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8 prefazione

Questo attribuire a processi sconosciuti, a meccaniche indecifrabili proprie di tempi lontani, di uomini singolari appena noti per le opere e scomparsi insieme ai loro segreti; quel confessarsi bonariamente impotenti a raggiungere l’espressione, la bellezza e la verità che irradia dal tecnicismo delle creazioni dei maestri, scambiando così l’effetto per la cagione; quel potere quasi dire: voi pure Raffaello, voi pure Tiziano, se viveste nella nostra oscurità di trovati tecnici, ci sareste compagni di sventura, è uno dei fenomeni tipici del periodo attuale della nostra educazione artistica.

Tutti gli storici e biografi concordano nell’asserire che Tiziano ritornasse molte volte sugli abbozzi per lunghissimo tempo e le sue sovrapposizioni di colori e la maestria di quei tocchi decisi che risolvono l’opera e dànno l'illusione di un lavoro venuto di getto e così conservato come fosse uscito ieri dalle mani del maestro siano soltanto il riassunto della intensa e perseverante osservazione del vero e della faticosa elaborazione del pennello che sole conducono alle eccelse vette dell'arte. Eppure per questa sua grand'arte se non accade sentirlo scambiato coi più grandi praticoni del mestiere, è sempre una tacita intesa che gli attribuisce procedimenti noti a lui solo e con lui sepolti a mai sempre.

E mescite misteriose si fecero credere quelle adoperate da Paolo Veronese e Tintoretto in gigantesche opere condotte fra coorti di discepoli ed aiuti, che tutto seppero imitare dai maestri, fuor che la sterminata potenza del genio; l’unico enigma che veramente essi lasciassero insoluto alla posterità.

È ancora mistero il lucido degli affreschi dei tempi delle più diligenti pratiche pittoriche e dei segreti più impenetrabili, quello della tempera dei quattrocentisti!

Quante cose occulte avrebbero dovuto sapere gli