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cupazioni del verderame; onde gli utensili di uso comune erano di alluminio. Il cavaliere aveva sostenuto, all'uopo, una spesa pazza, ma almeno l'alluminio appaga l'occhio con la sua lucentezza e non eccita la fantasia col terrore di possibili avvelenamenti.
Presso la finestra, una sacchetta di tela, ap pesa a un bastone, gemeva denso sugo di pomo doro entro un capace recipiente di majolica.
— Veramente il luogo adatto a preparare la conserva, sarebbe la terrazza — diceva Anna Ma ria — Ma sì, la terrazza è per il cavaliere una reggia, un paradiso terrestre, dove bisogna en trare facendosi il segno della croce — e il bravo donnone rideva, crollando il capo da domestica bonaria, tutta indulgenza e tolleranza per i ghi ribizzi dei padroni.
— Chi ha suonato? — domandò il cavaliere, comparendo sulla porta della cucina in maniche di camicia e coi calzoni di tela bianca, di cui l'alta cintura a quattro bottoni, abbracciava il giro enorme del corpo.
Egli aveva preso allora una doccia e andava ancora stropicciandosi energicamente il collo con un asciugamano spungoso.
Tra i capelli scuri, rialzati a spazzola, riluce vano spessi fili di argento; ma i baffi, lunghi e folti, erano ancora di un bel colore castagno, e sulle gote, rasate sempre accuratamente, bril lavano i colori della salute. Gli occhi soli, chiari, quasi viscidi, erano smorti sotto il peso delle pal pebre troppo massicce, e Flora, guardandoli, non poteva fare a meno di paragonarli, mentalmente, a quelli di un grosso pesce, inerte sopra un ta volo di cucina.