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     In mezzo a bei giardini,
     Ascendenti in terrazzi
     820E abbondanti di fiori,
     D’augelli e d’ogni oggetto,
     Ch’altre volte faceano
     L’impiego, le delizie
     Della perduta prole,
     825La cui tomba tu vedi
     Quasi vision celeste
     In sulla vetta starsi
     Dell’isola maggiore,
     Ch’ha nome Isola bella.
     830Un’altra vien chiamata
     Isola madre. Approdano
     Nella bella stagione,
     All’ore meridiane,
     Alla terza talora,
     835Ch’è la minor di tutte,
     I pescator, con gaja
     Cantilena pagando
     D’ospitalità i doni,
     Onde la chiaman Isola
     840De’ Pescatori i providi
     Cultori, che seguendo
     De’ buoi ’l lento passo;
     Rompono coll’aratro
     Le negre e dure zolle
     845Della ferace sponda
     Opposita del lago.»
     Là, sull’eccelsa vetta
     Di solitario monte,
     Donde l’intero lago
     850E le sue vicinanze
     L’occhio ad un punto scorge,
     Appajon due castelli
     A mezzo rovinati.
     Anticamente quivi
     855Signoreggiava un Sire,
     Ch’era de’ suoi vassalli
     Dispietato tiranno:
     Egli Atteon nomavasi.
     Preferiva il crudele
     860Ai sudditi le fiere,
     Con cui nelle foreste
     Stavasi state e verno.
     Il villanel non osi
     Dal suo campo fugare
     865Il cervo, che divora
     La già matura messe.
     Un dì l’ultimo figlio
     E ’l solo ancor vivente
     Di vedova attempata,
     870Oltrepassar vedendo
     Uno stuolo di cervi
     La siepe dell’avito
     Camperello meschino,
     L’ira frenar non puote,
     875E della torma il duce
     Incontanente uccide.
     Ma sul confin del campo
     Inopinato appare
     Il dispietato Sire.
     880Con ira rattenuta
     Il corridor ritroso
     Forte spronando, ei ’l forza
     A saltare la siepe
     E calpestar la messe
     885Che già la falce aspetta.
     Raggiunto l’uccisore
     Impallidito e immoto,
     Nel molle cor gli pianta
     L’acuta ferrea lancia.
     890Vede la genitrice
     Cader l’amata prole,
     E nel suo duolo esclama:
     «Potessero te, o mostro
     Smembrare i proprj cani!»
     895Immantinente il cielo
     Compì ’l materno voto.
     È trasformato l’empio
     In un cervo, tremante
     E pavido sen fugge
     900Alla vicina selva;
     L’inseguono latrando