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Rimonto fu’l deſtriero e ſte gran pezzo
A riguardar che’l Saracin tornane
Noi vedendo apparir volſe da ſezzo
Egli eſſer quel ch’a ritrouarlo andaſſe
Ma come coſtumato e bene auezzo
Non prima il Paladin quindi ſi traſſe.
Che con dolce parlar grato e corteſe
Buona licentia da gli amanti preſe.
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Zerbin di quel partir molto ſi dolſe
Di tenerezza ne piangea Iſſabella,
Voleano ir ſeco ma il Còte non volſe
Lor còpagnia ben ch’era e buona e bella
E con queſta ragion ſé ne diſciolſe
Ch’a guerrier nò e inſamia fopra quella
Che quado cerchi vn ſuo nimico: preda
Compagno che l’aiuti e che’l difenda.
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Li prego poi che quando il Saracino
Prima ch’in lui, ſi riſeòtraſſe in loro,
Gli diceſſer ch’Orlando hauria vicino
Anchor tre giorni per quel tenitoro,
Ma dopo che farebbe il ſuo camino
Verſo le’nfegne de i bei gigli d’oro
Per eſſer con l’eſercito di Carlo,
Accio volendol ſappia onde chiamarlo.
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Quelli promiſer farlo volentieri
E queſta e ogn’ altra coſa al ſuo comado,
Feron camin diuerſo i cauallieri
Di qua Zerbino, e di la il conte Orlado:
Prima che pigli il Conte altri ſentieri
All’arbor tolſe, e a ſé ripoſe il brando,
E doue meglio col Pagan penſoſſe
Di poterfi incontrare, il deſtrier moſſe.
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Lo ſtrano corſo che tenne il cauallo
Del Saracin, pel boſco ſenza via
Fece ch’Orlado andò duo giorni in fallo
Ne lo trouo ne potè hauerne ſpia,
Oiunſe ad vn riuo che parea cryſtallo
Ne le cui ſponde vn bel pratel noria
Di lutino color vago e dipinto
E di molti e belli arbori diſtinto.
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II Merigge facea grato l’orezo
Al duro armento, & al Paſtore ignudo
Si che ne Orlando ſentia alcun ribrezo
Che la corazza hauea l’elmo e lo ſcudo
Quiui egli entro per ripoſarui in mezo
E v’ hebbe trauaglioſo albergo e crudo
E piú che dir ſi poſſa empio ſoggiomo
Quell’infelice e sfortunato giorno.
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Volgendoſi ini intorno, vide ferini
Molti arbuſcelli in ſu V ombroſa riua,
Toſto che fermi v’ hebbe gliocchi e ſitti
Fu certo eſſer di man de la ſua Diua,
Queſto era vn di quei lochi giá deſcritti
Oue ſouente con Medor veniua
Da caſa del paſtore indi vicina
La bella donna del Catai Regina.
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Angelica e Medor con cento nodi
Legati inſieme, e in cento lochi vede.
Quante lettere ſon, tanti ſon chiodi
Co i quali Amore il cor gli puge e ſiede
Va col pender cercando in mille modi
Nò creder ql ch’al ſuo diſpetto crede,
Ch’altra Angelica ſia creder ſi sforza
C’habbia ſcritto il ſuo nòe I qlla ſcorza