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avrei un francobollo del valore di settemila cinquecento lire — proseguì Giorgio con calore.
«E non c'è da meravigliarsene. La collezione del barone Arturo Rotschild, a Parigi, vale due centomila franchi.
«Può sembrare assurdo, capisco, ma le manìe costano e, per soddisfarle, si spenderebbe un patrimonio.»
Fior di giunchiglia rideva di gran cuore.
Se ella avesse possedute duecentomila lire, le avrebbe spese per comperarsi una casa con un bellissimo giardino, le avrebbe spese per comperarsi tanti oggetti rari, ma non avrebbe pensato mai a spendere duecentomila lire in franco bolli. No, mai una simile idea le sarebbe germogliata nel cervello.
E seguitava a ridere sempre più infantilmente, tenendo gittato all'indietro il collo scoperto e pro tese in avanti le mani intrecciate, quasi a supplicare i collezionisti di francobolli di non essere tanto ridicoli.
Un raggio di sole, venendo obliquo da occidente, le accarezzava le dita, e le dita, così accarezzate dalla luce, sembravano di alabastro. color di rosa, e tutta la persona si staccava, rorida di poesia, sullo sfondo luminoso, simile a una figura che si avanzi irraggiata di tenue sorriso dalla tela di un primitivo.
Il cavaliere la guardava, umettandosi le labbra con la punta della lingua e inghiottendo la saliva come se egli avesse mangiato allora allora uno zuccherino alla vainiglia.
Quella cara signorina!
Rideva tanto di gusto che, per un istante, ebbe