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IL TUTORE 373

Beatrice. È andata; e voi perchè non l’avete aspettata?

Pantalone. Quanto sarà che la xe andada?

Beatrice. Un quarto d’ora.

Pantalone. Con chi xela?

Beatrice. Con Corallina.

Pantalone. E la lassa andar do putte de quella sorte con un tocco de zovenastro?

Beatrice. È venuto per parte vostra.

Pantalone. Perchè no xela andada ela co so fia? (alterato)

Beatrice. Ma che? Vi è qualche pericolo?

Pantalone. Pericolo, o no pericolo, la mare no ha da lassar andar in sta maniera la fia. La xe colla cameriera? Le cameriere, se sa che le se l’intende colle patrone. Xe vegnù mio fio? El xe un zovene, e dei zoveni no se se fida. (Oh bestia matta senza cervello!) (da sè)

Beatrice. Ho fatto chieder consiglio a mio fratello.

Pantalone. L’ha tolto conseggio da un omo de garbo.

Beatrice. Ma voi mi ponete in dubbi grandi. Non vorrei... Signor Pantalone, andate subito; se vostro figliuolo avrà ardir d’ingannarmi, giuro al cielo, me la pagherà.

Pantalone. Zitto. No sarà gnente. La putta sarà là che la me aspetterà. Dico solamente per la bona regola. Cossa dirà quelle bone creature, co le vederà do putte con un zovenotto? Giudizio, siora Beatrice, giudizio. Vago subito. (Oh poveretto mi! Dove sarali? Dove anderali? Ah infame! Ah traditor! Cossa averali fatto?) (da sè, parte)

Beatrice. Manco male che non vi sono inganni: ma se non fosse vero che il signor Pantalone avesse mandata a levar mia figlia, e che Lelio me l’avesse rapita, misera me! Che mai sarebbe? È vero, dovevo andar io. Ma aspetto il signor Florindo. Che vuol dire che ancor non viene! L’ora è tarda. Sono impaziente di rivederlo. Voglio andare ad attenderlo alla finestra. (parte)