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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA | 279 |
Zelinda. (Fa una riverenza al solito.)
Avvocato. Ma perchè questo?
Flaminio. Che novità?
Eleonora. Che pazzia?
Lindoro. Son fuori di me, non ho fiato di respirare.
Eleonora. Eh via, Zelinda, svegliatevi da questa melanconia1.
Zelinda. (Fa una riverenza e vuol partire.)
Lindoro. No, moglie mia, fermatevi, venite qui. (l’arresta)
Zelinda. (Sì volta a Lindoro pateticamente) Vi domando una grazia.
Lindoro. Oh Dio! son qui, comandate.
Zelinda. Vi prego... Non mi disturbate. (fa una riverenza e parte)
Lindoro. Signori miei, son disperato; ditemi, consigliatemi, cosa ho da fare?
Avvocato. V’insegnerò io quel che dovete fare. Andate a casa, fateli2 due carezze, e le passerà la melanconia.
Lindoro. Eh signore, non è tempo di barzellette. Son confuso, son fuor di me, è una disgrazia questa, che non me la sarei mai aspettata.
Avvocato. Ma intanto dite, signor Lindoro, siete voi contento dell’aggiustamento proposto?
Lindoro. Non mi parlate d’interessi, non mi parlate di aggiustamento. Mi preme mia moglie, amo la mia cara moglie. La roba la riconosco da lei, e s’ella non è contenta di me, se mi lascia, se m’abbandona, rinunzio a tutto, e non mi curo di eredità, nè dei beni, ne della vita. (parte)
Avvocato. Ecco tutta la macchina rovinata.
Pandolfo. (La sarebbe bella, ch’ora si dovesse far una lite!) (da sè, ridendo)
Flaminio. Ci mancava or quest’imbroglio.
Eleonora. Potressimo3 sottoscrivere intanto l’articolo che spetta a me.
Flaminio. Signora mia, con vostra buona licenza, l’articolo che m’interessa è quello di Zelinda e Lindoro, e per il vostro ci penseremo. (saluta e parte)