La tecnica della pittura/CAP. I.

CAP. I. Origine dei diversi metodi di dipingere

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CAP. I. Origine dei diversi metodi di dipingere
PREFAZIONE CAP. II.
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CAPITOLO I




Origine dei diversi metodi di dipingere.


I
saggi di pittura più antica che si conoscano furono trovati in Egitto.

La leggenda che attribuiva alla figlia di Debitade, scultore greco, l'invenzione della pittura, dovette parere dubbiosa allo stesso Plinio, l'unico storico antico dell’arte greca, se credette opportuno notare la voce che faceva merito ad un Filocle Egizio di avere insegnata la pittura lineale ai Greci, avvertendo ancora che gli Egiziani dipingevano seimila anni avanti il periodo greco monocromatico. E la quantità di motivi ornamentali di sicura origine egiziana, posti in luce dai famosi scavi di Micene e di Tirinto, sembrano ormai confermare l’antico sentimento degli eruditi che l’arte greca derivasse dall'Egitto.

D'altronde la pittura greca antica non ebbe in suo favore nessuna di quelle fortunate circostanze cui dovettero la salvezza tante opere di pittura d’altre nazioni, onde null’altro rimase alla posterità dell’arte di Eumaro, di Cimone, [p. 28 modifica]di Zeusi, di Parrasio e di Apelle, se non che un riflesso in quei meravigliosi vasi istoriati che l’Attica diffuse per tutto il mondo antico conosciuto; manifestazione poderosa della nativa vivacità ed attitudine del genio ellenico per tutte le forme d'arte, ma nei riguardi tecnici della pittura, inetta a rilevarne i processi speciali, come a nessuna conclusione positiva poterono condurre i cenni attinenti all’impiego dei colori che Plinio e Vitruvio riferirono trattando dell’arte greca.

Una condizione affatto eccezionale di clima concorse invece alla durata della pittura egiziana. « Sotto quel cielo limpido nulla si altera. Quando Mariette scoprì nel 1851 la sepoltura degli Api, vide in una delle tombe, quella dell’Api, morto al ventesimosesto anno del regno di Ramsete II, l'impronta dei piedi nudi degli operai che tremiladuecento anni prima avevano coricato il dio nel suo sarcofago. Il museo di Gizech (antico museo di Bulac) possiede una pezza di lino, meravigliosamente conservata, che porta il nome del re Pepi della IV? dinastia e conta per conseguenza più di cinquemila anni. La piramide di Unas ha fornito dei pezzi di stoffa più vecchi ancora »1.

Ed un altro coefficente di resistenza offrì pure il carattere essenzialmente schematico dell’arte egiziana. Ignorandosi da quegli artefici l’arte di far rotondeggiare i corpi, vi dominano le tinte piatte, distese uniformemente entro rigidi contorni, il che facilitava singolarmente l’aderenza degli strati del colore al piano d’appoggio, essendo, come si vedrà meglio a suo luogo, un requisito importantissimo della solidità del colore la sua disposizione omogenea. [p. 29 modifica]

Però nè le condizioni eccezionali del clima, nè la costituzione favorevole della superficie dipinta, nè l’impiego dei colori più solidi sarebbero bastati per conservare le tinte in quello stato d’integrità di strati e di splendidezza di colori, che offrono tanti cimeli della antica pittura egiziana senza intervento di sostanze appropriate a trattenere i colori sui materiali dipinti con quella forza di aderenza che è implicita in colori che si mantengono inalterati oltre il tempo consentito dalle naturali forze di adesione e coesione: vale a dire senza convenienti processi tecnici che abbiano provveduto alla durabilità di quelle pitture.

Ed invero mentre il popolo Egizio ebbe spiccatissimo il gusto per i brillanti colori, fu altresì pressato dall’idea della loro durata, perchè applicando la pittura principalmente negli ipogei, dove l’egiziano credeva colla infinita quantità di pitture di assicurarsi al di là della vita terrestre il godimento reale di tutti gli oggetti e di tutte le scene rappresentate sulle pareti delle tombe, sarebbe evidentemente mancato tale scopo se i colori non si fossero mantenuti in luogo con una fissità almeno relativa al concetto di dimora eterna che la tomba incarnava nella strana ideologia di quel popolo.

Ma oltre le tombe l’architettura monumentale, le case, il mobiglio, gli utensili più comuni, quanti oggetti infine potevano uscire dalle loro mani si coprivano dagli Egiziani di decorazioni policrome, e tanta profusione di pitture doveva conseguentemente trascinare ai più vari processi di dipingere, non comportando i marmi, il legno, i metalli le stesse sostanze adesive.

Il meccanismo del pennello non ha alcuna importanza nella tecnica della pittura egiziana, fermandosi l’opera dell’artista al puro disegno dei contorni che si dovevano riempire di colore, e l’applicazione di questi eseguendosi me[p. 30 modifica]todicamente con tinte sempre prive di qualsiasi modellatura, carattere questo, come è noto, comune a tutta l’arte primitiva orientale e dei Greci.

I colori adoperati dagli Egiziani furono analizzati tanto allo stato naturale, in cui si rinvennero entro molte tombe, quanto sulle varie pitture stesse.

Il Museo archeologico di Firenze possiede alcuni campioni di colori portati dall’Egitto dal Rosellini, fra i quali sono resine colorate, due terre gialle, due terre rosse, due bruni ed un nero; notevoli questi due bruni ed il nero per essere resistenti al fuoco, a quanto assicurano Henry Cros e Charles Henry2.

Ma l’esame più particolareggiato dei colori adoperati dagli antichi pittori egiziani è quello eseguito dal Mérimée sulle pitture e gli oggetti dipinti della celebre collezione Passalacqua3.

In tutta la collezione egli non potè rintracciare che del giallo, del rosso, dell’azzurro, del bruno, del bianco, del nero e del verde.

Del giallo trovò due qualità più frequentemente adoperate, l’una un giallo chiaro che ritiene semplicemente un’ocria comune dappertutto dove si trovano miniere di ferro, e l’altro più brillante e più chiaro che gli parve un solfuro d’arsenico (orpimento), senza escludere che potesse trattarsi anche di un composto del genere del giallo di Napoli.

Il rosso ritiene per la massima parte della terra rossa naturale, lo stesso rosso che si ottiene calcinando l’ocria [p. 31 modifica]gialla, non sembrandogli tuttavia impossibile che fra i rossi potesse trovarsi del cinabro.

Dell’azzurro che la collezione possedeva in natura entro una coppa, e di un colore brillante come l'oltremare, trovò essere un prodotto artificiale rimarchevole per la sua resistenza agli acidi, agli alcali ed al fuoco; molto superiore in qualità alla cenere azzurra e prova di un'industria molto avanzata, se dopo trenta secoli tale azzurro si conservava ancora così splendido.

Il verde generalmente olivastro che stimò dapprima un genere di terra simile a quella di Verona, si persuase essere una sostanza nella quale il principio colorante era dovuto essenzialmente al rame.

Il bianco di una conservazione rilevante ritiene essere gesso diluito in una sostanza glutinosa; e finalmente i bruni essere dovuti ad un carbone misto ad un rosso ed i neri non apparire composti che di carbone.

Rispetto al processo di esecuzione osservò come tutte le pitture sia su legno che su tela avessero una preparazione bianca, ma che però le tinte non presentando screpolature era difficile determinare quali eccipienti avessero servito a sciogliere e conglutinare i colori. Pure essendo noto come l'Egitto produca delle gomme e vi fosse conosciuta la colla di gelatina, tuttavia Mérimée presume che si preferisse una gomma malleabile, come il dragante o qualche mucilagine dello stesso genere.

Quest’accenno ai dissolventi che poterono, secondo il parere del Mérimée, costituire il materiale appiccicante delle pitture della collezione Passalacqua non può certamente comprendere tutte le varie decorazioni destinate a subire le vicende atmosferiche dell’aperto, ed il preparato bianco che il Mérimée trova costantemente posto sotto tutti i colori, qualunque sia il materiale che riveste, non [p. 32 modifica]basta ad esplicare quali furono i processi del dipingere che rispondettero e alle prove manifeste di una lunga resistenza alle azioni del tempo ed a quella varietà di applicazioni che fu la caratteristica più saliente dello spirito decorativo di quel popolo.

A spiegare la notevole assenza di screpolature dai dipinti egiziani, proprietà che non si può ottenere da glutini che essiccandosi assumano consistenza vitrea, M. Ettore Leroux ritiene che si mescolasse del miele alle tempere, poiché è indubitato che la tempera fu usitatissima dagli Egizi, rilevandosi anche da figurazioni di alcune tombe dove il pittore è rappresentato in atto di dipingere, colla tavolozza legata al braccio da un nastro, tenendo avanti a sè il vassoio per sciacquare i pennelli.

D'altra parte l’impiego della cera, di varie vernici e il rialzare i toni colle velature, sono pratiche pure risultanti in modo indubbio sulle pitture egiziane, né può meravigliare che dove l'imbalsamazione dei cadaveri richiedeva l’uso di oli, balsami, gomme e resine variatissime, queste non potessero sussidiare le mescite dei colori e la durabilità dei dipinti.

Inoltre il bleu egiziano che si cattivò l'attenzione del Mérimée per la mirabile conservazione ed il confronto colle proprietà degli azzurri più in uso nella pittura moderna, fu particolarmente analizzato da Chaptal e da Vaquelin, che ne dette la formula approssimativa, confermata da ulteriori studi e tentativi di imitazione di Davy, di Darcet, di M. de Fontenay; provandosi in tal modo che si sapevano utilizzare per l'arte le vetrificazioni colorate, più comunemente note sotto il nome di fritte, che tale è appunto il bleu egiziano, aggiungendosi che la calce e la silice che facevano parte dei componenti del bleu egiziano, potevano coi cementi entrare fra i materiali della pittura. [p. 33 modifica]Tanti elementi costitutivi dell'antica pittura egiziana, corrispondenti o affatto eguali ai materiali degli odierni processi del dipingere, non potevano che imprimere a quei dipinti caratteri esteriori simili a quelli che oggidì se ne ricavano; come in modo analogo, attendibilmente, doveva comportarsi il più intimo effetto delle sostanze particolarmente destinate alla solidità degli strati dei colori.

Ma non è difficile ricostituire tanto nei suoi aspetti esteriori quanto nella sua generica disposizione molecolare qualsiasi superficie colorata indipendentemente dalle proprietà chimiche delle sostanze che possono comporla e dal luogo di esistenza di un dipinto.

Siano gli intermediari di coesione per la durabilità voluta di qualsivoglia strato di colore, sostanze vitree di formazione spontanea, come avvengono nei cementi di calce, o materie organiche di natura vischiosa ed essiccabile, come le colle, le gomme, le resine e gli oli seccativi, la resistenza del colore alle cause meccaniche d'’asportazione non può avvenire che per il legame fra molecola e molecola del colore prodotto dall’intermediario, il quale nello stesso tempo serve a tenerle avvinte alla superfice d'appoggio. Dippiù anzi questa materia che tiene collegato il colore, può essere in tanta abbondanza da modificare lo spazio intermolecolare e giungere anche sino alla sommersione totale del colore nel veicolo appiccicante; nel qual caso, oltre l'adesione al piano d'appoggio e laterale, accade anche la maggiore resistenza offerta dalla lamina che si può produrre su tutta la superfice esterna del colore e costituirvi la protezione massima.

Ma da questo modo di essere delle più minute parti del colore e in relazione alla quantità dell’intermediario di coesione e della sua trasparenza prendono pure origine i particolari aspetti delle superfice dipinte che si designano per opache, semilucide e trasparenti. [p. 34 modifica]Ora analogamente opaco diciamo l'aspetto della tempera moderna, del guazzo e del pastello, perché la quantità di materia conglutinante mescolata ai colori non influisce sino a renderlo trasparente; semi-trasparenti o semi-lucidi diciamo l'affresco, l'acquerello, la miniatura, per la maggior quantità di glutine interposto nel colore e che si lascia scorgere per un senso pellucido acquistato dalle tinte: trasparente infine diciamo il dipinto all'encausto e ad olio, perché il sopranuotare dell'intermediario di coesione molecolare e di adesione alla superficie d'appoggio dei colori aggiunge al colore la massima trasparenza e lucidezza.

Ma questi, oltre essere i caratteri delle superfice colorate che si riscontrano nelle decorazioni egiziane su marmi, legni e stoffe, sono pure quegli aspetti e quelle condizioni per le quali la pittura tecnicamente si divide nei vari processi che prendono il nome dal conglutinante che vi domina; cosicché si può ritenere, che i procedimenti odierni in quello che hanno di più spiccato, che non può essere il nome, furono noti agli Egizi; né poteva essere altrimenti, essendo l’opacità e la trasparenza dei colori non un aspetto voluto sin dapprincipio dall'arte, ma una conseguenza delle imposizioni fatte all'arte per conseguire la durabilità; imposizioni che l'arte subì certamente, più che altrove in Egitto.

Altrettanto però non soccorre l’induzione quando si tratta di definire la composizione degli ingredienti intermediari di solidità dei colori usati così anticamente e penetrare dall'aspetto esteriore alle proprietà intime di quei materiali pittorici.

L'analisi qualitativa e quantitativa è nell’assoluto dominio dell'esperimento.

Né dalla grande opera di Champollion sull’ Egitto, al Viaggio di Mariette, alla Pittura antica del Girard, all'infuori [p. 35 modifica]di copie più esatte di dipinti dimostranti che anche negli utensili d’arte è una meravigliosa corrispondenza cogli odierni nostri, nulla venne a portare altre cognizioni più precise delle indicazioni di Chaptal e Davy sull’azzurro noto come fritta d'Alessandria e di quelle del Mérimée sulla collezione Passalacqua, che mostrano i colori egiziani essere sostanze artificiali e naturali simili a quelle invalse nell’uso generale della pittura, delle quali meglio è dato approfondire lo studio considerandole in rapporto a più. vicine ed importanti applicazioni: poiché i procedimenti riguardanti l'uso materiale dei colori non abbiano interesse per l’arte se non si dimostrano necessari ad un'estrinsecazione di obiettività che altrimenti non si potrebbe raggiungere.

E sotto questo riguardo gli infiniti processi cui doveva necessariamente condurre in Egitto il multiforme uso delle decorazioni policrome, e il gusto di coprire di colori tutti i possibili oggetti, si vogliono considerare non per l’ illusoria attrattiva di una durabilità che non ha fondamento se non nella circostanza favorevole di conservazione presentata da un paese dove i materiali più deboli resistono indefinitamente alle azioni del tempo; ma per quello che mostrandosi il prodotto della più antica attività umana nel campo della pittura, possono far ritenere l'Egitto come il più fondato luogo di dipartita dei più noti metodi di dipingere.



Note

  1. Girard, La peinture antique. M. Quantin, Paris, pag. 1.
  2. Henry Cros et Chartres Henry, L’Encaustique et les autres procédés de peinture chez les anciens. J. Rouam, Paris, 1884, pag. 118.
  3. Rirrault, Vergnaud et M..., Nouveau manuel du Peintre, etc. Enciclopédie Roret, pag. 92, Paris, 1843.