La tecnica della pittura/PREFAZIONE
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PREFAZIONE
Questa estensione procede dalla stessa struttura organica della singolare compagine del dipinto, che impone al pittore, per ogni atto del pennello, il duplice intento della stabilità dei colori e del loro significante aspetto, essendo resistenza ed idoneità dei mezzi tecnici legate in modo tanto indissolubile da non potersi dividere senza che scompaia l'arte stessa; poiché, mancando resistenza nel materiale pittorico contro le infinite cause che tendono nel volgere del tempo ad alterarlo, esso deve necessariamente distruggersi, come mancando l'idoneità dei mezzi per raggiungere la riproduzione del vero viene l'opera a porsi da sé fuori dell'orbita dell’arte.
Tutta la resistenza che le sostanze coloranti impiegate saranno per opporre all'azione del tempo non potendo provenire che dalla loro composizione materiale : tutti gli aspetti che gli stessi colori verranno ad assumere nei miscugli operati dal pittore non potendo dipendere che dal modo di funzionare della luce secondo le condizioni molecolari d'ogni sostanza colorante, avverrà che resistenza ed effetto saranno proporzionati ai rapporti mantenuti, da un lato, colle leggi naturali che reggono i fenomeni dipendenti dalla costituzione intima dei materiali pittorici, dall’altro, con quelle dirigenti le loro varie apparenze esteriori.
Conseguentemente tutte le questioni tecniche, riguardino la conservazione del dipinto o l'efficacia maggiore di una modalità di disposizione dei colori, escono dal campo degli apprezzamenti individuali o del gusto, per subordinarsi agli immutabili principî che governano la materia; ed ogni materiale d’arte, per quanto trasformato dal genio di un artista in esteriore causa di illusione ottica, o da perfezionamenti chimici ridotto passivo alle azioni del tempo, d’uopo è che tali effetti si riconducano sempre alle proprietà della materia concreta, per cui l’opera pittorica esiste plasticamente, e ritorni il dominio delle leggi che reggono tutto ciò che in essa vi è di sensibile. Le tecniche della pittura quindi prendono posto fra le cognizioni positive dell’arte e ne costituiscono il principale fondamento, non potendosi dire che l’arte esista finché l’immagine concepita dall'artista non prenda forma sostanziale per mezzi tecnici adatti, altrimenti, alla stregua della sola capacità di immaginare, tutti potrebbero dirsi pittori e allo stesso prezzo dichiararsi anche più grandi dei maggiori che furono.
Appoggiata la durabilità dei dipinti alla cognizione intima di tutto il materiale pittorico, formato di una quantità ragguardevole di sostanze minerali, vegetali ed animali che esigono manipolazioni speciali e prefisse superfice d’appoggio: dipendente l’impiego migliore dei colori dalla più ampia comprensione dei fenomeni riguardanti la luce è ovvio come le pratiche inerenti alla preparazione d'esso materiale e le norme che devono guidarne l'applicazione all'opera d’arte si risentano dello stadio di coltura tecnica che informa un'epoca, una scuola od una personalità artistica, e se avvenga che un dipinto, tenuto in condizioni propizie di conservazione, si alteri e rovini assai prima della durata raggiunta da più antiche opere, ciò non si possa ascrivere che alla cattiva costituzione materiale, come non altro che a cattiva intelligenza dei mezzi dell’arte si addebita ogni mancato effetto pittorico, soprattutto quando da altri, in opere e per fini analoghi, si sia veduto ricavare dagli stessi mezzi una più persuadente imitazione del vero.
Questo apprezzamento così semplice e spontaneo al quale deve fatalmente sottostare ogni opera pittorica mancante dei requisiti della durabilità e del pregio d'arte, inchiude un avvertimento che importa assai sia sempre vivo nello spirito di chi si accinge a percorrere le vie dell’arte, quello cioè che, per quanto ridotti a mal partito gli studî tecnici di una determinata epoca, non però si verrebbe mai a scagionare l'opera del pittore dai difetti che ella ha con sé rispetto alla consistenza materiale e nei riguardi coll’arte, perché nello stesso modo che l’entità del danno di un colore che scrosta da un dipinto non si menoma pel riflesso che le cognizioni tecniche dell'autore o del suo tempo non potevano essere tali da prevedere e provvedere a simili inconvenienti, così in alcuna maniera si può esteticamente pregiare un dipinto privo di valore d’arte per quante considerazioni, di epoche, di luoghi, di mezzi e di intendimenti si potessero invocare in suo favore. Ed oltre tale inesorabile condizione fatta al pittore dalle imprescindibili esigenze della propria arte incombe all’artista un impegno morale di provvedere alla più lunga conservazione della sua opera, come corrispettivo alla persistente fiducia pubblica che mai richiese dall’artista alcuna garanzia per le ingrate e dannose sorprese delle trascuranze tecniche: fiducia tante volte delusa dal deperire di quadri appena usciti dalle mani dell'autore e continuamente offesa dalla leggerezza colla quale si vedono adottati ingredienti e processi nuovi di dipingere destituiti d'ogni seria e provata esperienza.
L’abbandono completo della preparazione di tutto il materiale pittorico in mano dell'industria e il nessun conto che si tiene oggidì dell'elemento tecnico nei giudizi d’arte non sono che conseguenze del momento attuale degli studi tecnici, non nuovo nelle vicende dell’arte né di assoluto ostacolo alla formazione di quel criterio tecnico che in periodi altrettanto deplorevoli, pure si vide produrre opere insigni e per solidità materiale e inestimabile valore d’arte; ma sufficienti però a spiegare come un tempo anche assai minore di quello intercorso dalla intromissione commerciale, che data dalla fine del secolo XVIII, sia bastevole a rendere gli artisti dimentichi dei rapporti necessari fra l'avvenire delle loro opere e quei materiali dalla cui scelta e modo d'impiego viene esclusivamente a dipendere l’esito ottenuto. L'inveterata abitudine di disinteressarsi delle conseguenze evidenti e tante volte rilevate per tale decadimento delle tecniche della pittura, coll’accampare dagli artisti la preoccupazione già assai grave dell’arte pura e dagli amatori e critici, con più fondamento, il rischio di ingerirsi di quanto si vede noncurato dai professanti l’arte, doveva altresì condurre all'erronea opinione di dividere l’opera d’arte in due elementi distinti; il mezzo che serve ad erigere materialmente il dipinto e l’arte che verrebbe ad essere come astrazione d'ogni impaccio tecnico, ma somma di tendenze, di intuiti, di temperamenti e di quante altre cause d'ordine intellettivo o refrattario ad una analisi precisa, si possono ritenere concorrenti a crearla.
Non è qui il luogo per una definizione dell’arte, ma è necessario osservare come una distinzione consimile dell’opera pittorica conduca al falso concetto di attribuire alle sostanze coloranti, che non sono l’unico mezzo efficente del dipinto, proprietà immediata di analogia cogli aspetti del vero, mentre esse non siano comportabili nella imitazione artistica se non trasformate per gli impasti, velature, giustapposizioni e contrasti, senza dei quali i colori non possono essere considerati come elementi d’arte; nessun'analogia assoluta presentando essi colle immagini delle cose naturali né potendosi concepire nulla di più urtante col senso di verità, dell'applicazione, per sé, di qualsiasi sostanza colorante, quale è fornita da natura o somministrata dall’industria, come complemento d'illusione al disegno di qualsiasi oggetto del vero.
Ma per quanto l'apprezzamento della pittura si voglia ritenere indipendente dalla cognizione tecnica relativa, non rimane meno una condizione particolare dell’arte del dipingere distinguersi dalle arti sorelle per un più intrinseco legame fra il materiale da cui prende esistenza e la sua espressione finale.
Poiché ogni altra arte plastica assume dal mondo esterno alcunché di concreto, capace, se non di iniziare ad idee di bellezza, però sufficente a richiamarsi attenzione come corpo sensibile, colle proprietà, di occupare spazio in altezza, larghezza e profondità: fare ostacolo più o meno attivo alla luce per gli incavi o le sporgenze; e pel giuoco dei lumi e delle ombre, indipendentemente da ogni formula d’arte, ma secondo il comportarsi degli oggetti reali, porgere nuovi elementi di consistenza vera, al pari della scoltura e dell’architettura.
Della creta, un sasso sono poca cosa invero, ma tuttavia costituiscono una base, un embrione, un punto di partenza infine al raffronto che tanto facilita l'imitazione.
Per il pittore nulla di tutto ciò; la sua visione anzi non può assumere apparenza di realtà se non contraddicendo ai principî del rilievo, perché, costretta su di una superfice piana, deve figurare a varie distanze punti, linee o forme materialmente collocati nel modo più inverosimile. Alla quale difficoltà se si aggiunge quella della indeterminata sensazione dei colori del vero in lotta con la visibile sostanza delle materie coloranti è facile scorgere come la similitudine della immagine pittorica col reale possa venire pregiudicata sino dalla sua traccia schematica, non per l’incertezza della visione dell'artista o la sua incapacità ad un raffronto fra il vero e l’immagine dipinta, ma più semplicemente, e più comunemente per difetto di criterio d’utilizzazione del vasto e complesso modo d'impiego del materiale tecnico; delimitato bensì nelle invariabili superfice d'appoggio dei colori, e nel numero dei colori e solventi necessari; ma suscettibile però di essere trasformato in tante immagini pittoriche quante il genio umano e l'infinito aspetto della natura potranno mai suggerire.
Tecnica ed arte vengono così a mostrarsi legate dal più stretto dei vincoli. Ed arte pittorica di che mai, ove manchi l’effetto delle luci e dei colori; e tecnica in che potrebbe importare all'artista se non fosse che un vano maneggio di tinte e solventi.
L'arte incomincia solo dove principia ad esistere una immagine espressiva ed una sufficenza tecnica per trasformare l’inerte prodotto dei colori materiali in apparenze di luci e colori veri, per cui si argomenta ragionevolmente che l'impotenza a dominare il materiale pittorico equivale in fatto alla mancanza della idea informatrice, essendochè nulla si possa ricavare da un mezzo tecnico inetto a destare l'impressione che si vuole produrre.
Tutti gli effetti ottici che scaturiscono da un dipinto non possono avere altra origine che da qualità intrinseche del mezzo tecnico adoperato, non potendosi ammettere né effettivamente vedere colorito dove tutto si mostri scialbo, né luce dove apparisca nero. Modificandosi però per l’ intervento e del contrasto dei colori e della distanza le impressioni destate pei varî sussidî dell’arte sarà pur sempre necessario che il significato assunto dal materiale ingrediente sia in rapporto al criterio tecnico da cui proviene, e risponda, come si è già detto, a riconosciute proprietà dei mezzi impiegati, non essendo concepibile nessun risultato interessante ove manchi l'intelligenza dell’ applicazione e l'idoneità a destare determinate sensazioni.
Ciò spiega l’infrenabile istinto degli artisti, e degli intendenti d'arte, ad avvicinarsi alle tele per studiare dalle orme lasciate dal pennello il procedimento intellettuale e meccanico che lo ha guidato.
Da pochi palmi di tela purché comprendano i caratteri più salienti dei mezzi materiali di un artista esce tutta la sua personalità pittorica, come per l’anatomico una falange di un dito basta per ricostruire l’individuo cui apparteneva: questione di studiarla questa anatomia tecnica.
Nelle memorie degli antichi maestri e negli scritti dei tecnici loro coetanei nulla accenna al dubbio di ritenere l'impiego del materiale pittorico come il privilegio di una scienza arcana avviluppata in misteriose formule, dipendente anzi da codeste formule, che è l'errore più comune e si potrebbe dire la speranza più cara dei novizi dell'arte. Questo attribuire a processi sconosciuti, a meccaniche indecifrabili proprie di tempi lontani, di uomini singolari appena noti per le opere e scomparsi insieme ai loro segreti; quel confessarsi bonariamente impotenti a raggiungere l’espressione, la bellezza e la verità che irradia dal tecnicismo delle creazioni dei maestri, scambiando così l’effetto per la cagione; quel potere quasi dire: voi pure Raffaello, voi pure Tiziano, se viveste nella nostra oscurità di trovati tecnici, ci sareste compagni di sventura, è uno dei fenomeni tipici del periodo attuale della nostra educazione artistica.
Tutti gli storici e biografi concordano nell’asserire che Tiziano ritornasse molte volte sugli abbozzi per lunghissimo tempo e le sue sovrapposizioni di colori e la maestria di quei tocchi decisi che risolvono l’opera e dànno l'illusione di un lavoro venuto di getto e così conservato come fosse uscito ieri dalle mani del maestro siano soltanto il riassunto della intensa e perseverante osservazione del vero e della faticosa elaborazione del pennello che sole conducono alle eccelse vette dell'arte. Eppure per questa sua grand'arte se non accade sentirlo scambiato coi più grandi praticoni del mestiere, è sempre una tacita intesa che gli attribuisce procedimenti noti a lui solo e con lui sepolti a mai sempre.
E mescite misteriose si fecero credere quelle adoperate da Paolo Veronese e Tintoretto in gigantesche opere condotte fra coorti di discepoli ed aiuti, che tutto seppero imitare dai maestri, fuor che la sterminata potenza del genio; l’unico enigma che veramente essi lasciassero insoluto alla posterità.
È ancora mistero il lucido degli affreschi dei tempi delle più diligenti pratiche pittoriche e dei segreti più impenetrabili, quello della tempera dei quattrocentisti!
Quante cose occulte avrebbero dovuto sapere gli antichi pittori e come nascondersi a susurrarsi negli orecchi i loro misteri, se niente di tutto ciò è mai trapelato ad alcun profano, sicchè un’annotazione, una memoria, una lettera ad un amico, ad un protettore, ad un conoscente, accenni a quell’angoscia che deve essere per l’artista il non potere dar vita alla propria idea e la gioia ineffabile di ’avere conquistata qualche nozione essenziale per la sua arte.
L’aere tetro che circonfuse la calunniata memoria di Andrea del Castagno non fu che una invenzione dei romantici delle tecniche della pittura, forse non sembrando naturale che fra tanti misteri e segreti mancasse un pugnale ed un cadavere. Ma la divulgazione della scoperta di Giovanni Van-Eych come non fece trarre altr’arma dal fodero che degli spilli dialettici, così lasciò sonnecchiare la cabala fra le siringhe ed i fornelli dei negromanti, che non somministrarono mai colori nè oli e vernici ai pittori.
Senza affermare che tutti i maestri antichi conobbero questi segreti e che gli insegnamenti tecnici non ebbero a soffrire della gelosa natura di qualche caposcuola, pure qualunque interpretazione si dia al passo dell’Armenini che descrive con foschi colori le grandi difficoltà pei giovani del suo tempo di impadronirsi di tutte le pratiche inerenti al dipingere, quasi ritraendo le perplessità e lo scoramento dei giovani d’oggi, come quelli arrestati nel cammino verso le regioni ultime dell’arte dall’ostacolo delle tecniche, non pertanto nulla emerge dagli insegnamenti dei suoi Veri precetti della pittura, che non sia la sola persuasione di doversi conoscere il modo generale di funzionare del materiale della pittura.
Di dove ricavarono dunque i maestri dell’arte quelle cognizioni, per cui l’opere loro rimangono esempio e guida alle ricerche moderne, nella generalità dei metodi e nelle applicazioni a tanti singoli casi?
Il concetto dell’educazione artistica dei migliori tempi dell’arte fu così giustamente intuito dal Müntz che meglio non si potrebbe esprimere se non riportando le stesse sue parole1: «Uno dei fatti più caratteristici della Storia delle arti in quell’epoca, e specialmente a Firenze è il vedere che la maggior parte degli artisti celebri, Bramante, Donatello, il Ghiberti, il Ghirlandaio e tanti altri fecero pratica in qualche bottega d’orefice. Ciò si spiega perchè l’orafo era obbligato, al pari di quelli del medioevo, a conoscere la teoria e la pratica di tutte le arti, dacchè via via doveva esercitarle tutte quante su piccola scala, per modellare e per adornare i calici, i candelabri, i reliquiari e gli altri diversi lavori di oreficeria di chiesa e del vasellame da tavola che era chiamato ad eseguire. L’orefice lavorava da architetto quando foggiava delle nicchie, delle colonne, dei pilastri, delle finestre e dei frontoni; da scultore quando cesellava delle figure ed ornamenti di piccole dimensioni; da pittore quando disponeva degli smalti destinati a far risaltare la bellezza della forma con la ricchezza del colorito, e da incisore quando lavorava l’oro e l’argento col bulino.
«Dovendo servirsi dei materiali più diversi era costretto a saper martellare il ferro, gettare in bronzo, come anche rinettare e pulire i lavori in metallo provenienti dalla incudine o tratti dalla forma.
«Si comprende bene che con delle cognizioni così estese l’orefice del Rinascimento era fra tutti gli artisti il più capace di dare ai suoi allievi un’educazione che permettesse di abbracciare un ramo qualunque dell’arte senza tema di riescirvi insufficiente: lo si considerava come maestro per eccellenza, perchè i migliori architetti, scultori. e pittori d’allora erano usciti dalle sue botteghe. Questi avendo imparato durante il loro tirocinio a maneggiare delle materie la cui natura non comporta un frettoloso lavoro, avevano contratto là quelle abitudini di precisione e di pazienza, i cui risultati si manifestano nei capolavori che sono l’orgoglio dei musei e delle collezioni private del nostro tempo.
«Il carattere più saliente, senza dubbio, della educazione dei quattrocentisti è la loro universalità. In nessun’altra epoca, nella storia dell’arte, s’incontrano organizzazioni così enciclopediche nel vero senso della parola, che coltivano i rami più disparati e riescono eccellenti in tutti, grandi architetti, grandi scultori e gran pittori ad un tempo; talvolta persino grandi eruditi o grandi poeti, come l’Alberti, Leonardo, Michelangelo. Quella universalità affermatasi già nel secolo XIII (Nicola, Giovanni e Andrea Pisano erano scultori e architetti; Giotto pittore e architetto; l’Orcagna pittore, architetto e scultore) dipende, se mal non mi appongo, dagli ammaestramenti dell’antichità, da quel metodo così veramente scientifico che aveva il vantaggio di aprire la mente, di dare la chiave di un’infinità di problemi, di rendere i loro adepti egualmente capaci di ogni lavoro intellettuale per virtù della forza. critica che loro infondeva. Padroni di questo segreto gli italiani, invece di perdere tempo in particolari inutili, andavano diritti alla meta».
Ma insieme al criterio tecnico che rafforzavasi più per l’esercizio pratico e la conoscenza del materiale attinente alle tre arti, che non dal sussidio di testi scritti, fu anche requisito dei vecchi maestri e delle antiche scuole una percezione esatta degli obblighi e dei sacrifizi che impone per sè e gli altri l’avvenire della propria opera, oltre al tirocinio che temperava l’energia fisica e morale a conquistare la potenza di governare il materiale tecnico, assoggettandolo al dominio dello spirito, plasmandolo, asservendolo al proprio organismo, così da uscirne poi trasformato, vinto, anzi emanazione spontanea dello stesso spirito.
Più si arretra nei periodi storici dell’arte e più il sentimento di provvedere alla durabilità delle opere appare congenito colla facoltà di crearle, e meraviglioso, perchè mancava il fondamento di una lunga esperienza.
Se fosse possibile porre a confronto l’innumerevole quantità di opere mediocri o cattive scomparse per cause inerenti alla loro costituzione materiale, con quelle dei maestri conservatesi in buono stato sino al presente, si dovrebbe rilevare un rapporto costante fra i mezzi adoperati a rendere sensibile l’idea dell’artefice e il valore dell’idea stessa.
In altri termini si vuole asserire che il possesso delle pratiche necessarie al buon impiego dei materiali pittorici è proporzionato alla potenza di creare vere opere d’arte.
Questa opinione, alla quale si può addivenire per altre vie che non sia l’ineffettuabile raffronto supposto, cessa di essere attendibile se per il possesso dei materiali della pittura si intendesse il perfetto dominio di essi.
Il genio di Leonardo vola con ben altra ala che la misurata penna di Piero della Francesca, senza superarlo però nella solidità del processo tecnico, ciò che parrebbe contraddire all’asserto fatto; ma la verità ritorna evidente considerando l’un l’altro colle rispettive tecniche nella schiera dei discepoli ed imitatori.
Così, più tardi, i danni arrecati alla chiarezza dei dipinti dalle imprimiture dei caracceschi, e dalla deliquescenza dell’asfalto dei tenebristi non giungono sino a distruggere lo smagliante delle parti luminose dei quadri di Annibale o del Tintoretto, come agli inizî del secolo XIX l’uso eccessivo dell’olio nei dipinti dell’Appiani e del Sabbatelli pure è commisto di virtù tecniche sconosciute alla folla innumere di pittori senza nome, loro coetanei.
In vero, la congerie degli ingredienti pittorici che l’artista trova sottomano si purifica al vaglio del lavoro più intenso, più complesso della mente creatrice presaga di dover vivere nei posteri, conscia del sagrifizio maggiore imposto a chi aspira a maggiore mercede, avida anche di quegli studî che non procedendo laterali alla ricerca del bello, non possono assimilarsi dal genio stesso senza che questi, discendendo spesso dalle regioni della fantasia, deviando gli occhi dalle meraviglie della natura espressiva, si soffermi pazientemente, perseverantemente alla ricerca di più profonde dipendenze fra l’opera propria e il vero che gli è guida: aperto a tutti quei perfezionamenti che valgono a sormontare l’ostacolo così grande nelle arti plastiche di cogliere anche in uno schizzo i fugaci aspetti del movimento e della passione; vigile dell’altrui esperienza e memore dei risultati della propria, costante nel combattere eroicamente la lotta eterna dell’arte col tempo, che stende inesorabile il suo tenebroso velo dove appunto si mostra più debole la virtù del pittore, nello splendore dei lumi e nella trasparenza delle ombre, difficoltà e vittorie supreme dell’arte del colorire.
Fondamento del criterio tecnico risulta la semplificazione costante che ogni pittore introduce nei suoi mezzi tecnici col progressivo esercizio dell’arte, e prima della tradizione che attribuisce a Tiziano il merito di ottenere da soli cinque colori la ricchezza del suo straordinario colorito, era soggetto di critica Lorenzo di Credi2, che teneva preparate da venticinque a trenta tinte, e si giudicava ridicolo Amico Aspertini3, cinto sino ai denti di vaselli e pignatte zeppe di colore; e poiché di ogni eccesso è suscettibile la natura dell’uomo, si nota di passaggio che l’amore della semplicità mantiene ancora, fra gli artisti, dei seguaci alla chimerica teoria dei tre colori fondamentali, vero perditempo per non riescire in pratica a ricavare dal giallo, dall'azzurro e dal rosso, col sussidio del bianco e del nero, tutte le gradazioni possibili di tinte.
Il principiante, ignaro dei risultati del miscuglio dei colori per addizioni od assorbimento di luci sopraccarica la tavolozza di quanti colori produce l'industria, nella speranza di cogliere più facilmente gli effetti dei colori del vero o vedersene suggeriti i componenti.
A lui è ignoto il meraviglioso lavorio fisio-anatomico dell'artista all'atto di ogni colpo di pennello, l’osservazione e il ricordo dell'oggetto che vuole raffigurare, la ‘scelta dei colori per ottenere rapidamente il tono voluto, la precisione della quantità da cogliere d’ogni colore con un colpo misurato dalla tavolozza, tenendo calcolo sino dei rimasugli di tinta del colore precedente rimasto sulla punta del pennello, senza nemmeno pensare di guardarlo; l'aggiunta di vernici, essenze, olî, se occorrenti, e infine la pennellata franca come un colpo di martello o lieve come la vellicatura di una piuma, scorrevole, insinuantesi nel modellato difficile di un volto e nelle più varie accidentalità del piano scabroso dell’abbozzo.
Quanto cammino da percorrere, quanti ostacoli da vincere, quanto spreco di materiali e di fatiche distanzia la mano che si è quasi identificata col pennello e il braccio che lo dirige, e l’impaccio visibile dell'inesperto pittore a cui il pennello casca perfino di mano, o s'intinge pesantemente in un colore opposto, rendendo ora troppo intensa, ora troppo pallida la tinta, che titubante, stanco, avvilito, arrischia sulla tela principio o seguito di un colorito falso, che trascinerà inevitabilmente ad altri colori contermini ancora più lontani dal vero e destinati a imminenti alterazioni, che le dimenticate cautele per la durabilità del lavoro condurranno a pietosa rovina.
Ma questo periodo che tutti i militanti dell’arte hanno attraversato sotto la gragnuola dei premi scolastici è seguito invariabilmente da una frenesia di meccanismo tecnico ancora più fatale per l’avvenire del dipinto, nulla essendovi di più nocevole alla solidità della superficie dipinta delle sovrapposizioni di strati di colori chiari a masse oscure e verniciature precipitose per togliere prosciughi di colore ancora bagnato e miscele eterogenee di pastello, tempera e colore ad olio, tutto infine che può abbreviare ad una fantasia irrompente il cammino per vedere realizzata coi colori la propria idea.
Vi è questo momento di ribellione enfatica contro gli stenti del periodo iniziale insieme ad un’attrazione spasmodica per tutte le raffinatezze dei prodotti colorati del commercio, che confina coll’odio. Il giovine artista sembra afferrato dal demonio della contraddizione. Vuol colpire colle colorazioni più sporche e violente, sdegnosamente accatastando colori da decorazione e lacche di prezzo o suda a rendere minuzie da certosino su preparazioni grossolane e bagnate che in pochi giorni assorbono e neutralizzano l’opera di mesi, costringendolo a rifare il lavoro o recedere dall'impresa.
La rapida alterazione dei toni di questi dipinti, le screpolature che si contano dapprincipio e finiscono in una rete minuta che offende l'occhio a distanza, i disgustosi raggrinzamenti dei colori insaccati in pellicole oleose, le colature ture dell’asfalto ad ogni aumento di temperatura producono di consueto la salutare reazione che conduce il giovane artista a ritornare sui suggerimenti dei maestri, a consultarsi coi colleghi, a ricercare gli autori che si sono occupati dell'insegnamento pratico del dipingere.
Ma non vi ha certamente dovizia di libri che trattino della pratica della pittura.
Il Libro dell'arte del Cennini è il solo che si abbia intorno alla manualità della pittura dopo il rinascimento delle arti, perché gli scrittori che vennero dopo, salvo l’Armenini, che compendia abbastanza chiaramente le pratiche degli artefici del secolo XIV, sulle quali il Vasari nel proemio alle Vite, più che soffermarsi ebbe a sorvolare, intendessero alle speculazioni filosofiche anziché ai provvedimenti più utili dell’esercizio dell’arte.
È sebbene a mire di benefizio immediato pei pittori, in tempi assai vicini ai nostri, siano indirizzati i voluminosi trattati del Mérimée e del Montabert, e l'inglese Sir C. L. Eastlake4, con erudizione meravigliosa, abbia spremuto da una congerie di codici, documenti e tradizioni quanto poteva servire a dissipare il tormentoso dubbio che in qualche frase male tradotta, in qualche vocabolo frainteso, si celasse il perseguito segreto del primitivo processo di dipingere ad olio, e per lui, fossero tolte dall'obblio molte utili pratiche, la condizione degli studî tecnici è sempre a tal punto da doversi ancora ricercare per quali norme si pervenga alla più lunga durata dei dipinti, e per quali proprietà delle materie coloranti possa mai sperare l’artista moderno di conquistare la oggettività luminosa che affissa.
Il Vibert, troppo soggettivo nell'apprezzamento delle tendenze dell’arte moderna, troppo preoccupato della diffusione di determinati ingredienti pittorici, se contribuisce tuttavia a rendere meno cruda la mancanza di una guida alla formazione di quel criterio tecnico che è il fattore più sicuro della durabilità di un dipinto, ed ha l’incontestabile merito di avere delineato nella sua Scienza della Pittura le traccie da seguirsi dall’artista nuovo per tale scopo, nei riguardi dell'impiego delle materie coloranti per l’imitazione del vero è troppo inferiore all’assunto perché occorra dimostrarlo.
Le questioni tecniche non si risolvono né con silenzi sdegnosi, né con frasi sentimentali, né con motti di spirito, ed occorre ben altro a percorrere le vie dell’arte, che dei maestri che si sentano in obbligo di far ridere gli allievi, o degli allievi che non possono studiare senza annoiarsi.
Insieme al problema della conservazione della propria opera un altro se ne innalza quindi, non meno grave per l'artista, che provvedendo alla durabilità materiale del dipinto, senza preoccuparsi del fine principale dell’arte, verrebbe a rendere inutili le sue fatiche, non valendo la pena di conservare ciò che è indifferente sia distrutto.
Le precauzioni della scelta del materiale e dei modi migliori d'impiego non potendo avere per scopo finale la conservazione dei cattivi dipinti, ma la più lunga durata delle opere d’arte, e non potendosi separare la qualità di un colore di essere resistente alle molteplici azioni del tempo dalla proprietà di essere idoneo ad esprimere qualche effetto del vero, entrerà nel dominio delle tecniche dell’arte anche .lo studio delle cause concorrenti a questo effetto, giacché a raggiungerlo contribuiscano le condizioni stesse che servono alla durabilità dei colori, e tanto più diretto sarà il dominio tecnico, quanto l'adattamento meccanico del materiale colorante influisca sul suo aspetto esteriore, rendendolo atto ad un fine d’arte.
Da ciò il nesso dei processi materiali della pittura colle, ragioni dell'arte — e il vincolo di ogni parvenza colorata alle leggi da cui prendono origine luci e colori — ed un nuovo e vastissimo campo di ricerche per l’artista.
Con Leonardo da Vinci lo studio della luce e dei colori nei suoi legami coll’arte della pittura ricevette il più vigoroso impulso, ma si arrestò. Troppo sperimentale per essere seguito dallo spirito teorico dei suoi tempi, egli è anche troppo profondo, perché le verità affermate, che divulgavansi pel lento tramite dei manoscritti, avanti la stampa del Trattato della Pittura, avvenuta solo nel 1681, potessero innestarsi coll’arte volta alla superficialità degli effetti decorativi.
I riflessi di cielo che irradiano dai principî pittorici di Leonardo rimasero così intercetti allo sguardo degli artisti sperduto nel più tenue lume del mondo della fantasia ed in quello ancora più circoscritto della luce e dei colori filtrati dalle vetriate dei loro laboratorî, finché un nuovo studio della luce e dei colori si inizia, si perfeziona, si completa quasi all'infuori dei pittori, all'insaputa dell’arte che della luce e dei colori è la manifestazione più diretta e sensibile.
Fra artisti e scienziati corre un secolo di lavoro, di intenti e di linguaggio diverso, onde giunti per imprevedute vie alla convinzione che procedendo affratellati abbrevierebbero il cammino, non si intendono più.
Interferenza, polarizzazione, rifrazione, irradiazione della luce, prismi, circoli cromatici, non sono più ostici agli uni, di quanto siano astrusi per gli altri, ambiente, intonazione, tavolozza, quadri.
Così l’interpretazione pittorica del vero, secondo una più esatta osservanza dei fenomeni luminosi, spesso non persuade gli scienziati che della luce e dei colori pure investigando e diffondendo le leggi, sentendone il vitale alimento per l’arte, tanto si tengono discosti dall'arte da non distinguere sui dipinti i metodi tecnici che combattono dalla cattedra, come la relazione fra la luce e i colori reali e l’effetto più analogo che scaturisce dall'applicazione dei principî scientifici nell'impiego delle sostanze coloranti, pare ancora trascurabile a tanti pittori le cui opere, mentre rivelano l’indefessa ricerca del vero, e per la tormentosa struttura tecnica, il convincimento di non poter pervenire a certi risultati se non per uno speciale meccanismo del colore, rimangono in aperta contraddizione colla volontaria rinunzia di quei mezzi che la scienza dimostra potersi con sicuro profitto adottare dagli artisti per raggiungere obbiettività luminose, negate per evidenti ragioni fisiche, ad altri adattamenti delle stesse materie coloranti d'uso nella pittura.
Ma non sta meno per ciò l’ingente vantaggio derivato all'arte del dipingere, dopo la scoperta di Newton della decomposizione della luce, dalle esperienze ed osservazioni di Chevreul, Maxvell, Mile, Helmholtz, Bruke e Rood, i propagatori del risveglio odierno già invocato da noi dal pittore Giuseppe Bossi e dall’accademico Calvi, i primi, che nel più infelice periodo della pittura moderna auspicarono il prossimo rinnovellarsi della tecnica. pittorica ritemprata alla pura sorgente della verità scientifica.
L'ultima evoluzione del gusto venne mirabilmente a sospingere tutti pittori dal ristretto cerchio degli effetti luminosi dei luoghi racchiusi alle più varie e delicate armonie dell'aperto; raffinando la percezione visiva, fortificando l'esercizio della sintesi, iniziando ad una comprensione più larga dell’arte, che inciterà ad una venerazione ancora più grande per i vecchi maestri, preparando infine un terreno fecondo pei semi della scienza nuova. nuovo assunto della luce dell’aperto ha dato la più formidabile scossa all’ingente bagaglio tecnico che per tanti secoli rispose, e giova dirlo, efficacemente, a aggiungere l'ideale di forma e sentimento dominante l’arte antica, in tanta varietà di temperamenti da parere che costituisse, se fosse accettabile l’espressione, il corpo materiale stesso della pittura.
Una trasformazione incosciente si è manifestata coi primi saggi del diverso compito giacché i consueti artifizi dei larghi impasti, delle estese velature e dell’intenso ombreggiare, ritenuti necessari per ottenere rilievo, e diventati abitudine per continuo studio nell'ambiente chiuso, applicati all'aperto, annientino il senso di vibrazione luminosa che pure nell'ombra avviva ogni più minuta parte delle scene della natura.
Scomparsa ogni traccia di condotta metodica, frenata del pennello e respinti tutti i processi d'impaccio a cogliere rapidamente il momento espressivo del vero, una violenza di tocchi, una esagerata sovrapposizione di colori, una chiarezza biancastra, stridente, i più urtanti rapporti di tinte ci rivelano che la precisione del disegnatore, le raffinatezze del colorista, il sentimento del pittore cozzano contro un ostacolo che lo trova impreparato e sprovveduto a lottare.
Disegno, colore, espressione, tutto è soverchiato per lui dalla dominante ed indefinibile vibrazione della luce. Egli sente che al proprio fardello tradizionale di meccanismi tecnici, di combinazioni di colori manca qualche elemento necessario per tradurre la sensazione nuova che lo scuote: così come l'uomo moderno di fronte ai prodotti nuovi del suo genio inventivo meccanico od ai risultati delle sue indagini scientifiche cerca invano nel patrimonio della lingua i termini per contraddistinguerli.
Ma dal riconoscere una deficenza nei procedimenti tecnici al modo di provvedervi è lungo il passo quando, come è il caso della oggettività pittorica, vi si connettono conquiste d'altro ordine quali le appartenenti alla fisica, oltre l'abbandono nel proprio campo di metodi e di tradizioni cementate da secolari autorità scolastiche o da immemorabile uso pratico.
Di qui la timidezza e l’inefficacia, e anche gli errori di tante opere moderne testimoni irrefragabili delle aspirazioni a nuovi orizzonti d’arte, ma prove altresì evidenti del persistente pregiudizio di sopperire coll’intuito o i formulari empirici, o peggio colla imitazione d'altri artisti, a quelle cognizioni, a quegli esperimenti, che si compendiano nel sussidio nuovo portato dalla scienza a benefizio dell’arte, dai quali solo può scaturire la potenzialità di interpretare gli effetti della luce e dei colori del vero con personale e razionale carattere.
Per quanto si è esposto nessuno, o ben poco profitto potrebbe ricavarsi dal considerare i procedimenti tecnici dal solo punto di veduta delle loro applicazioni nelle epoche storiche dell'arte, tentativo già fatto dall’Eastlake in modo forse insuperabile, eppure rimasto sterile di risultati pratici, non potendosi per tale via pervenire se non che ad uno di quei labirinti di erudizione controversa entro cui si aggirano invano l’acume criterio e il senso pratico dell'artista.
D'altronde non si vorrebbe prestare fede assoluta soltanto nei processi degli antichi, che fosse poi logico allontanarsi dai loro metodi di educazione artistica.
Ma non comportando i tempi nostri fare rivivere il tirocinio dei vecchi maestri è giuocoforza ricostruire analogamente quell’ordine di cose dal quale si possa ricavare analogia di conseguenze.
L'esercizio promiscuo delle arti che poneva l’antico apprendista a contatto del vasto materiale maneggiato dall'orefice pittore, scultore ed architetto, sviluppandone il criterio tecnico per sola forza d'intuito e d'esperienza, non si saprebbe più ragionevolmente sostituire che dalla cognizione scientifica delle proprietà d'ogni materiale inerente all'uso della pittura — sia per la più lunga conservazione del dipinto che per la maggiore intelligenza del concorso dello stesso materiale nella imitazione delle luci e dei colori. E l'una cognizione inseparabilmente dall'altra, perché sia esigenza ineluttabile dell’arte del dipingere che nello stesso atto del pennello, per ogni suo tocco, si provveda alla solidità ed al significato della sostanza colorante adoperata.
Non occorre certo gran copia di dimostrazioni per persuadere della superiorità che verrebbe ad acquistare l’artista nuovo su quello del passato, ove egli si ponesse in grado di conoscere meglio i proprî mezzi tecnici e trovasse in sé la soluzione ai continui quesiti tecnici che gli si parano nell'esercizio dell’arte.
Ad esempio, né valendosi dei consigli pratici né dei principî teorici che informavano i vecchi trattati di pittura si riescirebbe a spiegare le ragioni che differenziano i varî aspetti dei colori secondo la quantità e qualità del glutine solvente, senza una nozione per lo meno del comportarsi della luce attraverso corpi di densità diversa e dei fenomeni di riflessione e rifrazione dei raggi luminosi originati dalla disposizione molecolare delle sostanze coloranti. Che se per avventura sugli stessi colori presi ad esame si volessero approfondire le cause della loro aderenza ad una superficie qualsiasi d'appoggio, ognuno vede che importa subito sapere nonché della forza di coesione e del grado di affinità fra l’uno e l’altro materiale, ma anche della natura alcalina, grassa, acida delle sostanze artificialmente unite; per tutte quelle possibili influenze che si esercitano reciprocamente tali combinazioni, per le quali vengono pure ad alterarsi i rapporti di aderenza ricercati. L'importanza di sapere riconoscere i buoni dai cattivi ingredienti pittorici, l'evidente criterio d’impiego che scaturisce dalla nozione sicura delle proprietà d'ogni sostanza d'uso nei varî processi di pittura, la superiorità di ogni opera d’imitazione del vero, guidata da una intelligenza più profonda delle cause generatrici degli aspetti esteriori, non sono postulati di una filosofia improvvisata a rimedio transitorio di certe condizioni dell’arte, ma perenne richiamo al pittore dell’aureo precetto col quale la mente divinatrice di Leonardo apriva le prime pagine del suo immortale trattato: «Studia prima la scienza e poi seguita la pratica nata da essa scienza».