Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 23
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CANTO XXIII
[1]
Volte il ben far lenza il ſuo pmio Ga
E ſé pur ſenza, almen no te ne accade
Morte ne dano ne ignominia ria
Chi nuoce altrui, tardi o per tépo cade
11 debito a ſcontar che non s’oblia,
Dice il prouerbio ch’a trouar ſi vanno
Glihuomini ſpeffo, e i moti fermi (tanno.
[2]
Hor vedi quel ch’a Pinabello auuiene
Per eſſerſi portato iniquamente:
E giunto in Comma alle douute pene
Douute e giuſte alla ſua ingiuſta mente
E Dio che le piū volte non foſtiene
Veder patire a torto vno innocente
Saluo la Donna e ſaluera ciaſcuno
Che d’ogni fellonia viua digiuno.
[3]
Credette Pinabel queſta Donzella
Giā d’hauer morta, e cola giū ſepulta:
Ne la penſaua mai veder, non ch’ella
Gli haueſſe a tor de gli error Cuoi la multa
Ne il ritrouarCi in mezo le cartella
Del padre, in alcun vtil gli riſulta,
Quiui Altaripa era tra monti ſieri
Vicina al tenitorio di Pontieri.
[4]
Tenea quell’Altaripa il vecchio conte
Anſelmo: di ch’ufei queſto maluagio
Che per ſuggir la man di Chiaramente
D’amici e di ſoccorſo hebbe diſagio,
La Donna al traditore a pie d’un monte
Tolſe l’indegna vita a Clio grande agio,
Che d’altro aiuto quel non ſi prouede
Che d’alti gridi, e di chiamar mercede.
[5]
Morto ch’ella hebbe il CalCo caualliero
Che lei voluto hauea giā porre a morte,
VolCe tornare oue laſcio Ruggiero
Ma non lo conſenti ſua dura ſorte,
Che la ſé trainar per vn ſentiero
Che la porto dou’era ſpeffo e ſorte
Doue piū ſtrano e piū Colingo il boCco
Laſciado il Sol giā il modo all’aer CoCco.
[6]
Ne Cappiendo ella oue poterfí altroue
La notte riparar, ſi Cermo quiui,
Sotto le fraſche in ſu l’herbette nuoue
Parte dormendo ſin che’l giorno arriui
Parte mirando hora Saturno hor Gioue
Venere e Marte, e glialtri erranti Diui,
Ma tempre o vegli o dorma, con la mete
Contemplando Ruggier come preCente.
[7]
Speſſo di cor profondo ella ſoſpira
Di pentimento e di dolor compunta
C’habbia I lei, piū ch’Amor, potuto lira
l’ira dicea m’ha dal mio Amor diſgiuta
Almen ci haueſſi io poſta alcuna mira
Poi e’ hauea pur la mala impreſa aſſunta
1 )i Caper ritornar donde io veniua
Che ben ſui d’occhi e di memoria priua,
[8]
Queſte & altre parole ella non tacque
E molto piú ne ragiono col core:
Il vento in tanto di ſoſpiri, e l’acque
Di pianto facean pioggia di dolore:
Dopo vna lunga aſpettation, pur nacque
In oriente il diſiato Albore,
Et ella preſe il ſuo deſtrier ch’intorno
Giua paſcédo, & andò cótra il giorno.
[9]
Ne molto andò che ſi trouo all’uſcita
Del boſco, oue pur dianzi era il palagio,
La doue molti di l’hauea ſchernita
Con tanto error l’incantator maluagio:
Ritrouo quiui Aſtolfo che ſornita
La briglia all’Hippogryfo hauea agrade agio
E ſtaua in grá pèſier di Rabicano
Per non ſapere a chi laſciarlo in mano.
[10]
A caſo ſi trouo, che ſuor di teſta
L’elmo allhor s’ hauea tratto il Paladlo.
Si che toſto ch’uſei de la foreſta
Bradamante conobbe il ſuo cugino,
Di lontan ſalutollo, e con gran feſta
Gli corſe, e l’abbraccio poi piú vicino,
E nominoſſi, & alzo la viſiera
E chiaramente ſé veder cheli’ era.
[11]
Non potea Aſtolfo ritrouar perſona
A chi il ſuo Rabican meglio laſciaffe,
Perche doueſſe haueme guardia buona
E renderglielo poi come tornaſſe,
De la ſiglia del Duca di Dordona,
E paruegli che Dio gli la mandaſſe,
Vederla volentier ſempre ſolea
Ma pel biſogno hor piú, ch’egli n’ hauea.
[12]
Dapoi che due e tre volte ritornati
Fraternamente ad abbracciar ſi ſoro
E ſi ſor l’uno a l’altro domandati
Con molta aflettion de l’eſſer loro,
Aſtolfo diſſe hormai, ſé de i Pennati
Vo’l paeſe cercar, troppo dimoro,
Et aprendo alla Donna il ſuo penſiero
Veder le fece il volator deſtriero.
[13]
A lei non ſu di molta marauiglia
Veder ſpiegar a quel deſtrier le penne:
Ch’altra volta reggendogli la briglia
Atlante incantator, contra le venne,
E le fece doler gli occhi e le ciglia
: Si ſiſſe dietro a quel volar le tenne
Quel giorno che da lei Ruggier lotano
Portato ſu per camin lungo e ſtrano.
[14]
Aſtolfo diſſe a lei, che le volea,
Dar Rabican, che ſi nel corſo affretta
Che ſé ſcoccando l’arco ſi mouea
Si ſolea laſciar dietro la ſaetta,
E tutte l’arme anchor quante n’ hauea
Che vuol che a Mont’alba gli le rimetta
E gli le ſerbi fin’ al ſuo ritorno
Che no gli fanno hor di biſogno itorno.
[15]
Volendoſene andar per l’aria a volo
Haueaſi a far quanto potea piú lieue,
Tienſi la ſpada e’l corno, achor che ſolo
Baſtargli il corno ad ogni riſcho deue,
Bradamante, la lancia che’l ſigliuolo
Porto di Galafrone, ancho riceue
La lancia che di quanti ne percuote
Fa le ſelle reſtar ſubito vote.
[16]
Salito Aſtolfo Su’l deſtrier volante
Lo fa mouer per laria lento lento:
Indi lo caccia ſi che Bradamante
Ogni viſta ne perde in vn momento:
Coſi ſi parte col pilota inante
Il Nochier che gli ſcogli teme e’l vèto:
E poi che’l porto e i liti a dietro laſſa
Spiega ogni vela e manzi a i venti paſſa.
[17]
La Donna poi che ſu partito il Duca
Rimaſe in gran trauaglio de la mente:
Che non fa come a Mont’ alban conduca
L’armatura e il deſtrier del ſuo parente:
Perho che’l cuor le cuoce e le manuca
l’ingorda voglia e il deſiderio ardente
Di riueder Ruggier, che ſé non prima
A Vali’ ombroſa ritrouar lo ſtima.
[18]
Stando quiui fuſpefa per uentura
Si vede manzi giungere vn villano
Dal qual fa raffettar quella armatura .
Come ſi puote, e por ſu Rabicano:
Poi di menarfí dietro gli die cura
I duo caualli, vn carco e l’altro amano
Ella n’hauea duo prima, e’ hauea quello
Sopra ilqual leuo l’altro a Pinabello.
[19]
Di Vali’ ombroſa penſo far la ſtrada
Che trouar qui il ſuo Ruggier’ha ſpeme
Ma ql piú bieue o qual miglior vi vada
Poco diſceme: e d’ire errando teme:
II villan non hauea de la contrada
Pratica molta, & erreranno inſieme
Pur andare a ventura ella ſi meſſe
Doue penſo che’l loco eſſer doueſſe.
[20]
Di qua, di la, ſi volſe ne perſona
Incontro mai da domandar la via:
Si trouo vſcir del boſco in ſu la nona
Doue vn caſtel poco lontan ſcopria:
llqunl la cima a vn monticel corona
Lo mira, e Mont’ alban le par che ſia
Et era certo Mont’albano, e in quello
Hauea la matre, & alcun ſuo fratello.
[21]
Come la Donna conoſciuto ha il loco
Nel cor s’attriſta, e piú chi non ſo dire:
Sara ſcoperta, ſé ſi ferma vn poco
Ne piú le fará lecito a partire:
Se non ſi parte, l’amorofo ſoco
L’arderá ſi, che la fará morire:
Non vedrá piú Ruggier, ne fará coſa
Di ql ch’era ordinato a Vali’ ombroſa.
[22]
Stette alquanto a penſar poi ſi riſolſe
Di voler dar a Mont’ alban le ſpalle
E verſo la badia pur ſi riuolſe,
Che quindi ben ſapea qual’era il calle
Ma ſua Fortuna, o buona o triſta volſe
Che prima ch’ella vſciſſe de la valle
Scontrafle Alardo vn de ſratelli ſui
Ne tempo di celarli hebbe da lui.
[23]
Veniua da partir gli alloggiameli
Per quel contado a cauallieri e a fanti
Ch’ad inſtantia di Carlo nuoue genti
Fatto hauea de le terre circonſtanti,
I falliti e i ſraterni abbracciamenti
Con le grate accoglienze andaro inante,
E poi, di molte coſe a paro a paro
Tra lor parlando, in Mot’ alban tornare
[24]
Entro la bella donna in Mont’ albano
Doue l’hauea con lachrymoſa guancia
Beatrice molto deſiata in vano
E fattone cercar per tutta Francia:
Hor qui i baci, e il giunger mano a máo
Di matre e di Fratelli eſtimo ciancia
Verſo gli hauuti co Ruggier compleſſi
C’haura nel’alma eternamente imprefTi.
[25]
Non potendo ella andar fece penſiero
Ch’a Vall’Obrofa altri i ſuo nome adaſſe
Immantinente, ad auiſar Ruggiero
De la cagion ch’andar lei non laſciaffe:
E lui pregar (s’ era pregar miſtero)
Che quiui per ſuo amor ſi battezaſſe
E poi veniſſe a far quanto era detto
Si che ſi deſſe al matrimonio effetto.
[26]
Pel medeſimo meſſo ſé diſegno
Di mandar a Ruggiero il ſuo cauallo
Che gli ſolea tanto eſſer caro, e degno
D’ eſſergli caro era ben ſenza fallo:
Che non fh’ auria trouato in tutto’l regno
De i Saracin, ne ſotto il Signor Gallo
Piú bel deſtrier di qſto o piú gagliardo,
Eccetti Brigliador ſoli e Baiardo.
[27]
Ruggier ql di che troppo audace aſcefe
Su l’Hippogrypho, everſo il ciel leuoſſe
Laſcio Frontino, e Bradamante il preſe
(Frontino che’l deſtrier coſi nomoſſe)
Madollo a Mont’ albano, e a buone ſpeſe
Tener lo fece, e mai non caualcoſſe
Se non per breue ſpatio, e a picciol paſſo
Si ch’era piú che mai lucido e graſſo.
[28]
Ogni ſua donna toſto, ogni Donzella
Pon ſeco in opra, e con ſutil lauoro
Fa fopra ſeta candida e morella
Teſſer ricamo di rmiſſimo oro:
E di quel cuopre & orna briglia e fella
Del buO deſtrier, poi ſceglie vna di loro
Figlia di Callitrephia ſua nutrice
D’ ogni ſecreto ſuo ſida vditrice.
[29]
Quanto Ruggier l’era nel core impreſſo
Mille volte narrato hauea a coſtei:
La beltá, la virtude, i modi d’ eſſo
Eſaltato l’hauea ſin fopra i dei
A ſé chiamolla, e diſſe, miglior meſſo
A tal biſogno elegger non potrei:
Che di te ne piú ſido ne piú faggio
Imbaſciator Hippalca mia non haggio.
[30]
Hippalca la Donzella era nomata
Va, le dice (e l’infegna oue de gire)
E pienamente poi l’hebbe inſormata
Di quato haueſſe al ſuo Signore a dire,
E far la ſcuſa ſé non era andata
Al monaſter, che non ſu per mentire
Ma che Fortuna che di noi potea
Piú che noi ſteffi, da imputar s’ hauea.
[31]
Montar la fece f un Ronzino, e in mano
La ricca briglia di Frontin le meſſe:
E ſé ſi pazzo alcuno o ſi villano
Trouaſſe, che leuar le lo voleſſe:
Per fargli a vna parola il ceruel ſano
Di chi foſſe il deſtrier ſol gli diceſſe:
Che non ſapea ſi ardito caualliero
Che non tremaffe al nome di Ruggiero.
[32]
Di molte coſe l’ammoniſce e molte
Ch trattar co Ruggier’habbia I ſua vece
Lequal poi e’ hebbe Hippalca bè raccolte
Si poſe in via ne piú dimora fece,
Per ſtrade, e campi, e ſelue oſcure e ſolte
Caualco de le miglia piú di diece
Che non ſu a darle noia chi veniſſe
Ne a domandarla pur doue ne giſſe.
[33]
A mezo il giorno nel calar d’un monte
In vna ſtretta e malageuol via
Si venne ad incontrar con Rodomonte
Ch’armato ti piccol Nano, e a pie ſoglila
Il Moro alzo ver lei l’altiera ſronte
K beſtemmio l’eterna Hierarchia
Poi che ſi bel deſtrier, ſi bene ornato
No hauea in man d’un cauallier trouato.
[34]
Hauea giurato che’l primo cauallo
Torria per ſorza che tra via incontraſſe:
Hor qſto e ſtato il primo, e trouato hallo
l’in bello, e piú per lui, che inai trouaſſe
Ma torlo a vna donzella gli par fallo
E pur agogna hauerlo, e 1 dubbio ſtaffe.
Lo mira, Io contempla, e dice ſpeffo
Deh perche il ſuo Signor non e co eſſo.
[35]
Deh ci foſſe egli (gli riſpoſe Hippalca)
Che ti faria cangiar ſorſè penſiero,
Affai piú di te vai chi lo caualca
Ne lo pareggia al modo altro guerriero
Chi e (le diſſe il Moro) che ſi calca
I ’In more altrui? riſpoſe ella Ruggiero
E ql fuggiiífe adiíqj il deſtrier voglio
Poi ch’a Ruggier ſi gra capió lo toglie
[36]
Ilqual ſé fará ver come tu parli
Che ſia ſi ſorte e piú d’ ogn’ altro vaglia
Non che il deſtrier, ma la vettura darli
Couerrami, e in ſuo albitrio ſia la taglia:
Che Rodomonte io ſono hai da narrarli
E che ſé pur vorrá meco battaglia
Mi trouera, ch’ouunqj io vada o ſtia
Mi fa ſempre apparir la luce mia.
[37]
Douunqj io vo ſi gran veſtigio reſta
Che non lo laſcia il ſulmine maggiore,
Coſi dicendo, hauea tornate in teſta
Le redine dorate al corridore:
Sopra gli ſalta, e lachrymoſa e meſta
Rimane Hippalca, e ſpinta dal dolore
Minaccia Rodomonti’, e gli dice onta
No l’aſcolta egli, e ſu pel poggio mota.
[38]
Per quella via doue lo guida il Nano
Per trouar Mandricardo e Doralice
(’.li viene Hippalca dietro di lontano:
E lo beſtemmia ſempre e maledice:
Ciò ch di queſto auuéne altroue e piano
Ttirpin che tutta queſta hiſtoria dice
Fa qui digreſſo, e torna in quel paeſe
Pone ſu dianzi morto il Maganzeſe.
[39]
Dato hauea a pena a quel loco le ſpalle
l.a ſigliuola d’ Animi ch’in fretta giá:
1 he ; ’ arriuo Zerbin per altro calle
Con la fallace vecchia in compagnia,
E giacer vide il corpo ne la valle
Del cauallier che non fa chi ſia:
Ma come quel ch’era corteſe e pio
Hebbe pietá del caſo acerbo e rio.
[40]
Giaceua Pinabello in terra ſpento
Verſando il ſangue per tante ferite
Ch’effer doueano assai, ſé piú di cento
Spade, in ſua morte ſi foſſero vnite,
Il caualier di Scotia non ſu lento
Per l’orme che di freſco eran ſcolpite
A porſi in auuentura: ſé potea
Saper chi l’homicidio fatto hauea.
[41]
Et a Gabrina dice che l’aſpette
Che ſenza indugio a lei fará ritorno,
Ella preſſo al cadauero ſi mette
E ſiſſamente vi pon gliocchi intorno,
Perche ſé coſa v’ ha che le dilette
No vuol ch’u morto í va piú ne ſia adorno
Come colei che ſu tra l’altre note
Quanto auara eſſer piú femina puote.
[42]
Se di portarne il ſurto aſcofamente
Haueſſe hauuto modo, o alcuna ſpeme,
La fopraueſta fatta riccamente
Gli haurebbe tolta, e le beli’ arme iſieme,
Ma quel che può celarſi ageuolmente
Si piglia, e’l reſto fin’ al cor le preme,
Fra l’altre ſpoglie vn bel cinto leuonne
E ſé ne lego i ſianchi inſra due gonne.
[43]
Poco dopo arriuo Zerbin e’ hauea
Seguito in van di Bradamante i paſſi,
Perche trouo il ſentier che ſi torcea
In molti rami ch’iuano alti e baffi:
E poco homai del giorno rimanea
Ne volea al buio ſtar ſra quelli faſſi:
E per trouare albergo die le ſpalle
Con l’empia vecchia alla funeſta valle.
[44]
Quindi preſſo a dua miglia ritrouaro
Vn gran caſtel che ſu detto Altariua:
Doue per ſtar la notte ſi fermaro
Che giá a gran volo iuerſo il ciel ſaliua:
Non vi ſter molto, ch’un lamento amaro
L’orecchie d’ogni parte lor feriua:
E veggon lachrymar da tutti gliocchi
Come la coſa a tutto il popul tocchi.
[45]
Zerbino dimandone, e gli ſu detto
Che venut’era al cont’Anfelmo auiſo,
Che ſra duo monti in vn fenderò iſtretto
Giacea il ſuo figlio Pinabello vcciſo,
Zerbin per non ne dar di ſé ſoſpetto
Di ciò ſi ſinge nuouo, e abbaſſa il viſo,
Ma penſa ben che ſenza dubbio ſia
Quel, ch’egli trouo morto in ſu la via.
[46]
Dopo non molto la bara ſunebre
Giunſe a ſplendor di torchi e di facelle,
La doue fece le ſtrida piú crebre
Con vn batter di man gire alle ſtelle,
E con piú vena ſuor de le palpebre
Le lachryme inundar per le maſcelle,
Ma piú de l’altre nubilofe, & atre
Era la faccia del miſero patre.
[47]
Mentre apparecchio ſi facea ſolenne
Di grandi eſſequie, e di ſunebri pompe:
Secondo il modo & ordine che tenne
L’ufanza antiqua: e ch’ogni etá corrope,
Da parte del Signore vn bando venne
Che toſto il popular ſtrepito rompe,
E promette gra premio a chi dia auiſo
Chi ſtato ſia ch glihabbia il figliovccifo
[48]
Di voce i voce, e d’una in altra orecchia
Il grido e’l bando per la terra ſcorfe,
Fin che l’udi la ſcelerata vecchia
Che di rabbia auanzo le Tigri e l’Orfe
E quindi alla ruina s’ apparecchia
Di Zerbino, o p l’odio che gli ha ſorſè
O per vantarli pur: che ſola priua
D’ humanitade, in human corpo viua.
[49]
O foſſe pur p guadagnarſi il premio.
A ritrouar n’andò quel Signor meſto.
E dopo vn veriſimil ſuo prohemio
Gli diſſe, ch Zerbin fatto hauea queſto:
E quel bel cinto ſi leuo di gremio
Che’l miſer padre a riconoſcer preſto
Appreſſo il teſtimonio e triſto vſtítio
De l’epia vecchia hebbe p chiaro iditio
[50]
E lachrymado al ciel leua le mani
Che’l ſigliuol non fará ſenza vendetta,
Fa circundar l’albergo a i terrazzani,
Che tutto’l popul s’è leuato in fretta.
Zerbin che gli nimici hauer lontani
Si crede, e queſta ingiuria non aſpetta.
Dal conte Anſelmo che ſi chiama oſſeſo
Tanto da lui, nel primo ſonno e preſo.
[51]
E quella notte in tenebroſa parte
Incatenato, e in graui ceppi meſſo,
Il Sole anchor nò ha le luci ſparte
Che l’ingiuſto ſupplicio e giá cómeſſo,
Che nel loco medeſimo ſi ſquarte
Doue ſu il mal e’ hano imputato ad eſſo:
Altra efamina in ciò non ſi facea
Baſtaua che’l Signor coſi credea.
[52]
Poi che l’altro matin la bella Aurora
l’aer ſeren ſé bianco, e roſſo, e giallo,
Tutto’l popul gridando mora mora
Vien per punir Zerbin del nò ſuo fallo,
Lo ſciocco vulgo l’accompagna ſuora
Senz’ ordine chi a piede e chi a cauallo
E’l cauallier di Scotia a capo chino
Ne vien legato in fu’n piccol ronzino.
[53]
Ma Dio che ſpeffo gl’Innocenti aiuta
Ne laſcia mai ch’in ſua bontá ſi ſida:
Tal difeſa gli hauea giá proueduta
Che nO v’e dubbio piú e’ hoggi s’uccida
Quiui Orlando arriuo, la cui venuta
Alla via del ſuo ſcampo gli ſu guida
Orlando giú nel pian vide la gente
Che trahea a morte il cauallier dolente.
[54]
Era con lui quella fanciulla, quella
Che ritrouo ne la ſeluaggia grotta
Del Re Galego la ſiglia IfTabella
In poter giá de malſtdrin 9dotta,
l’oi che laſciato hauea ne la procella
Del truculento mar la naue rotta,
Quella che piú vicino al core hauea
Queſto Zerbin, che l’alma onde viuea.
[55]
Orlando ſé l’hauea fatta compagna
Poi che de la cauerna la riſcoſſe,
Quando coſtei li vide alla campagna
Domando Orlando chi la turba foſſe,
Non ſo difT egli, e poi ſu la montagna
l.aſciolla, e verſo il pian ratto ſi moſſe
Guardo Zerbino, & alla viſta prima
Lo giudico Baron di molta ſtima.
[56]
E fattoſegli appretto domandollo
Perche cagione, e doue il meniti preſo:
Leuo il dolente caualliero il collo
E meglio hauendo il Paladino inteſo,
Riſpoſe ilvero, e coſi ben narrollo
Che merito dal Conte eſſer difeſo:
Bene hauea il conte alle parole ſcorto
Ch’ era innocente, e che moriua a torto.
[57]
E poi che’ntefe che commetto queſto
Era dal conte Anſelmo d’ Altariua
Fu certo ch’era torto manifeſto
Ch’altro da quel fellon mai non deriua,
Et oltre accio, l’uno era all’altro infeſto
Per l’antiquiffimo odio che bolliua
Tra il ſangue di Magaza e di Chiarmote
E tra lor era morti e dani & onte.
[58]
Slegate il cauallier (grido) canaglia,
(Il Còte a maſnadieri) o ch’io v’uccido
Chi e coſtui che ſi gran colpi taglia?
Riſpoſe vn che parer volle il piú ſido,
Se di cera noi ſuſſimo, o di paglia,
E di fuoco egli, assai ſora quel grido:
E venne contra il Paladin di Francia
Orlando contra lui chino la lancia.
[59]
La lucente armatura il Maganzeſe
Che leuata la notte hauea a Zerbino
E poſtafela in dotto, non difeſe
Contro l’aſpro incontrar del Paladino,
Sopra la deſtra guancia il ferro preſe
L’elmo non patto giá, per ch’era ſino
Ma tanto ſu de la pernotta il crollo
Che la vita gli tolſe e roppe il collo.
[60]
Tutto in vn corſo ſenza tor di reſta
La lancia, patto vn’ altro in mezo’l petto
Quiui laſciolla, e la mano hebbe preſta
A Durindana, e nel drappel piú ſtretto
A chi fece due parti de la teſta
A chi leuo dal buſto il capo netto,
Foro la gola a molti, e in vn momento,
N’uccife, e mette in rotta piú di cento.
[61]
Piú del terzo n’ ha morto, e’l reſto caccia
E taglia, e fende, e ſiere, e ſora, e tronca,
Chi lo ſcudo, e chi l’elmo ch lo’mpaccia
E chi laſcia lo ſpiedo, e chi la ronca
Chi al lúgo chi al trauerſo il camin ſpaccia
Altri ſappiatta in boſco, altri in ſpeloca,
Orlando di pietá queſto di priuo
A ſuo poter non vuol laſciarne vn viuo.
[62]
Di cento venti (che Turpin ſottraſſe
Il conto) ottanta ne perirò al meno,
Orlando ſinalmente ſi ritratte
Doue a Zerbin tremaua il cor nel ſeno,
S’al ritornar d’Orlando s’ allegraſſe
Non ſi potria contare in verſi a pieno,
Se gli faria per honorar proſtrato
Ma ſi trouo fopra il ronzin legato.
[63]
Mentre ch’Orlando, poi che lo diſciolſe
l’aiutaua a ripor l’arme ſue intorno,
Ch’ al capitan de la ſbirraglia tolſe
Che per ſuo mal ſé n’era fatto adorno,
Zerbino gliocchi ad Iſſabella volſe
Ch fopra il colle hauea fatto ſoggiorno,
E poi che de la pugna vide il ſine
Porto le ſue bellezze piú vicine.
[64]
Quado apparir Zerbin ſi vide appreſſo
La donna, che da lui ſu amata tanto
La bella donna che per falſo meſſo
Credea ſommerſa, e n’ ha piú volte piato
Coni’ un ghiaccio nel petto gli ſia meſſo
Sente dentro aggelarli, e triema alquato
Ma toſto il ſreddo maca, & in ql loco
Tutto s’ auampa d’ amoroſo fuoco.
[65]
Di non toſto abbracciarla lo ritiene
La riuerenza del Signor d’ Anglante
Perche ſi penſa e ſenza dubbio tiene
Ch’Orlando ſia de la Donzella amante.
Coſi cadendo va di pene in pene
E poco dura il gaudio e’ hebbe inante
Il vederla d’altrui peggio ſopporta
Che no ſé quádo vdi ch’ella era morta,
[66]
E molto piú gli duol che ſia in podeſta
Del caualliero a cui cotanto debbe
Perche volerla a lui leuar ne honeſta
Ne ſorſè impreſa facile farebbe
Neſſuno altro da ſé laſſar con queſta
Preda partir ſenza romor vorrebbe
Ma verſo il Conte il ſuo debito chiede
Che ſé lo laſci por fu’l collo il piede.
[67]
Giunſero taciturni ad vna ſonte
Doue ſmontaro e ſer qualche dimora
Traſſeſi l’elmo il trauagliato Conte,
Et a Zerbin lo fece trarre anchora,
Vede la Dona il ſuo amatore in ſronte
E di ſubito gaudio ſi ſcolora
Poi torna come fiore humido ſuole
Dopo gra pioggia all’apparir del Sole.
[68]
E ſenza indugio, e ſenza altro riſpetto
Corre al ſuo caro amate, e il collo abbraccia
E no può trar parola ſuor del petto
Ma di lachryme il ſen bagna e la faccia,
Orlando attento all’amoroſo affetto
Senza che piti chiarezza ſé gli faccia
Vide a tutti gl’inditii manifeſto
Ch’ altri eſſer che Zerbin nò potea qſto.
[69]
Come la voce hauer potè Iſſabella
Ni’ bene aſciutta achor l’húida guada
Sol de la molta corteſia fanelli
Che l’hauea vſata il Paladin di Francia,
Zerbino che tenea queſta Donzella
Con la ſua vita pare a vna bilancia
Si getta a pie del Conte, e quello adora
Coe a chi s^l í ha due vite date a vn’ hora.
[70]
Molti ringratiamenti e molte oſſerte
Erano per ſeguir tra i cauallieri:
Se non vdian ſonar le vie coperte
Da gli arbori di ſròdi oſcuri e neri:
Preſti alle teſte lor ch’eran ſcopi iti
Poſero gli elmi, e preſero i deſtrieri:
Et ecco vn caualliero e vna donzella
Lor foprauien, ch’a pena erano in fella.
[71]
Era queſto guerrier quel Mandricardo
Che dietro Orlando in fretta ſi conduſſe
Per vendicar Alzirdo e Manilardo
Che’] Paladin con gran valor percuſſe,
Quantunq3 poi I' ſeguito piú tardo
Che Doralice in ſuo poter riduſſe,
Laquale hauea con vn troncon di Cerro
Tolta a cento guerrier carchi di ferro
[72]
Non ſapea il Saracin perho che queſto
Ch’egli ſeguia, fofTe il Signor d’ Anglate
Ben n’hauea inditio e ſegno manifeſto
Ch’effer douea gran caualliero errante,
A lui miro piú ch’a Zerbino, e preſto
Gliando co gliocchi dal capo alle piate,
E i dati contraſegni ritrouando
Dine tu ſé colui ch’io vo cercando.
[73]
Sono homai dieci giorni, gli ſoggiunſe,
Che di cercar non laſcio i tuo veſtigi:
Tanto la fama ſtimolommi e punſe
Che di te venne al campo di Parigi,
Quando a fatica vn viuo ſol vi giunſe
Di mille che mandarti a i regni ſtygi:
E la ſtrage conto che da te venne
Sopra i Noritii e quei di Tremifene.
[74]
No ſui come lo ſeppi a ſeguir lento
E per vederti e per prouarti appreſſo:
E pche m’inſormai del guernimento
C hai fopra l’arme, io ſo che tu fei deſſo
E ſé nò l’hauefsi ancho, e che ſra cento
Per celarti da me ti ſoſſi meſſo
Il tuo fiero ſembiante mi faria
Chiaramente veder che tu quel ſia.
[75]
Nò ſi può (gli riſpoſe Orlando) dire
Che cauallier non ſii d’ alto valore
Perho che ſi magnanimo deſire
Non mi credo albergaſſe in humil core,
Se’l volermi veder ti fa venire
Vo che mi veggi dentro come ſuore,
Mi leuero queſto elmo da le tempie
Accio ch’apunto il tuo deſire adempie.
[76]
Ma poi che bé m’haurai veduto í faccia
All’altro deſiderio anchora attendi,
Reſta ch’alia cagion tu ſatisfaccia
Che fa che dietro queſta via mi prendi,
Che veggi fe’l valor mio ſi confaccia
A ql ſembiante ſier che ſi còmendi,
Hor ſu (diſſe il Pagano) al rimanente
Ch’ai primo ho ſatiſfatto interamente.
[77]
Il Conte tuttauia dal capo al piede
Va cercando il Pagan tutto co gliocchi,
Mira ambi i ſiachi: indi Pardon, ne vede
Pender ne qua, ne la, mazze ne ſtocchi,
Gli domanda di ch’arme ſi prouede
S’auuien che co la lancia in fallo tocchi,
Riſpoſe quel non ne pigliar tu cura
Coſi a molt’ altri ho anchor fatto paura.
[78]
Ho ſacramento di non cinger ſpada
Fin ch’io non tolgo Durindana al Còte:
E cercando lo vo per ogni ſtrada
Accio piú d’ una poſta meco ſconte,
Lo giurai (ſé d’ intenderlo t’ aggrada)
Quando mi poſi queſt’ elmo alla ſronte
Ilqual con tutte l’altr’ arme ch’io porto
Era d’ Hettor, che giá mill’anni e morto.
[79]
La ſpada ſola manca alle buone arme
Come rubata ſu non ti ſo dire,
Hor che la porti il Paladino parme
E di qui vien ch’egli ha ſi grade ardire:
Ben penſo ſé con lui poſſo accozzarme
Fargli il mal tolto hormai riſtituire,
Cercolo anchor, che vendicar diſio
Il famoſo Agrican genitor mio.
[80]
Orlando a tradimento gli die morte
Ben ſo che non potea farlo altrimente:
Il Conte pili non tacque, e grido ſorte
E tu e qualunque il dice ſé ne mente.
Ma quel che cerchi t’e venuto in ſorte
Io ſono Orlando, e vcciſil giuſtamente,
E queſta e quella ſpada che tu cerchi
Che tua fará ſé con virtú la merchi.
[81]
Quantunqj ſia debitamente mia
Tra noi per gentilezza ſi contenda:
Ne voglio in queſta pugna ch’ella ſia
l’iu tua ch mia, ma a vn’ arbore s’appeda,
Leuala tu liberamente via
S’ auuiè che tu m’uccida, o che mi prèda:
Coſi dicendo Durindana preſe,
E’n mezo il capo a vn’ arbuſcel l’appefe.
[82]
Giá l’un da l’altro e dipartito lunge
Quanto farebbe vn mezo tratto d’arco:
Giá l’uno contra l’altro il deſtrier punge
Ne de le lente redine gli e parco,
Giá l’uno e l’altro di gran colpo aggiuge
Doue per I* elmo la veduta ha varco
Parueno l’haſte al romperli di gielo
E in mille ſcheggie adarvoládo al cielo.
[83]
l’una e l’altra haſta e ſorza ch ſi ſpezzi
Che non voglion piegarſi i cauallieri
I cauallier che tornano coi pezzi
Che ſon reſtati appreſſo i calci interi,
Quelli che ſempre fur nel ferro auezzi
Hor come duo villa!] per ſdegno ſieri
Nel partir acqj o termini de prati
Fan crudel zuffa di duo pali armati.
[84]
Non ſtanno l’haſte a quattro colpi falde
E mancati nel furor di quella pugna,
Di qua, e di la, ſi fan l’ire piú calde
Ne da ferir lor reſta altro ch pugna,
Schiodao piaſtre, e ſtracciá maglie e falde
Pur che la man doue s’ aggraffi giugna,
Non deſideri alcun, perche piú vaglia,
Martel piú graue, o piú dura tanaglia.
[85]
Come può il Saracin ritrouar feſto
Di ſinir con ſuo honore il fiero inuito?
Pazzia farebbe il perder tempo in qſto
Che nuoce al feritor piú ch’al ferito,
Ando alle ſtrette l’uno e l’altro, e preſto
II Re Pagano Orlando hebbe ghermito
Lo ſtringe al petto, e crede far le prone
Ch fopra Anteo ſé giá il figliol di Gioue
[86]
Lo piglia con molto impeto a trauerſo
Quado Io ſpinge, e quando a ſé lo tira:
Et e ne la gran cholera ſi immerſo
Ch’oue reſti la briglia poco mira,
Sta in ſé raccolto Orládo, e ne va verſo
Il ſuo vantaggio, e alla vittoria aſpira,
(’.li pon la cauta man fopra le ciglia
Del cauallo, e cader ne fa la briglia.
[87]
Il Saracino ogni poter vi mette
Che Io ſoſſoghi, o de P arcion lo ſuella
Ne gliurti ilCòte ha le ginocchia ſtrette
Ne 1 queſta parte vuol piegar ne in qlla
Per quel tirar che fa il Pagan, conſtrette
Le cingie ſon d’abandonar la fella,
Orlando e in terra e a pena fe’l conoſce
Ch’ i piedi ha i ſtafla e ſtrige achor le coſce
[88]
Có quel rumor ch’un ſacco d’arme cade
Riſuona il Conte, come il campo tocca,
11 deſtrier e’ ha la teſta in libertade
Quello a chi tolto il ſreno era di bocca:
Non piú mirando i boſchi che le ſtrade
Con ruinoſo corſo ſi trabocca,
Spinto di qua e di la dal timor cieco
E Mandricardo ſé ne porta ſeco.
[89]
Doralice che vede la ſua guida
Vſcir del capo e torleſi d’ appreſſo
E mal reſtarne ſenza ſi confida
Dietro corredo il ſuo ròzin gli ha meſſo
Il Pagan per orgoglio al deſtrier grida
E co mani e con piedi il batte ſpeffo:
E come non ſia beſtia lo minaccia
Perche ſi fermi e tuttauia piú il caccia.
[90]
La beſtia ch’era ſpauentofa e poltra
Sanza guardarli a i pie, corre a trauerſo
Giá corſo hauea tre miglia e ſeguiua oltra
S’un ſoſſo a ql deſir nò era auuerſo.
Ch ſanza hauer nel ſodo, o letto, o coltra
Riceue l’uno e l’altro in ſé riuerſo:
Die Madricardo in terra aſpra percoſſa
Ne perho ſi ſiacco, ne ſi roppe oſſa,
[91]
Quiui ſi ferma il corridore al ſine
Ma no ſi può guidar che non ha ſreno,
Il Tartaro lo tien preſo nel crine
E tutto e di furore e d’ira pieno
Penſa e non fa quel che di far deſtine,
Pongli la briglia del mio palaſreno
(La Donna gli dicea) che non e molto
Il mio feroce, o ſia col ſreno, o ſciolto.
[92]
Al Saracin parea diſcorteſia
La proferta accettar di Doralice,
Ma ſren gli fará hauer per altra via
Fortuna, 1 a ſuoi diſii molto fautrice,
Quiui Gabrina federata inuia,
Che poi che di Zerbin ſu traditrice
Fuggia come la Lupa, che lontani
Oda venire i cacciatori e i cani,
[93]
Ella hauea anchora indoſſo la gonnella
E quei medeſmi giouenili ornati
Che ſuro alla vezzoſa damigella
Di Pinabel, per lei veſtir leuati,
Et hauea il palaſreno ancho di quella
. De i buon del modo, e de gliauataggiati
La vecchia fopra il Tartaro trouoſſe
Ch’anchor nò s’era accorta che vi foſſe.
[94]
l’habito giouenil moſſe la ſiglia
Di Stordilano e Mandricardo a riſo,
Vedendolo a colei che raſſimiglia
A vn babuino, a vn bertuccione in viſo,
Diſegna il Saracin torle la briglia
Pel ſuo deſtriero, e riuſci l’auifo
Toltogli il morſo il palaſren minaccia
Gli grida, lo ſpauenta, e in ſuga il caccia.
[95]
Quel ſugge per la ſelua e ſeco porta
La quaſi morta vecchia di paura,
Per valli e monti, e per via dritta e torta
Per ſoſſi e per pendici alla ventura,
Ma il parlar di coſtei ſi non m’importa
Ch’ io nò debba d’ Orlado hauer piú cura
Ch’alia ſua fella ciò ch’era di guaſto
Tutto ben racconcio ſanza contraſto.
[96]
Rimonto fu’l deſtriero e ſte gran pezzo
A riguardar che’l Saracin tornane
Noi vedendo apparir volſe da ſezzo
Egli eſſer quel ch’a ritrouarlo andaſſe
Ma come coſtumato e bene auezzo
Non prima il Paladin quindi ſi traſſe.
Che con dolce parlar grato e corteſe
Buona licentia da gli amanti preſe.
[97]
Zerbin di quel partir molto ſi dolſe
Di tenerezza ne piangea Iſſabella,
Voleano ir ſeco ma il Còte non volſe
Lor còpagnia ben ch’era e buona e bella
E con queſta ragion ſé ne diſciolſe
Ch’a guerrier nò e inſamia fopra quella
Che quado cerchi vn ſuo nimico: preda
Compagno che l’aiuti e che’l difenda.
[98]
Li prego poi che quando il Saracino
Prima ch’in lui, ſi riſeòtraſſe in loro,
Gli diceſſer ch’Orlando hauria vicino
Anchor tre giorni per quel tenitoro,
Ma dopo che farebbe il ſuo camino
Verſo le’nfegne de i bei gigli d’oro
Per eſſer con l’eſercito di Carlo,
Accio volendol ſappia onde chiamarlo.
[99]
Quelli promiſer farlo volentieri
E queſta e ogn’ altra coſa al ſuo comado,
Feron camin diuerſo i cauallieri
Di qua Zerbino, e di la il conte Orlado:
Prima che pigli il Conte altri ſentieri
All’arbor tolſe, e a ſé ripoſe il brando,
E doue meglio col Pagan penſoſſe
Di poterfi incontrare, il deſtrier moſſe.
[100]
Lo ſtrano corſo che tenne il cauallo
Del Saracin, pel boſco ſenza via
Fece ch’Orlado andò duo giorni in fallo
Ne lo trouo ne potè hauerne ſpia,
Oiunſe ad vn riuo che parea cryſtallo
Ne le cui ſponde vn bel pratel noria
Di lutino color vago e dipinto
E di molti e belli arbori diſtinto.
[101]
II Merigge facea grato l’orezo
Al duro armento, & al Paſtore ignudo
Si che ne Orlando ſentia alcun ribrezo
Che la corazza hauea l’elmo e lo ſcudo
Quiui egli entro per ripoſarui in mezo
E v’ hebbe trauaglioſo albergo e crudo
E piú che dir ſi poſſa empio ſoggiomo
Quell’infelice e sfortunato giorno.
[102]
Volgendoſi ini intorno, vide ferini
Molti arbuſcelli in ſu V ombroſa riua,
Toſto che fermi v’ hebbe gliocchi e ſitti
Fu certo eſſer di man de la ſua Diua,
Queſto era vn di quei lochi giá deſcritti
Oue ſouente con Medor veniua
Da caſa del paſtore indi vicina
La bella donna del Catai Regina.
[103]
Angelica e Medor con cento nodi
Legati inſieme, e in cento lochi vede.
Quante lettere ſon, tanti ſon chiodi
Co i quali Amore il cor gli puge e ſiede
Va col pender cercando in mille modi
Nò creder ql ch’al ſuo diſpetto crede,
Ch’altra Angelica ſia creder ſi sforza
C’habbia ſcritto il ſuo nòe I qlla ſcorza
[104]
Poi dice conoſco io pur queſte note,
Di tal io n’ho tante vedute e lette:
Finger queſto Medoro ella ſi puote
Forſè ch’a me queſto cognome mette:
Con tali opinion dal ver remote
Vſando ſraude e ſé medeſmo, ſtette
Ne la ſperanza il mal contento Orlando
Che ſi ſeppe a ſé ſteffo ir procacciando
[105]
Ma ſempre piú raccende e piú rinuoua
Quato ſpenger piú cerca il rio ſoſpetto
Come l’incauto augel che ſi ritroua
In ragna o in viſco hauer dato di petto
Quanto piú batte l’ale e piú ſi proua
Di diſbrigar piú vi ſi lega ſtretto
Orlando viene oue s’ incurua il monte
A guiſa d’arco in ſu la chiara ſonte.
[106]
Haueano in ſu l’entrata il luogo adorno
Coi piedi ſtorti hedere e viti erranti:
Quiui ſoleano al piú cocente giorno
Stare abbracciati i duo felici amanti
V haueano i nomi lor dentro e d’intorno
Piú che in altro de i luoghi circòſtanti
Scritti qual con carbone e qual co geffo
E qual con punte di coltelli impreſſo.
[107]
Il meſto Conte a pie quiui diſceſe
E vide in ſu l’entrata de la grotta
Parole assai, che di ſua man diſtefe
Medoro hauea, ch pareá ſcritte allhotta,
Del gran piacer che ne la grotta preſe
Queſta ſententia in verſi hauea ridotta
Che foſſe eulta in ſuo Hguaggio io pgfo
Et era ne la noſtra tale il ſenſo.
[108]
Liete piante, verdi herbe, limpide acque
Spelúca opaca, e di ſredde ombre grata:
Doue la bella Angelica che nacque
Di Galafron, da molti in vano amata,
Speſſo ne le mie braccia nuda giacque:
De la commodita che qui m’e data,
Io pouero Medor ricompenfarui
D’altro nò poſſo che d’ognihor lodarui.
[109]
E di pregare ogni Signore Amate
E Caualieri, e Damigelle, e ognuna
Perſona, o paeſana, o viandante,
Che qui ſua volontá meni o Fortuna:
Ch’ali’ herbe all’Gbr all’atro al rio alle piate
Dica, bèigno habbiate, e ſole, e lúa,
Et de le nymphe il choro, che pueggia
Che no gduca a voi paſtor mai greggia.
[110]
Era ſcritto in Arabico, che’l Conte
Intendea coſi ben come latino,
Fra molte lingue e molte, e’ hauea pronte
Prontiſſima hauea quella il Paladino,
E gli ſchiuo piú volte, e danni, & onte
Che ſi trouo tra il popul Saracino,
Ma nò ſi vati ſé giá n’hebbe ſrutto
Ch’ u dano hor n’ ha, ch può ſcontargli il tutto
[111]
Tre volte, e quattro, e fei, leſſe lo ſcritto
Quello inſelice, e pur cercando in vano
Che non vi foſſe quel che v’era ſcritto
E ſempre lo vedea piú chiaro e piano,
Et ogni volta in mezo il petto afflitto
Stringerſi il cor ſentia con ſredda mano,
Rimaſe al ſin con gliocchi e con la méte
Fiffi nel ſaſſo, al ſaſſo indifferente.
[112]
Fu allhora per vſcir del ſentimento
Si tutto in preda del dolor ſi laſſa:
Credete a chi n’ha fatto eſperimento
Che qſto e’l duol che tutti glialtri paſſa,
Caduto gliera fopra il petto il mento,
La ſronte priua di baldanza e balta,
Ne potè hauer (ch’I duol l’occupo tato)
Alle querele voce, o humore al pianto.
[113]
L’impetuofa doglia entro rimaſe
Che volea tutta vſcir con troppa fretta:
Coſi veggian reſtar l’acqua nel vaſe
Ch largo il vètre e la bocca habbia ſtretta
Che nel voltar ch ſi fa in ſu la baſe
l’humor che vorria vſcir tanto s’ affretta
E ne l’anguſta via tanto s’intrica
Ch’ agoccia a goccia ſuore eſce a fatica.
[114]
Poi ritorna in ſé alquanto, e penſa come
Poſſa eſſer che non’fia la coſa vera,
Che voglia alcun coſi inſamare il nome
De la ſua Dona, e crede, e brama, e ſpera
O grauar lui d’infoportabil ſome
Tanto di geloſia che ſé ne pera,
Et habbia quel, ſia chi ſi voglia ſtato,
Molto la man di lei bene imitato,
[115]
In coſi poca in coſi debol ſpeme
Sueglia gli ſpirti e gli rifranca vn poco,
Indi al ſuo Rrigliadoro il doſſo preme,
Dando giá il Sole alla Sorella loco:
Non molto va, che da le vie ſupreme
De’i tetti, vſcir vede il vapor del fuoco,
Sente cani abbaiar, muggiare armento
Viene alla villa, e piglia alloggiamento.
[116]
Languido ſmonta e laſcia Brigliadoro
A vn diſcreto garzon che n’ habbia cura
Altri il diſarma, altri gli ſproni d’oro
Gli leua, altri a ſorbir va l’armatura,
Era queſta la caſa, oue Medoro
Giacque ferito, e v’ hebbe alta auuétura:
Corcarli Orlando e non cenar domanda
Di dolor ſatio e non d’altra viuanda.
[117]
Quanto piú cerca ritrouar quiete
Tanto ritroua piú trauaglio e pena,
Che del’odiato ſcritto ogni parete
Ogni vſcio ogni fineſtra, vede piena
Chieder ne vuol, poi tien le labra chete
Che teme non ſi far troppo ſerena
Troppo chiara la coſa, che di nebbia
Cerca ofTuſcar pche me nuocer debbia.
[118]
Poco gli gioua vſar ſraude a ſé ſteffo
Che ſenza domandarne e chi ne parla:
Il paſtor che lo vede coſi oppreſſo
Da ſua triſtitia, e che voria leuarla,
L’hiſtoria nota a ſé, che dicea ſpeffo
Di qi duo amanti a chi volea aſcoltarla,
Ch’ a molti diletteuole ſu a vdire
Glincomincio ſenza riſpetto a dire.
[119]
Come eſſo a prieghi d’ Angelica bella
Portato hauea Medoro alla ſua villa,
Ch’era ferito grauemente, e ch’ella
Curo la piaga, e in pochi di guarilla,
Ma che nel cor d’una maggior di quella
Lei feri Amor, e di poca ſcintilla
L’accefe tanto e ſi cocente fuoco
Che n’ardea tutta: e non trouaua loco,
[120]
E ſanza hauer riſpetto ch’ella ſuſſe
Figlia di maggior Re e’ riabbia il Leuate
Da troppo amor conſtretta ſi conduſſe
A farſi moglie d’ un pouero fante,
All’ultimo l’hiſtoria ſi riduſſe
Che’l paſtor ſé portar la gemma inante,
Ch’alia ſua dipartenza per mercede
Del buono albergo Angelica gli diede.
[121]
Queſta concluſion ſu la ſecure
Che’l capo avn colpo gli leuo dal collo,
Poi che d’ innumerabil battiture
Si vide il manigoldo Amor ſatollo,
Celar ſi ſtudia Orlando il duolo, e pure
Quel gli fa ſorza, e male aſeòder pollo,
p lachryme e fuſpir da bocca e d’ occhi
9uié voglia o no voglia al ſin ch ſcocchi
[122]
Poi ch’allargare il ſreno al dolor puote
Che reſta ſolo e ſenza altrui riſpetto,
Giú da gliocchi rigando per le gote
Sparge vn fiume di lachryme fu’l petto,
Soſpira e geme, e va con ſpeſſe ruote
Di qua di la tutto cercando il letto,
E piú duro ch’un Saſſo, e piú pungente
Che ſé foſſe d’urtica, ſé lo ſente.
[123]
In tanto aſpro trauaglio gli ſoccorre
Che nel medeſmo letto in che giaceua,
l’ingrata donna venutaſi a porre
Col ſuo drudo piú volte eſſer doueua,
No altrimenti hor qlla piuma abbhorre
Ne con minor preſtezza ſé ne leua
Che de l’herba il villa, ch s’era meſſo
p chiuder gliocchi: e vegga il ſpe appſſo
[124]
Quel letto, quella caſa, quel paſtore
Immantinente in tant’odio gli caſea,
Che ſenza aſpettar Luna, o che l’Albore
Che va dinanzi al nuouo giorno, naſca,
Piglia l’arme e il deſtriero, & eſce ſuore
Per mezo il boſco alla piú oſcura ſraſca
E quando poi gli e auiſo d’ eſſer ſolo
Con gridi & vrli apre le porte al duolo.
[125]
Di pianger mai, mai di gridar non reſta
Ne la notte nel di ſi da mai pace,
Fugge cittadi, e borghi, e alla foreſta
Su’l terren duro al diſcoperto giace,
Di ſé ſi maiauiglia e’ habbia in teſta
Vna ſontana d’ acqua ſi viuace,
E come ſoſpirar poſſa mai tanto,
E ſpeffo dice a ſé coſi nel pianto.
[126]
Queſte non ſon piú lachryme che ſuore
Stillo da gliocchi con ſi larga vena,
Non ſuppliron le lachryme al dolore
Finir, oh’ a mezo era il dolore a pena,
Dal fuoco ſpinto hora il vitale humore
Fugge p quella via ch ’a gliocchi mena
Et e quel che ſi verſa, e trarrá inſieme
E’l dolore, e la vita all’hore eſtreme.
[127]
Queſti ch’inditio fan del mio tormento
Soſpir non ſono, ne i ſoſpir ſon tali,
Quelli ha triegua talhora, io mai nò ſèto
Che’! petto mio men la ſua pena eſhali,
Amor che m’arde il cor fa queſto vento
Mentre dibatte intorno al fuoco l’ali,
Amor con che miracolo lo fai?
Che’n fuoco il tenghi e noi còfumi mai ?
[128]
Non ſon, non ſono io ql, che paio in viſo
Quel ch’era Orládo emorto, & e ſotterra
La ſua Donna ingratiſſima l’ha vcciſo
Si, mancando di ſé, gli ha fatto guerra,
Io ſon lo ſpirto ſuo da lui diuiſo
Ch’ in queſto inſerno tormentadoſi erra
Accio con l’ombra ſia, che ſola auanza,
Eſempio a chi in Amor pone ſperanza.
[129]
Pel boſco erro tutta la notte il Cote
E allo ſpuntar della diurna ſiamma
Lo torno il ſuo deſtin fopra la ſonte
Doue Medoro inſculſe l’epigramma,
Veder l’ingiuria ſua ſcritta nel monte
L’accefe ſi, ch’in lui non reſto dramma
Che non foſſe odio, rabbia, ira, e furore
Ne piú indugio che traſſe il brado ſuore
[130]
Taglio lo ſcritto e’l ſaſſo, e fin’ al cielo
A volo alzar ſé le minute ſchegge:
Infelice quell’antro, & ogni ſtelo
In cui Medoro e Angelica ſi legge,
Coſi reſtar quel di, ch’ombra ne gielo
A paſtor mai non daran piú, ne a gregge
E quella ſonte giá ſi chiara e pura
Da cotanta ira ſu poco ſicura.
[131]
Che rami, e ceppi, e trochi, e faſſi, e zolle
Non ceffo di gittar ne le beli’ onde
l’in che da ſommo ad imo ſi turbolle
Che non ſuro mai piú chiare ne monde:
E ſtanco al fin’, e al ſin di ſudor molle
Poi che la lena vinta non riſponde
Allo ſdegno, al graue odio, all’ani, i. ira
Cade fu’l prato e verſo il ciel ſoſpira.
[132]
Afflitto e ſtáco al ſin cade ne l’herba
E ſicca gliocchi al cielo e no fa motto:
Senza cibo e dormir coſi ſi ſerba
Che’l Sole eſce tre volte, e torna ſotto,
Di creſcer non ceffo la pena acerba
Ch ſuor del ſenno al ſin l’hebbe códotto.
Il quarto di da gran furor còmoffo
E maglie, e piaſtre ſi (traccio di doſſo.
[133]
Qui riman l’elmo, e la riman lo ſcudo
Lontan gli arneſi, e piú lontan l’ufbergo:
L’arme ſue tutte in ſomma vi concludo
Hauean pel boſco differente albergo,
E poi ſi ſquarcio i pani, e moſtro ignudo
l’hiſpido ventre, e tutto’l petto e’l tergo,
E comincio la gran ſollia, ſi horrenda
Che de la piú non fará mai ch’intenda.
[134]
In lauta labbia in tanto furor venne
Che rimaſe offuſcato in ogni ſenſo,
I >i lor la ſpada in man non gli ſouenne
Che fatte hauria mirabil coſe penſo,
Ma ne quella, ne ſcure, ne bipenne
Era biſogno al ſuo vigore immenſo,
Quiui ſé ben de le ſue proue eccelſe
Ch’ un alto pino al primo crollo ſuelſe.
[135]
E ſuelſe dopo il primo altri parecchi
Come foſſer ſinocchi, ebuli, o aneti
E ſé il ſimil di querce e d’olmi vecchi
Di faggi e d’orni, e d’ illiei, e d’abeti:
Quel ch’un’vcellator che s’apparecchi
II campo mondo fa per por le reti
De i giflchi e de Ir doppie e de l’urtiche
Facea de cerri, e d’altre piante antiche.
[136]
paſtor che ſentito hanno i! ſracaſſò
Laſciando il gregge ſparfo alla foreſta
Chi di qua, chi di la, tutti a gran paſſo
Vi vengono a veder che coſa e queſta:
Ma ſon giuto a ql ſegno ilqual s’io paſſo
Vi potria la mia hiſtoria eſſer moleſta
Et io la vo piū toſto diferire
Che v’habbia per lunghezza a faſtidire.