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284 ATTO TERZO

Zelinda. Ah! perchè non mi amate più. (dolcemente)

Lindoro. Sì, Zelinda, lo confesso, lo accordo, vi compatisco; avete ragione d’abbandonarmi, non merito l’amor vostro; ma il vostro sdegno, il vostro odio, la vostra risoluzione...

Zelinda. Povera me! Confessate dunque voi stesso...

Lindoro. Sì, v’ho tormentata colla gelosia, e v’ho promesso di non esser più geloso; ma oh Dio! ho fatto sforzi terribili per nascondere la mia passione, e non m’è possibile di superarla. Voi ve ne siete accorta, voi conoscete la mia debolezza, ve ne offendete a ragione, e con ragione mi sfuggite, m’odiate, m’abbandonate. Sì, odiatemi che lo merito, abbandonatemi che mi sta bene. Sono stato geloso, sono di voi geloso, e lo sarò finch’io viva.

Zelinda. (Ascolta tutto questo discorso attenta, incantata) Siete geloso? siete ancora geloso? (con trasporto)

Lindoro. Sì, ammazzatemi. Sarò sempre geloso.

Zelinda. Ah il mio caro marito. Ora riconosco il mio caro marito. Mio marito mi ama. Mio marito è geloso di me. Ero disperata, perchè non vi credeva geloso. (con trasporto di giubilo1)

Lindoro. Chi? Io? Ero geloso come una bestia. (con forza)

Zelinda. Respiro, son contenta, son felice, son fortunata, (con allegrezza) Ma non voglio che pratichiate Tognina.

Lindoro. Perchè?

Zelinda. Perchè sono gelosa anch’io.

Lindoro. Siete gelosa? Oh cara la mia cara moglie! Che piacere!

Zelinda. Che giubilo!

Lindoro. Che contenti! (s’abbracciano)

SCENA XXI.

Il Servitore, un facchino e detti.

Servitore. Ecco qui il facchino per portar il baule.

Zelinda. Eh andate via.

  1. Ed. Zatta: giubbilo.