Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/272

266 ATTO TERZO

Barbara. In verità, signor avvocato, se non fossi prevenuta in vostro favore, mi fareste giudicar molto male di voi.

Avvocato. Voi v’offendete male a proposito.

Barbara. Delle persone onorate non si dubita a questo segno.

Avvocato. Don Flaminio m’ha incaricato...

Barbara. Di che v’ha egli incaricato? d’insultarmi, di faticarmi perchè mi stanchi di tollerare, e gli renda la libertà? Ditegli che si serva come gli pare, che calcolo il mio decoro più delle sue ricchezze, e che non compro la mia fortuna a costo di soffrire le impertinenze che voi mi dite.

Avvocato. (Cospetto! Mi sono male impicciato!) (da sè)

Barbara. Avete altro da comandarmi?

Avvocato. Vorrei pregarvi...

Barbara. Di che? signore. (con sdegno)

Avvocato. Di rasserenarvi un poco, d’ascoltarmi e di perdonarmi.

Barbara. Oh sì signore, v’ho perdonato, e non ne parliamo mai più.

Avvocato. Anzi vorrei che mi permetteste di dirvi...

Barbara. Che cosa?

Avvocato. Che meritate moltissimo, e che per essere la sposa di don Flaminio...

Barbara. No, no, signore. Non ne sono ancor degna, ne parleremo1, quando avrò date le prove dell’esser mio.

Avvocato. Io credo alle vostre parole.

Barbara. Ed io non credo alle vostre.

Avvocato. (Mi pento quasi d’essermi imbarazzato). (da sè)

SCENA V.

Tognina e detti.

Tognina. Signora, è un forestiere che vi domanda.

Barbara. Un forestiere? Chi è?

Tognina. Non lo so. È un uomo piuttosto avanzato, coi suoi capelli...

  1. Ed. Zatta: parlaremo.