Roveto ardente/Parte seconda/III
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III.
— Avrei bisogno di parlare un momentino con la signora — disse Penelope, entrando nell'appartata stanzetta di Flora, poiché era qui che avevano luogo abitualmente i misteriosi conciliaboli fra la contessa e la portinaia.
— Entra ed aspetta; ma credo che tu abbia scelto un brutto momento. La signora ha i nervi — rispose Camilla, scappando in fretta per accorrere a una imperiosa chiamata di campa nello, proveniente dalla camera della signora.
Penelope, nella sua imperturbabile placidezza, non si preoccupava affatto per lo stato di agitazione in cui si trovavano i nervi della signora.
I nervi e gl'interessi sono due cose che non hanno niente di comune fra loro, e Penelope doveva parlare appunto d'interessi alla contessa Vianello. Si assise dunque tranquillamente e rivolse con molto garbo la parola a Flora, che, tenendo in grembo il cestino da lavoro portato dalla casa bianca, girava con agile destrezza l'uncinetto nelle dita sottili, intenta a copiare il disegno di un complicato merletto, cui volgeva l'occhio a quando a quando.
Il sole di aprile, entrando liberamente per la finestra spalancata, avvolgeva in pulviscoli d'oro la persona della fanciulla, di cui la testa, curva sull'opera gentile, veniva così irraggiata da tante piccole scintille luminose.
— Si lavora, signorina — disse la portinaia, divertendosi a forbire con una cocca del grem biale la pietruzza di un anello toltosi dal dito.
— Già, per passare il tempo — rispose Flora e chinò anche di più la testa a evitare lo sguardo di Penelope, che ella, con senso intollerabile di fastidio, sentiva ostinato sopra di sè.
Era assurdo; eppure il viso rubicondo di quella donna le incuteva un terrore vago, come se quel viso fosse una maschera e dietro la maschera si celassero i tratti mostruosi di un essere destinato a divorarla.
Penelope si gettò indietro sopra la seggiola, allungò i piedi calzati di fiammanti scarponcini di cuoio giallo e sbadigliò, educatamente, dietro la mano.
— Scusi tanto, se sbadiglio, signorina; ma lei deve compatire. Ecco le dieci e non mi sono an cora ricordata di prendere il caffè. Cosa vuole, il sabato santo è una giornata tremenda per noi portieri! e, visto che il gomitolo del refe era balzato dal cestina da lavoro e il filo si era im pigliato nelle gambe di una seggiola, Penelope si alzò, trasse a sè il gomitolo, lo raccolse, lo ravviò e le porse alla signorina, domandando:
— La signora contessa si è alzata da molto tempo? — e riprese il suo posto, ben decisa a restar lì, magari fino a mezzogiorno, pur di chiacchierare un poco con la signora intorno ai loro piccoli interessi.
— Non so — rispose laconicamente Flora. Dopo un prolungato intervallo di silenzio, Pe nelope, assumendo il tono della più perfetta bo narietà, disse: — La signora mi ha raccontato che loro, lag giù al paese, hanno fatto una bella eredità dopo la morte del vecchio conte. Ne ho avuto piacere, perchè la signora contessa meritava questa for tuna ·-- e nel pronunziare con affettata indiffe renza tali parole, teneva ostinatamente fermi gli occhi grifagni sul viso della fanciulla. Flora sollevò il capo vivamente, rimase coll'un cinetto brandito in aria a guisa di punto inter rogativo, s'imporporò sino alla fronte, sgranò in faccia a Penelope i grandi occhi turchini, dove il pensiero si rifletteva nitido, cerne si riflette un paesaggio nelle trasparenti acque di un lago, e dischiuse le labbra, sul punto di lasciarsi sfug gire una esclamazione di meraviglia e di prote sta; ma fu rapida a trattenersi. Strinse le labbra, chinò lo sguardo, inchiodò il mento sul petto e tornò a raccogliere maglie dal refe con la punta adunca dell'uncinetto. Le mani, le piccole mani bianche e leggere come farfalle, erano scosse da un tremito che la volontà non giungeva a domi nare. Ogni nuova menzogna di sua madre le ca deva sul cuore simile a goccia di piombo fuso, e sua madre mentiva sempre. Penelope aggrottò le sopracciglia folte, mentre i piccoli occhi vividi avevano un balenio d'irosa disillusione. In quella Adriana apparve silenziosamente presso la soglia della porta spalancata. La persona era avvolta in un ampio scialle turco di bizzarro di segno, e la chioma biondissima, ancora folta, morbida, giovanile, cadeva scomposta sul collo nudo e bianco. Le braccia, nude anch'esse fino all'ascella, sembravano ricoperte di raso, tanto la epidermide ne era candida e lucente.
- Cosa vuoi da me, a quest'ora? — ella disse drappeggiandosi nello scialle e avanzandosi di al cuni passi nella stanza.
Penelope non si affrettò, nè si scompose. Si alzò pacatamente dalla seggiola e cominciò coll'ammirare la magnificenza dello scialle, sottile come una tela di ragno, consistente al tatto più del velluto. La moglie di un re avrebbe potuto invidiarlo alla signora contessa!
Adriana rovesciò il capo con moto impaziente, raccolse con le mani i capelli spioventi e disse concitata:
— Se è per fare l'elogio del mio scialle che hai salite la scale, potevi risparmiarti la fatica.
Penelope sospirò con aria profondamente af flitta e scoraggita. No, non era per far l'elogio dello scialle che aveva salite le scale; era per dirle che suo marito voleva impiegare il loro piccolo capitaletto in una speculazione rara, in una speculazione in cui il danaro poteva aumen tare a vista d'occhio; onde Penelope si vedeva obbligata di pregare la signora contessa a resti tuire in giornata, quelle poche centinaia di lire prestate a lei da tanti mesi.
Flora si alzò di scatto e fece per andarsene. — Resta; non faccio misteri con te — le disse Adriana, lasciandosi cadere sopra la seggiola oc cupata dianzi da Penelope, la quale, appoggiata alla ringhiera del lettuccio di ferro, cominciò a parlare lentamente, prolissamente, senza esaltarsi mai, anzi con tono umile e remissivo, mentre Flora, soffocando un sospiro, riprese il suo posto con rassegnata docilità.
— Vede, signora, se fosse per me, non solo 10 non domanderei quel danaro, ma sarei pronta a dargliene dell'altro fino a mungere dalle mie tasche l'ultimo centesimo. Ma lei conosce gli uo mini, non è vero? Testardi e prepotenti! Mio marito vuole approfittare di una buona occasione, e io devo chinar la testa; mio marito mi ha or dinato di presentarmi qui, a fare una simile par taccia, e io ho dovuto chinar la testa; se mio marito mi ordinasse di buttarmi dalla finestra sul momento, io dovrei chinar la testa. Sa di che cosa sarebbe capace mio maritò, se lei non resti tuisse in giornata quei danari? Sarebbe capace di mandarmi qui, a fare una chiassata in pre senza dell'onorevole.
Flora non lavorava più. Le mani giacevano abbandonate in grembo e piccole stille di sudore le imperlavano la fronte.
Una schiera di lodole passò, quale folgore, con alti gridi, segnò per un attimo di segni neri la perlacea lucentezza del cielo primaverile, e scom parve, lasciando dietro di sè un solco festoso di note La giovanetta alzò il capo, scorse il tur binìo leggero delle ali ed ebbe un gesto irrifles sivo delle braccia, quasi per volar anche lei lontano e scomparire verso l'azzurro.
Come doveva essere quieta la casa bianca tra 11 verde rinnovato dei campi e il roseo delicato dei mandorli in fiore!
Come i papaveri fiammeggianti dovevano dondolarsi allegri sugli alti steli e come il fiordispino doveva affacciarsi leggiadro di tra le siepi!
Adriana, studiandosi di apparire tranquilla, disse a Penelope sdegnosamente:
--- Benissimo! Una chiassata in presenza del l'onorevole? Ma l'onorevole pai te questa sera e la chiassata, se mai, dovrete andargliela a fare al suo paese!
— E la posta, signora mia, e la posta? — disse Penelope dolcemente — Con due soldi si scrive in una cartolina tutto ciò che si vuole, e se l'onorevole dovesse passare dei guai in fami glia, e se lei dovesse avere dei gravi dispiaceri con l'onorevole, io potrei sempre dire di averla avvisata in tempo.
— Ma se io non so nemmeno quale è la somma che mi hai prestato! — esclamò Adriana fuori di sè, trovandosi smarrita in un vero gine praio e comprendendo che quei piccoli, esosi, im placabili usurai de' suoi portieri sarebbero stati ca paci di tutto.
Essi avevano, senza dubbio, fiutata la miseria nascosta che da qualche tempo rosicchiava Adriana sotto l'apparente agiatezza. Camilla doveva avere parlato e mostrato in portineria i gioielli che la signora si era veduta costretta di mandare al Monte di pietà.
Le trecento lire dell'onorevole non bastavano nemmeno per cominciare, molto più che Adriana, avara fino all'esosità in certe occasioni, diventava in certe altre di una prodigalità pazza.
Oggi si privava del necessario, condannandosi persino a restare al buio una parte della serata per economizzare pochi centesimi sulla spesa della luce elettrica, domani spendeva cento lire in un cappello, di cui non aveva alcun bisogno e che, dopo due giorni, non le piaceva più af fatto. Con questo metodo gli armadi rigurgita vano di oggetti inutili e le note, non saldate, svo lazzavano un po' per tutto, finché giungevano, a intervalli più o meno lunghi, i periodi acuti di crisi.
Erano quelli giorni trionfali per Penelope, la quale, chiamata in fretta da Camilla, veniva cir cuita di preghiere e di carezze, perchè s'indu cesse a togliere qualche biglietto da cento dal suo libretto postale. Le trattative erano lunghe e minuziose. La signora contessa si obbligava a restituire un tanto per settimana, pagando inte ressi favolosi, di cui ella non si rendeva nem meno conto, nella intricata complicazione del suo debito fluttuante.
Alla fine della prima settimana la signora con tessa trovava più comodo di restituire a mese; alla fine del primo mese si conveniva di resti tuire l'intiera somma a scadenza fissa, e al mo mento della scadenza Adriana dava un acconto, facendosi prestare, dopo alcuni giorni, il doppio dell'acconto restituito.
Ella era dunque sincera, dicendo di non sa pere nemmeno a quanto il suo debito ammon tasse.
— Ecco, a dire il vero, mi ci confondo an ch'io — disse Penelope, crollando il capo con bonarietà. — Cosa vuole? Oggi si dà, domani si ripiglia, passato domani si dà ancora, e via di seguito. Ne viene un tale pasticcio, fra capitale e interessi, che non ci si raccapezzerebbe nep pure uno scrivano. Si figuri io, povera donna, che non so nè leggere, nè scrivere! Che Penelope non sapesse nè leggere, nè scri vere, era verissimo; ma che ella si confondesse nel computare i propri interessi era assolutamente falso.
Aiutandosi con la sua memoria fenomenale e contando sulla punta delle dita, teneva, con esat tezza meticolosa, la propria contabilità dentro la propria testa, e avrebbe potuto sfidare qualsiasi esperto contabile a segnare più esattamente sopra un registro, ciò che ella segnava nella sua memoria. E poteva giustamente vantarsi con orgoglio di non aver mai defraudato nessuno di un centesimo, perchè, se prestando il suo povero danaro ella voleva ria verlo centuplicato, e se diventava di una ferocia di iena per rientrare nel suo, si sarebbe sentita svergognata al cospetto di sè stessa aumentando il conto del suo credito di un centesimo solo.
— Potrebbe darsi che mi confondessi aneli' io — ella disse, dopo aver meditato profonda mente — ma credo che lei, signora contessa, mi debba restituire la cifra tonda di duemila lire.
Adriana ebbe un gesto di noncuranza. Mille, duemila, tremila, diecimila era perfettamente la stessa cosa, considerato che in quel giorno non possedeva nulla.
Appuntò i gomiti sulle ginocchia, appoggiò il mento alle palme delle mani, e fissò Penelope di sotto in su, quasi per consultarla.
Ogni collera era svanita in lei. Ogni collera ed ogni orgoglio. Ella interrogava Penelope con occhio ansioso, come s'interroga un'amica da cui si attenda consiglio. Nei momenti di collera o di sconforto 1' inverniciatura aristocratica si screpo lava, il povero blasone dei Vianello, tarlato e corroso, si sgretolava, e in Adriana appariva l'av venturiera intelligente e fortunata, di cui l'origine era per tutti un mistero.
Ella, volendo, avrebbe potuto narrare di una infanzia trascorsa miserevolmente, in mezzo ai rigagnoli di. una via buia e fangosa, dove un piccolo caffè si popolava di avventori loschi nelle otarde ore della sera e dove ella sonnecchiava in un canto, finché, ai primi chiarori dell'alba, il negozio si vuotava tacitamente, e suo padre e sua madre si distendevano sui divani, annientati da un sonno di piombo. Ma Adriana non par lava mai de' suoi genitori, morti da un pezzo; dall'epoca remota, forse, in cui Adriana, a se dici anni, meravigliosa di bellezza, aveva comin ciato a studiare musica,, sotto la protezione di un signore, rubicondo e canuto, scomparso e obliato anche lui da gran tempo.
Penelope s'impostò davanti alla signora, ap poggiò le mani sui fianchi, dondolò ripetutamente le anche, poi disse con voce di trionfo:
— Ecco, signora contessa, mi pare di aver trovato la maniera per levarsi d'impiccio.
Adriana la fissò dubitosa. — Lei mi dia, in giornata, la metà della som ma e io litigo magari con mio marito, se quel testardo non è contento. Che ne pensa? Non è forse una bella idea? No, Adriana non trovava l'idea affatto di suo gusto, ma comprese che, volendo evitare secca ture enormi, bisognava accettarla, e promise sen z'altro di restituire, in giornata, mille lire, rega lando intanto a Penelope dieci lire per la man cia di Pasqua e promettendole un dolce per il pranzo deH'indomani. Penelope si commosse fino alle lacrime, baciò la mano della signora contessa, coprì di benedizioni tutta la casa, e se ne andò per le sue faccende.
Flora e Adriana rimasero sole nella silenziosa cameretta; la madre piegata in due, sopra la seg giola, a meditare; la figliuola col gomito appog giato sul davanzale della finestra e l'occhio az zurro vagamente perduto nell'azzurro del cielo.
Adriana si alzò, si stirò a lungo con le braccia in alto, sbadigliò a più riprese, contorcendosi co me una biscia, poi, gettando indietro con atto fastidito del capo la massa aurata dei capelli, chiamò con dolcezza la figliuola.
— Vieni qui, Flò. La fanciulla si avvicinò, e Adriana le posò ambo le mani sopra le spalle, mormorandole all'orecchio con voce di preghiera: — La piccola Flò vuol togliere d'impaccio la sua mammina e domandare mille lire all'onore vole? Flora ebbe un grido impetuoso di ribellione. — No, mai, mai. Adriana guardò la figliuola con occhio colmo di stupore. — Si direbbe che l'onorevole ti abbia qualche volta mancato di rispetto. Flora protestò sinceramente. — No, io non posso che lodarmi del suo con tegno verso di me; anzi ti dirò che non imma ginavo l'onorevole tanto delicato. Era vero. L'onorevole Montefalco aveva pro vato subito per Flora un sentimento tutto pa terno. Quella giovanetta cosi candida, gli ricor dava le figliuole assentì e, di fronte alla limpi dezza de' suoi occhi turchini, provava un certo malessere, pensando per quali ragioni egli spa droneggiasse in quella casa.
— Dunque vedi — disse Adriana, accarezzando con dita lievi i capelli della figliuola. — L'ono revole ti potrebbe essere padre quasi due volte; egli sa benissimo che io non tollererei da sua parte la menoma famigliarità verso di te, e mi pare che non ci sia niente di male se, in queste circostanze, tu ti rivolgi a lui, chiedendogli una piccola somma.
Flora negò di nuovo col capo. — No, mamma, no, non farmi far questo. — Ma perchè, bestiolina? — insistette Adriana, dolcemente — L'onorevole parte questa sera e oggi deve venire da noi a colezione. Io adesso esco; quando Riccardo viene, tu gli chiedi, così, senz'annetterci importanza, le mille lire. Imma gina la sua faccia! Io rido solo a pensarci. E rideva, infatti, di gran cuore, solleticando la figliuola dietro le orecchie, perchè ridesse anche lei. — Farà un viso da ghigliottinato; ma ti darà la somma, ne sono certa. Capirà benissimo che sono stata io a fartela chiedere. Non me ne im porta affatto. Ti assicuro che non ni' importa niente di ciò che quello stupido provinciale vorrà pensare di me. Grosse lacrime rigavano le gote sbiancate della giovanetta, che, per non iscoppiare in singhiozzi, si ribeveva il pianto, sentendone sul palato il gusto amarognolo. Adriana la guardava fra sgomenta e meravi gliata. Dio mio! Com'era delicata di sentimenti quella povera l'Io'! Una vera sensitiva! — E con un lembo dello scialle turco cominciò, ad asciu garle il volto amorosamente. La pioggia delle lagrime divenne più copiosa e alcune di quelle stille vive caddero sopra il collo nudo di Adriana, la quale ne rimase scon volta.
— Non piangere così, piccola bestiolina. Se il togliermi d'impiccio ti costa tanto dolore, eb bene, vada pure tutto a rotoli. Il portiere stre piti, Penelope strilli, succeda il finimondo; ma io non voglio veder piangere la mia piccola Flò! — e, vinta dal contagio del pianto, cominciò a singhiozzare anche lei, nascondendo il volto nel petto della figliuola e ripetendo disperatamente che voleva morire.
Flora provò uno slancio di tenerezza appas sionata verso sua madre.
— Tu sei buona, mamma, e io ti amo. No, quella gente non ti deve umiliare, non ti deve martirizzare — e Flora stringeva la madre con ardore nelle sue braccia, quasiché la rivedesse dopo una lunga assenza o la riacquistasse dopo un pericolo.
Adriana si svincolò con dolcezza dalle braccia della figliuola, le aggiustò una ciocca di capelli, che nella foga delle carezze si era scomposta, e le disse, baciandola:
— Fa quello che tu vuoi; ma ricordati che io non ti obbligo. No, non ti obbligo in nessun modo — e se ne andò per abbigliarsi.
Flora intrecciò le dita col gesto che era in lei abituale e, color di porpora in volto, corruscanti gli occhi per le recenti lacrime, sollevato il petto da un respirare frequente, rimase immota nel mezzo della stanza a interrogare sé stessa e a misurare le proprie forze. Avrebbe ella trovato in sè il coraggio di superare la ripugnanza e rivolgere all'onorevole l'audace domanda? E con quali frasi avrebbe dovuto formularla? Quale scusa addurre, in qual modo entrare in argomento, come imporre alla voce di non tremare alla gola di lasciar li- bero il varco al suono delle parole?
Chiuse gli occhi, indietreggiò con il busto e protese in avanti le mani intrecciate, come ad allontanare da sè, con atto di supremo disgusto e ardente preghiera, un beveraggio troppo amaro.
Le vicende della passione di Cristo, sentite narrar da piccina, con accenti semplici e gravi, dalla sua rustica nutrice, le tornarono in mente; i racconti dei martiri, letti più tardi in convento, nei libri ascetici, le si affollarono al pensiero, ed ella provò l'ardente sete di amore e di sacrificio per cui, in altri tempi, s'imponeva le mortifica zioni più aspre per somigliare, in qualche modo, alle eroine dei libri mistici, ond'era formata la biblioteca della casa bianca e che avevano costi tuito il pascolo dell'accesa sua fantasia. Oh! quante volte, durante la fervida adolescenza, ella aveva sentito dilatarsi il cuore di angoscia voluttuosa al pensiero delle sante giovanette andanti a mo rire per la loro fede, con le chiome sparse, gli occhi levati al cielo, la palma del martirio fio rente già di tra le dita immacolate, e un'aureola divina irraggiante le pure fronti candide e tenui. Gettarsi così, cantando salini, fra le zampe dei leoni, incrociare le braccia sul petto, abbando narsi alla morte, chiudere gli occhi tra i ruggiti delle belve fameliche, tra il sangue fuggente a fiotti dalle membra dilaniate, e ridestarsi, subito dopo, in mezzo a cori di angeli festanti, in mezzo a un folgorìo di ali più bianche della neve al sole, aspirare profumi ignoti ai fiori terrestri e sommergersi, per l'eternità, entro una fonte pe renne di gioia! Tutto l'ardore mistico e l'esalta zione tormentosa, che ella aveva ereditato da suo padre, le divamparono in cuore con impeto rin novato.
Il domandare mille lire all'onorevole costituiva per lei un martirio, un vero martirio, ed ella vi si sa rebbe esposta, eroicamente, per amore di sua madre.
Si avvicinò alla finestra. La primavera sorri deva dal cielo con allegrezza infantile. L'aria veniva colma ili aromi dai prossimi giardini della via Ludovisi; nella via delle Fiamme, sempre deserta, una giovane popolana stava inginocchiata al suolo con le braccia dischiuse amorosamente a proteg gere il passo vacillante del suo figliuoletto, che, secondo la costumanza popolare, doveva sciogliere il passo per la prima volta, senza dande, nella mattina del Sabato Santo, al suono delle cam pane. E le campane echeggiarono, infatti, da ogni parte con letizia, annunziando agli uomini che Cristo era risorto e che il patto veniva rinnovato, pei tempi dei tempi, unitamente al rinnovarsi delle stagioni e al ridestarsi dei fiori.
La giovane madre lasciò a sè il figliuoletto, battendo palma a palma per incitarlo al cimento. La creaturina annaspò in aria con le mani gras socce, barcollò, si guardò smarrita d'intorno, quasi paurosa del vuoto, poi a passi incerti e precipitosi corse a gettarsi nel seno materno. La donna, con un grido di gioia, sollevò in alto il suo tesoro, lo palleggiò al di sopra della bella testa bruna, mentre il bimbo rideva di fulgido riso, mostrando il nitóre di quattro dentini iso lati tra la rugiadosa freschezza della boccuccia color di rosa. Adriana usciva intanto dal portone, elegantis sima nel suo vestito da mattina di stoffa grigio ferro. La gonna abbondante cadeva in pieghe mor bide, e il bolèro, a grandi risvolti, si apriva sulla carnicina di seta bianca, disegnata con minuscoli dadi azzurri. Il candido pennacchio del cappel lino, in giaietto, secondava il ritmo della svelta andatura. Adriana sollevò il capo, vide Flora alla finestra, le mandò un bacio sulla punta delle dita guantate, si voltò ancora presso l'angolo della via e disparve.
Flora rimase alla finestra a spiare, c*m un misto di terrore e impazienza, la venuta dell'onorevole, il quale arrivò poco dopo, in carrozza, tenendo sospeso a un cordoncino dorato un pacchetto av volto in carta sottile.
Il portiere si avvicinò ossequioso, a capo sco perto, mentre l'onorevole toglieva di tasca alcune monete.
Egli, entrando nel portone, disse forse a Gio vanni di pagare il cocchiere e tenersi il resto, perchè Giovanni s'iuchinò profondamente e di gnitosamente.
Il cuore di Flora batteva a martello ed ella, sopraffatta da un istante di pusillanimità, fu sul punto di chiudersi nella propria stanza e rima nervi sequestrata fino al ritorno di sua madre; ma questo non si poteva, non si doveva. Flora aveva giurato a sè stessa di essere eroica ed era necessario di mantenere il giuramento.
Si avviò incontro all'onorevole coll'audacia di sperata del coscritto che chiude gli occhi e si getta a capo chino nel folto della mischia per affrontare il pericolo senza vederlo.
Camilla, irreprensibile nel candore abbagliante del grembiale, introdussè l'onorevole nel salotto e sbirciò curiosamente la signorina cogli occhietti maliziosi. Senza dnbbio la signora contessa do veva già averle confidato ogni cosa.
— Buon giorno, signorina — disse l'onore vole con quel suo riso soddisfatto che dava una espressione cosi placida alla faccia rotonda, di visa in due dai baffi radi e biondastri.
·-- Buon giorno — rispose Flora, e avrebbe voluto aggiungere qualche altra parola; ma nel cervello le si fece un gran vuoto ed ella non seppe che cosa dire.
— La mamma è uscita? — domandò l'ono revole.
— Sì, la mamma è uscita — confermò la gio vinetta e diventò rossa, sembrandole che l'ono revole dovesse già subodorare qualche cosa nella constatazione di un fatto pur cosi semplice, visto che sua madre usciva spessissimo di mattina.
— Bene, bene, aspetterò; non c'è nessuna fretta — disse il Montefalco, asciugando col faz zoletto l'interno del cappello a cilindro. — Siamo di aprile e già si comincia a sudare in questa benedetta Roma. A ogni modo oggi parto; già, parto, e vado a casa mia!
— Ah! sì? --- domandò Flora e chinò gli occhi in preda a indicibile confusione. Forse l'o norevole Montefalco le scrutava nel pensiero e aveva accennato alla propria partenza per solle citarla a dirgli ciò che gli doveva dire.
— Sicuramente, sicuramente! Laggiù mi aspet tano e il giorno di Pasqua, dopo tutto, fa pia cere di trovarsi in famiglia.
Adesso fu la volta dell'onorevole di rimanere imbarazzato. Cosa diavolo gli era venuto in mente di nominare la sua famiglia, in presenza di quella povera bambina, che impallidiva e arrossiva per un nonnulla?
La giovanetta, infatti, si era coperta di rossore. Ella avrebbe voluto mostrarsi gentile, chiedere al l'onorevole notizie della sua famiglia e delle sue figliuole; ma le mendicanti non debbono varcare la soglia delle case perbene; anzi debbono rima nere nell'ombra il più possibile.
L'onorevole prese il pacchetto, che aveva de posto sopra una mensola, e lo porse a Flora sor ridendo.
Una contentezza quasi infantile gli brillava nel volto bonario.
·--- Per lei, signorina!... Prenda, è per lei — ripetè, vedendo che la giovanetta rimaneva im mobile a fissarlo spaurita coi grandi occhi turchini.
Flora prese l'involto macchinalmente. — Lo apra; andiamo, lo apra — egli disse con voce amorevole e, vedendo l'esitazione di lei, soggiunse allegramente: — Suvvia, si faccia coraggio. Non c'è mica una bestia feroce in quella scatola! No, no, tutt'altro! Flora sciolse il cordoncino dorato con le dita convulse, mentre la fossetta del mento pareva più cupa pel tremito delle labbra. Ella provava un'an sia, un terrore, un formicolìo di ribrezzo lungo la schiena, come se quel brav'uomo che le stava dinanzi fosse un carnefice, intento ad apprestarle qualche orribile strumento di tortura. L'emozione di lei era tanto evidente che l'or norevole ne rimase colpito. Egli la guardò affettuoso un istante, poi disse con gravità: — Non tremi così, cara bambina, e non apra gli occhi con quell'aria spaventata. Il mio regalo non ha niente di mostruoso, glielo assicuro ·-- e svolse egli stesso l'oggetto dalla carta velina che lo ricopriva.
— Ecco, vede, è un agnellino di zucchero, un piccolo agnellino che le somiglia — e lo depose sul tavolo, guardando con soddisfazione ora la giovanetta, ora l'agnellino, che posava le quattro zampe sopra uno strato di zucchero pinto in verde, e teneva la testa volta all'indietro in atto timido. Nel dorso arrotondato di un tenue color di rosa, stava confitta l'asta dorata di una minuscola ban dierina di seta gialla.
Flora contemplava estatica il dono e, senza rendersene conto, aveva intrecciate le mani e ri maneva come in adorazione.
A un tratto strinse le dita, aggrottò la fronte, contrasse la bocca e, appuntando il mento sul petto, figgendo l'occhio sbarrato sopra la punta del suo piede, disse di un fiato, con accento af fannoso:
— Bisogna che lei mi dia quelle mille lire! L'onorevole la guardò inebetito.
Quali mille lire? — egli chiese. — Quelle, quelle, sì, quelle che io le devo do mandare — e alzò sul viso dell'onorevole gli oc chi con tale espressione di smarrimento, che egli comprese ed esclamò indignato: — O povera bambina, la obbligano a chieder mi del danaro adesso! Flora negò col capo vivamente. — No, no, io, sono io — ella balbettava con voce strozzata. — Andiamo, per carità, non dica sciocchezze, poverina! Come se io non capissi tutto abba stanza bene. Quello che le fanno fare è indegno^ sicuramente, le fanno fare una cosa indegna — e, nell'impeto del gesto, respinse lungi da sè l'a gnellino di zucchero, che, cadendo sul pavimento, si ruppe in tanti frantumi.
Flora, superato il primo ostacolo, insisteva con accanimento, esaltandosi al suono delle proprie parole e gustando una voluttà acre nel tormen tarsi.
- Si, sì, sono stata io che ho voluto, e lei non può negarmi questo favore. La mamma non c'entra, la mamma non voleva, non accusi la mamma! Lei è ricco, tanto ricco! Mi dia mille lire, me le dia oggi, adesso, subito, e poi non me ne parli più, no, non me ne parli più! — ella esclamò in uno scoppio irrefrenabile di di sperazione; e si aggrappò a lui, non si capiva bene se per implorarlo ancora di darle la somma richiesta, o se per supplicarlo di non parlargliene mai più in avvenire.
L'onorevole prese nelle sue le mani di Flora. — Andiamo, si calmi. Certamente che io non le riparlerò di ciò che accade oggi; ma lei, dal canto suo, non accetti più di questi incarichi spi nosi. Lei non sa, lei non capisce; ma, per regola generale, non domandi mai niente a nessuno. Si lasci pregare, si lasci supplicare, ma non domandi niente a nessuno. La giovanetta divenne smorta. L'esaltazione cadeva e sorgeva in lei la coscienza nitidamente esatta della propria umiliazione. Un lembo della cortina spessa, che nascondeva per lei la realtà della vita, si squarciava brutalmente, ed ella co minciava a distinguere le cose nei loro precisi contorni. Sentì nell'anima lo scoramento di un viaggiatore improvvido, il quale, mirando da lon tano una foresta e credendola densa di ombre, amabile di frescura, vi si cimenti fidente, senza nemmeno curarsi di scrutare il sentiero avanti di sé. Ma il viaggiatore si accorge che la foresta è piena d'insidie, che è popolata di mostri, e ri flette, troppo tardi, che egli non ha pensato a premunirsi contro le une, non ad agguerrirsi contro gii altri. Che fare? Ogni tentativo riusci rebbe vano, impari ogni lotta, e l'incauto si ab bandona accasciato nell'attesa del proprio destino.
No, Flora non avrebbe mai saputo lottare contro le asperità della vita! Per la prima volta ella si rese conto di quanto il sentiero fosse scosceso e quanto delicato il suo piede; per la prima volta ebbe l'impressione sicura di una fatalità che la sospingeva, di una fatalità che l'attirava, e, la sciatasi cadere senza forze sopra una seggiola,, abbandonò il gracile busto sull'orlo del tavolo, nascose la fronte entro le braccia e pianse.
L'onorevole, che temeva di averla offesa con le sue parole, volle avvicinarsi per consolarla; ma Flora si alzò, e uscì dalla stanza senza parlare.
Adriana tornò poco dopo ed entrò nel salotto, portando un grosso mazzo di mughetti, esalanti squisito aroma dalle bianche coppe minuscole.
— Buon giorno, Ri! — ella esclamò gaia mente, apprestandosi ad infilargli nella bottoniera un ramoscello di mughetto.
Senonche Ri le disse, senza preamboli: --- Quello che tu hai fatto oggi è ignomi nioso. Adriana rimase di sasso. — Ignominioso che cosa?
. — Non dovevi mai spingere tua figlia a do mandarmi del danaro. E' una cosa incredibile. Ti confesso chiaramente che sono addirittura nau seato.
Ella tentò di negare; ma 1' onorevole 1' inter ruppe, alzando le spalle.
— A chi vorresti dare ad intendere che quella ragazza mi abbia chiesto mille lire di testa sua? Sei stata tu ad imporglielo, ed è ignominioso: ti ripeto che è ignominioso.
Adriana assunse, come faceva sempre, nelle si tuazioni imbarazzanti, i suoi modi alteri di re gina oltraggiata.
— Senti, caro mio — ella disse freddamente, disponendo i mughetti entro un portafiori di cri stallo — io non ho bisogno che tu venga qui a darmi lezione di morale. Qui non sei alla pre senza de' tuoi elettori, e puoi risparmiarti i tuoi luoghi comuni.
L'onorevole scattò. Luoghi comuni finché ti piace; ma tu sei una incosciente. — Va bene disse Adriana con sorrisetto sarcastico — se hai bisogno di fare qui i di scorsi che non fai mai al Parlamento, ti starò a sentire. Non mi diverti, ma ti starò a sentire per compiacenza — e si distese in una poltrona in trecciando le mani dietro la testa.
L'onorevole rimase in piedi davanti a lei. II volto gli si era congestionato, gli occhietti pic coli schizzavano fuoco.
Nel suo temperamento placido scoppiavano ta lora crisi di collera concentrata, che egli mani festava senza gridare, senza scalmanarsi, con pa role sibilanti e taglienti. Li, in quel salotto dove anche 1' eleganza dei mobili esalava profumo acuto di peccato, di fronte a quella donna che lo fissava con occhi di scherno provocatore e di cui le labbra, troppo rosse, ac cusavano l'uso del carminio, egli provò una ri bellione di tutto il suo essere.
Gli pareva che Adriana con le morbide mani gemmate, avesse portato lo scompiglio nelle abi tudini regolari della sua placida vita, e il sordo rancore che, celato dall'appagamento del senso, gli serpeggiava nell'anima da qualche mese, gli si rivelò intero ed egli capi che sentiva il bisogno di farla finita una volta per sempre.
— No, sta tranquilla - egli disse, curvandosi un poco verso di lei e abbassando la voce --· non ti predicherò la morale, perchè, a ogni modo, tu non la comprenderesti.
Adriana ebbe un risolino stridulo; ma rimase imperturbata nella sua posa.
— Semplicemente voglio dirti che, quando ci si diverte a buttare il danaro dalla finestra, si deve, per lo meno, avere il coraggio di doman darlo da sè.
Adriana rispose lentamente, dondolando i piedi che teneva incrociati sul pavimento, e come se parlasse per forza, pensando ad altro:
— Anche supposto che io abbia suggerito a Flora di rivolgersi a te per quella miseria, la colpa è tua. Sei tanto avaro che, quando mi vedo costretta a domandarti cinque lire, provo un senso di paura. Flora ha bisogno di vestirsi e...
Egli non la lasciò finire. — Per l'amor di Dio, non ricominciare la com media dei vestiti di Flora! Me li avrai fatti pagare cento volte i suoi vestiti ed ella indossa sempre l'abito nero portato dalla campagna.
Adriana, punta sul vivo, rispose: — Ho colpa io se Flora si ostina a non vo lersi togliere di dosso i suoi stracci? — Ha ragione disse con forza l'onorevole, — Ragione di che? — domandò fremente Adriana. — Ragione di non voler indossare i tuoi cenci di seta. Tu non arriverai mai a capire il carattere di tua figlia. Tra lei e te, in fatto di delicatezza, ci corre quanto dalla terra alla luna. Adriana afferrò i braccioli della poltrona, si sollevò a mezzo e, livida di collera, disse a denti stretti: — Se, per caso, ti fosse saltato l'estro d'innamorarti di mia figlia — coi vecchi libertini non si sa mai — ricordati che quella ragazza è sotto la mia protezione e saprò difenderla. Il Montefalco ebbe un gesto iroso di nausea: — Ecco, tu nei sentimenti onesti non ci ca pisci assolutamente nulla. Io innamorato di Flora? Sarebbe come se mi venissero a raccontare che io sono innamorato di mia figlia — e, rompendo ogni diga alla sua indignazione, proseguì: --· Allora, giacché vuoi saperlo, ti dirò che Flora m'inspira una grande pietà. Sì, mi fa pena. Ho anch'io due figlie, dopo tutto, e penso cosa sarebbe di loro se si trovassero nella condizione della tua — e, afferrato il cappello, non volendo più oltre compromettere la sua dignità in una discus sione indecorosa, se ne andò in fretta, incrolla bilmente deciso a non rimetter piede in quella casa. La contessa era una donna pericolosissima, che avrebbe potuto trascinarlo Dio sa fin dove; e anche Flora, quantunque ella non ne avesse colpa, lo faceva soffrire. La ragazza gli produceva il senso di compassione che produce un povero uc cellino, trascinante dietro di sè 1' ala ferita dal piombo e segnante l'erba di traccia sanguigna. Ma la compassione, a lungo andare, diventa un sentimento fastidioso e meglio valeva che la madre e la figlia se l'intendessero fra di loro, senza che egli si tormentasse ad arrabbiarsi con l'una e ad intenerirsi con l'altra. La parentesi del vizio nella esistenza tranquilla di una persona ammodo, può riuscire divertente a patto che non sia compli cata e, sopratutto, che non sia troppo lunga.
L'onorevole Montefalco dunque, appena arri vato al suo paese, spedi alla contessa Vianello un vaglia telegrafico di mille lire, e scomparve senza più dare notizie di sè.