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274 ATTO TERZO

Flaminio. Perchè?

Pandolfo. Perchè i clienti non intendono la ragione.

Flaminio. Io, per esempio, la intendo, la capisco, e sono un uomo discreto. So che facendosi l’accomodamento, i difensori meritano d’essere riconosciuti. So che non è conveniente che la vedova spenda del suo, e sarei dispotissimo a dare una buona ricognizione al mio avvocato, ed al procuratore di mia matrigna.

Pandolfo. Questo si chiama parlare da uomo giusto e discreto. La vedova non ha da sentir alcun peso.

Flaminio. Sareste voi disposto a contribuire a questo bene, a questa pace comune?

Pandolfo. Oh io, quando si tratta di contribuire al bene, alla pace, alla concordia delle famiglie, mi ci adopero con tutto lo spirito, con tutto il cuore.

Flaminio. Quest’è un’opera virtuosa, che menta la sua ricompensa.

Pandolfo. Io lo faccio senza interesse, ma mi dispiace quando ho da far con degl’ingrati.

Flaminio. Signor Pandolfo, vi degnereste di ricevere dalle mie mani un picciolo presente di ventiquattro zecchini?

Pandolfo. Non crediate, signore, che ventiquattro zecchini siano capaci di corrompermi, nè di farmi obbliare l’interesse de’ miei clienti. Son disposto a difenderli per impegno, per la ragione, per la giustizia, e senz’alcun interesse, a costo di rimetterci del mio, se bisogna. (con calore) Ma so che siete un uomo onesto, che non vorrete se non le cose giuste. So che il vostro avvocato è un galantuomo, che proporrà delle cose ragionevoli ed accettabili: onde, per sollevare la vedova da questa pena, e per non mostrarmi restìo alla vostra buona intenzione... ventiquattro zecchini?... li prenderò.

Flaminio. Eccoli, ve li presento di cuore. (gli dà una carta col danaro)

Pandolfo. (Prendendoli con cerimonia, e parlando li conta) Signore, quando si tratta di cose simili... in verità io sono portato per far del bene... Anche senza interesse... (e ventiquattro). Vossignoria è padrone di me. (mette via il danaro)

Flaminio. Ecco donna Eleonora e don Filiberto.