Elisa, cattivando
De’ spettatori ’l guardo;
1495Ma da quel giorno innanzi
Nessun mai più nol vide.
Ma fe’ appena ritorno
La terza primavera,
Ecco nell’intervallo,
1500Che la valle separa
Dal gran monte Messapo,
Un acquedotto alzarsi
Non marmoreo e fastoso,
Ma saldissimo e tale,
1505Che del tempo vorace
Gli sforzi egli non teme.
Del Messapo sul fianco
Sei limpide, perenni
E copiose sorgenti,
1510In un sol rivo giunte,
Con dolce mormorio
E rapide qual vento,
Fiume etereo, traversano
Quel vaghissimo ponte,
1515Che tre file sostengono
D’ampissimi pilastri;
Appena giunte in vetta
Al trarupato monte
Ond’è cinta la valle,
1520Con fragore che sembra
Allontanato tuono,
Esse, maestose, piombano,
Immensa cateratta,
Nella già miseranda
1525Or bellissima valle,
Che statti innanzi agli occhi.
Tu, viaggiator, dirai,
Se son vere le nostre
Tradizïoni antiche,
1530Che rivale la chiamano
E vincitrice spesso
Della valle di Tempi.