Atto III

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Atto II Nota storica

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Strada con canale e casa, ove abita Rosaura; gondola che arriva, da dove sbarcano.

Pantalone, Rosaura e Corallina.

Pantalone. Ande là, fiaa, andè da vostra siora mare. (a Rosaura) E vualtri andeve a ligar al campob. (alli barcaruoli, e si ferma a parlare con uno di essi; gondola via)

Rosaura. Siamo a casa? (a Corallina)

Corallina. Sì, non vedete?

Rosaura. Sia ringraziato il cielo. Temevo andare in quel brutto luogo.

Corallina. Non ve l’ha detto in gondola il signor Pantalone, che vi conduceva a casa? [p. 394 modifica]

Rosaura. Non gli credevo. (entra in casa)

Corallina. (Sinora è andata bene. Non so quel che succederà poi). (da sè, entra in casa)

Pantalone. Andemo a sentir se siora Beatrice sa gnente. (vuol entrare)

SCENA II.

Florindo e Pantalone.

Florindo1. Signor Pantalone, la riverisco divotamente.

Pantalone. Servitor umilissimo.

Florindo. Vorrei pregarvi d’una grazia.

Pantalone. La comandi. In cossa possio servirla?

Florindo. Voi siete il tutore della signora Rosaura.

Pantalone. Per servirla.

Florindo. Perdonate se a troppo mi avanzo. Sareste voi in disposizione di maritarla?

Pantalone. Perchè no? Volesse el cielo che ghe capitasse una bona fortuna. La putta xe in un’età discreta. De bontà no ghe xe fursi la so compagna. La gh’ha de dota quattordese mille ducati; la xe de bon parentà; chi la tolesse, no faria cattivo negozio. (Magari che el la volesse elo! So chi l’è; ghe la daria con tanto de cuor). (da sè)

Florindo. (Qui bisogna farsi coraggio). (da sè) Signor Pantalone, io sono uno che non ha amici di confidenza, perchè vivo a me stesso, e poco pratico. Le cose mie le faccio da me, quando posso, onde mi prendo l’ardire di chiedervi io stesso la signora Rosaura in consorte.

Pantalone. (Oh cielo, te ringrazio!)2 (da sè)

Florindo. Credo che mi conosciate bastantemente...

Pantalone. No la diga altro, caro sior Florindo. So chi la xe. [p. 395 modifica] son informà della so nascita, e del stato della so casa. Ho cognossù so sior pare e so sior barbac, zentilomeni veronesi de tutta stima e de tutta bontà. Accetto con tutto el contento la richiesta che la me fa de sta putta, e qua su do piè, da galantomo, da omo d’onor, ghe prometto che la sarà so muggier.

Florindo. Potete voi compromettervi della di lei volontà?

Pantalone. Me posso comprometter, so quel che digo, cognosso la bontà della putta, e po el merito de sior Florindo xe una bona lettera de raccomandazion.

Florindo. Voi mi consolate. Credetemi ch’io l’amo teneramente.

Pantalone. La senta, per ogni buon riguardo, anderò a dirlo alla putta, e ghe lo dirò anca a so siora mare...

Florindo. E se la madre non volesse?

Pantalone. Oh, circa la mare me ne rido. Ghe lo dirò per rispetto, ma co xe contenta la putta, fazzo conto che sia fatto tutto.

Florindo. E suo zio?

Pantalone. El lo saverà, el fa tutto quel che digo mi. Ma la senta, sior Florindo, la s’arrecorda ben che semo omeni, e no semo puttelli; se la putta se contenta, no trovemo radeghid, no se pentimo.

Florindo. Sono un uomo d’onore, non son capace di male azioni.

Pantalone. Me dala parola?

Florindo. Vi do parola.

Pantalone. Vago subito.

SCENA III.

Lelio e detti.

Lelio. Ah signor padre...

Pantalone. Via, tocco de desgrazià, via, galiotto, baron, no me vegnir più davanti3. Ma senti, furbazzo, per poco ancora ti spassizzeràe su ste pieref. ((entra in casa di Rosaura) [p. 396 modifica]

Florindo. Signor Lelio, convien credere che abbiate fatto qualche cosa di brutto a vostro padre, poichè vi scaccia sì bruscamente.

Lelio. Mi odia, non mi può vedere.

Florindo. Ma diavolo! Dirvi galeotto, disgraziato, sono cose che fanno inorridire.

Lelio. Ecco i titoli con cui mi onora.

Florindo. Avete inteso, che ha detto che per poco passeggierete ancor queste pietre?

Lelio. Certamente io dubito ch’ei mi voglia far catturare.

Florindo. Ma che mai gli avete fatto?

Lelio. Niente; non vuol compatire la gioventù.

Florindo. Via, posso io accomodare queste dissensioni?

Lelio. Caro signor Florindo, volete voi adoprarvi per me? Vi sarò eternamente tenuto.

Florindo. Vostro padre ha della bontà per me. Confidatemi il motivo del suo dispiacere, e lasciatemi operare.

Lelio. Vi dirò. Io sono innamorato della signora Rosaura.

Florindo. (Buono!) (da sè) E così? Fin qui non vi è male.

Lelio. Ho svelato l’amor mio a mio padre, e l’ho pregato di darla a me per consorte.

Florindo. Ed egli che cosa ha detto?

Lelio. Me l’ha barbaramente negata.

Florindo. (Pantalone è un uomo savio e dabbene). (da sè) Ma che avete fatto, che vaglia a disgustarlo?

Lelio. Ecco in che consiste il mio gran delitto. Non sapevo come fare a parlar colla signora Rosaura, per rilevar dalla sua bocca se potevo sperare ch’ella fosse di me contenta, fissando poscia in me stesso, che se la fanciulla mi voleva, il tutore non l’avrebbe potuto impedire.

Florindo. Ebbene, che è accaduto? (Mi pone in un’estrema curiosità). (da sè)

Lelio. Ecco in che consiste la mia gran colpa. Col pretesto che mio padre volesse farla vedere a certe signore, sono andato io a prendere in una gondola la signora Rosaura, e unita alla sua cameriera l’ho condotta in una casa a Castello. [p. 397 modifica]

Florindo. (Oimè! Che sento!) (da sè.)

Lelio. Ditemi, è questo un delitto sì grande, che meriti l’indignazione di mio padre.

Florindo. (Rosaura è stata in balia di Lelio?) (da sè)

Lelio. Mio padre è venuto, mi ha ritrovato a discorrere colla ragazza, ha messo sossopra il vicinato, e chi sente lui, pare ch’io abbia assassinato mezzo mondo.

Florindo. (Ah, l’onor mio vuole che io mi disimpegni!) (da sè)

Lelio. Eccovi tutta l’istoria. Caro amico, parlate voi a mio padre; ditegli che finalmente Rosaura non è una principessa; che non doveva negarmela, e che il suo sangue ha da prevalere alla sua tutela.

Florindo. (Ci penserò; non voglio che la passione m’acciechi). (da sè)

Lelio. Che cosa mi rispondete?

Florindo. Che vostro padre a ragion vi maltratta, che l’ardir vostro merita esser punito, e che da me non isperiate soccorso. (parte)

SCENA IV4.

Lelio solo5.

Lelio. Or sì che ho trovato un buon mediatore. Sta a vedere che Florindo ha qualche pretensione sopra la signora Rosaura; se così fosse, l’avrei fatta bella!6 Ah se potessi parlare colla signora Beatrice! Con tutto quel che le ho fatto, spererei guadagnarla. Ella è portata per la gioventù; quantunque in casa vi sia mio padre, credo meglio arrischiarmi, e ritentare la mia fortuna. (entra in casa) [p. 398 modifica]

SCENA V.

Camera7.

Beatrice e Corallina.

Beatrice. Vien qui, Corallina, sin tanto che Rosaura si spoglia, narrami come la cosa è andata.

Corallina. Oh che imbroglio! Non vi voleva altri che io a uscirne con onore.

Beatrice. Lelio dunque è innamorato di Rosaura?

Corallina. O di lei, o della dote.

Beatrice. Indegno! temerario! Far un’azione simile ad una casa onorata? Che cosa ha detto a Rosaura?

Corallina. Ha principiato a dirle belle8 parole, a farle degli scherzetti.

Beatrice. Ed ella?

Corallina. Ed ella... Lo sapete com’è fatta; s’accomoda facilmente. Ma io! Subito: tacete, bassi quegli occhi, giù quelle mani. Oh, se non era io!...

Beatrice. Manco male: tu sei una giovine di garbo. Le ha parlato di matrimonio?

Corallina. Eccome!

Beatrice. E Rosaura, che diceva?

Corallina. Oh, ella dice presto di sì.

Beatrice. Sfacciatella!

Corallina. Ma io! Zitto lì! Non si parla di queste cose; l’ha da saper la signora madre. Basta; ho gridato tanto, che mi sono infiammata il sangue.

Beatrice. E a Lelio non hai detto nulla?

Corallina. Se ho detto? Se ho detto? Vorrei che mi aveste sentita. Gli volevo fino mettere le mani sul viso. Volete sentire che cosa ha fatto quel temerario? [p. 399 modifica]

Beatrice. Indegno! Che ha fatto?

Corallina. Una cosa che mi fa venir i rossori sul viso.

Beatrice. Oimè! Che cosa è stato?

Corallina. Ha avuto l’ardire di offerirmi delli denari. A una donna della mia sorta?

Beatrice. Petulante! E tu?

Corallina. Ed io, figuratevi, gliene ho dette tante. A me denari? Non farei una mala azione per centomila zecchini.

Beatrice. Brava, Corallina; conservati sempre così.

Corallina. Oh sì, signora, denari io non prendo. (Se sono pochi). (da sè) Beatrice. Ecco Rosaura.

Corallina. Poverina! Consolatela; è mortificata.

Beatrice. Sì, la compatisco, è innocentissima.

SCENA VI.

Rosaura e dette.

Rosaura. Serva, signora madre.

Beatrice. Vien qui, la mia figliuola, lascia ch’io ti dia un bacio. Poverina! Hai passato un gran pericolo.

Rosaura. Avete saputo che cosa mi volevano fare?

Beatrice. Sì, l’ho saputo; manco male che vi era con te Corallina.

Rosaura. Oh, se non era Corallina, povera me!

Corallina. Sentite? Se non era io! (a Beatrice)

Beatrice. Vedi? Impara. Non bisogna fidarsi degli uomini, (a Rosaura)

Rosaura. Io non avrei mai creduto, che un uomo dabbene mi volesse assassinare.

Beatrice. Ma! il cielo ti ha assistita.

Rosaura. Corallina mi ha illuminato. Se non era ella!

Corallina. Se non era io!

Beatrice. Per l’avvenire ti saprai regolare.

Rosaura. Oh, non esco più di questa casa.

Beatrice. Il signor Pantalone ti metterà in un buon ritiro. [p. 400 modifica]

Rosaura. Oh, il signor Pantalone non mi corbella9.

Beatrice. Perchè?

Rosaura. Oh, non me la fa più.

Beatrice. Egli non ne ha colpa.

Rosaura. Sì, sì, non ne ha colpa! Se non era Corallina, so io dove mi metteva.

Corallina. Basta; la cosa è andata bene, non ne parliamo più.

Rosaura. Io sto bene dove sono, colla mia cara mamma.

Beatrice. Ma in ritiro dovete andare.

Rosaura. Signora madre, siete d’accordo anche voi col signor Pantalone?

Beatrice. Certamente passiamo di concerto.

Rosaura. Ah! me l’ha detto Corallina.

Corallina. Oh, io non fallo mai! (L’equivoco non può esser più bello). (da sè)

Beatrice. Dunque non vorreste andare in ritiro?

Rosaura. Signora no.

Beatrice. Ma perchè?

Rosaura. Perchè... sarò maltrattata... Mi chiuderanno fra quattro mura... Non vedrò più nessuno... (piange)

Beatrice. Eh via...

Corallina. Oh, vi dirò, signora mia. Il signor Lelio ha dette certe cose, che l’hanno intimorita. Non è vero? (a Rosaura)

Rosaura. Signora sì.

Corallina. Ed egli la voleva sposare. Non è vero?

Rosaura. Signora sì.

Beatrice. Bene bene; la discorreremo.

SCENA VII.

Pantalone e dette.

Pantalone. Patrone reverite. Siora Rosaura, con so bona grazia, ho da dir un no so che a so siora mare; la favorissa de retirarse per un pochetto. [p. 401 modifica]

Rosaura. Ah caro signor Pantalone, per carità...

Pantalone. Cossa vorla?

Rosaura. Non mi assassinate.

Pantalone. Mi sassinarla?

Rosaura. Là dentro non ci voglio andare.

Pantalone. Dove dentro?

Rosaura. In quel brutto ritiro.

Pantalone. No, no, no ve dubitè.

Rosaura. Più tosto...

Pantalone. Più tosto cossa?

Rosaura. Mi mariterò. (parte)

Pantalone. El repiego no xe cattivo. Corallina, andè via.

Corallina. Si potrebbe dirlo con un poco di grazia.

Pantalone. Via, destrigheve.

Corallina. Andate là, che avete un bel figlio! Se non era io! (parte)

SCENA VIII10.

Pantalone e Beatrice.

Pantalone. Siora Beatrice, gh’ho da parlar.

Beatrice. Che dite, eh? di quello scellerato di vostro figlio?

Pantalone. Cossa vorla che diga? Son mortificà, son confuso. Ma quel furbazzo el gh’averà quel che el merita.

Beatrice. Il suo castigo non gioverà alla riputazione della mia figliuola.

Pantalone. Siora Beatrice, el cielo ha provisto. Za un quarto d’ora siora Rosaura me xe stada domandada per muggier.

Beatrice. Se si saprà l’accidente occorso, non la vorranno più.

Pantalone. Chi me l’ha domandada, no sa gnente. Stassera el la sposa; l’è forestier; sti quattro zorni che el stà a Venezia, nol se lassa solo. El mena via la muggier, no se ghe ne parla mai più. Finalmente cossa xe sta? Chiaccole, e no altro.

Beatrice. Sì, in grazia di Corallina. [p. 402 modifica]

Pantalone. Son sta dal sior Ottavio. A st’ora l’ho trovà in letto, despoggià co fa un porcello; gh’ho dito tutto, e l’è contentissimo; anzi adesso el se veste, e el vien da ela a discorrer de sto negozio.

Beatrice. Ma chi è questo forestiere, che vuol mia figlia?

Pantalone. El sior Florindo Aretusi.

Beatrice. Florindo!

Pantalone. Giusto elo.

Beatrice. Io dubito che prendiate sbaglio.

Pantalone. Che sbaglio oio da prender?

Beatrice. Vi ha chiesto veramente Rosaura?

Pantalone. Mi no gh’ho fie. Chi m’avevelo da domandar?

Beatrice. Poteva parlarvi di qualche altra persona.

Pantalone. E mi ghe digo che a mi, come tutor de siora Rosaura, el me l’ha domandada per muggier.

Beatrice. Perchè non dirlo a me?

Pantalone. Mi no so gnente; el me l’ha dito a mi.

Beatrice. È un asino, non ha creanza, non gli voglio dare la mia figliuola.

Pantalone. La me perdona. L’occasion xe bona, el partìo me piase, sior Ottavio xe contento, bisogna che la se contenta anca ela.

Beatrice. Corallina. (chiama)

SCENA IX.

Corallina e detti.

Corallina. Signora.

Beatrice. Di’ a mio fratello, che venga qui subito.

Corallina. Sì signora. (parte)

Beatrice. Ma vi ha specificato il nome di Rosaura?

Pantalone. Mo se ghe digo de sì. E po a mi, de chi diavolo me avevelo da parlar?

Beatrice. (Maledetto!) (da sè) Ebbene, viene mio fratello? (a Corallina, che ritorna) [p. 403 modifica]

Corallina. Ha detto che si veste.

Beatrice. Quando è vestito, venga subito.

Corallina. Oh, vi è tempo. (pmie)

Pantalone. Intanto che sior Ottavio se veste, anderò a scriver una lettera, se la me permette.

Beatrice. Sì, sì, andate.

Pantalone. (Vôi andar a dir le parole a siora Rosaura, avanti che ghe parla so mare). (da sè)

Beatrice. Bravo, signor Florindo, bravo! Villanaccio! Parla con me e non mi dice niente? Mi porta i dolci. Accarezza la madre, per fare all’amore colla figliuola? No, non vo’ che tu l’abbia. Pantalone può dire... Ma non vorrei che questo vecchio, col pretesto della lettera, svolgesse Rosaura. Voglio andar a vedere; passerò di qua in quest’altra camera, e ascolterò11. (apre un uscio, da dove esce)

SCENA X.

Lelio e detta.

Lelio. Deh signora mia...

Beatrice. Come! indegno, temerario! Che fate qui?

Lelio. Zitto per pietà.

Beatrice. Siete venuto per rapirmi nuovamente la mia figliuola?

Lelio. No signora, son qui per giustificarmi12.

Beatrice. Chiamerò vostro padre.

Lelio. (S’inginocchia, e le tiene le vesti) Ah per pietà, per carità?

Beatrice. Siete un assassino.

Lelio. Sono un amante della vostra figliuola.

Beatrice. Se volete la mia figliuola, perchè non chiederla a me?

Lelio. Volevo assicurarmi prima dell’amor suo.

Beatrice. Siete un mentitore. Chiamerò vostro padre.

Lelio. Non fate strepito per l’onore di vostra figlia.

Beatrice. Ah, che per causa vostra la mia povera figlia è [p. 404 modifica] pregiudicata. Pur troppo si saprà, pur troppo le genti parlano. Ah scellerato! che cosa avete voi fatto alla mia figliuola?

Lelio. Niente, signora mia; le ho parlato e non altro.

Beatrice. Per cagione di quella buona ragazza di Corallina; per altro...

Lelio. Certamente, Corallina è una ragazza buonissima; si è contentata di dieci13 zecchini per farmi porger la mano.

Beatrice. Come? Corallina ha avuto dieci zecchini?

Lelio. Sì signora, ve lo giuro sull’onor mio.

Beatrice. Corallina.

SCENA XI.

Corallina e detti.

Corallina. Signora... (vede Lelio) Uh. (corre via)

Lelio. Vedete? Fugge per vergogna.

Beatrice. Ah disgraziata! Ora crederò che sia innocente Rosaura? Ora crederò alla vostra modestia? Ora mi fiderò che non sia assassinata?

Lelio. Signora, ve lo giuro.

Beatrice. Siete un perfido.

Lelio. Credetemi.

Beatrice. Mi avete tradita.

Lelio. Uditemi, signora mia. Tant’è vero ch’io sono innocente verso la vostra figliuola, che potrei senza scrupolo sposarmi con voi.

Beatrice. Sposarvi con me? (placidamente)

Lelio. Sì signora, ve lo protesto.

Beatrice. Siete un discolo, uno scapestrato. Per altro questa sarebbe la via per rendere la riputazione a mia figlia.

Lelio. Deh signora mia...

Beatrice. Ecco vostro padre.

Lelio. Lasciatemi nascondere. (Anco questa ha otto o diecimila ducati). (da sè; entra nella stanza di prima)

Beatrice. Indegno! sposarmi! Basta... [p. 405 modifica]

SCENA XII.

Pantalone e detta.

Pantalone. E cussì? Sto sior Ottavio no s’ha gnancora visto.

Beatrice. Avete terminata la lettera?

Pantalone. Siora sì.

Beatrice. E Rosaura l’avete veduta?

Pantalone. L’ho vista.

Beatrice. Le avete detto nulla del signor Florindo?

Pantalone. Gh’ho dito qualcossa.

Beatrice. Già me l’immaginavo. Mi piace il pretesto della lettera.

Pantalone. Qualcossa bisognava che ghe disesse.

Beatrice. Ebbene, che cosa ha ella detto?

Pantalone. Gh’ho proposto sior Florindo per mario, e ela ha fatto bocchin, e l’ha dito de sì.

Beatrice. Ma vi ho da essere ancora io.

Pantalone. Seguro che la ghe sarà.

SCENA XIII.

Brighella e detti.

Brighella. Sior Pantalon, l’è domandà.

Pantalone. Chi me voi?

Brighella. El sior Florindo Aretusi.

Pantalone. Diseghe che el resta servido. Se contentela? (a Beatrice)

Beatrice. Sì, venga, ho piacere di vederlo. (Gli darò gusto). (da sè)

Pantalone. Felo vegnir, e po andè da sior Ottavio, e diseghe che l’aspettemo.

Brighella. La sarà servida. (parte)

Pantalone. Un partìo meggio de questo mi no saveria dove andarlo a cercar.

Beatrice. Sì, buono! (con ironia)

Pantalone. Cossa ghe trovela de mal?

Beatrice. Niente. (Florindo non ha creanza; chi non stima la madre, non menta la figliuola). (da sè)

Pantalone. El xe vegnù a tempo, no se lo lassemo scampar. [p. 406 modifica]

SCENA XIV14.

Brighella e detti, poi Florindo.

Brighella. Sior Florindo vorria parlarghe da solo a solo. El l’aspetta in salag. (a Pantalone)

Pantalone. Diseghe che el vegna qua, che el me fazza sta finezza. Sior Ottavio vienlo?

Brighella. L’ha dito ch’el se veste. (parte)

Pantalone. No sta tanto a vestirse una novizza15.

Beatrice. (Che caro Lelio! Sposarmi!) (da sè)

Florindo. Servitor umilissimo di lor signori.

Pantalone. La favorissa, la vegna avanti.

Beatrice. (Ah briccone!) (sospirando nel veder Florindo)

Florindo. Io non ardiva avanzarmi; tanto più che vi è qui la signora Beatrice.

Beatrice. Le do soggezione, padron mio?

Pantalone. Za siora Beatrice sa tutto. La xe mare amorosa, e la xe contenta...

Beatrice. Mi maraviglio di voi, non è vero, non sono contenta; e mia figlia non gliela voglio dare.

Pantalone. Se no la ghe la vol dar ela, ghe la darò mi, e ghe la darà sior Ottavio. Oe, chi è de là?

SCENA XV.

Arlecchino e detti.

Arlecchino. Sior.

Pantalone. Diseghe a sior Ottavio che el se destriga, che el vegna subito.

Arlecchino. Sior sì. (parte, e poi ritorna) [p. 407 modifica]

Beatrice. No, non gliela voglio dare.

Florindo. Signora, non vi riscaldate; io son qui venuto...

Pantalone. Mi son el so tutor. A mi me tocca maridarla; el testamento parla chiaro, me tocca a mi. E cussì vienlo? (ad A lecchino che torna)

Arlecchino. El se veste.

Pantalone. El se veste?

Arlecchino. El se veste. (parte)

Pantalone. El s’averà po vestìo.

Beatrice. Che caro signor Florindo!

Florindo. Signora mia, torno a dirvi, non vi riscaldate. Son venuto16 per dir al signor Pantalone, e dico a voi nello stesso tempo, che in quanto a me la signora Rosaura resta nella sua libertà.

Beatrice. Non ve l’ho detto, signor Pantalone? Avete preso sbaglio.

Pantalone. Come, patron? No m’ala domandà a mi siora Rosaura per muggier?

Florindo. È verissimo.

Pantalone. E adesso cossa me disela?

Florindo. Dico che vi ringrazio d’avermela accordata, ma non sono in grado di maritarmi.

Beatrice. (È pentito del torto che mi faceva). (Ja sè)

Pantalone. Me maraveggio. S’arrecordela d’averme promesso in parola d’onor? S’arrecordela che gh’ho dito, che no semo puttei, che la parola xe corsa?

Florindo. Sì signore, tutto m’arricordo, ma ho dei motivi per ritirarmi da un tal impegno.

Beatrice. (Mi pareva impossibile). (da sè)

Pantalone. E la farà che le parole de siora Beatrice ghe fazza mancar al so dover? Una mare xe da rispettar, xe vero, ma in sto caso, la sa cossa che gh’ho dito. I tutori dispone... Chi è de là? [p. 408 modifica]

SCENA XVI.

Brighella e detti.

Brighella. Sior.

Pantalone. Mo via, sto sior Ottavio, per amor del cielo.

Brighella. Subito. (parte, poi ritorna)

Florindo. Signora, venero la signora Beatrice, ma ho dei motivi più forti per essermi di ciò pentito.

Pantalone. Che motivi? La diga.

Florindo. Ho dei riguardi a parlare.

Beatrice. Eh via, parlate. Non abbiate soggezione.

Florindo. Dunque dirò...

Pantalone. Xelo qua? (a Brighella che toma)

Brighella. El se veste. (parte)

Pantalone. (Oh, sielo maledetto col sarà vestìo!) (da sè) E cussì? (a Florindo)

Florindo. Dirò, giacchè mi obbligate a parlare, non essere di mio decoro sposare una giovane, che con inganno è stata dalla propria casa involata.

Pantalone. (Oh Dio! Come lo salo?) (da sè)

Beatrice. (Ah, non è pentito per causa mia!) (da sè)

Pantalone. Caro sior Florindo, chi v’ha contà ste fandonie?

Florindo. Vostro figlio medesimo.

Pantalone. Ah infame! Ah desgrazià! Quando? Come?

Florindo. Si raccomandò a me medesimo, perchè io fossi presso di voi mediatore del suo perdono. Mi raccontò l’avventura, ed oltre a quanto mi ha detto, ho motivo di dubitare assai più.

Pantalone. No, sior Florindo, ve l’assicuro mi, Rosaura xe onesta, Rosaura xe innocente.

Florindo. Questa è una sicurtà, che voi non mi potete fare.

Beatrice. Ecco, signor Pantalone, per causa di vostro figlio Rosaura è precipitata.

Pantalone. Ah, che sempre più cresse la mia collera contra de quel desgrazià! Sì, l’accuserò mi alla Giustizia; farò che el sia castigà. Povera putta! Ah! sior Florindo, no l’abbandonè. [p. 409 modifica]

Florindo. Sa il cielo quanto l’amo. Ma l’onor mio lo preferisco all’amore.

SCENA XVII.

Lelio e detti.

Lelio. Signor Florindo...

Pantalone. Ah infame! Ah scellerato! Qua ti xe?

Lelio. Ascoltatemi, signor padre, ascoltatemi, signor Florindo: io non son reo che di un semplice tentativo. La signora Rosaura è innocente; e per prova della verità, e per risarcimento di qualunque menoma macchia possa io avere inferita al decoro di questa onesta fanciulla, son pronto a dar la mano di sposo alla signora Beatrice.

Pantalone. (Oh che galiotto!) (da sè)

Florindo. Non niego, che ciò non potesse contribuire alla riputazione della figliuola.

Pantalone. (In t’un caso simile bisogna rischiar tutto). (da sè) Cossa dise siora Beatrice?

Beatrice. Ah! Voi mi vorreste far fare un gran sagrifizio...

Pantalone. Chi è de là?

SCENA XVIII.

Arlecchino e detti.

Arlecchino. Sior.

Pantalone. Subito, subito, che vegna sior Ottavio.

Arlecchino. Subito. (parte, poi ritorna)

Pantalone. Siora Beatrice, qua se tratta d’onor, se tratta del so sangue, e se tratta del mio. Mi son offeso da un fio, ma considerando che l’ha fallà per amor, son pronto a desmentegarme ogni cossa. (Eh furbazzo, ti me n’ha fatto de belle! Basta). (piano a Lelio) Lelio che giera innamorà de siora Rosaura, per salvarghe l’onor, el se esebisse, el fa el sacrifizio de sposar la mare...

Beatrice. E lo chiamate un sagrifizio? [p. 410 modifica]

Pantalone. Basta, voggio dir... El pensa de meggiorar! Tocca a ela a coronar l’opera: salvar el decoro della so casa, d’una so fia, de se medesima17, e consolar tanta zente con una sola parola.

Arlecchino. Son qua. (ritornando)

Pantalone. Cossa dise sior Ottavio?

Arlecchino. El se veste.

Pantalone. Diseghe per parte mia, che el se fazza vestir dal diavolo.

Arlecchino. La sarà servida. (parte)

Pantalone. E cussì, siora Beatrice?

Beatrice. Ah, è tanto grande l’amore che ho per la mia figliuola, che per lei son pronta a sagrificarmi. Signor Lelio?

Lelio. Signora.

Beatrice. Vi sposerò.

Pantalone. Cossa dise sior Florindo?

Florindo. Che se la signora Beatrice viene sposata dal signor Leho, io non ho difficoltà a dar la mano alla signora Rosaura.

Pantalone. Presto, dov’è siora Rosaura?

SCENA XIX.

Rosaura e detti.

Rosaura. Eccomi, eccomi.

Pantalone. Vegnì qua, fia mia. Sior Florindo ve desidera per muggier, come che za v’ho dito. Seu contenta?

Rosaura. Signor sì.

Pantalone. Vela là, la fa bocchin, e la dise de sì. Via, sior Florindo, la ghe daga la man.

Florindo. Così subito?

Pantalone. O la ghe daga la man, o la metto in ritiro.

Rosaura. Ah no, per amor del cielo! No, in quel ritiro, per carità.

Pantalone. Ma cossa credeu che el sia sto ritiro? [p. 411 modifica]

Rosaura. Mi ha detto Corallina che è così brutto, che starò male, che sarò sepolta. Oh cielo18! tremo tutta.

Pantalone. Corallina l’ha dito? Oh desgraziada!

Lelio. Sì signore, quella buona ragazza che mi ha mangiato dieci zecchini.

Pantalone. Ah sassina! Dove xela19 Corallina?

Rosaura. Signore, non è più in casa. Ha presa la sua roba, e se n’è andata.

Pantalone. Per cossa?

Rosaura. Ha detto che se ne andava per causa mia.

Pantalone. Bon viazzo. Via, sior Florindo, tanto fa, concludemo. Vela qua la so cara sposa.

Florindo. (Oh cielo!) (da sè) E il signor Ottavio?

Pantalone. El se veste.

Florindo. Via, le darò la mano. Ma prima la dia vostro figlio alla signora Beatrice.

Lelio. Per me son pronto. (Non vi voleva altro per rimediare ai miei disordini). (da sè)

Beatrice. Ah Rosaura! guarda se ti voglio bene.

Rosaura. Che cosa fate, signora madre?

Beatrice. Io mi marito per te.

Rosaura. Ed io mi mariterò per voi.

Beatrice. (Florindo ingrato!) (da sè)

Lelio. Signora, ecco la mano.20

Pantalone. (Un orbo che ha trova un ferro da cavallo). (da sè) Sior Florindo, a ela.

Florindo. Sì. Eccovi, Rosaura, la mano.

Pantalone. Via, anca vu. (a Rosaura)

Rosaura. Eccola.21

Pantalone. Brava. I matrimoni xe fatti. Sia ringrazia el cielo. Lelio, po la discorreremo. [p. 412 modifica]

SCENA ULTIMA.

Ottavio, Brighella, Arlecchino e detti.

Ottavio. Eccomi, eccomi. Ho fatto presto?

Pantalone. Bravo.

Arlecchino. El s’ha vestido.

Pantalone. Sior Ottavio, xe fatto tutto.

Ottavio. Sì? Ho gusto. Posso tornare a letto.

Pantalone. Aspettè, sior porco. Compatirne, me fe rabbia.

Ottavio. Eh, dite pure. Io non l’ho per male.

Pantalone. Sior Florindo ha sposà siora Rosaura.

Ottavio. Oh!

Pantalone. E mio fio ha sposà vostra sorella.

Ottavio. Oh!

Pantalone. E vu resterè solo.

Ottavio. Non me n’importa niente.

Pantalone. Bravo, evviva la flemma22.

Florindo. Signor Pantalone, giacchè avete avuto tanto amore per la signora Rosaura, vi prego, dovendo io andare alla patria mia, compiacervi di seguitar il maneggio dei di lei beni.

Pantalone. Volentiera, con tutto el cuor.

Lelio. Caro padre, vi supplico rimettermi nell’amor vostro, ed or che sono ammogliato, non mi abbandonate colla vostra direzione.

Pantalone. Sì, se ti gh’averà giudizio, te sarò pare amoroso, sarò to economo, te farò el fattor.

Ottavio. Oh, se voleste fare questo benefizio anche a me!

Pantalone. Sì ben. Vu ghe n’ave bisogno più dei altri. Lo farò volentiera. Manizzerò mi la vostra roba. Ve mantegnirò, e no penserè a gnente.

Ottavio. Oh cielo, ti ringrazio.

Brighella. Sior padron, (ad Ottavio) ghe domando la mia buona licenza, no gh’ho più voia de servir. Vago a cavarme la livrea. (parte) [p. 413 modifica]

Ottavio. Ehi, la mia doppia.

Pantalone. Costù sa come che el sta. El gh’ha paura de mi.

Arlecchino. E a mi chi me darà da magnar?

Pantalone. Mi te ne darò.

Arlecchino. E mi magnerò.

Ottavio. Signora sorella, siete maritata?

Beatrice. Per far bene a Rosaura.

Ottavio. (ride) E voi, nipote?

Rosaura. Per far bene a me.

Ottavio. (Ride) Andiamo a cena.23

Pantalone. Orsù, andemo a far le scritture de dota. Finalmente tutto xe giustà, tutto xe fenio. Lelio, spero che col matrimonio ti muerà vita. Te perdono tutto24. Siora Rosaura xe ben logada, e ho adempio al mio debito, e ho superà tutto, e ho sempre osserva quella giustizia, quell’attenzion, quella fedeltà, quella onoratezza, che xe necessaria in un omo onesto, che ha tolto l’impegno d’esser e che deve esser un bon Tutor.25

Fine della Commedia.


Note dell'autore
  1. Figlia, per espressione amorosa.
  2. Piazzetta.
  3. Zio.
  4. Imbrogli.
  5. Passeggerai.
  6. Pietre.
  7. Una sposa.
Note dell'editore
  1. Precede nell’ed. Bett.: «Fior. Ecco per l’appunto il signor Pantalone. Pant. Oh, se me posso destrigar de sia putta!».
  2. Così le edd. Bett., Pap. ecc. Le edd. Pasquali, Zatta e altre stampano anche qui per isbaglio le parole Potete voi ecc.
  3. Bett. aggiunge: no me chiamar per nome.
  4. È unita alla scena preced. nell’ed. Bett.
  5. Pap. aggiunge: poi alcuni birri col loro capo.
  6. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Che gente è quella? Mi pajono birri. Vengono a questa volta; assolutamente mi cercano. Il loro numero non mi spaventa. Se ardiranno accostarsi, sarà peggio per loro. I birri s’avanzano per arrestar Lelio, egli si difende con spada e pistola. Essi retrocedono. Lui per salvarsi rinculando entra in casa di Rosaura, e chiude la porta. Bargello. Ah, non è nostro decoro che un uomo solo ci abbia intimoriti. Andiamo a prendere dell’altra gente. Attendiamolo ch’egli esca, prendiamolo a forza. Due di voi restino a guardar i posti, e se fugge, tenetegli dietro. E pur è vero; noi altri maneggiamo tutto il giorno armi da fuoco, e una pistola ci fa paura. Ma la vita ci preme a tutti. Tutti partono».
  7. Edd. Bett., Pap. ecc.: «Camera di Beatrice. Lelio. Ah, per fuggir dai birri, mi sono ricoverato dov’è mio padre. S’egli mi vede, meschino me. Sento gente. M’asconderò in questa camera. Ah, se potessi parlare colla signora Beatrice! Con tutto quel che le ho fatto, spererei guadagnarla. Ella è portata per la gioventù». Segue poi sc. VI, Beatrice e Corallina.
  8. Bett. e Pap.: delle belle.
  9. Bett. e Pap.: non mi cucca.
  10. È unita alla scena preced. nell’ed. Bett.
  11. Bett. aggiunge: Se mi fa quest’azione, povero lui!
  12. Bett. e Pap.: per salvarmi dalle mani de’ birri.
  13. Bett. e Pap.: trenta.
  14. Nell’ed. Bett. questa e le scene seguenti sono suddivise.
  15. Bett.: in portego.
  16. Bett.: A posta son venuto.
  17. Zatta: d’ela medesima.
  18. Bett., qui e sotto: Oh Dio!
  19. Bett.: Dove xela?
  20. Segue nell’ed. Bett.: «Beatr. Ecco la mia. Rosaura, per te. Lel. (Ma la dote sarà per me). Pant. (Un orbo ecc.)».
  21. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Signora madre, io mi marito... per me. Pant. Brava, evviva. I matrimoni ecc.».
  22. Bett.: la pachea.
  23. Bett. e Pap. aggiungono: ad Arlecchino che lo conduce via.
  24. Bett. e Pap. aggiungono: e ai zaffi farò che l’ordene sia levà.
  25. Segue nell’ed. Bett. il seguente

    SONETTO.
    Mi tutor non son stà de quella razza
         Che scortega e tradisce i so pupilli;
         Che a forza de pretesti e de cavilli
         In tel sangue innocente i se sbabazza.
    Oh quanti ghe ne xe che magna e sguazza,
         In materia d’onor poco suttili:
         Ma al strenzer delle stroppe, oh quanti stili!
         No i sa quel che i se diga, o che i se fazza.
    Manizzar bezzi el xe un mistier che piase.
         Ma la roba dei altri scotta e brusa,
         E mai col cuor no se la gode in pase.
    Tutori, no stè a far quel che se usa;
         Perchè se adesso la conscienza tase,
         Un dì no gh’avere tempo, nè scusa.