Le inquietudini di Zelinda/Atto III

Atto III

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Atto II Appendice

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa di Barbara, colla spinetta.

Tognina e Fabrizio.

Tognina. Mi fa piacere grandissimo quel che mi dite. Desidero che il buon progetto per l’avvocato riesca felicemente, lo desidero per la mia padrona, per il vostro padrone, e per il mio e per il vostro interesse.

Fabrizio. Sì, perchè i vostri interessi ed i miei sono e saranno sempre comuni.

Tognina. Subito che si sposeranno i nostri padroni...

Fabrizio. Ci sposeremo anche noi.

Tognina. E se le cose per loro andassero male, o andassero troppo a lungo? [p. 262 modifica]

Fabrizio. Se essi non si sposano, ci sposeremo noi1.

Tognina. Questo è quel ch’io voleva dire.

Fabrizio. Siamo liberi, e il nostro affare non ha a dipendere da nessuno.

Tognina. Bisogna pensare a ritrovar una casa, e ad ammobigliarla con un poco di buona grazia.

Fabrizio. Lindoro m’ha fatto una proposizione che non mi dispiace. Mi ha detto che potressimo far casa insieme. Sapete voi che questo ci potrebb’essere d’un grand’avvantaggio?

Tognina. È vero; ma cosa volete che facciamo in compagnia di quell’uomo ch’è d’una gelosia insopportabile?

Fabrizio. Oh v’assicuro...

Tognina. Ha fatto una scena in questa casa contro sua moglie, che meritava d’essere bastonato.

Fabrizio. V’assicuro che non è più geloso.

Tognina. Non è più geloso?

Fabrizio. No certo; si è infinitamente cangiato.

Tognina. Se la cosa è così... Ma anche sua moglie mi pare di testa calda. L’ho sentita qui in questa camera a fare una certa disputa col suo padrone...

Fabrizio. È vero, è donna d’impegno, ma è del miglior cuore del mondo.

Tognina. Anche Lindoro, fuori di quel tal difetto, mi pare un giovane assai proprio e civile...

Fabrizio. Sì, certo. E un figliuolo amabile, è una coppa d’oro.

Tognina. Ah eccolo qui per l’appunto.

SCENA II.

Lindoro e detti.

Fabrizio. Si parlava appunto di voi.

Lindoro. Vi ringrazio della memoria ch’avete di me.

Fabrizio. Tognina sarebbe estremamente contenta che si potesse vivere insieme. [p. 263 modifica]

Tognina. Sì, certo, se la signora Zelinda si degnasse della mia compagnia...

Lindoro. Gliene ho parlato poc’anzi. Stava poco bene la poverina, ma mi pare ch’ella lo gradirebbe moltissimo.

Fabrizio. Continua ancora nella sua melanconia? (a Lindoro)

Lindoro. Un poco.

Tognina. Lasciate, lasciale. Se stiamo insieme, v’assicuro che le farò passare la melanconia.

Lindoro. Son qui un’altra volta per commissione del signor don Flaminio. C è la signora Barbara?

Tognina. C’è, ma perchè non viene egli stesso?

Lindoro. Vi dirò la ragione ch’ho da dire appunto alla vostra padrona. Sappiate...

Tognina. Sento battere. Aspettate un momento che veda chi è. (in atto di partire)

Lindoro. Io ho trovato la porta aperta, e l’ho lasciata così.

Tognina. Bisogna che questo non voglia entrare senza le cerimonie. (va alla finestra)

Fabrizio. E bene. Avete parlato con Zelinda? (a Lindoro)

Lindoro. Sì, lungamente.

Fabrizio. Si è acquietata?

Lindoro. Vi dirò...

Tognina. È un avvocato che dimanda la mia padrona.

Lindoro. Oh, è appunto quegli di cui dovea prevenire la signora Barbara. Ditele ch’è l’avvocato di don Flaminio, che lo riceva con buon animo, e che sarà informata da lui di tutto quello che corre presentemente.

Tognina. Vado subito, aspettatemi qui. (parte)

SCENA III.

Lindoro, Fabrizio, poi Tognina.

Fabrizio. E bene, s’è acquietata Zelinda?

Lindoro. Oh vi sono state delle cose grandi. Vi racconterò. [p. 264 modifica]

Fabrizio. Ma è restata alfin persuasa?

Lindoro. Sì, persuasissima, contentissima.

Fabrizio. Ne ho piacere, da galantuomo.

Tognina. La padrona vuol ricever qui l’avvocato in questa camera. Andiamo di là nel salotto.

Lindoro. Ma io bisogna che vada via.

Tognina. Che premura avete? Andiamo, andiamo, v’ho da parlare. Andiamo. (Prende per una mano Fabrizio, e per l’altra Lindoro, e tutti tre partono.)

SCENA IV.

Barbara e l’Avvocato.

Barbara. Favorite qui, che staremo meglio.

Avvocato. Con una sì amabile compagnia, si sta bene per tutto.

Barbara. Signore, come io vi diceva, sono informata del testamento; Lindoro m’ha detto tutto. So l’amore che ha per me don Flaminio, ma non permetterò mai che si pregiudichi per causa mia.

Avvocato. Bravissima, così va detto, e così va fatto. Poichè vedete bene, s’ei vi sposasse, perderebbe i tre quarti della sua eredità.

Barbara. Ma mi hanno detto che il signor avvocato avea immaginato un progetto... (un poco mortificata)

Avvocato. E se il progetto non riesce?

Barbara. Converrà rassegnarsi.

Avvocato. E continuar a trattare il signor don Flaminio come buon amico, se non si può trattare come marito.

Barbara. Oh questo poi no. Vi giuro sull’onor mio, che se non è in caso d’essere mio marito, in casa mia non ci verrà più.

Avvocato. Capisco. Voi l’amate, e non l’amate... così, e così.

Barbara. Non l’amo? Mi maraviglio, signore, s’io non l’amassi, non desidererei di sposarlo.

Avvocato. Oh, oh, mi fate rider davvero, questi sono di que’ matrimoni, ne’ quali, per ordinario, l’amore non ci ha gran parte. [p. 265 modifica]

Barbara. Voi parlate così perchè non mi conoscete, credete che una giovane che ha calcato le scene, non sia capace di nobili sentimenti? Siete in errore, se così pensate. Il teatro non cambia il cuore, colei ch’è mal onesta in pubblico, sarebbe tale in privato, e chi ha prudenza in casa, vive prudentemente per tutto.

Avvocato. In verità, voi avete de’ sentimenti che mi sorprendono, che m’incantano. Se siete obbligata a distaccarvi da don Flaminio, voglio aver io l’onore di servirvi.

Barbara. Vi ringrazio infinitamente. (ironico)2 Se non ho la fortuna d’essere sposa di don Flaminio, per me non vuò più sapere nè di teatri, nè di servitù, nè di protezione.

Avvocato. (Vorrei pur vedere di trovar qualche ragione per dissuader don Flaminio, ma finora non ce la trovo). (da sè)

Barbara. Le disgrazie della mia casa mi hanno obbligato a sacrificarmi finora. Vedo che sono assai sfortunata. Basta così, non ne vuò saper altro. Il cielo mi provvedere per qualch’altra strada.

Avvocato. (Il suo modo di pensare ha il suo merito: se dice la verità). (da sè) Dicono che siete nata assai civilmente.

Barbara. Così è pur troppo, ed arrossisco della risoluzione ch’ho presa.

Avvocato. Dunque condannate anche voi il teatro.

Barbara. Non lo condanno per quel che è, ma per la prevenzione in contrario.

Avvocato. Bravissima. In caso di bisogno non avrete difficoltà a provare la vostra nascita.

Barbara. Ecco una lettera di mio padre, con dentro i documenti della mia famiglia. (mostra de' fogli)

Avvocato. Tutto va bene, sono carte, sono sottoscritte, ma...

Barbara. Ci avreste ancora delle difficoltà?

Avvocato. In materia de’ matrimoni, bisogna verificar la persona.

Barbara. Non vi capisco.

Avvocato. Avete voi delle persone che vi conoscano? [p. 266 modifica]

Barbara. In verità, signor avvocato, se non fossi prevenuta in vostro favore, mi fareste giudicar molto male di voi.

Avvocato. Voi v’offendete male a proposito.

Barbara. Delle persone onorate non si dubita a questo segno.

Avvocato. Don Flaminio m’ha incaricato...

Barbara. Di che v’ha egli incaricato? d’insultarmi, di faticarmi perchè mi stanchi di tollerare, e gli renda la libertà? Ditegli che si serva come gli pare, che calcolo il mio decoro più delle sue ricchezze, e che non compro la mia fortuna a costo di soffrire le impertinenze che voi mi dite.

Avvocato. (Cospetto! Mi sono male impicciato!) (da sè)

Barbara. Avete altro da comandarmi?

Avvocato. Vorrei pregarvi...

Barbara. Di che? signore. (con sdegno)

Avvocato. Di rasserenarvi un poco, d’ascoltarmi e di perdonarmi.

Barbara. Oh sì signore, v’ho perdonato, e non ne parliamo mai più.

Avvocato. Anzi vorrei che mi permetteste di dirvi...

Barbara. Che cosa?

Avvocato. Che meritate moltissimo, e che per essere la sposa di don Flaminio...

Barbara. No, no, signore. Non ne sono ancor degna, ne parleremo3, quando avrò date le prove dell’esser mio.

Avvocato. Io credo alle vostre parole.

Barbara. Ed io non credo alle vostre.

Avvocato. (Mi pento quasi d’essermi imbarazzato). (da sè)

SCENA V.

Tognina e detti.

Tognina. Signora, è un forestiere che vi domanda.

Barbara. Un forestiere? Chi è?

Tognina. Non lo so. È un uomo piuttosto avanzato, coi suoi capelli... [p. 267 modifica]

Barbara. Ah sarebbe per avventura mio padre?

Avvocato. Vostro padre? (con meravìglia)

Barbara. Sì signore. Credete ch’io non abbia padre?

Avvocato. Verrebbe a tempo, se fosse desso.

Barbara. Dov’è? presto, fatelo entrare. (a Tognina)

Tognina. Subito. Venga, venga, signore. (alla scena, e parte)

SCENA VI.

Costanzo e detti.

Barbara. Eccolo, eccolo, il mio caro padre. (gli va incontro e s’abbracciano)

Costanzo. Cara figlia, con qual consolazione vi stringo al seno!

Barbara. Il vostro arrivo mi colma di giubbilo, di contentezza.

Costanzo. Ho tanto pianto per voi.

Barbara. Povero padre!... Come vanno gli affari vostri?

Costanzo. Sono ormai in istato di comparir con onore. Grazie al cielo, comincio un po’ a respirare... Ma chi è questo signore?

Avvocato. Un vostro umilissimo servitore.

Costanzo. Perdoni. (lo saluta) Si può sapere chi è? (o Barbara)

Barbara. È un signor avvocato.

Avvocato. Un uomo d’onore, che si consola con voi, che si consola con lei...

Barbara. E che vorrebbe le prove dell’esser mio. (caricata)

Avvocato. Ora son sì convinto... (a Barbara)

Costanzo. Con sua licenza. (all’Avvocato, e tira Barbara in disparte) È questi lo sposo che ti domanda? (piano a Barbara)

Barbara. (No, non è desso).

Costanzo. (Che fai tu dunque di questa gente per casa?)

Barbara. È l’avvocato di don Flaminio. (Se sapeste... Basta, ne parleremo). (a Costanzo) Ecco qui mio padre, signore, ei darà conto di sè, e darà conto di me. (all’Avvocato)

Avvocato. Scusatemi, signora mia, ve ne supplico. Non prendete in mala parte l’uffizio mio, prodotto dal zelo, dalla buona [p. 268 modifica] amicizia. Non aveva l’onor di conoscervi. Ora son persuaso, e sono per voi, e farò tutto per voi. Spero che sarete sposa di don Flaminio. Farò valere il progetto che voi sapete. Andrà egli al possesso della sua eredità. Sarete felici, sarete contenti, e mi consolo con voi, e me ne consolo di cuore. (parte)

SCENA VII.

Barbara e Costanzo.

Barbara. Lodato il cielo. Ha conosciuto il torto che mi faceva. Spero bene, son contentissima.

Costanzo. Come vanno gli affari? Vi sono delle difficoltà? Raccontatemi.

Barbara. Andiamo, andiamo, vi racconterò. Voi avrete bisogno di riposarvi.

Costanzo. Andiamo. (s’incamminano)

SCENA VIII.

Tognina, Fabrizio, Lindoro e detti.

Tognina. (Conducendosi per mano Fabrizio e Lindoro, facendoli camminar forte e con allegria) Venite qui, venite qui, consoliamoci ancor noi. (a Fabrizio e Lindoro, tirandoli quasi per forza) Ben venuto, ben arrivato. Ce ne consoliamo infinitamente. (a Costanzo, che si Volta a Barbara)

Costanzo. Chi è questa giovane?

Barbara. È la mia cameriera, signore.

Tognina. Signor sì; e questi dev’esser mio marito, e quest’altro è il segretario, e si può dire l’amico dello sposo della padrona. (lo tiene per la mano)

Fabrizio. Per servirla. (si libera dalla mano di Tognina)

Lindoro. Per obbedirla. (vorrebbe liberarsi dalla mano di Tognina, ma ella lo tiene forte.)

Costanzo. Vi ringrazio del buon amore ch’avete per me, e per mia figlia. (a tutti due) Vi prego riverire per me il signor don [p. 269 modifica] Flaminio, e dirgli che quanto prima mi darò l’onore di riverirlo in persona. (a Lindoro, e parte)

Barbara. Salutatelo ancora da parte mia; e ditegli che quando può, si lasci vedere. (a Lindoro, e parte)

SCENA IX.

Tognina, Lindoro e Fabrizio.

Lindoro. Vado subito... (vuol liberarsi e non può)

Tognina. Aspettate. (tenendolo)

Lindoro. Vi prego lasciarmi andare.

Tognina. Un momento. Sentite. (sempre tenendolo per mano) Fatemi il piacere di riverire la signora Zelinda, ditele che non vedo l’ora di vederla, che mi voglia bene, e che saremo, se si degnerà, buone amiche e compagne.

Lindoro. Sì, cara signora Tognina, glielo dirò.

SCENA X.

Zelinda e detti.

Zelinda. (Entra e resta indietro sorpresa.)

Tognina. E staremo allegri; staremo allegri, ve l’assicuro. (stringendogli la mano per amicizia)

Zelinda. (Fa un atto di disperazione non veduta, senza dir niente.)

Lindoro. Così desidero, e così spero.

Tognina. E Fabrizio sarà contento; non è egli vero?

Fabrizio. Contentissimo... Oh ecco la signora Zelinda.

Lindoro. (Si libera da Tognina e le corre incontro per abbracciarla) Gioia mia, siete qui? (vuol abbracciarla)

Zelinda. (Lo rispinge con violenza senza dir niente.)

Lindoro. Come? mi discacciate da voi?

Tognina. Poverino! cosa v’ha fatto?

Fabrizio. (Che sia gelosa essa pure?) (da sè)

Zelinda. (Bisogna fingere, vi vuol coraggio). (da sè) Sì, sono in collera con voi. (a Lindoro)

Lindoro. Ma perchè? [p. 270 modifica]

Zelinda. Sapete ch’io sto poco bene,4 sapete come m’avete lasciata, e state fuori di casa, e non vi curate di ritornare. (a Lindoro)

Lindoro. Avete ragione, ma io...

Tognina. Scusatelo, signora, che non ne ha colpa. Voleva venire, e sono causa io che s’è trattenuto. Non è egli vero, Fabrizio?

Fabrizio. Verissimo, perch’è arrivato...

Zelinda. Non occorr’altro. Quando è restato qui per una sì giusta e onesta ragione, non parlo. (con ironia, forzandosi di dissimulare)

Lindoro. È arrivato il padre della signora Barbara. (a Zelinda)

Zelinda. Me ne consolo. (come sopra)

Fabrizio. Don Flaminio sarà contentissimo. (a Zelinda)

Zelinda. Lo credo. (come sopra)

Tognina. Saranno tutti contenti, e noi lo saremo ancor più di loro. M’ha detto Fabrizio d’un certo progetto di star insieme, e il signor Lindoro me ne ha dato buona speranza. (a Zelinda)

Lindoro. Voi vedete il buon carattere della signora Tognina. (a Zelinda)

Fabrizio. Son sicuro che non vi sarà che dire fra noi.

Zelinda. (Or ora non posso più contenermi). (da sè)

Tognina. Ho poi motivo di consolarmi con voi. (a Zelinda)

Zelinda. Di che, signora? (affettando giovialità)

Tognina. Che vostro marito non è più geloso.

Zelinda. Sì, è vero, non è più geloso. (affettando come sopra) (E tu, indegna, ne sarai la cagione). (da sè)

Tognina. V’assicuro che vivremo bene, e staremo allegri, e non vi han da essere melanconie.

Fabrizio. Tognina è sempre di buon umore.

Lindoro. È vero. Questo è quello ch’io vi diceva. La signora Tognina è allegra, gioviale, e inspira in tutti l’allegria, il piacere, la tranquillità. (a Zelinda) [p. 271 modifica]

Zelinda. (Quest’è troppo; quest’è un rimprovero alla mia tristezza, è un manifesto disprezzo alla mia persona). (da sè, agitata)

Lindoro. Che avete che mi parete agitata?

Zelinda. Niente. Penso ch’è l’ora di andare dall’avvocato. Non voglio farmi aspettare. (dissimulando)

Tognina. Oh sì, quando preme non bisogna mancare.

Zelinda. (Ha premura ch’io me ne vada). (da sè, fremendo)

Fabrizio. La lasciate andar sola? (a Lindoro)

Lindoro. (Non vorrei che dicesse...) Se voleste voi accompagnarla... (a Fabrizio)

Zelinda. (Per restar solo colla cameriera). (da sè, fremendo)

Fabrizio. Ma perchè non andate voi? (a Lindoro)

Zelinda. Non ho bisogno di nessuno, non ho bisogno d’essere accompagnata. So dove sta l’avvocato. Vi so andare da me. Restate, concertate insieme la maniera di vivere uniti, e di vivere in allegria. (ironicamente) (Ah il caso è per me disperato. Mio marito è incantato. Mio marito è perduto... Sì, eseguirò quello ch’ho nell’animo mio meditato). (da sè, parte)

SCENA XI.

Tognina, Fabrizio e Lindoro.

Tognina. Non so. Quella donna mi par confusa. Non la capisco.

Fabrizio. In verità. Lindoro, avete fatto male a non andare con lei.

Lindoro. Ho sempre paura ch’ella supponga, ch’io non mi fidi di lei.

Tognina. Diamine. La credete di sì poco spirito?

Fabrizio. Fate a mio modo. Andate, raggiungetela, ed accompagnatela. Considerate ancora, che dall’avvocato avranno bisogno di voi. Se v’ha da essere un accomodamento, ci dovete intervenire anche voi.

Lindoro. È vero; sono sì confuso, che non so quello che mi faccia. Vado, cercherò di raggiungerla, e le dirò la ragione. (parte)

Fabrizio. Avrei anch’io un poco di curiosità. [p. 272 modifica]

Tognina. Andateci, farete bene. In qualche maniera ci siete anche voi interessato.

Fabrizio. È verissimo, dite bene. La mia Tognina poi, la mia Tognina, è una donnetta di garbo. (parte)

Tognina. Questi uomini s’incantano, si perdono per una cosa da niente. Eh per Bacco! se fossi un uomo io, vorrei far far la fortuna a mio modo. (parte)

SCENA XII.

Camera dell’Avvocato, con tavolino, sedie, libri e scritture. Un servitore dell’Avvocato, poi don Flaminio.

Il Servitore accomoda le sedie e ripulisce il tavolino.

Flaminio. Quel giovane, è in casa il signor avvocato?

Servitore. Non signore, ma può star poco a venire.

Flaminio. L’aspetterò.

Servitore. S’accomodi. (parte)

Flaminio. (Prende un libro, siede e legge.)

SCENA XIII.

Pandolfo ed il suddetto.

Pandolfo. (Entra, vede don Flaminio, lo saluta grossamente, e siede da lui lontano, senza parlare.)

Flaminio. (Costui è forse l’unico che può far ostacolo al nostro accomodamento. Vuò tentar di metter in pratica l’istruzione datami dall’avvocato). (da sè e legge)

Pandolfo. (Un testamento di questa sorte! Un’eredità sì pingue! Tanti legati! tanti legatari! tante condizioni! tanti capi di lite! e si trova un avvocato sì sciocco che si mette in capo di voler far un aggiustamento!) (da sè)

Flaminio. Signor Pandolfo. (s’alza)

Pandolfo. Padron mio. (grossamente, stando a sedere)

Flaminio. So che vossignoria è un galantuomo. (accostandosi) [p. 273 modifica]

Pandolfo. Mi scusi. So quello che mi vuol dire; ma io sono obbligato ad assistere i miei clienti.

Flaminio. Va benissimo, ma siccome or ora si proporrà l’accomodamento, vi prego di voler ben assistere i vostri clienti, ma di non trovare cavilli per non tirar le cose in lungo.

Pandolfo. Credete voi che questo sia un affare da spedire in una o due sessioni? Nè in quattro, nè in sei, nè in dieci. Sono cose lunghe, bisogna vedere, esaminare, discorrere. Si propone, si oppone, si disputa, e poi si risolve.

Flaminio. Vi dirò. Tutto questo si fa, quando le parti non vanno facilmente d’accordo.

Pandolfo. E se le parti sono in lite, come possono andar d’accordo?

Flaminio. Questo può dipendere dai difensori.

Pandolfo. I difensori onorati fanno il loro debito, e non tradiscono i clienti per far loro risparmiare le spese. (con del caldo)

Flaminio. Signor Pandolfo, potrei farvi una proposizione fra voi e me?

Pandolfo. Una proposizione? Se sarà utile a’ miei clienti l’ascolterò. Ma se credeste mai di trovar del tenero nel mio terreno, vi potete risparmiar la pena.

Flaminio. Vi dirò, considero che se si facesse una lite, si spenderebbero dalle parti molti e molti danari.

Pandolfo. Quando è necessario di spendere, bisogna spendere.

Flaminio. Di queste spese una parte ne andrebbe ai tribunali, ed una parte divisa fra gli avvocati e i procuratori.

Pandolfo. Ed ai procuratori tocca la minor parte.

Flaminio. Non sarebbe meglio che le parti s’accomodassero fra di loro, e quello che si dovrebbe spendere nei tribunali, se lo godessero i difensori?

Pandolfo. Questa è una cosa alla quale ci ho sempre pensato. Per parlar giusto, se anche le parti dovessero spender lo stesso, risparmierebbero5 sempre il tempo, le inquietudini e la paura. L’idea è bella, ma è difficile metterla in pratica. [p. 274 modifica]

Flaminio. Perchè?

Pandolfo. Perchè i clienti non intendono la ragione.

Flaminio. Io, per esempio, la intendo, la capisco, e sono un uomo discreto. So che facendosi l’accomodamento, i difensori meritano d’essere riconosciuti. So che non è conveniente che la vedova spenda del suo, e sarei dispotissimo a dare una buona ricognizione al mio avvocato, ed al procuratore di mia matrigna.

Pandolfo. Questo si chiama parlare da uomo giusto e discreto. La vedova non ha da sentir alcun peso.

Flaminio. Sareste voi disposto a contribuire a questo bene, a questa pace comune?

Pandolfo. Oh io, quando si tratta di contribuire al bene, alla pace, alla concordia delle famiglie, mi ci adopero con tutto lo spirito, con tutto il cuore.

Flaminio. Quest’è un’opera virtuosa, che menta la sua ricompensa.

Pandolfo. Io lo faccio senza interesse, ma mi dispiace quando ho da far con degl’ingrati.

Flaminio. Signor Pandolfo, vi degnereste di ricevere dalle mie mani un picciolo presente di ventiquattro zecchini?

Pandolfo. Non crediate, signore, che ventiquattro zecchini siano capaci di corrompermi, nè di farmi obbliare l’interesse de’ miei clienti. Son disposto a difenderli per impegno, per la ragione, per la giustizia, e senz’alcun interesse, a costo di rimetterci del mio, se bisogna. (con calore) Ma so che siete un uomo onesto, che non vorrete se non le cose giuste. So che il vostro avvocato è un galantuomo, che proporrà delle cose ragionevoli ed accettabili: onde, per sollevare la vedova da questa pena, e per non mostrarmi restìo alla vostra buona intenzione... ventiquattro zecchini?... li prenderò.

Flaminio. Eccoli, ve li presento di cuore. (gli dà una carta col danaro)

Pandolfo. (Prendendoli con cerimonia, e parlando li conta) Signore, quando si tratta di cose simili... in verità io sono portato per far del bene... Anche senza interesse... (e ventiquattro). Vossignoria è padrone di me. (mette via il danaro)

Flaminio. Ecco donna Eleonora e don Filiberto. [p. 275 modifica]

SCENA XIV.

Donna Eleonora, don Filiberto e detti.

Pandolfo. (Va loro incontro) Oh venghino, venghino, signori miei. L’avvocato sarà qui a momenti. Sentiremo le proposizioni che ci farà, e il core mi dice che le cose s’accomoderanno con nostro onore e vantaggio.

Filiberto. Grazie al cielo, che vi sento disposto a prestar orecchio all’aggiustamento.

Flaminio. (Non sa chi abbia il merito d’averlo persuaso). (da sè)

Eleonora. Credete voi che un accomodamento possa esser utile per i miei interessi? (a Pandolfo)

Pandolfo. Signora, dice bene il proverbio. È meglio un magro accordo, che una grassa sentenza.

Eleonora. Vi siete cambiato di sentimento.

Pandolfo. Non ho altro in mente che il bene comune e i di lei propri interessi.

SCENA XV.

L’Avvocato, il Notaro e detti.

Avvocato. Perdonino se li ho fatti un poco aspettare. Sono andato a cercare il signor notaro. Ho fatto stendere gli articoli dell’aggiustamento, perchè se lo trovano di loro soddisfazione, non abbiano che a sottoscriverlo senza remora alcuna, quando ne sia persuaso il valoroso signor Pandolfo. (con un po’ di caricatura)

Pandolfo. Sentiremo, vedremo. Ma so qual sia il talento del signor avvocato, e son sicuro che le proposizioni saranno oneste, e accettabili per ogni parte.

Avvocato. Mancano Zelinda e Lindoro. Subito che arrivano, si leggerà. Intanto favoriscano d’accomodarsi.

Filiberto. (Quanto sarebbe meglio evitar una lite). (piano a donna Eleonora) [p. 276 modifica]

Eleonora. (Sentiremo quel che dirà il nostro procuratore). (a don Filiberto e siedono)

Flaminio. (Amico, siete stato dalla signora Barbara? (all’Avvocato)

Avvocato. (Sì, non sapete niente? Vi darò due nuove bellissime. L’una si è ch’è arrivato suo padre...)

Flaminio. (È arrivato? Ne ho piacere grandissimo).

Avvocato. (L’altra che l’ho trovata savia, sincera, onorata e degna di voi).

Flaminio. (Non ve lo diceva io ch’era tale?) (con allegria)

SCENA XVI.

Lindoro e detti.

Lindoro. Servitor umilissimo di lor signori. (tutti lo salutano)

Avvocato. Dov’è la signora vostra consorte?

Lindoro. Non è qui Zelinda?

Avvocato. Non si è ancora veduta.

Lindoro. Credeva vi dovesse essere prima di me. Non dovrebbe tardar a venire.

Avvocato. Frattanto, per non perder tempo, leggeremo la sostanza dell’aggiustamento, per sentire se il signor Pandolfo ha qualche cosa in contrario.

Pandolfo. Per me, lo sentirò volentieri, e vi prometto di contribuirvi, quando i miei clienti non sieno lesi. (voltandosi verso donna Eleonora)

Flaminio. (Non temete ch’ei vi trovi difficoltà). (piano all’Avvocato)

Avvocato. (Avete messo in pratica la spargirica che v’ho suggerita?) (a don Flaminio)

Flaminio. (Sì, ed è riuscita benissimo). (all’Avvocato)

Avvocato. (Conosco gli uomini, non poteva mancare). Signor notaro, favorisca di legger solamente gli articoli. Poi si farà la lettura intiera quando vi sarà la signora Zelinda, e che saranno per sottoscrivere. (tutti siedono)

Notaro. Ecco la base dell’aggiustamento. Primo. La signora [p. 277 modifica] donna Eleonora rinunzierà6 al benefizio del testamento rispetto agli alimenti, alla casa, alla servitù, ed ai venti scudi al mese di che si trova incaricato l’erede. Ed il signor don Flaminio in ricompensa di ciò promette ecc. spontaneamente ecc. a titolo di ricognizione, pagar per una volta tanto alla signora donna Eleonora, oltre la sua dote, la somma di dieci mila scudi in danaro contante.

Avvocato. Cosa dicono? Sono di ciò contenti?

Flaminio. Per me contentissimo.

Avvocato. E la signora donna Eleonora?

Eleonora. Cosa dice il signor Pandolfo?

Filiberto. Io credo, che chi ha un poco di ragione in capo...

Pandolfo. Perdoni, signore; ella ci vorrebbe trovare delle difficoltà, ed io dico che la proposizione è onesta, e l’accomodamento non può essere più avvantaggioso. (verso don Filiberto)

Filiberto. Io non ho mai sognato di dire diversamente.

Eleonora. Dieci mila scudi? Non mi scontento.

Avvocato. Leggiamo l’articolo che risguarda7 il signor Lindoro e la moglie. Lindoro. Ma se non vi è Zelinda...

Avvocato. Quando verrà, lo rileggeremo. Favorisca, (al Notaio)

Notaro. Secondo. Il signor Lìndoro, per nome suo e della signora Zelinda sua moglie, rinunzierà al benefizio della sostituzione all’eredità del fu signor don Roberto, in caso che il signor don Flaminio si maritasse contro la mente del testatore, ed il signor don Flaminio, in ricompensa di tale rinunzia fatta in di lui avvantaggio, promette ecc. spontaneamente ecc. pagar a titolo di ricognizione ai suddetti jugali la somma di quindici mila scudi in danaro contante.

Avvocato. Cosa dicono lor signori? (a don Flaminio e Lindoro)

Flaminio. Per me l’approvo, e ne son contento.

Avvocato. E voi, signore? (a Lindoro)

Lindoro. Non ho niente in contrario, ma vorrei che ci fosse Zelinda. [p. 278 modifica]

Pandolfo. (È un’eredità stupenda. Che lite si sarebbe fatta! Ma è meglio un ovo oggi, che una gallina domani). (da sè)

SCENA XVll.

Servitore e detti, poi Zelinda.

Servitore. Signore, è qui la signora Zelinda che domanda la permissione d’entrare. (all'avvocato)

Avvocato. Ditele che favorisca, che non s’aspetta che lei. (servitore via)

Lindoro. (Cosa mai vuol dire ch’ha tardato tanto? Sarei ancora sì bestia per sospettare?) (da sè)

Zelinda. (Cambiata d'abito, se può, o collo stesso abito, ma con un fazzoletto sulle spalle, ed una cuffia ed una veletta in testa, in aria modesta, cogli occhi bassi, camminando pian piano, s’avanza e fa una riverenza modesta, ma profonda.)

Avvocato. Signora, siete arrivata a tempo; abbiamo letti gli articoli dell’aggiustamento, e finora tutti sono contenti; rileggeremo il vostro e vedremo se vi piacerà.

Zelinda. (Fa una riverenza, poi dice pateticamente) Signore, nello stato in cui mi trovo presentemente, non sono più in grado di prestar orecchio ad alcun accomodamento, ma invece di ciò, supplico il signor notaro degnarsi di leggere questa carta. (Fa una riverenza, e presenta una carta al Notaro, e si ritira a parte modestamente.)

Avvocato. Che novità è questa? Sentiamo, signor notaro.

Lindoro. (Oh cieli! mi trema il core). (da sè)

Notaro. Io, Zelinda Merlini, moglie di Lindoro Lanezzi, vedendo che in questo mondo non vi sono per me che dei travagli e delle afflizioni, rinunzio a qualunque benefizio che possa derivarmi dal testamento del fu signor don Roberto Lampioni. Lascio che tutto conseguisca e posseda quell’ingrato di mio marito, a condizione ch’egli mi dia qualche cosa da vivere nell’onesto8 ritiro, ove ho risolto di terminare i miei giorni. [p. 279 modifica]

Zelinda. (Fa una riverenza al solito.)

Avvocato. Ma perchè questo?

Flaminio. Che novità?

Eleonora. Che pazzia?

Lindoro. Son fuori di me, non ho fiato di respirare.

Eleonora. Eh via, Zelinda, svegliatevi da questa melanconia9.

Zelinda. (Fa una riverenza e vuol partire.)

Lindoro. No, moglie mia, fermatevi, venite qui. (l’arresta)

Zelinda. (Sì volta a Lindoro pateticamente) Vi domando una grazia.

Lindoro. Oh Dio! son qui, comandate.

Zelinda. Vi prego... Non mi disturbate. (fa una riverenza e parte)

Lindoro. Signori miei, son disperato; ditemi, consigliatemi, cosa ho da fare?

Avvocato. V’insegnerò io quel che dovete fare. Andate a casa, fateli10 due carezze, e le passerà la melanconia.

Lindoro. Eh signore, non è tempo di barzellette. Son confuso, son fuor di me, è una disgrazia questa, che non me la sarei mai aspettata.

Avvocato. Ma intanto dite, signor Lindoro, siete voi contento dell’aggiustamento proposto?

Lindoro. Non mi parlate d’interessi, non mi parlate di aggiustamento. Mi preme mia moglie, amo la mia cara moglie. La roba la riconosco da lei, e s’ella non è contenta di me, se mi lascia, se m’abbandona, rinunzio a tutto, e non mi curo di eredità, nè dei beni, ne della vita. (parte)

Avvocato. Ecco tutta la macchina rovinata.

Pandolfo. (La sarebbe bella, ch’ora si dovesse far una lite!) (da sè, ridendo)

Flaminio. Ci mancava or quest’imbroglio.

Eleonora. Potressimo11 sottoscrivere intanto l’articolo che spetta a me.

Flaminio. Signora mia, con vostra buona licenza, l’articolo che m’interessa è quello di Zelinda e Lindoro, e per il vostro ci penseremo. (saluta e parte) [p. 280 modifica]

Pandolfo. (Oh, è rotta senz’altro). (da sè, consolandosi)

Eleonora. Dunque, signor avvocato, non si farà altro.

Avvocato. Signora mia, me ne dispiace infinitamente, ma andate, e state quieta, che spero le cose s’accomoderanno.

Pandolfo. S’accomoderanno? (all’Avvocato)

Avvocato. Io spero di sì. (a Pandolfo)

Pandolfo. Ed io credo di no. (all’Avvocato) In ogni caso son qui per voi. Faremo lite e si vincerà. (a donna Eleonora e parte)

Eleonora. E voi state qui come una statua senza dir niente? (a don Filiberto)

Filiberto. Cosa volete ch’io dica? Vedo che siete sfortunata, e me ne dispiace.

Eleonora. Credo che siate voi che mi porta la maledizione. (parte)

Filiberto. Pazienza, sempre contro di me. (parte)

Avvocato. Andiamo, signor notaro, andiamo in casa di don Flaminio, a vedere di qual genere sia la pazzia di Zelinda, e se è possibile di guarirla. (parte col Notaro)

SCENA XVIII.

Camera in casa di don Flaminio col solito armerone.

Zelinda nell’abito modesto e colla solita affettazione, poi il Servitore.

Zelinda. Oh sì; la mia risoluzione è ben presa, son contentissima, mi pare adesso di poter respirare. Ma giacchè mi trovo qui sola, giacchè quest’ingrato12 di mio marito non ha avuto cuore nemmen di seguitarmi, ho tempo e comodo d’eseguire quanto ho pensato. Ehi Tiburzio.

Servitore. Signora.

Zelinda. Fatemi la carità di prendere il baule vuoto ch’è nella mia camera, e portatelo qui.

Servitore. Subito. [p. 281 modifica] Zelinda. Scusatemi, non ho forza presentemente per portarlo da me.

Servitore. Oh, cosa dite mai? Sono servitore di casa, ed è intenzione del padrone che siate anche voi servita. (parte)

Zelinda. Eh, avrò finito d’esser servita. Ma che importa? Sono superfluità, sono vanità. Quando si sta bene di salute, ci possiamo servire da noi medesimi. (va all’armadio) Ecco qui la mia povera roba, che mi costa tanti sudori.

Servitore. (Con il baule) Eccolo, signora.

Zelinda. Oh sì, signora! Mettetelo qui, se vi piace.

Servitore. Subito.

Zelinda. Fatemi la carità d’aprirlo.

Servitore. Ma sì, comandatemi.

Zelinda. Fatemi la carità di mettergli una sedia di dietro.

Servitore. Con queste cerimonie, io credo che vi prendiate spasso di me. (le pone la sedia)

Zelinda. No, figliuolo mio, non sono sì cattiva per burlarmi di nessuno, nè ho il cuore sì lieto per divertirmi. (leva le robe e le mette nel baule)

Servitore. Signora, scusatemi. Perchè fate questo baule? Andate in campagna, o avete intenzione d’abbandonarci?

Zelinda. Sentite, quando sarà pieno questo baule, mi farete la carità...

Servitore. Fatemi la carità di non parlarmi così.

Zelinda. Oh via, siete buono. Voi conoscete il signor Pancrazio.

Servitore. Il procuratore.

Zelinda. Sì, egli stesso. Portarete questo baule pieno al signor Pancrazio, e gli direte da parte mia ch’abbia la bontà di dispensar questa roba13 in aiuto di chi più gli piace.

Servitore. Povero sono anch’io, signore; mi dispiace che non son vergognoso.

Zelinda. Non ho voglia di sentir barzellette. Mi farete il piacere di farlo? [p. 282 modifica]

Servitore. Lo farò di mal animo, ma lo farò.

Zelinda. Ma prima sentite. Frattanto che termino d’empir il baule andate a cercar un facchino, che non è giusto che voi fatichiate a portarlo.

Servitore. Ci avevo pensato anch’io veramente.

Zelinda. Via andate e fatemi...

Servitore. La carità.

Zelinda. La carità.

Servitore. Benedetta sia la carità. (parte, Zelinda segue a porre la roba nel baule)

Zelinda. Quest’abito che mi piaceva tanto! Ma! non lo porterò più! perchè non lo porterò più? perchè non lo merito, perchè non son degna di portarlo: tutti mi sprezzano, tutti m’ingannano, tutti si burlano di me. Ah pazienza! (sospira) Ma che? mi rincrescerà a privarmi di questi cenci? No, no, ho risolto, sono contenta, e non vi vuò più pensare. (trova un abito di Lindoro) Cos’è questo? Oh cieli! un abito di mio marito? Ah il mio caro marito, è un abito del mio caro marito, (lo abbraccia e lo bacia) Del cuor mio, del mio bene, ch’ho amato da tanto tempo, eh ho tanto sospirato prima d’averlo, ch’era l’unico mio conforto, l’unica mia consolazione. (si ferma un poco) Ma! se era tale un tempo, ora non è più quello: è un perfido, è un traditore, è un ingrato. Potessi calpestar lui, come posso calpestar quest’abito. (lo getta per terra e lo calpesta) Ah, moderiamo la collera. Rassegnamoci14 al destino e seguitiamo l’opera incominciata. (seguita a porre la roba nel baule) Son nata per soffrire e non deggio dolermi se la mia sorte... (torna a vedere l’abito) Maledetto quest’abito. (lo getta lontano)

SCENA XIX.

Lindoro e detta.

Lindoro. Che fate della mia roba? Perchè mettete i vostri abiti in quel baule? [p. 283 modifica]

Zelinda. Oh veramente capisco ora che faccio una cosa che non posso fare senza licenza di mio marito. (ironico)

Lindoro. Ma che idea è questa? A qual fine? Perchè?

Zelinda. Per me non me ne ho più da servire.

Lindoro. Avete risoluto d’allontanarvi?

Zelinda. Oh sì, costantemente.

Lindoro. D’abbandonarmi?

Zelinda. Risolutissima.

Lindoro. Sicuro?

Zelinda. Assolutissimamente.

Lindoro. Aspettate. (risoluto in atto di partire)

Zelinda. Pretendereste voi d’impedirmi?...

Lindoro. No, ma aspettate. (pateticamente e parte)

SCENA XX.

Zelinda e poi Lindoro.

Zelinda. Che mai ha egli intenzione di voler fare? Oh cieli! non vorrei che per causa mia... Ma se non mi ama, non v’è dubbio che si disperi. (seguita a mettere qualche cosa in baule)

Lindoro. (in rodengotto, cappello e bastone) Volete dunque partire?

Zelinda. E voi, che avete intenzione di fare? (agitata)

Lindoro. Voi da una parte, io dall’altra. Voi lontana, io non so dove. Voi rinunziate l’eredità, io abbandono ogni bene. Perduta voi, ho perduto tutto.nota Non mi curo di vivere, molto meno mi curo della fortuna. È deciso per voi, è deciso per me. Non ho coraggio di vedervi partire. Vi precedo, vi lascio, vado a penare, vado a morire. Addio, Zelinda. Addio. (in atto di partire)

Zelinda. (Corre a fermarlo per un braccio, poi gli dice pateticamente, guardandolo bene in faccia) Fermatevi.

Lindoro. Perchè avete animo d’abbandonarmi? (guardandola teneramente)

Zelinda. (Lo guarda teneramente, e sospira senza parlare.)

Lindoro. Ditemi, o cara, ditemi almeno il perchè. (dolcemente) [p. 284 modifica]

Zelinda. Ah! perchè non mi amate più. (dolcemente)

Lindoro. Sì, Zelinda, lo confesso, lo accordo, vi compatisco; avete ragione d’abbandonarmi, non merito l’amor vostro; ma il vostro sdegno, il vostro odio, la vostra risoluzione...

Zelinda. Povera me! Confessate dunque voi stesso...

Lindoro. Sì, v’ho tormentata colla gelosia, e v’ho promesso di non esser più geloso; ma oh Dio! ho fatto sforzi terribili per nascondere la mia passione, e non m’è possibile di superarla. Voi ve ne siete accorta, voi conoscete la mia debolezza, ve ne offendete a ragione, e con ragione mi sfuggite, m’odiate, m’abbandonate. Sì, odiatemi che lo merito, abbandonatemi che mi sta bene. Sono stato geloso, sono di voi geloso, e lo sarò finch’io viva.

Zelinda. (Ascolta tutto questo discorso attenta, incantata) Siete geloso? siete ancora geloso? (con trasporto)

Lindoro. Sì, ammazzatemi. Sarò sempre geloso.

Zelinda. Ah il mio caro marito. Ora riconosco il mio caro marito. Mio marito mi ama. Mio marito è geloso di me. Ero disperata, perchè non vi credeva geloso. (con trasporto di giubilo15)

Lindoro. Chi? Io? Ero geloso come una bestia. (con forza)

Zelinda. Respiro, son contenta, son felice, son fortunata, (con allegrezza) Ma non voglio che pratichiate Tognina.

Lindoro. Perchè?

Zelinda. Perchè sono gelosa anch’io.

Lindoro. Siete gelosa? Oh cara la mia cara moglie! Che piacere!

Zelinda. Che giubilo!

Lindoro. Che contenti! (s’abbracciano)

SCENA XXI.

Il Servitore, un facchino e detti.

Servitore. Ecco qui il facchino per portar il baule.

Zelinda. Eh andate via. [p. 285 modifica]

Lindoro. Andate al diavolo.

Servitore. Non si ricorda più del povero vergognoso. (parte)

SCENA ULTIMA.

Donna Eleonora, don Flaminio, don Filiberto, l’Avvocato, il Notaro, Fabrizio e detti.

Flaminio. Che cos’è questo strepito, quest’allegria?

Zelinda. Oh signore, son fuor di me dalla contentezza. Mio marito mi ama, ne son sicura.

Flaminio. Mi consolo con voi, come avete fatto ad assicurarvene?

Zelinda. È geloso, è geloso, e mi vuol bene perch’è geloso, ed è geloso perchè mi vuol bene.

Lindoro. Io son geloso di lei, e Zelinda è gelosa di me.

Zelinda. Siamo contenti.

Lindoro. Siamo fortunati.

Zelinda. Siamo felici.

Avvocato. Godetevi la vostra felicità, e v’assicuro, che per questa ragione non v’invidio.

Zelinda. Non sapete niente, non sapete cosa sia amore. Se lo sapeste, non parlereste16 così.

Avvocato. Orsù, sottoscrivete l’aggiustamento. (a Zelinda)

Zelinda. Tutto quel che volete.

Avvocato. E voi? (a Lindoro)

Lindoro. Contentissimo.

Avvocato. La signora donna Eleonora?

Eleonora. In questo punto, se lo volete.

Flaminio. Il notaro è di là. Andiamo a sottoscrivere unitamente. Fabrizio, portate la buona nuova alla signora Barbara, ed al al di lei genitore.

Fabrizio. Subito; sarà contenta, e sarà contenta Tognina.

Lindoro. Fabrizio, v’avviso per tempo, insieme non ci staremo più.

Fabrizio. Perchè? [p. 286 modifica]

Lindoro. Perchè mia moglie è gelosa. (con allegria)

Zelinda. E mio marito è geloso. (con allegria)

Fabrizio. Buon pro’ vi faccia. Senza invidia; buon pro’ vi faccia. (parte)

Avvocato. Andiamo a sottoscrivere, e fate nota nel taccuino, che di tutto il bene, che di tutta la consolazione che provate, avete l’obbligo alla maledettissima gelosia.

Zelinda. Signore, non v’è difetto che non possa avere la sua origine dalla virtù; e non v’è virtù che non possa degenerare in vizio. Avete veduti gli amori di Zelinda e Lindoro, a questi son nate le gelosie di Lindoro, e dalla correzione di Lindoro sono provenute le inquietudini di Zelinda. Amori felici, gelosie gradite, inquietudini fortunate. Signori miei gentilissimi, noi v’abbiamo rappresentato un poema in tre parti diviso. Permettetemi ch’ora vi presenti e vi sveli l’allegoria17 Gli amori di Zelinda e Lindoro rappresentano il rispettoso amor nostro verso di voi e il generoso amor vostro verso di noi. La gelosia di Lindoro spiega la gelosia con cui riguardiamo la vostra benigna predilezione. E le inquietudini di Zelinda sono le inquietudini nostre e dell’autore delle tre commedie, temendo di non meritare il vostro umilissimo compatimento. Consolateci dunque con qualche segno d’aggradimento e ripeteremo ad alta voce, ed a pieno coro: AMORI FELICI! GELOSIE GRADITE! INQUIETUDINI FORTUNATE.

Fine della Commedia.


Note

  1. Ed. Zatta: sposaremo.
  2. Così il testo.
  3. Ed. Zatta: parlaremo.
  4. Nell’ed. Zatta c’è qui il punto fermo.
  5. Ed. Zatta: risparmiarebbero.
  6. Ed. di Bologna: rinonzierà.
  7. Ed. di Bologna ed altre ristampe: riguarda.
  8. Ed. Zatta: dell’onesto.
  9. Ed. Zatta: malenconia
  10. Così il testo, per fatele.
  11. Così il testo.
  12. Nella ristampa bolognese e in altre si legge: quell’ingrato.
  13. Nell’ed. Zatta e nelle vecchie ristampe quasi sempre è stampato robba.
  14. Così nel testo.
  15. Ed. Zatta: giubbilo.
  16. Ed. Zatta: parlareste.
  17. Nell’ed. Zatta e in altre è stampato, con errore evidente: allegria.