Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/329


 [96]
Rimonto fu’l deſtriero e ſte gran pezzo
     A riguardar che’l Saracin tornane
     Noi vedendo apparir volſe da ſezzo
     Egli eſſer quel ch’a ritrouarlo andaſſe
     Ma come coſtumato e bene auezzo
     Non prima il Paladin quindi ſi traſſe.
     Che con dolce parlar grato e corteſe
     Buona licentia da gli amanti preſe.

 [97]
Zerbin di quel partir molto ſi dolſe
     Di tenerezza ne piangea Iſſabella,
     Voleano ir ſeco ma il Còte non volſe
     Lor còpagnia ben ch’era e buona e bella
     E con queſta ragion ſé ne diſciolſe
     Ch’a guerrier nò e inſamia fopra quella
     Che quado cerchi vn ſuo nimico: preda
     Compagno che l’aiuti e che’l difenda.

 [98]
Li prego poi che quando il Saracino
     Prima ch’in lui, ſi riſeòtraſſe in loro,
     Gli diceſſer ch’Orlando hauria vicino
     Anchor tre giorni per quel tenitoro,
     Ma dopo che farebbe il ſuo camino
     Verſo le’nfegne de i bei gigli d’oro
     Per eſſer con l’eſercito di Carlo,
     Accio volendol ſappia onde chiamarlo.

 [99]
Quelli promiſer farlo volentieri
     E queſta e ogn’ altra coſa al ſuo comado,
     Feron camin diuerſo i cauallieri
     Di qua Zerbino, e di la il conte Orlado:
     Prima che pigli il Conte altri ſentieri
     All’arbor tolſe, e a ſé ripoſe il brando,
     E doue meglio col Pagan penſoſſe
     Di poterfi incontrare, il deſtrier moſſe.

 [100]
Lo ſtrano corſo che tenne il cauallo
     Del Saracin, pel boſco ſenza via
     Fece ch’Orlado andò duo giorni in fallo
     Ne lo trouo ne potè hauerne ſpia,
     Oiunſe ad vn riuo che parea cryſtallo
     Ne le cui ſponde vn bel pratel noria
     Di lutino color vago e dipinto
     E di molti e belli arbori diſtinto.

 [101]
II Merigge facea grato l’orezo
     Al duro armento, & al Paſtore ignudo
     Si che ne Orlando ſentia alcun ribrezo
     Che la corazza hauea l’elmo e lo ſcudo
     Quiui egli entro per ripoſarui in mezo
     E v’ hebbe trauaglioſo albergo e crudo
     E piú che dir ſi poſſa empio ſoggiomo
     Quell’infelice e sfortunato giorno.

 [102]
Volgendoſi ini intorno, vide ferini
     Molti arbuſcelli in ſu V ombroſa riua,
     Toſto che fermi v’ hebbe gliocchi e ſitti
     Fu certo eſſer di man de la ſua Diua,
     Queſto era vn di quei lochi giá deſcritti
     Oue ſouente con Medor veniua
     Da caſa del paſtore indi vicina
     La bella donna del Catai Regina.

 [103]
Angelica e Medor con cento nodi
     Legati inſieme, e in cento lochi vede.
     Quante lettere ſon, tanti ſon chiodi
     Co i quali Amore il cor gli puge e ſiede
     Va col pender cercando in mille modi
     Nò creder ql ch’al ſuo diſpetto crede,
     Ch’altra Angelica ſia creder ſi sforza
     C’habbia ſcritto il ſuo nòe I qlla ſcorza