Rivista di Scienza - Vol. II/La morte

Paolo Enriques

La morte ../Le principe d’inertie et les dynamiques non-newtoniennes ../La théorie électromagnetique de l’Univers IncludiIntestazione 5 gennaio 2014 75% Scienze

Le principe d’inertie et les dynamiques non-newtoniennes La théorie électromagnetique de l’Univers
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LA MORTE.


SOMMARIO:


I. Esistenza della morte naturale nei vari organismi: 1. Protisti. 2. Piante. 3. Animali.
II. Qualche teoria sull’origine della morte.
III. La teoria della diminuzione progressiva del potere assimilatore, nella filogenesi e nell’ontogenesi.
IV. Riassunto della discussione.


Esaminare se la morte sia nei varî regni della natura inesorabile conseguenza della vita, come lo è nell’uomo e negli animali superiori — studiare, qualora ciò non sia, le cause per le quali i varî organismi siano da questo punto di vista differenti — discutere delle intime modificazioni che ci conducono alla fine naturale dell’esistenza — ecco gli intenti di questo breve scritto, nel quale spero di poter mettere in luce alcuni nuovi modi di intendere questi problemi e la loro soluzione.


I. Esistenza della morte naturale nei varî organismi.


1. Protisti. — Fu dal Weismann sostenuta l’idea della immortalità potenziale dei Protisti. Questi esseri, si tratti di Alghe unicellulari, o Batterî, o Protozoi, hanno un modo di riproduzione comune: quello della divisione di un individuo in due simili a lui stesso; e di più, altri complicati modi di propagazione, per spore ecc., i quali però spesso possono essere evitati. Lunga questione si è dibattuta, per decidere se un organismo che si divide in due muore o no durante questo passaggio; è una di quelle questioni che sorgono per l’inconscio desiderio di estendere a tutta la natura vivente [p. 107 modifica]i concetti che lo studio dell’uomo e di qualche altro animale ci ha fornito. La morte è nell’uomo contraddistinta insieme da due caratteri: cessazione della vita con formazione di un cadavere, e cessazione di una individualità, di una personalità vivente; nè ci accorgiamo di tale duplice carattere finchè rimaniamo nel campo degli animali superiori; ma appunto nei Protisti si ha la sparizione di una personalità, senza la cessazione della vita, quando da un individuo si passa, per divisione, a due altri; onde, se è vero che la scissione non ci mette dinanzi ad un cadavere, è anche vero che l’individuo prima vivente non esiste più. I fenomeni non sono direttamente paragonabili tra Protisti ed animali superiori, ed è soltanto una questione di definizione, l’ammettere che la scissione di quelli sia collegata o no colla morte. Noi ci atterremo alla definizione della morte quale cessazione della vita, dicendo perciò che i Protisti non muoiono durante la scissione; ma non vogliamo dare importanza eccessiva alla discussione che è stata fatta a tale proposito.

Premesso questo schiarimento, passiamo ad esaminare delle questioni di fatto — non più di parole — che sono state sollevate dallo studio degli organismi sopra nominati.

E proseguiamo ancora con alcune considerazioni del Weismann. Quando un organismo si scinde in due uguali a lui stesso, la morte naturale con produzione di cadavere non può avere altro senso che quello di morte naturale della specie intera, i due nati andando soggetti allo stesso destino; soltanto la divisione cellulare ineguale, che da una cellula ne produce due fornite di proprietà differenti, permette di conciliare la possibilità di una morte individuale ineluttabile, colla conservazione della specie, avendosi una morte ineluttabile, naturale, che colpisce alcuni dei discendenti della cellula prima considerata, non gli altri. Ciò è avvenuto nello sviluppo degli esseri pluricellulari, dove la linea delle cellule germinali, ha conservato la potenziale immortalità dei Protisti, mentre la linea delle cellule somatiche ha acquistato il carattere della mortalità, nei singoli individui che vengono prodotti. È bello questo concetto della vita attraverso ai singoli individui mortali i quali sarebbero come rami destinati a cadere di un grande tronco che cresce sempre, e col quale si rappresenta simbolicamente la linea delle cellule germinali, nei successivi individui.

[p. 108 modifica]La questione dei Protisti non è però esaurita, con questi concetti del Weismann. Un altro elemento è apparso importante nella biologia di questi esseri, e tale da complicare molto la questione. Il Maupas (Arch. de Zool. expérim. 1888-89) ha sostenuto la necessità della coniugazione negli Infusorî, e la morte degli individui ai quali le condizioni sperimentali permettano solo di propagarsi per scissione. Sono state descritte come fenomeni di invecchiamento le alterazioni precedenti a questa fine, ritrovate anche da parecchi autori, p. e. dal Calkins. Questi però le vinceva, anzichè colla coniugazione, mediante l’azione di speciali stimoli chimici o fisici. Si deve considerare questa fine delle culture degli Infusorî come una morte naturale? Il Metchnikoff (nel suo libro Disarmonie della natura umana, traduz. ital., Pallestrini, Milano) non è in ogni caso di questo parere, perchè considera la suddetta fine come prodotta da quelle nocive condizioni, le quali impediscono la coniugazione nello stesso modo che muore un individuo privato del cibo. Ma a questo si può ancora rispondere che la coniugazione è accompagnata, come ogni forma di fecondazione, dalla distruzione parziale dei nuclei che si uniscono prima che l’unione si compia; onde si potrebbe riscontrare qui un fenomeno di morte naturale.

Il problema ha però una soluzione più radicale, in quanto la coniugazione non è necessaria per la vita della specie. Io credo di aver portato le prove che la specie si propaga altrettanto bene colla sola scissione, quanto se la coniugazione intervenga, ed all’infuori di qualsiasi azione stimolante. Noi non possiamo certamente affermare l’inestinguibilità di una specie, in un periodo di tempo indefinito, ma quello che ci preme a questo riguardo è di stabilire che — coniugazione o no — il valore delle prove di una simile inestinguibilità, è esattamente lo stesso. E questo è ormai stabilito. Anzi, in un caso speciale, nelle Vorticelle, il peduncolo contrattile, che non si divide quando da un individuo se ne producono due, ma resta ad uno dei discendenti (l’altro lo riforma), si può conservare tanto a lungo quanto si mantengono buone le condizioni della cultura d’esperimento. Per dare un’idea di ciò che può significare il mantenersi di questo peduncolo intatto per più di 50 generazioni, si può fare un paragone un poco grossolano, e dire che questa persistenza potrebbe corrispondere alla sopravvivenza di un braccio o di una gamba umana, la quale [p. 109 modifica] fosse adoperata dagli individui delle successive generazioni, per circa 1500 anni (prendendo l’età di 30 anni come età media della generazione dei figli). Evidentemente questo paragone non è del tutto giustificato, nè, anche a parte questo, si può indurre con certezza, dall’esame di questo fatto di soppravvivenza per un periodo determinato, che il peduncolo della Vorticella possa vivere in eterno, senza bisogno di essere mai rigenerato. Ma se non si può avere la certezza di una simile immortalità, nè si potrà avere mai, perchè le osservazioni nostre saranno sempre limitate ad un periodo finito di tempo, pure questo è certo: che la necessità della morte di quest’organo non è dimostrata; non abbiamo dati per supporla.

Se questo vale per gli Infusorî, si aggiunge che in molti Protisti l’esistenza di un atto fecondativo di qualsiasi genere, non è nemmeno sospettato, almeno fino ad oggi: così nei Batterî; di più, quel modo speciale di riproduzione che va sotto i nomi di sporulazione e simili, e che pure spesso è collegato colla distruzione di una parte dell’organismo cellulare, o del suo nucleo, anch’esso sembra talmente soggetto alle condizioni esterne in cui la vita si svolge, da non costituire spesso una necessità per la specie e per la sua esistenza.

Più a titolo di curiosità che altro, ricordo una ingegnosa ma fantastica idea del Lendl (1890), il quale afferma che i Protozoi non sono tutti immortali (nemmeno virtualmente), ma dei due individui che nascono per scissione, uno soltanto può esserlo. Egli crede che ogni cellula durante la propria vita si carichi di sostanze, in parte nocive, e che non possono essere tutte eliminate, tranne che per mezzo della divisione cellulare che le fa andare in una delle cellule figlie, restando l’altra purificata; queste sostanze impedirebbero la continuazione indefinita della vita; anzi l’autore considera il processo di divisione dei Protisti come una modificazione del processo di escrezione per il quale le sostanze da escernere sono mandate via insieme con un pezzo di cellula. Ho citato questa teoria che si opporrebbe molto ai concetti fin qua esposti; ma veramente mi sembra che non vi sia nei fatti nessun punto d’appoggio per queste idee, colle quali si immaginano cose che nessuno ha mai constatato, e che urtano contro tutto ciò che si sa della divisione dei Protisti, la quale sembra essere in due parti praticamente uguali.

[p. 110 modifica]Di fronte dunque alla immensa mortalità di fatto dei Protisti, la cui prolificità è assolutamente inconciliabile colla quantità di alimento disponibile, possiamo concludere per la assoluta mancanza di prove di una morte naturale. Non è provato nè provabile che esista una potenziale immortalità — questo include la necessità di un ragionamento trascendentale che estende all’infinito nel tempo, i resultati della nostra esperienza — ma del contrario manca ogni prova, manca ogni più piccolo indizio.

2. Piante. — Le piante, che io ricordo subito dopo i Protisti, perchè nei fenomeni che riguardano la morte se ne allontanano meno di quello che se ne allontanino gli animali, manifestano naturalmente proprietà differenti, secondo la complessità della loro organizzazione. La questione se vi sia o no in esse la morte, come fenomeno inevitabile, si può qualche volta risollevare. È noto, anche a chi non si occupa in particolar modo di biologia, come le piante si propaghino quasi tutte in due modi: o per mezzo di germi sessuati, oppure per via vegetativa. La produzione di germi o la riproduzione per mezzo di essi, lascia il corpo che li ha prodotti nelle stesse condizioni — a un di presso — di come si trovava prima; almeno questo è uno dei casi che si verificano. E noi vediamo soltanto che questo corpo lentamente invecchia, e muore dopo un certo tempo. Vi sono però casi, ben conosciuti e ben sicuri, di alberi che vivono da tempo quasi immemorabile, da secoli e secoli, e che sembrano per ciò distaccarsi dalle leggi che regolano i loro compagni. Ma non è così: è che la morte insorge nella maggior parte dei corpi che potrebbero avere lunga vita, per causa delle condizioni esterne sfavorevoli; e siccome la probabilità di incontrare qualche causa di morte accidentale, estrinseca, non viene mai ad essere eliminata, ne segue che o prima o poi dovrà bene questa capitare a ciascuno. Il Parville (La nature, Paris, 1901) ad esempio descrive un albero di Ficus religiosa piantato a Ceylan nel 288 avanti G. C. Il Metchnikoff riporta altri casi consimili.

Indipendentemente da questi fatti, nella riproduzione vegetativa non è necessario che muoia tutto il corpo dell’individuo; vi sono moltissime piante i cui rami, tagliati e portati nel terreno, mettono radici e dàn luogo ciascuno ad una [p. 111 modifica]pianta nuova; così p. e. i generi Tradescantia, Salix ecc.; basterebbe in questi casi, una volta sviluppata la pianta, prender via tutti i rami e piantarli, perchè rimanesse condannato alla morte soltanto il tronco; nè vi è alcuna ragione per cui questo procedimento non si possa continuare all’ infìnito, nessuna ragione conosciuta nelle proprietà della pianta medesima. Sarebbe interessante di fare delle ricerche da questo punto di vista, per vedere se nelle piante giovani di questi od altri generi, sia possibile dividere tutto il corpo in pezzi, senza che nessuno vada perduto, ed in tal maniera che ciascuno riproduca una nuova pianta; chè se si riuscisse a ripetere indefinitamente questo procedimento, come non vi è nessun impedimento teorico da supporre, si arriverebbe allora a condurre la pianta alle stesse condizioni in cui si trovano i Protisti che si dividono e per divisione si propagano indefinitamente. Altre piante, come la Begonia, possono propagarsi per mezzo delle foglie piantate in terra. Però in questi casi, come in quelli delle fragole, patate e simili, che producono stoloni, non si salva la vita alla parte principale del corpo, la quale seguita ad invecchiare.

Sul fatto fondamentale che differenzia le piante anche elevate dagli animali elevati, cioè sulla possibilità praticamente dimostrata, di una vita di parecchie migliaia di anni, dobbiamo fare una considerazione. È vero che questo non prova la immortalità della pianta in questione — ciò che non è provabile — ma è pur vero che ciò mette in evidenza, anche nel caso peggiore, un carattere di irregolarità nella durata della vita, la cui sì lunga estensione nel tempo si avvicina molto più alla immortalità, di quello che non vi si avvicini la vita umana o di qualche altro animale. La irregolarità nella durata della vita, come è il caso per le piante di cui abbiamo citato un esempio (Ficus religiosa), è un indizio di dipendenza dalle condizioni esterne, tale da far supporre possibile una durata anche molto maggiore di quella effettivamente conosciuta.

Concludiamo perciò, a proposito delle piante, che la morte naturale pur essendo la regola per molte di esse, non è dimostrata per tutti i casi, e per lo meno si deve ammettere una gran tendenza ad avvicinarsi al caso limite della vita senza fine.

3. Animali. — Per procedere ordinatamente, dobbiamo ora prendere in considerazione quei processi di riproduzione [p. 112 modifica] per scissione, naturale od artificiale che sia, i quali si verificano negli animali pluricellulari in condizioni molto somiglianti a quelle di cui abbiamo parlato a proposito dei Protisti. Vi sono, p. e., alcuni Vermi (Platelminti), alcuni Celenterati, ed altri animali, nei quali, pur non mancando la generazione per mezzo di germi, vi è una forma asessuata di riproduzione, per divisione del corpo in due parti, di cui ciascuna si trasforma in un individuo completo, rigenerando ciò che manca. In questi casi si ha come nei Protisti la sparizione di una individualità, senza morte di sostanza vivente. Se pochi sono quegli animali che spontaneamente vanno soggetti a fenomeni di tal natura, almeno in questa forma così netta, sono invece molto più numerosi quelli che hanno la capacità di rigenerare le parti accidentalmente perdute, a tal punto sviluppata, che un individuo diviso in più pezzi dà luogo alla formazione di parecchi individui completi. È noto generalmente questa proprietà nel lombrico comune, ma gli zoologi la hanno riscontrata in un numero grandissimo di forme. Quanto più un animale è complesso, tanto meno possiede la facoltà rigenerativa, sì che fenomeni di questo genere non si possono verificare nei Vertebrati. Vi è stato anche chi si è domandato se una tal forma di divisione artificialmente prodotta possa proseguirsi per un numero indeterminato di volte, e possano gli individui nuovi che continuamente si formano per rigenerazione, vivere senza invecchiare; paragonando insomma questi fenomeni alla divisione naturale dei Protisti, se esista anche qui quella supposta senescenza del Maupas. Gli esperimenti che ha condotto Monticelli sopra ad alcuni Echinodermi hanno dato resultati affermativi. Egli non è cioè riuscito a propagare la specie indefinitamente con questo mezzo. Però tali fenomeni di divisione artificiale e rigenerazione dei pezzi ad individui completi offrono una certa difficoltà a prodursi, e spesso mancano anche se è la prima volta che si tentano, su un individuo nato da germi. Cosicchè la impossibilità di mantenere con questo metodo una serie indistrutta e sempre giovane di individui, può dipendere, anzichè da proprietà inerenti allo organismo vivente, da condizioni sfavorevoli esterne le quali è praticamente impossibile sfuggire sempre negli esperimenti, per quanto condotti con cura. In certi casi, come nell’Hydra viridis che si riproduce per gemme o sessualmente, l’influenza della stagione su questi processi sembra indicare che si debba [p. 113 modifica] alle condizioni esterne la mancanza di formazione dei germi, alla quale mancanza potrebbe andar connessa una potenziale immortalità.

Negli animali superiori, in quelli che non si riproducono mai per scissione ma solo per via sessuale, esiste un corpo che sembra sia in tutti destinato a morire, per quanto la vita di un serpente o di un pappagallo possa esser lunghissima. Weismann ha introdotto il concetto della continuità del plasma germinativo, il quale attraverso ai varî individui che si succedono nelle generazioni verrebbe ad avere una specie di immortalità potenziale, simile a quella dei Protisti.

È vero che moltissimi germi vanno perduti, anzi i germi sono tanti, che impossibile sarebbe si potessero sviluppare tutti; tanto più che essi non sono in ugual numero nei due sessi. Così in tutti i mammiferi, mentre sono assai scarsi in numero i germi femminili, le uova, i germi maschili o spermatozoi, che devono unirsi in numero di uno solo per ciascun uovo, si contano a milioni e milioni. Da questo deriva che la natura condanna a morte anche buona parte del plasma germinale, non solo per la mancanza di condizioni esterne che possano permettere lo svolgimento di tutti i germi (come nei Protisti non tutti gli individui che nascono per scissione trovano modo di sopravvivere); ma bensì ancora per una causa interna, propria della specie stessa, per la disuguaglianza numerica dei germi dei due sessi. Tutto questo però non toglie che si debba riconoscere nel plasma germinativo una potenzialità di sopravvivenza indefinita, la quale non è posseduta in nessun modo dal resto del corpo. Esiste questa potenzialità, nel senso che la sostanza germinale non muore quando per lei si verifichino certe condizioni, mentre per il plasma somatico non vi sono condizioni di sorta, le quali possano assicurargli la eterna sopravvivenza. Come nei Protisti, la immortalità del plasma germinativo, è una continuità di sostanza vivente, non però una immortalità di individui.

Negli animali dunque (esclusi i Protozoi) si riscontra sempre la morte naturale degli individui; soltanto in alcuni dei più bassi nella scala zoologica potrebbe essere altrimenti — ma la cosa è ancora incerta.

[p. 114 modifica]II. Qualche teoria sull’origine della morte.

Sulle cause della morte, sulla sua origine filogenetica, si è molto discusso, e non vogliamo certamente riferire tutto ciò che è stato detto in proposito, ma solo alcune delle idee più sintetiche e più notevoli.

Weismann ha sostenuto che la selezione naturale abbia avuto parte importante nel conservare e fissare questa attitudine alla mortalità somatica, in quanto sarebbe dannoso alla specie, che sopravvivessero indefinitamente i singoli individui. Questa sopravvivenza non impedirebbe ad essi di subíre influenze nocive e di indebolirsi, dando luogo così a discendenza meno atta a resistere nelle lotte per l’esistenza; altre interpretazioni di questo genere sono state date, per esempio quella del Düsing, il quale, dato il fatto che il potere riproduttore si affievolisce coll’età, crede vantaggioso per la specie che individui inetti alla riproduzione non prendano parte degli alimenti per sè — come se questo affievolimento non fosse appunto una delle tante espressioni di vecchiaia, uno dei fenomeni che si manifestano coll’avvicinarsi della morte! Sì che questa teoria del Düsing evidentemente non è altro che un circolo vizioso. Più importante mi sembra l’idea espressa dal Delage (Héredité), la quale, pur non conducendo in fondo nella spiegazione della morte, ciò che, come egli dice, non possibile, cerca di esaminare le condizioni in cui essa si è creata, piuttosto che quelle che sono state capaci di conservarla. Per lui è il differenziamento delle varie cellule che ha reso inevitabile la morte del soma; col differenziamento si perdono gradualmente le attitudini alla riproduzione (cellulare) e ad un certo punto è reso impossibile anche un ulteriore accrescimento: questo avviene per esempio nelle ossa per i limiti imposti dalla sostanza calcarea di sostegno, che si è interposta, sostanza inerte, tra e nelle cellule viventi; ed in generale alcune cellule sono frenate nell’accrescimento da ragioni di questo genere, le altre dal fatto che le prime non possono accrescersi, sì che è resa impossibile la crescita loro, che produrrebbe una disarmonìa funzionale, da cui la morte. Ora, nessuna cellula può vivere indefinitamente, senza accrescersi nè dividersi. Ed a questo punto la spiegazione del Delage si arresta, con questa constatazione di fatto. Ben può [p. 115 modifica] darsi il nome di spiegazione a queste idee che collegano fatti tra loro differenti. Soltanto a me non pare giusto ciò che l’autore dice riguardo alla limitazione dell’accrescimento. Questa è dovuta in ogni cellula a proprietà insite in essa, di natura generale, indipendenti da ogni limitazione materiale di spazio, o da rapporti di posizione e di funzione con altri elementi.

Secondo Spencer, le cellule somatiche non sono più mortali delle cellule germinali, ma muoiono perche non sono più in condizioni tali da poter continuare a nutrirsi — riconoscendo così egli implicitamente che la morte debba essere conseguenza inevitabile del mancato accrescimento; dal concetto dell’accrescimento infatti egli parte, colla sua idea ormai tanto conosciuta, che l’accrescimento della cellula (dell’organismo in genere) sia limitato, per così dire, da una ragione geometrica: se la cellula raddoppia le sue dimensioni lineari, la sua superficie esterna diventa quattro volte più grande, ed il volume otto volte; ora, siccome è per mezzo della superficie esterna che essa è in contatto coll’ambiente da cui si nutre, dovrebbe la sua attività nutritiva divenire doppia per mantenere in vita il corpo cellulare divenuto, rispetto alla superficie di assorbimento, doppio di quello che era prima. Analogamente un animale complesso fornito di canale digerente, si nutre assorbendo attraverso alla superficie interna del canale digerente, ossia sempre attraverso ad una superficie, che cresce in ragione del quadrato delle dimensioni lineari, mentre il volume cresce in ragione del cubo.

Questa idea è stata più volte combattuta, per esempio dal Delage, il quale dice che, se questa fosse la ragione, dovrebbe un animale poter aumentare almeno un poco rispetto al suo limite normale di accrescimento, quando si nutra con alimentazione intensiva, o gli si iniettino sostanze nutrienti nel sangue. Ma a me sembra che tale critica non sia giusta, prima di tutto perchè in realtà gli animali nutriti meglio crescono un poco di più della media, e poi in ogni caso, perche prende a considerare l’animale in cui ormai il limite d’accrescimento si è ereditariamente fissato, e si è talmente legato alla sua costituzione, come il Delage stesso riconosce, che una variazione notevole non potrebbe più avvenire in questo senso. Invece l’idea di Spencer va applicata su più larga scala, alla specie durante tutto il periodo della sua formazione e della [p. 116 modifica] sua fissazione tale quale è adesso. Allora essa acquista un senso molto importante, giacchè evidentemente non prescinde dalle varie cause che possono agire sull’organismo, per determinare l’accrescimento; non ne prescinde affatto, visto che nel suo stesso enunciato prende appunto in considerazione e attività nutritive. Spencer trova in questa ragione geometrica la causa della divisione cellulare, la quale produce un aumento della superficie rispetto al volume, e quindi permette la continuazione dell’accrescimento della sostanza vivente.

Altri autori, specialmente più antichi, hanno manisfestato l’idea che la morte sia la conseguenza di una quantità di azioni nocive con cui le condizioni esterne influiscono sopra all’organismo vivente. Ne seguirebbe una specie di inevitabilità della morte, dovuta in parte alle condizioni esterne, in parte a quelle interne, in quanto l’organismo non si sa abbastanza difendere da tali inconvenienti.


III. La teoria della diminuzione progressiva del potere assimilatore, nella filogenesi e nell’ontogenesi.

Tutto ciò che abbiamo riferito non ci spiega le differenze che riscontrammo tra i varî organismi; nemmeno l’idea del Delage ci dice perchè la necessità della morte sia tanto più palese negli animali, anche poco differenziati, che nelle piante le più altamente organizzate.

Possiamo prendere a considerare le cose da un nuovo punto di vista, riferendoci alle attitudini assimilatrici dei varî esseri viventi. Queste attitudini, due criterî servono a giudicarle: uno qualitativo, l’altro quantitativo. I corpi dai quali per assimilazione un organismo può formare la sostanza propria, non sono gli stessi, anche se confrontiamo animali con animali e piante con piante; e sono poi diversissimi se confrontiamo piante con animali, essendo le prime essenzialmente caratterizzate da un potere sintetico, che negli animali è immensamente più basso: la funzione clorofilliana stabilisce tale differenza, ma non solo essa; chè per esempio i funghi, sprovvisti di clorofilla, hanno la possibilità di crescere in ambienti salini contenenti il carbonio in forma di idrati di carbonio; gli animali, per quanto fino ad ora si sa, hanno bisogno di sostanze [p. 117 modifica] proteiche tra i loro alimenti. Da tutte queste differenze sorge il criterio qualitativo cui abbiamo accennato.

D’altra parte, è diversa l’intensità della assimilazione, la quale può venir misurata dal tempo che un organismo impiega a raddoppiare il proprio peso (comprendendo in questa valutazione l’individuo di partenza ed i discendenti), od in modi consimili. Di qui sorge il criterio quantitativo, per il quale vengono messi in prima linea i Protisti; nonostante le differenze specifiche, essi si distaccano come gruppo da tutti gli altri organismi. Sembra che tra essi i più prolifici siano i Batterî, che hanno anche qualitativamente un alto potere assimilatore.

La necessità della morte esiste dunque negli esseri meno dotati di potere assimilatore.

Stabilito questo accordo — per il momento come constatazione di fatto — ne vediamo un altro, inerente ai poteri rigeneratori, che sono pure più sviluppati nei Protisti e nelle piante, in confronto cogli animali minimi negli animali superiori. Ma su questo punto basti di aver richiamata l’attenzione.

Infine un’altra coincidenza osserviamo, tenendo conto del vario differenziamento morfologico in rapporto cogli altri caratteri succitati. Bisogna però essere alquanto guardinghi, prima di stabilire delle relazioni di causalità. Dagli accordi che abbiamo constatato, non segue che il differenziamento sia la causa della necessità della morte, ma piuttosto dobbiamo riconoscere che ambedue questi fatti derivano dal processo evolutivo, quando la lotta per l’esistenza, od altro fattore della filogenesi, ha modificato la organizzazione dei Protisti, complicandoli, facendoli passare alla condizione di pluricellulari. E così non potremmo dire che il differenziamento abbia causato la diminuzione di potere assimilatore, nè viceversa, ma anche questo ultimo fenomeno lo riteniamo causato, insieme con gli altri, dallo stesso agente evolutore.


Meglio forse si può capire la cosa con alcuni esempî.

Quando una cultura di Flagellati forniti di clorofilla (quale si può ottenere da un’acqua presa in un fosso), si lascia a sè negli ambienti dei laboratorî, capita facilmente di vedere come questi esseri, intensamente assimilatori, cedano presto il posto ad altri, Flagellati pur essi, o Amebe, o Infusorî, privi tutti di clorofilla, e di cui i primi sono vittime. Questa successione di [p. 118 modifica] forme, di cui probabilmente i germi già tutti esistevano nella cultura dell’esperimento al suo inizio, ci rispecchia però una lotta per l’esistenza, che su più vasta scala deve essersi svolta durante la produzione delle forme stesse. L’interruzione di quelle date condizioni di ambiente che permettevano la vita rigogliosa dei Flagellati clorofillici, deve aver spinto i fratelli a mangiare i fratelli, a nutrirsi in modo più animalesco e meno sintetizzatore, utilizzando il materiale sintetizzato già. Ma ciò è potuto avvenire soltanto mediante il contemporaneo differenziamento morfologico, per il quale organelli si sono sviluppati, atti alla vita di predatori. Ecco che qua vediamo andare d’accordo due modificazioni, tra quelle che abbiamo indicato sopra, e in tal modo che sarebbe arbitrario attribuire a questi esseri prima la perdita del potere assimilatore — clorofilla — poi l’acquisto come conseguenza, degli organelli da preda; e sarebbe arbitrario ugualmente il dire l’opposto; tutto insieme è un fenomeno di adattamento ad un ambiente mutato, adattamento sui cui moventi intimi (forze interne, esterne, di tutti e due i generi?) non occorre che facciamo ipotesi, per la questione che ci occupa. In questo caso si trattava di diminuzione della capacità assimilatrice qualitativa. — Quando invece si consideri il passaggio dagli organismi unicellulari ai pluricellulari, questi devono subito aver perduto nel potere assimilatore quantitativo, per il semplice fatto che il loro volume è cresciuto più che non la loro superficie, e attraverso a questa si fanno gli scambî per la nutrizione; esiste, in realtà, una differenza in questo senso tra uni- e pluricellulari. Qui dunque il differenziamento, che va unito all’acquisto della pluricellularità, va d’accordo colla diminuzione della capacità assimilatrice, in senso quantitativo, e prescindendo dal criterio qualitativo, come è dimostrato dal verificarsi dello stesso fenomeno sia nella direzione del regno animale, che in quella del regno vegetale.

Nelle piante, il differenziamento ha preso una via assai diversa che non negli animali, senza dubbio in relazione colla maggiore capacità assimilatrice qualitativa; una via che è diversa, e che è anche molto più corta; vogliamo dire che senza dubbio le piante si posson considerare come meno complesse, meno organizzate che gli animali, meno varie nei varî gruppi: sempre si troverà, se si considerino attentamente le cose, che la grande differenziazione degli animali è in [p. 119 modifica] rapporto coi più varî bisogni della prensione e della utilizzazione dell’alimento, — e ciò indipendentemente da ogni teoria evolutiva — in rapporto cioè colla loro minore capacità assimilatrice rispetto alle piante; e non è escluso in ciò il differenziamento del sistema nervoso.

Ed ora possiamo fare un passo innanzi, nelle nostre considerazioni. Da ciò che abbiamo detto si vede, in conclusione, che la necessità della morte tanto più si mostra manifesta, quanto maggiore è il differenziamento morfologico, e minore il potere assimilatore. Vogliamo cercare di renderci conto in qualche modo di questo accordo, delle sue ragioni più intime.

La morte, come cessazione della vita, è cessazione di ogni facoltà assimilativa; è dunque strano che essa si mostri necessaria là dove l’assimilazione è minore? Ciò non sembra, a colpo d’occhio, ma certamente si deve esaminare la questione più da vicino.

Siamo partiti dal considerare la diminuzione di potere assimilatore durante la filogenesi. La fine della vita individuale significa fine del potere assimilatore; è lecito sospettare, guidati dalla legge biogenetica, che l’ontogenesi, come la filogenesi, sia accompagnata da una diminuzione progressiva di questo potere. L’invecchiamento ci apparirebbe allora come conseguenza di un mutamento continuo dell’individuo in uno stesso senso, cominciato fino dalla nascita; l’invecchiamento non comincerebbe all’epoca della virilità, ma colla nascita; la progressiva diminuzione del potere assimilatore produrrebbe ad un certo momento la rottura di tutto l’equilibrio dinamico esistente nella macchina organica, produrrebbe la morte.

Se questi concetti ultimi vengano giustificati da un esame obbiettivo dei fatti, ecco che la singolare coincidenza per la quale la morte ci appare tanto più necessaria, ineluttabile, quanto meno gli organismi sono assimilatori, non ci può meravigliare: questa coincidenza viene compresa nella stessa ragione che produce la morte in ciascun individuo.


Passiamo all’esame dei fatti.

Si può giudicare del potere assimilatore dall’aumento di peso durante i varî stadî della vita. Il Minot (1890) riporta dei dati relativi all’aumento di peso nella Cavia, dai quali resulta che la percentuale di aumento è di 5-6 nella prima settimana, si abbassa già nella seconda settimana della vita, [p. 120 modifica] e diminuisce poi sempre più, dapprima rapidamente, poi più lentamente; una cosa analoga avviene per l’uomo e per tutti gli animali e piante in genere.

Un fatto più minuto ed altrettanto espressivo in questo senso, è quello della diminuzione progressiva della grandezza del nucleo, rispetto a quella del citoplasma, col procedere dell’età. Questo fatto è generalmente diffuso, nei varî tessuti del corpo, ed incomincia colle prime fasi della vita individuale. Ora, molti argomenti di indole svariata dimostrano che il nucleo è dotato di proprietà anaboliche, sintetizzatrici, assai più che non il citoplasma.

Già la pura osservazione delle strutture ci dice molto, quando andiamo a farla in particolari circostanze, negli spermatozoi, i quali, quasi affatto privi di citoplasma, hanno invece un alto potere formativo. È vero che questo si potrebbe attribuire al citoplasma dell’uovo con cui lo spermatozoo si unisce. Ma esperimenti di merotomia sui Protozoi hanno mostrato chiaramente che la mancanza del nucleo non impedisce i fenomeni di movimento, di consumo in genere, ma bensì quelli di sintesi, di rigenerazione, di assimilazione insomma. D’altra parte in una pianta del genere Tradescantia si è visto che la mancanza del nucleo in una cellula impedisce la formazione di una nuova membrana; basta però che una cellula senza nucleo sia connessa con una contigua che lo contiene, perchè la rigenerazione avvenga. Anche per vie del tutto diverse giungiamo allo stesso resultato, in quanto la chimica fisiologica ci insegna che sostanze proteiche più complesse si trovano nel nucleo che nel citoplasma e che, d’altra parte, appunto questi corpi più complessi, per lo studio che se ne è fatto in grande, sembrano collegati coi processi sintetici dell’organismo.

Il numero delle cellule in un individuo varia enormemente dal momento in cui esso è formato di una sola cellula, a quello in cui ne contiene milioni e milioni; si potrebbe dire che esso non varia in modo progressivo in un senso, perchè nella vecchiaia il numero delle cellule — come il peso totale del corpo — è minore che nella virilità. Ma il numero delle cellule non è una proprietà dell’intima trama cellulare, bensì la conseguenza di due proprietà antagoniste, una creativa, l’altra distruttiva. Ora l’esperienza insegna che la rapidità del succedersi di divisioni, in media tra le varie cellule del corpo, [p. 121 modifica] va progressivamente diminuendo a partire dalle prime fasi della vita, fino al momento critico della morte. Anche il consumo va forse diminuendo cogli anni, ma meno rapidamente, almeno da un certo punto in là, sì che ne resulta, come somma, dapprima un aumento del numero delle cellule, progressivo, poi una progressiva diminuzione.

Finchè il corpo è costituito di poche cellule, esse non sono intramezzate di sostanza cementante interstiziale. Questa è invece abbondantissima nel corpo già formato, adulto, e vecchio. Questo sviluppo è progressivo, e nel vecchio si ha una eccedenza, spesso ragguardevolissima, del tessuto connettivo sopra agli altri tessuti, ossia di quel tessuto che contiene abbondante sostanza interstiziale; tale sviluppo comincia non dopo che la virilità tende a diminuire, bensì appena i tessuti accennano a differenziarsi nell’embrione.

Analogamente, il deposito di sali calcarei nelle ossa, il quale rappresenta dapprima un vantaggio, e che aumenta sempre progressivamente coll’età, costituisce poi uno dei fenomeni dell’invecchiamento, in quanto le ossa son divenute più fragili e meno elastiche.

Un altro importante fatto togliamo dalle ricerche del Mühlmann (Arch. mikr. Anat. vol. 58). Questo autore, già da tempo studioso delle strutture degli elementi nervosi e delle modificazioni cui vanno soggette secondo le condizioni, ha dimostrato che vi è un fenomeno lento, continuo di alterazione in questi elementi, a partire dai primi anni della vita, e giungendo fino alla morte. Già nel bambino di 3 o 4 anni nelle cellule nervose si trovano granulazioni pigmentate, dapprima disseminate in piccolo numero nel corpo cellulare; e nella seconda decade della vita, esse occupano una posizione determinata nel citoplasma. Coll’avanzare dell’età, il pigmento invade un numero di cellule sempre maggiore, e le riempie maggiormente; tanto che nel vecchio gli elementi sono per la massima parte occupati da esso, avendo soltanto un bordo esterno citoplasmatico, completamente libero da granulazioni di questo genere. Questo pigmento, già veduto da Pilez nel 1895, è stato riconosciuto per una sostanza che ha caratteri dei corpi grassi. Mühlmann, contrariamente a ciò che prima si credeva, ha dimostrato che l’invasione del grasso accade nei diversi organi nervosi contemporaneamente; ed anche questo fatto è interessante, perchè mostra come siamo in presenza di un [p. 122 modifica] fenomeno dovuto a condizioni generali dell’organismo. Di più egli osserva che mentre il grasso, sostanza inerte, riempie sempre più il citoplasma, a partire dall’età adulta le cellule nervose non aumentano più in grandezza; anche in numero aumentano o poco o punto; c’è dunque nell’insieme una sparizione di citoplasma attivo, una vera degenerazione pigmentaria grassa. L’A. porta buoni argomenti per sostenere e dimostrare che si tratta veramente di un fenomeno normale, non legato a speciali malattie, togliendo così alcuni dubbî ed alcune idee che potevano aversi in seguito ad incomplete osservazioni antiche del Leyden; quest’ultimo avendo osservato talvolta le granulazioni pigmentate, le aveva credute in rapporto causale colla atrofia muscolare progressiva.

Per quanto siamo un poco all’oscuro sul significato funzionale di questo pigmento, ci colpisce il fatto che il suo aumento progressivo incominci nei primi anni della vita — e forse anche prima — , giacchè ben sappiamo che una abbondanza molto notevole di questo pigmento porterebbe ad un mancante funzionamento delle cellule nervose, costituirebbe una vera degenerazione pigmentaria. Non per questo dobbiamo indurci a considerarlo come un elemento disturbatore della vita cellulare, elemento dannoso che andrebbe crescendo coll’età! Un concetto così pessimista sarebbe una cattiva deduzione dei fatti clinicamente osservati delle degenerazioni cellulari in genere. Forse anche, se la somiglianza di aspetto con quel pigmento che si trova in alcuni Invertebrati (Sipunculus ad esempio) può avere un valore, si potrebbe ritenere che esso abbia una importante funzione nel metabolismo, come in quelli ha certamente una efficacia nella respirazione. L’aumento potrebbe essere in tal caso spiegato col tentativo, da parte dell’organismo, di difendersi contro altre condizioni progressivamente varianti. La discussione sull’ufficio di questo pigmento pur essendo in parte fuori dal nostro tema, abbiamo voluto mostrare come sia ingannevole l’aspetto clinico delle degenerazioni, collegate con mali evidenti dell’organismo, rispetto alla loro interpretazione. Ingannevole, in quanto acquistano l’apparenza di un male che sopraggiunge ad un tratto, ex novo, nell’organismo, pur essendo nient’altro che l’aumento di funzioni e sostanze, magari utilissime, che si svolgono e si trovano nel corpo normale.

Nella membrana elastica posteriore dell’occhio (epitelio [p. 123 modifica] di Descemet), nei gatti di varia età, Ballowitz ha constatato una variazione progressiva della forma del nucleo, il quale, dapprima tondo, viene roso da una grossa sfera; questa talora, secondo l’A., dopo aver roso una parte del nucleo, si porta dall’altra, per ripetere il suo giuoco. Ora, tale fenomeno è lungi dal cominciare nella vecchiaia; esso al contrario ha principio nei giovani gatti e porta col tempo cattive conseguenze per la sorte dei nuclei.

Dobbiamo ora ricordare un fatto di indole generale, messo in luce dalla sintesi geniale del Metchnikoff, vale a dire l’aumento coll’andar dell’età dei tessuti indifferenziati a scapito di quelli differenziati. Questo fenomeno ha spesso la sua espressione nell’opera dei fagociti, che secondo le ricerche dello stesso autore sono la causa dell’incanutimento dei peli, mangiando e portando via il pigmento, ed anche della distruzione delle cellule nervose negli uomini e nei pappagalli vecchi — probabilmente anche negli altri animali che non sono stati studiati. Questa possibilità di essere fagocitati, — da parte dei tessuti in questione — evidentemente dipende da poprietà mutate di loro stessi, più che dei fagociti, — come è dimostrato da varî fatti. In primo luogo abbiamo visto, a proposito delle cellule nervose stesse, che esse sono la sede di modificazioni progressive, atte ad essere interpretate, quando molto avanzate, come fenomeni degenerativi; in secondo luogo, nella ninfosi degli insetti, dove pure interviene la fagocitosi, vediamo che i fagociti aggrediscono tessuti i quali in parte si distruggono anche di per sè, senza il loro intervento, o che si possono distruggere da sè in altre specie; in terzo luogo, non è vero che la tendenza alla fagocitosi aumenti coll’andar dell’età; ciò è dimostrato dalla lotta contro i Batterî delle malattie infettive, lotta che è molto più viva, efficace e rapida nella giovane età che nella vecchiaia; ed è ben noto come in gran parte essa si debba all’azione dei fagociti. Cosicchè da un insieme di fatti resulta che la variazione caratteristica della vecchiaia, di cui ora trattiamo, non dipende da una condizione nuova che insorga dopo la virilità, ma da quelle stesse variazioni lente, intime, cellulari, che cominciano insieme con la vita dell’individuo.

Un’altra degenerazione senile di cui certamente si è esagerata l’importanza in maniera grandissima, e ciò per il fatto che essa è clinicamente riconoscibile, è quella che conduce [p. 124 modifica] alla sclerosi dei vasi sanguigni. Non poche volte si è detto che l’arteriosclerosi e la vecchiaia sono una cosa sola, e che la vecchiaia è per la massima parte dovuta all’arteriosclerosi, condizione che diminuisce l’afflusso del sangue ai varî territorî del corpo. Poco conosciamo intorno alle cause che producono queste modificazioni dei vasi: sappiamo bene però che tali modificazioni consistono, in definitiva, in un indurimento e restringimento dei vasi stessi. Giustamente osserva Metchnikoff, colle parole di Klebs, che può diminuire molto il sangue che irrora un organo, senza che questo ne soffra; come non soffrono molto le piante su un terreno impoverito di alimenti, purchè abbiano una sufficiente energia vitale. Poco sappiamo anche se, dato che si potessero evitare tutte le azioni tossiche dovute ai Batterî specialmente e a molteplici altre cause insieme, come ai disturbi di nutrizione in generale, poco sappiamo se in tal caso i vasi conserverebbero le loro proprietà normali anche nella più tarda età; certo le malattie e le influenze che in generale nocciono all’organismo, più o meno nocciono alla salute dei vasi, e certo ancora, più o meno, si ritrovano nel fatto sempre modificati i vasi dei vecchi. Ma perchè si deve attribuire una maggiore importanza causale a questo fenomeno delle arterie, che non a tanti altri più intimi e quindi verosimilmente più importanti, lasciandoci soltanto impressionare dalla circostanza che le arterie sclerotiche si possono vedere e palpare colle mani nell’uomo vivente? Evidentemente esse costituiscono un sintomo sovra tutti importante, solo dal punto di vista clinico, per il loro carattere di esteriorità.

Anche questi ultimi fatti, prescindendo forse da quello della arteriosclerosi, perchè il suo significato è molto oscuro fino ad oggi, vanno evidentemente messi in rapporto colla diminuzione progressiva delle capacità sintetiche, assimilatrici; il nucleo roso dalla sfera ci ricorda il diminuire progressivo della grandezza nucleare in genere durante il corso della vita, fatto che si palesa in questo caso speciale sotto forma più intensa. Lo sviluppo delle sostanze inerti, sali calcarei nelle ossa, oppure di tessuti connettivi al posto di quelli più spiccatamente funzionanti, l’accumulo di pigmento o di altre sostanze nell’interno delle cellule, la cui funzionalità viene così ad essere diminuita, tutti sono fenomeni che certamente son connessi con diminuzione di assimilazione; e lo dimostra il fatto che in tutti questi casi l’accrescimento del numero delle [p. 125 modifica] cellule è divenuto nullo o minimo, non appena il fenomeno di cui si tratta abbia raggiunto un certo grado di intensità.

Abbiamo dunque riconosciuto che le conseguenze del nostro modo di vedere sono, per quanto si sa, giustificate dai fatti. Fino dalla nascita cominciano quei fenomeni che, quando si trovano aumentati nei vecchi, si chiamano fenomeni di vecchiaia. La vita dell’uomo e degli animali non è quella parabola che il volgo crede, se non per certi effetti complessivi, che sono somma di fatti e di variazioni numerose. I fenomeni intimi della vita cellulare variano con movimento progressivo in un senso, ma con leggi differenti, sì che possono produrre in alcuni fenomeni variazioni resultanti che nel loro decorso mutano di segno.

Questo carattere di indole generale dell’individuo differenziato, che tende ad invecchiare ed è destinato a morire, ci conduce ora a tornare a quel punto, in cui dicevamo che la necessità della morte negli organismi più evoluti va d’accordo sia col maggior differenziamento, sia colla diminuzione del potere assimilatore. Abbiamo visto che i singoli fatti di invecchiamento, i quali cominciano fin dal principio della vita, corrispondono sempre a questo concetto della diminuzione di potere assimilatore, onde, mentre da un lato constatiamo nell’evoluzione ontogenetica e filogenetica la stessa diminuzione, dall’altro mettiamo in relazione la distribuzione della necessità della morte con questa diminuzione, nella filogenesi, e la comparsa della morte nell’individuo, con questo stesso fatto nell’ontogenesi.

Naturalmente la nostra discussione ha un senso anche prescindendo dalla teoria dell’evoluzione delle specie (nella quale per parte mia credo fermamente). È evidente che basta modificare di poco la dizione dei ragionamenti fatti per eliminare il bisogno di ricorrere alla teoria evolutiva. Laddove dicevamo «progressivo differenziamento morfologico» converrà dire: «stato di differente complessità organica nei diversi organismi viventi»; non per questo mutano in nulla le coincidenze constatate tra l’attività sintetizzatrice, «la complessità organica» e la necessità della morte. Soltanto, l’opera della natura ci appare più grandiosa quando, partendo dal concetto dell’evoluzione, ci immaginiamo di assistere al progressivo e contemporaneo svolgersi di questi fenomeni.

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IV. Riassunto della discussione.


Concludendo, — non è dimostrato che la morte sia conseguenza necessaria della vita. I Protisti non mostrano di andar soggetti a tale necessità, e tra le piante stesse, anche di organizzazione elevata, ve ne sono di quelle per cui mancano di questa necessità le prove; in ogni modo la durata della vita è in esse così variabile e lunga, che si può riconoscere, molto più che negli animali, una tendenza al caso limite della durata eterna.

Abbiamo visto poi, che questa distribuzione della necessità di morire va d’accordo con quella di altri caratteri, differenziamento morfologico, diminuzione delle capacità assimilatrici, notevoli l’uno e l’altra specialmente nella direzione del regno animale.

Ci è sembrato soprattutto interessante a questo proposito, di poter riconoscere una diminuzione progressiva di potere assimilatore, come nella filogenesi, così anche nell’ontogenesi, dalla nascita fino alla morte dell’individuo; la morte ci appare dunque — essa che significa cessazione di ogni potere assimilatore — come la rottura brusca di un equilibrio in un sistema dinamico ove il potere assimilatore era in progressiva e continua diminuzione; la sua distribuzione come cosa necessaria nei varî regni della natura e la sua comparsa nell’individuo, ci appaiono il resultato di una stessa ragione intima.

L’invecchiamento assume così un aspetto diverso da quello che esso ha generalmente, nelle concezioni dei biologi e del volgo: non un cammino discendente che tien dietro alla ascesa della giovinezza; non un ritorno a certe forme ed attitudini, a partire dal momento della massima attività e forza, ma bensì la conseguenza delle stesse modificazioni che hanno cominciato a svolgersi fin dall’inizio della vita individuale e che, progredendo sempre nello stesso senso, presentano per alcune resultanti un massimo nel periodo medio della vita; queste modificazioni sono sopratutto connesse con un progressivo diminuire delle attitudini assimilatrici.

Bologna.

Note