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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 267


Barbara. Ah sarebbe per avventura mio padre?

Avvocato. Vostro padre? (con meravìglia)

Barbara. Sì signore. Credete ch’io non abbia padre?

Avvocato. Verrebbe a tempo, se fosse desso.

Barbara. Dov’è? presto, fatelo entrare. (a Tognina)

Tognina. Subito. Venga, venga, signore. (alla scena, e parte)

SCENA VI.

Costanzo e detti.

Barbara. Eccolo, eccolo, il mio caro padre. (gli va incontro e s’abbracciano)

Costanzo. Cara figlia, con qual consolazione vi stringo al seno!

Barbara. Il vostro arrivo mi colma di giubbilo, di contentezza.

Costanzo. Ho tanto pianto per voi.

Barbara. Povero padre!... Come vanno gli affari vostri?

Costanzo. Sono ormai in istato di comparir con onore. Grazie al cielo, comincio un po’ a respirare... Ma chi è questo signore?

Avvocato. Un vostro umilissimo servitore.

Costanzo. Perdoni. (lo saluta) Si può sapere chi è? (o Barbara)

Barbara. È un signor avvocato.

Avvocato. Un uomo d’onore, che si consola con voi, che si consola con lei...

Barbara. E che vorrebbe le prove dell’esser mio. (caricata)

Avvocato. Ora son sì convinto... (a Barbara)

Costanzo. Con sua licenza. (all’Avvocato, e tira Barbara in disparte) È questi lo sposo che ti domanda? (piano a Barbara)

Barbara. (No, non è desso).

Costanzo. (Che fai tu dunque di questa gente per casa?)

Barbara. È l’avvocato di don Flaminio. (Se sapeste... Basta, ne parleremo). (a Costanzo) Ecco qui mio padre, signore, ei darà conto di sè, e darà conto di me. (all’Avvocato)

Avvocato. Scusatemi, signora mia, ve ne supplico. Non prendete in mala parte l’uffizio mio, prodotto dal zelo, dalla buona