Roveto ardente/Parte seconda/IV
Questo testo è incompleto. |
◄ | Parte seconda - III | Parte seconda - V | ► |
IV.
Dopo la fuga dell'onorevole, la matassa si era arruffata maledettamente per alcuni mesi.
Penelope andava e veniva in tutte le ore del giorno, assumendo un tono sempre più arrogante al cospetto della contessa, che rimaneva in atteggiamento sempre più remissivo.
Camilla trascurava il servizio, trasandava la propria persona, sembrava affetta di sordità alle chiamate del campanello elettrico, e quando la signora si permetteva di alzar la voce, la came riera prendeva un tono di superiorità, offrendo alla signora i suoi quindici giorni e dichiarandosi prontissima ad andarsene appena la signora si fosse messa in regola coi salari arretrati.
Adriana non sapeva più dove battere il capo e scriveva numerose letterine sopra fogli di carta azzurra, ornati dello stemma gentilizio; ma tali misteriose letterine, che impostava da sè per evi tare di far sapere a chi fossero indirizzate, rima nevano il più delle volte senza risposta, o, se le risposte venivano, esse dovevano portare cattive notizie, giacché Adriana strappava i fogli rabbio samente, borbottando fra i denti che gli uomini sono tutti uguali: senza cuore e senza memoria.
In certi giorni ella si chiudeva nel suo gabi netto di toletta, donde usciva fresca, odorosa, ben pettinata, avvolte le belle membra in qualche ampia vestaglia doviziosamente ornata di merletti, e andava a collocarsi di fazione dietro le imposte della finestra, forse nell'attesa di qualcheduno a cui ella aveva dato appuntamento e che non ve niva. A tali disillusioni seguivano accessi di vera disperazione, per nascondere i quali Adriana si rifugiava nella camera della figliuola, gettandosi taciturna e come annientata sul letto, o sfogan dosi a mordere il fazzoletto e a torcersi le mani.
Una volta, dopo essersi attentamente guardata nello specchio per alcuni minuti, domandò a P'iora:
— Ti pare che io sia diventata brutta? — Ma no --- rispose Flora con un sorriso, non potendo davvero supporre la recondita in tenzione di quella domanda. — Le donne invecchiano presto, e una donna che cominci a invecchiare è uno spauracchio per gli uomini — e sollevò sulla fronte la massa dei capelli biondi, a scrutare se, presso le tempie, qualche filo d'argento rilucesse; ma i capelli erano ancora di puro oro forbito. Flora le si avvicinò alle spalle, accostò il pro prio viso al vaso della madre e le disse affettuo samente: — Non avere di queste paure, mamma. Vedi? Sembri giovane quanto me. Adriana scrutò nel cristallo la sua immagine e l'immagine della figliuola, poi disse, socchiu dendo le palpebre e girando il capo per baciare Flora sulla estremità del mento:
— Sì, sì, non c'è male, sono ancora passabile; ma allora non capisco perchè le cose vadano tanto a rovescio!
Le cose continuarono a precipitare di male in peggio; anzi ci fu un momento in cui si sarebbe detto che esse si divertissero ad assumere le pro porzioni di valanghe, destinate a sommergere l'appartamento di via delle Fiamme sottoc umuli di macerie.
Penelope, da quando Adriana l'aveva messa alla porta in uno scoppio di collera, mandava alla signora contessa ambasciate insolenti per mezzo di Camilla, che le ripeteva coscienziosa mente, aggiungendovi qualche cosa per suo conto; due commesse della sarta stazionavano mattinate intiere nell'anticamera, avendo missione di tor' mentane la insolvibile cliente con la loro presenza. Esse chiacchieravano interminabilmente con la ca meriera. ed erano accessi di ilarità soffocata ogni qualvolta Camilla si avvicinava in punta di piedi alla porta della stanza, dove Adriana si stordiva a fumare scatole intiére di sigarette.
La cameriera, seguita dalle due commesse, pic chiava all'uscio con discrezione; poi, spingendo la faccia maligna nell'apertura del battente soechiuso, diceva con accento di profondo rispetto:
— Signora contessa, le commesse della sarta aspettano il saldo. Non sono che trecentoquattordici lire.
— Mandale all'inferno — esclamava Adriana fuori di sè. Si, signora contessa — e Camilla richiu deva l'uscio e tornava a ridere nell'anticamera.
Flora soffriva per tutto ciò più di un'anima in pena. Anche alla casa bianca aveva sentito con tinuamente parlare di debiti e di miseria. L'a gente delle tasse era il suo incubo, perchè, nei giorni in cui egli mandava gii avvisi di paga mento, il nonno diventava furibondo, Arrivavano anche spessissimo certi grandi fogli di carta bol lata, portati a mano da un usciere che giungeva da Pesaro e che domandava cortesemente un bic chier di vino per togliersi la polvere dalla gola. Il nonno, invariabilmente, offriva di tirargli una schioppettata nella schiena. Ma era un'altra cosa; era un altro genere di miseria. Anzitutto in cam pagna lo stretto necessario non manca mai. Un fascio di legna da buttare sul fuoco, un pugno di farina da intridere nella madia si trovano sem pre, e poi il nonno rimaneva a testa alta, e Flora si ricordava bene che era l'usciere ad andarsene via con le spalle curve, quasi vergognoso e do lente; mentre li, in via delle Fiamme, 1 creditori insolentivano, e Flora aveva sentito sua madre dire più d'una volta che, se il destino seguitava ad accanirsi, non le rimaneva altro scampo che quello di buttarsi a Tevere, Tali parole, gettate là in un momento di esasperazione, avevano fatto tremare le vene di Flora e l'avevano ossessionata, per alcuni giorni, con l'immagine di una striscia di acqua giallognola, che si snodava pigramente, increspandosi appena alla superficie e gorgogliando intorno ai pilastri di un ponte.
Ma Adriana non era tipo da gettarsi a Tevere. A un tratto, senza capire come la faccenda fosse andata, la signora contessa tornò a galla più disinvolta* e più agile che mai. Pagò, fino al l'ultimo centesimo, il debito con Penelope, ta gliandole in bocca le parole di scusa e limitan dosi a dirle, per tutta rappresaglia, che, quando ci si mette negl'impicci con la gente maleducata, bisogna sapere a che cosa si va incontro.
Penelope se ne andò mortificata, dicendo che la signora contessa era stata fin troppo buona a non farla ruzzolare per le scale.
Anche Camilla, pagata de' suoi onorari, sentì dirsi, con parole brevi, che, se intendeva conti nuare nella sua indolenza, farebbe meglio a prov vedersi altrove; e anche Camilla ridiventò umile e zelante, riconoscendo anche lei che la signora contessa era più buona di un angiolo.
Le vicende burrascose degli ultimi tempi erano state per Adriana una severa lezione, ed ella, uscendo dal pelago alla riva, si era ripromessa di posare ben saldo il piede sopra la terraferma.
Infatti, quantunque l'estate fosse venuta, Adriana non parlò di recarsi in villeggiatura. Usciva ogni giorno, rimanendo assente molte ore; ma in casa non veniva nessuno; le abitudini della contessa Vianello erano diventate regolarissime, quasi ri gide, e la sua stessa eleganza, pur rimanendo squisitamente minuziosa, aveva assunta una into nazione più grave.
Delle famose lezioni di musica, che Adriana avrebbe dovuto dare per vivere agiatamente, non si era parlato mai più. Flora non osava doman dare nessuna spiegazione a sua madre, e questa non gliene dava, trattandola peraltro con maniere affettuosissime.
Dal principio dell'estate Flora aveva preso l'a bitudine di salire ogni giorno in casa Gualterio, dove ciascuno le faceva festa e dove si tratteneva intieri pomeriggi, a prendere il fresco sopra la vasta terrazza piena di fiori.
Giorgio Gualterio, meticoloso, ordinato, tra scorrendo in casa tutte le ore che non dedicava all'ufficio, trovava modo, con uno stipendio di cinquemila lire e la rendita del suo piccolo pa trimonio, di fare annualmente qualche economia, senza lesinare sopra nessuna agiatezza della vita. L'appartamento del quarto piano, che egli occu pava già da dieci anni e dove giurava di voler esalare l'ultimo respiro, non lasciava assolutamente nulla a desiderare in fatto di comodità.
La terrazza, adorna con sagace pazienza di piante rampicanti, difesa contro il sole da un am pio velario, sparsa di sedie rustiche, rallegrata dal cinguettìo di numerosi canarini, costituiva un vero luogo di delizia: così come il salottino da pranzo, tappezzato di chiaro, con due snelle vetrine ricche di cristalli e di porcellane. La stanza di Giorgio poi somigliava a una chiesa. Grande, nitida, silen ziosa, immersa nella penombra, con le cortine leg gere che si gonfiavano, diffondendo intorno una aura di frescura; col letto matrimoniale esalante delicato odore di giaggiolo, coi mobili luccicanti ovunque un raggio di sole battesse, senza un granello di polvere in nessun angolo, senza uno spillo fuori di posto, sembrava perfino disabitata.
La signorina Vianello era diventata l'oggetto di mille piccole gentilezze da parte di Giorgio, di Renato e di Anna Maria; un donnone di mezza età, grassa, bruna, svelta, affaccendata sempre a lustrare, a ripulire, e che si trovava in casa Gual terio da quattordici anni come domestica, dopo essere stata la nutrice di Renato. — Il marito le era morto, un'unica bambina le era morta, e la famiglia Gualterio era diventata la sua.
Bastava che Flora si presentasse in quell'ambiente di pace quasi monastica, perchè le stanze diventassero piene di vita. Ella andava, veniva, aiutava Anna Maria a disporre negli armadi la biancheria del bucato, faceva il chiasso con Re nato, giuocava a dama con Giorgio, lasciandosi viziare, aspettando con impazienza che il cavaliere estraesse per lei il gelato di fragola dalla gelatiera o che Anna Maria le presentasse un dolce fatto di visciole sciroppate e tenute nel ghiaccio.
Quando ridiscendeva nel suo appartamento, Adriana la scrutava con l'occhio, come nell'attesa d'importanti confidenze; ma Flora non aveva nulla da confidarle tranne che Renato la chiamava, per ischerzo, fior di giunchiglia e che il cavaliere aveva trovato la scelta del fiore di suo gusto.
Visto che le cose andavano troppo per le lunghe, Adriana trovò modo d'incontrarsi, per caso, col cavaliere, a cui, in grande segretezza, con fidò che si sarebbe presto rimaritata con un colonnello in ritiro, vecchio, celibe, danaroso e vero gentiluomo. Il colonnello l'aveva conosciuta ai bagni di Tivoli, aveva subito compreso di avere a che fare con una gentildonna e le aveva pro posto di sposarlo.
Il cavaliere Gualterio non potè reprimere un lieve moto d'incredulità; ma Adriana, placida mente, gli mostrò alcune lettere del colonnello, il quale si era recato al suo paese, in Piemonte, per liquidare certi affari ed a procurarsi i documenti necessari alla celebrazione del matrimonio. Gli occhi di Giorgio, di solito apatici e son · nolenti, brillavano per gioia viva. — Fa piacere, non è vero, sapere che i nostri amici hanno fortuna? E non era egli forse amico della contessa? E il matrimonio con un bravo soldato, ricco di onore e di quattrini, non era forse una fortuna per la sua amica?
— Io cambierò di casa --· disse Adriana, sba datamente — e me ne andrò ad abitare ai Prati di Castello.
Non si comprendeva bene se l'annunzio di tale cambiamento riuscisse gradito o sgradito al cava liere Gualterio. Egli rimase assorto, con l'alta per sona piegata in avanti, e le palme delle mani so lidamente appoggiate sopra le coscie.
— Il colonnello Frezzati ha molti anni più di me — disse Adriana.
— Ah! sì, molti anni più di lei? — domandò il cavaliere, sempre pensoso.
— Già, egli si avvicina alla sessantina; ma anzitutto è un uomo conservato magnificamente, poi è giustissimo che il marito abbia molta più età della moglie.
— Già, infatti, perchè il marito non dovrebbe avere più età della moglie? L'uomo non deve forse dirigere la famiglia? E la donna non in vecchia forse prima dell'uomo?
Tali considerazioni Giorgio le faceva sottovoce, come rivolgendole a sè stesso.
Adriana disse con noncuranza: — Ma certo, ma certo. Io per esempio, non darei mia figlia a uno scervellato di vent'anni, mentre la darei con tutto il cuore a un uomo po sato di cinquanta.
Giorgio crollò il capo, sospirando, e disse con sorriso pieno d'impaccio:
— Lei si capisce. Ma la signorina non po trebbe, forse, pensarla in altro modo?
— Chi? Flora? — esclamò Adriana vivamente. — Ma Flora è una ragazza di altri tempi!.... Flora è stata educata da suo padre, che era un sant'uomo, da suo nonno che era un Catone del l'antico stampo! Flora non ha capricci, non ha volontà. Creda — ella soggiunse con voce com mossa, posando la piccola mano sopra un ginoc chio del cavaliere, — Flora è un agnellino, un vero agnellino di docilità e d'innocenza.
Giorgio Gualterio mosse le mascelle come un bue che rumini, si asciugò col fazzoletto di bati sta la fronte grondante sudore e si licenziò, in preda a un turbamento visibilissimo.
L'indomani, Adriana volle accudire ella stessa all'abbigliamento di Flora, prima di lasciarla sa lire in casa del cavaliere.
— Guarda, guarda — ella disse, rovistando nei cassetti — tu possiedi un grembialino nero, ricamato a colori!
— Sì, l'ho ricamato io stessa alla casa bianca — rispose Flora arrossendo, perchè quel grem biale nero somigliava per lei a una cortina che si sollevasse improvvisamente a mostrarle lo sfondo di memorie sepolte.
— Ma è delizioso! — esclamò Adriana, ed ob bligò la figliuola ad allacciarselo sopra il vestito di mussolina color di rosa.
Così abbigliata, Flora tornava ad essere la bimba bella dei campi, ma più fine, più squi sita, con un profumo penetrante di fiore tolto alle aiuole e trasportato dentro una serra. Sei divina - le disse Adriana allegramente c la spinse ridendo fuori di casa.
La giovanetta sali i gradini con passi leggeri. Le pareva di volare, e l'aria, entrando insieme alla luce dai finestroni spalancati sul pianerottolo, agitava i lembi della sua gonna rosata e le cioc che de' suoi capelli biondi.
Spinse, con furia, a più riprese, il bottone del -campanello, ed Anna Maria venne ad aprire, con le maniche rimboccate fin sopra il gomito e un grembialone turchino che le nascondeva l'intiera gonna.
— Siamo in faccende, Anna Maria? — do mandò Flora appena entrata.
— Cosa vuole? — rispose la donna — non si finisce mai con quel benedetto cavaliere. Oggi si tratta di preparare la conserva in bottiglie per l'inveriio, perchè il mio padrone non vuol saperne ·di avvelenarsi con la roba che si vende nelle bot teghe.
Flora andò anche lei nella cucina; una stanza lunga e rettangolare, splendente di nettezza, lu meggiata a dovizia da una finestra a loggetta, dipinta in rosso nella metà inferiore della parete, abbagliante di bianchezza nella metà superiore; con un lavandino di marmo somigliante alla va sca di un verziere, tanto era immacolato e ni tido, con un camino alto, a mattonelle di porcel lana, e un fornello, a gas, di cui gli ottoni pa revano oro.
Una batteria di casseruole in rame penzolava dall'alto; ma i rami stavano lì solo per lusso, per testimoniare dell'agiatezza di Giorgio Gualterio e della meticolosità di Anna Maria, giacché il cavaliere voleva digerire in pace, senza le preoccupazioni del verderame; onde gli utensili di uso comune erano di alluminio. Il cavaliere aveva sostenuto, all'uopo, una spesa pazza, ma almeno l'alluminio appaga l'occhio con la sua lucentezza e non eccita la fantasia col terrore di possibili avvelenamenti.
Presso la finestra, una sacchetta di tela, ap pesa a un bastone, gemeva denso sugo di pomo doro entro un capace recipiente di majolica.
— Veramente il luogo adatto a preparare la conserva, sarebbe la terrazza — diceva Anna Ma ria — Ma sì, la terrazza è per il cavaliere una reggia, un paradiso terrestre, dove bisogna en trare facendosi il segno della croce — e il bravo donnone rideva, crollando il capo da domestica bonaria, tutta indulgenza e tolleranza per i ghi ribizzi dei padroni.
— Chi ha suonato? — domandò il cavaliere, comparendo sulla porta della cucina in maniche di camicia e coi calzoni di tela bianca, di cui l'alta cintura a quattro bottoni, abbracciava il giro enorme del corpo.
Egli aveva preso allora una doccia e andava ancora stropicciandosi energicamente il collo con un asciugamano spungoso.
Tra i capelli scuri, rialzati a spazzola, riluce vano spessi fili di argento; ma i baffi, lunghi e folti, erano ancora di un bel colore castagno, e sulle gote, rasate sempre accuratamente, bril lavano i colori della salute. Gli occhi soli, chiari, quasi viscidi, erano smorti sotto il peso delle pal pebre troppo massicce, e Flora, guardandoli, non poteva fare a meno di paragonarli, mentalmente, a quelli di un grosso pesce, inerte sopra un ta volo di cucina. Il cavaliere si scusò per essersi presentato in quell'abbigliamento confidenziale, ma era tornato dall'ufficio cosi grondante di sudore che aveva sentito il bisogno di rinfrescarsi con una piòggia copiosa di acqua marcia.
— Fa caldo egli concluse — fa molto caldo a Roma, in agosto, eppure non cederei le como dità della mia casa per tutte le stazioni estive di questo mondo. Vada sulla terrazza, signorina, io m'infilo una giacca e sono da lei.
Sulla terrazza, Renato, in calzoni bianchi an che lui, con la persona snella stretta in una ma glia a righe, coi capelli accuratamente divisi so pra la tempia sinistra, stava disteso nella seg giola a dondolo, lasciandosi cullare come dentro un'amaca.
— Buon giorno, Fior di giunchiglia — egli disse,, alzandosi — Io le chiedo licenza di andarmene a fare una passeggiata.
— Esce adesso che arrivo io? — domandò flora, alzando un pochino le spalle in segno di dispetto.
— Si, Fior di giunchiglia, io esco — confer mò Renato e, fissando Flora con occhio strana mente canzonatore, soggiunse:
— Ed esco proprio per causa sua. — Per causa mia? — esclamò Flora. — Precisamente. Credo capire, da alcuni sin tomi, che papà abbia scelta la giornata di oggi per confidarle un secreto e le scene più importanti di tutte le commedie sono sempre a due personaggi. Flora contemplava il ragazzo in aria di straor dinaria meraviglia; ma Renato s'inchinò profon damente e abbandonò la terrazza, ridendo fra sè di un riso discreto. Poco dopo entrò il cavaliere, che aveva indos sata una giacca di tela, esalante odore di bu cato.
Egli si mostrava disinvolto, troppo disinvolto per il suo carattere. Andava e veniva dall'uno all'altro angolo della terrazza, fregandosi le mani, arrestandosi a togliere un bruco di tra le foglio line di una pianta, sedendo nervoso sopra una seggiola per rialzarsene subito dopo e ricomin ciare i suoi giri inutili. Egli, di solito tanto flem matico e di espressioni tanto parsimoniose, parlava abbondantemente, mischiando d'inesplic bili risa tine il profluvio delle sue parole.
Flora, abbandonata l'esile persona nella poi trona a dondolo, aveva chiusi gli occhi con un sorriso di beatitudine.
Ella si sentiva allegra, senza ragione, e pareva che i suoi vent'anni le turbinassero intorno, tra sportandola nel vortice di danze giulive.
— Con la brezza che spira, con questo cielo tutto aperto e dondolandomi così, mi sembra di essere in mare — ella disse, seguitando a tenere chiusi gli occhi.
— Già, in mare; è vero, fa l'impressione di essere in mare --· confermò il cavaliere e, arre standosi davanti a Flora, disse con voce di con tentezza:
— Ma, adesso che ci penso, lei non ha ve duto mai la niia collezione di francobolli?
Flora aprì gli occhi, senza capire quale nesso potesse correre fra l'idea del mare e una colle zione di francobolli. Comunque, rispose:
— No, non l'ho veduta mai. — Ah! ma lei deve vederla; deve vederla as solutamente — e si allontanò, tornando subito con I un grosso album rilegato in pelle rossa e chiuso da un fermaglio di metallo.
— Venga qui; si metta a sedere — Giorgio disse, deponendo l'album prezioso sopra un ta volo rotondo.
Flora si avvicinò e sedette. Il cavaliere cominciò a sfogliare l'album con mille precauzioni, mostrando a Flora, che non ci capiva nulla, una serie di francobolli, quasi tutti vecchissimi e sgualciti, disposti sopra fogli di carta bianca e portanti a tergo le relative indicazioni. — Vede? egli disse, fermandosi all'ultima pa gina e avvicinando cautamente l'unghia del dito mignolo a un francobollo turchino, mezzo sbia dito. Vede questo francobóllo? Certo, Flora lo vedeva; ma, a dire il vero, non ci trovava nulla di straordinario. — Questo è un Hawai di tredici centesimi — disse il cavaliere con accento di trionfo. — E adesso, parli franca, quanto crede lei che possa valere un Hawai turchino di tredici centesimi? Flora rispose che un francobollo di tredici cen tesimi valeva, naturalmente, tredici centesimi. Il cavaliere ebbe un sorrisetto di compassioneaffettuosa per la grande ingenuità della signorina. — Questo francobollo, un Hazvai di tredici cen tesimi, capisca bene, un Hazcai turchino, vale la cifra di mille lire. Flora si strinse nelle spalle, ridendo maliziosetta. Ella non era poi così sciocca da prestar fede a simili enormità. — Già, mille lire, nè un centesimo di più, nè un centesimo di meno. E, se avessi la fortuna di possedere un Mauritius turchino di due pence, avrei un francobollo del valore di settemila cinquecento lire — proseguì Giorgio con calore.
«E non c'è da meravigliarsene. La collezione del barone Arturo Rotschild, a Parigi, vale due centomila franchi.
«Può sembrare assurdo, capisco, ma le manìe costano e, per soddisfarle, si spenderebbe un patrimonio.»
Fior di giunchiglia rideva di gran cuore.
Se ella avesse possedute duecentomila lire, le avrebbe spese per comperarsi una casa con un bellissimo giardino, le avrebbe spese per comperarsi tanti oggetti rari, ma non avrebbe pensato mai a spendere duecentomila lire in franco bolli. No, mai una simile idea le sarebbe germogliata nel cervello.
E seguitava a ridere sempre più infantilmente, tenendo gittato all'indietro il collo scoperto e pro tese in avanti le mani intrecciate, quasi a supplicare i collezionisti di francobolli di non essere tanto ridicoli.
Un raggio di sole, venendo obliquo da occidente, le accarezzava le dita, e le dita, così accarezzate dalla luce, sembravano di alabastro. color di rosa, e tutta la persona si staccava, rorida di poesia, sullo sfondo luminoso, simile a una figura che si avanzi irraggiata di tenue sorriso dalla tela di un primitivo.
Il cavaliere la guardava, umettandosi le labbra con la punta della lingua e inghiottendo la saliva come se egli avesse mangiato allora allora uno zuccherino alla vainiglia.
Quella cara signorina!
Rideva tanto di gusto che, per un istante, ebbe anch'egli il sospetto di essere idiota ad appassionarsi per quei pezzettini di carta colorata!
Chiuse l'album e rimase a contemplare Fior di giunchiglia, mentre una lotta suprema si agitava in lui.
Senza dubbio il passato della madre era bur rascoso; ma quale responsabilità poteva pesare di ciò sulla ragazza? E poi la contessa Vianello non era forse sul punto di maritarsi con un uomo rispettabile? E il matrimonio non è forse, nell'esi stenza femminile, come un secchio di lisciva bol lente che porta via ogni macchia e deterge ogni sozzura? L'importante era di conoscere se la ra gazza avesse avuto al suo paese qualche amoretto.
Bisognava interrogarla con circospezione e po scia decidere.
— Senta — egli disse, facendo uno sforzo inau dito sopra di sè io vorrei rivolgerle una do manda assai delicata, ma lei deve promettermi di non aversene a male e di rispondermi la verità.
Flora divenne seria immediatamente e le risuona rono di nuovo all'orecchio le vaghe parole di Renato.
Il cavaliere, respirando forte, e scegliendo pa rola da parola, disse:
Lei, al suo paese, ha conosciuto mai nes suno, intendo nessun giovane, che — alla sua età, dopo tutto, sarebbe naturale — che le abbia indi rizzato qualche letterina, qualche parolina... Lei dovrebbe capire!.. La gioventù è fatta per l'amore e io vorrei sapere se lei è stata mai innamorata.
La fronte di Flora divenne un lembo di por pora, ed ella balbettò con labbra tremanti:
— Perchè mi parla cosi adesso? --- Perchè bisogna che lei mi dica la verità — rispose Giorgio, che tremava. «Creda, è necessario che lei mi dica la ve rità. Se lei è stata innamorata non c'è niente di male; ma se lei me lo nascondesse commet terebbe una cattiva azione.»
Cercava di sorridere, ma il suo sorriso era così impacciato e doloroso che lo smarrimento di Flora aumentò. Ella, sempre più accesa in volto, mor morò faticosamente.
— Ho voluto bene a Germano Rosemberg. — Vede? Vede? — esclamò il Gualterio, im pallidendo. Ne ero sicuro come se qualcuno me lo avesse già raccontato. Non poteva essere altri menti, era una cosa inevitabile. Flora, umiliata, confusa, si era alzata in piedi e rimaneva immobile, a capo chino. Il cavaliere, guardandola, si sentiva rinascere in cuore la speranza. Egli voleva, ad ogni costo, scrutare sino al fondo il passato della fanciulla, ma l'indagine gli riusciva sempre più dolorosa e imbarazzante. Dopo essersi, per un momento, stretti i baffi nel concavo della mano destra, proseguì: — Due che si vogliono bene si sposano, e lei perchè non si è sposata con quel giovane? Flora chiuse gli occhi, sospirò, poi disse: — Perchè lui si è sposato con un'altra. — Ah! ne ha sposata un'altra? E prima, quando loro si volevano bene, lui e lei, naturalmente, si dicevano tante cose, si confidavano i loro piccoli secreti, non è vero? Gl'innamorati, naturalmente, hanno sempre tanti piccoli secretucci tra loro, tante cose che nessuno deve sentire, e lei, na turalmente, non aveva la mamma, non aveva il papà.
Giorgio procedeva sempre più circospetto, pesando le sillabe di ogni parola, e tenendo attac cato lo sguardo sulla persona della giovanetta, per non lasciarsi sfuggire di lei nè il tremito più lieve, nè la più fugace espressione.
— Mi dica, sia buona, mi dica — e 1' ansia di conoscere, la fatica improba di un simile interro gatorio erano tali, che egli divenne brutale senza volerlo.
— Fra.lei e quel giovane che relazioni sono corse?
Flora, stordita, senza misurare la portata della domanda, non sapendo che cosa rispondere, sol levò gli occhi in volto al cavaliere, per interro garlo tacitamente a sua volta.
Giorgio trasse dal fondo del petto un respiro interminabile di sollievo.
L'espressione di quegli occhi non poteva in gannare e la contessa aveva ragione. Fior di giun chiglia era un agnellino, un vero agnellino d'in nocenza!
— E lei ci pensa ancora a quel giovane? — egli interrogò, ma con altro tono, con tono più libero, più spedito, quasi riconoscente.
Flora esitò molto a rispondere. Finalmente disse:
— Si, ci penso ancora qualche volta; ma come si pensa a una persona morta.
Gualterio fu invaso da un trasporto di gioia. — Ecco, vede, la risposta che lei mi dà è su blime! Lei non se ne accorge, ma lei ha trovato una frase veramente sublime! I morti bisogna la sciarli riposare in pace e lei non pensi più al passato; pensi piuttosto all'avvenire — e le af ferrò le mani, abbandonandogliele subito per paura d'intimorirla. Vedendo peraltro che Flora, spaventata, vo leva andarsene, si decise a dirle tutto:
— Mi stia a sentire un momentino; non fugga. Devo parlarle ancora. Io ho quarantacinque anni, più del doppio della sua età, ma sono un galan tuomo, non ho malanni, non ho debiti, non ho pensieri. Posso offrirle una esistenza tranquilla e gliela offro con tutta l'anima. Faremo qualche viaggetto, andremo spesso a teatro, non ci man cherà il necessario, in certa misura, nemmeno il superfluo e, in caso di mia morte, a lei resterà la pensione!
Flora ebbe un grido di protesta indignata. Co me, sposando un uomo, si poteva pensare alla morte di lui, ai vantaggi di questa morte?
Voleva fuggire; ma il cavaliere le aveva affer rato un lembo della gonna e proseguiva sempre più supplice:
— No, no, non vada in collera. So bene che lei, Ila sua età, non pensa a queste cose, ma io, alla mia, devo pensarci, e creda che l'idea, se mai, di lasciarla ben provvista mi rallegra il cuore.
Anna Maria comparve sulla terrazza e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, venne a collocarsi fra il cavaliere e la signorina; ma, per un sentimento di riguardo alla delicatezza della situazione, si tirò giù le maniche del cor petto, allacciandone in fretta l'estremità intorno ai polsi nodosi.
Ella interloquì con l'autorevolezza che le ve niva dalla sua fedeltà e dalla sua affezione, molto più che il cavaliere si era già consigliato con lei.
— Quando ho raccolto l'ultimo respiro di quell'altra signora, buon'anima, non credevo mai di vedermi entrare in casa una nuova padrona; ma il mondo è fatto per chi vive, non per chi muore, ed è giusto che il cavaliere pensi un pochette a spassarsela anche lui, dopo tanti anni di vedo vanza. Quanto a me, consegnerò subito le chiavi della dispensa alla signora, nel giorno stesso del matrimonio, com'è dovere, e rispetterò la signora più di una madre — e Anna Maria si mise a piangere rumorosamente, nascondendo la faccia nel grembiale.
— Va là, che sci una brava donna — le disse il cavaliere e, calmo, rasserenato, oramai comple tamente signore della situazione, si rivolse a Flora, scherzoso:
— Ebbene, signorina, si lasci almeno vincere dalle lacrime di Anna. Maria. Io intanto verrò domani a parlare con la sua mamma.
Adriana, non appena ebbe guardata in volto la figliuola, si accorse subito di quanto era acca duto. Prese Flora per mano e la trascinò nella propria stanza.
— Il cavaliere ha chiesto di sposarti, non è vero?
Flora affermò col capo e lacrime copiose co minciarono a grondarle sulle mani, ch'ella teneva abbandonate in grembo.
Adriana le parlò a lungo, assennatamente, af fettuosamente. Il matrimonio col cavaliere Gior gio Gualterio rappresentava per Flora una for tuna inaspettata.
I mariti sono rari ai tempi che corrono e, in talune circostanze speciali, diventano addirittura una chimera.
Ed ecco che la chimera si trasformava in realtà sotto le spoglie di un uomo simpatico, di quieto carattere, di solida posizione. C'era da credere a un miracolo e i miracoli non si rinnovano.
Flora non aveva dote, non aveva istruzione. Possedeva i suoi vent'anni per tutta ricchézza, ed è questa una ricchezza che dura poco.
Vedendo che Flora non si lasciava convincere, Adriana menò il colpo decisivo.
Ella stava per rimaritarsi ed il matrimonio, che sarebbe avvenuto in breve, era per lei una imperiosa necessità. Gli anni giungono a volo e, cogli anni, arrivano gli acciacchi e le esigenze di una vita comoda. Adriana non possedeva nulla di suo; che cosa doveva fare? Le si era presen tata una occasione favorevole e 1' aveva afferrata con tutte due le mani.
Il nuovo marito sapeva che ella aveva una fi gliuola e sapeva anche che questa figliuola ella non l'avrebbe abbandonata a nessun costo; ma Flora si troverebbe umiliata in casa del padrigno e la situazione diventerebbe fastidiosa per tutti!
Il pensiero di convivere con un estraneo, di assidersi alla sua tavola, di obbligare la madre a sopportare, forse, rimbrotti per colpa sua, in cusse a Flora tale spavento che ella accettò di sposare il cavaliere Giorgio Gualterio.
Si era in agosto, e le nozze, per comune con senso, vennero fissate alla fine di settembre.
Adriana si sarebbe maritata pochi giorni dopo e avrebbe abbandonato l'appartamento di via delle Fiamme.