Il libro dei morti/Capitolo V

Capitolo V

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CAPITOLO V.


In quel contado, poco tempo prima del 1859, venne medico condotto un uomo vigoroso e giovane di cuore, avvegnachè fosse piuttosto avanti con gli anni ed avesse una gran capigliatura grigia, che gli copriva una testa grossa, ben fissata sopra le spalle ampie e un po’ curve.

Aveva un sorriso buono e melanconico e ne gli occhi una luce piena di dolcezza.

Lo si vedeva quasi sempre per le viottole e per le strade, su di un calessino al trotto di una rozza: tutto curvo, assecondando macchinalmente lo scotimento del veicolo, lasciava lente le redini [p. 62 modifica]ed accarezzava con la mano callosa una bella testa bionda di giovanetto che gli sedeva appresso. Di quest’uomo conviene parlare alquanto.

Egli era stato un cospiratore e un combattente de le prime rivoluzioni italiane; uno di quelli che erano chiamati atei, volterriani, carbonari, nemici del trono e de l’altare. Voci male appropriate, almeno per questo nostro personaggio; perchè egli avea semplicemente in cuore la fede de la patria, fede giovane, viva, eroica!

Pregava Dio per la patria, congiurò anche con Francesco di Modena per l’unità de la patria.

Questa ridente idealità d’una gran nazione italiana si congiungeva fatalmente nel suo pensiero a tempi ed a vicende lontane: fin da quando Romolo sul boscoso Aventino segnava i limiti del tempio per trarre gli auspici di Roma futura; fin da quando Petrarca piangeva e fremeva sui volumi dell’antica sapienza latina; fin da quando Savonarola predicava al popolo di Firenze la buona novella di virtù e di amore! — e queste memorie erano circonfuse d’un’aureola immanente di gloria, e di questa gloria niuna interruzione v’era stata; [p. 63 modifica]perchè i re barbari avevano potuto calpestare e lacerare la sacra terra; ma l’arte, le tradizioni, il sapere lucevano sempre in alto come labaro invincibile di unità.

Dolce patria, terra santissima!

Egli congiurò, combattè sorridendo e lagrimando come un eroe dei buoni tempi antichi. In verità non fu sua colpa se una palla non lo colpì o il capestro non lo raggiunse.

Un giorno si trovò come travolto da un torrente di fuga ed esulò in Inghilterra.



Prese alloggio in una stanza al quarto piano di una via triste e remota.

Allora in Londra v’erano molti nobili esuli e molti che ne facevano professione. Egli visse solitario da gli uni e da gli altri, non per isdegno o per orgoglio, ma per un senso di pudore e di timidezza innata e dolorosa.

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Ora sovente, quando usciva verso le cinque per rifocillarsi, in una trattoria vicina, gli era avvenuto d’incontrarsi, su per le scale, con una donna ancor giovane, forse più giovane che non sembrasse a vedere; molto alta, molto austera nel suo water-proof bigio.

Chi fosse non sapeva, perchè in certe enormi case de le grandi città si può vivere per cinquant’anni uscio ad uscio senza altrimenti conoscersi che per il nome comune di miserabili. Solo parea molto stanca salendo quelle scale, grommate di muffa e di miseria; ma la sua fronte non si curvava nè per salutare nè per mestizia: una fronte bianca e serena.

Una volta d’inverno, mentre la notte e la nebbia montavano alte e silenziose, il dottor Lorenzo (così si chiamava) udì battere al suo uscio. S’alzò da lo studiolo ove stava leggendo, e corse ad aprire.

Era la giovane vicina.

Un dolore improvviso misto a spavento avea scomposto la serenità del suo volto.

Disse precipitosamente: — Voi siete medico, [p. 65 modifica]signore? così ho letto sul cartello dell’uscio — poi con un fremito lagrimoso aggiunse: — Venite, mia madre muore! —

Il dottore la seguì. Ella lo precedette su per un altro ramo di scale, alzò il saliscendi di un uscio, attraversò un corridoio, e, giunta davanti ad una porticina da cui trapelava un filo di luce — È qui — disse ed aperse ed entrò piano.

Una lampada a petrolio gettava la sua luce scialba su di un ammasso erto di guanciali dove posava un torso spaventosamente scarno ed una faccia che la morte già avea composta per il suo regno.

La pupilla era quasi vitrea; i capelli grigi, sparsi sul guanciale, madidi di sudore. Solo, di quando in quando, un dolore tenebrante contraeva i muscoli del volto, mentre lo sterno, quasi una forza spietata lo avesse spinto di sotto, si levava lento ed orribile così che le apofisi de le clavicole si disegnavano sotto la cute; poi ricadeva giù come un mantice sfiatato per rialzarsi con nuova angoscia.

— È vizio cardiaco? — disse il dottore rivolto a la giovane. [p. 66 modifica]

— Sì — rispose.

— E il medico curante?... —

— È venuto domenica l’ultima volta, ma mi ha fatto capire che sarebbe stato inutile il ritornare. —

— E questo accesso?.... —

— Sono ritornata a casa a le sei: non è colpa mia se devo lavorare sino a quell’ora; l’ho trovata così come è adesso su la poltrona: l’ho portata sul letto.... —

Il dottore non rispose. Scostò le coperte che coprivano a la meglio la morente, posò il capo sul petto ed ascoltò a lungo. Non s’udiva in quella stanza che lo strazio di quel petto orribile. Poi tastò il polso, e, mentre la giovane donna spiava ansiosa e stava per domandare, corse di là e ritornò con una boccettina ed una siringa.

— Ecco quello che io posso fare — disse prevenendo la disperata dimanda; — se pure è bene — mormorò tra sè crollando la testa.

Mise un poco del liquore ne la siringa, vi adattò l’ago e fece alcune iniezioni sottocutanee ne la regione cardiaca. [p. 67 modifica]

Poco dopo la vecchia si riebbe, l’occhio acquistò luce e si volse verso la figliuola mormorando: — Mia cara Nelly! — nè disse altro.

Ella, la figliuola, le scostò piano i capelli, le deterse il sudore e le diceva molte e dolci parole con voce piana, lenta, soave.

Ma la vecchia oramai non intendeva più.

Solo le pupille, fatte vitree, ancora si tenevano rivolte a la figliuola in atto d’interrogare: — Perchè non vieni anche tu? —

Ed ella dicea, rivolta al medico: — Ancora, signore, ancora una volta! —

— È un prolungare un supplizio inutile — rispose il dottor Lorenzo tristamente.

— Dunque non v’è alcuna speranza, nessuna? —

Ma l’uomo, immobile, ritto al capezzale, con la mano de la morente ne la sua mano, chinò il capo per non rispondere.

Allora, come fiaccata, la giovane cadde ginocchioni presso il letto e chinò la bocca ed il capo su l’altra mano de la madre, nè più si mosse nè disse parola.

Non si udiva ne la stanza che il fremito del [p. 68 modifica]petto che si squarciava ne gli ultimi sforzi del respiro.

Il lume gettava la sua luce immota, e il tempo era segnato dal fungo del lucignolo che cresceva e sbiadiva la luce.

L’uomo si era seduto lì accanto e stava muto e pensoso; la donna sempre in ginocchio dall’altra parte del letto.

Passò molto tempo, rotto ogni tanto dal suono allegro del vicino orologio, che batteva i quarti d’ora, che fuggivano l’uno dopo l’altro in fretta.

Ad un tratto la giovane donna si levò come di scatto e pareva più alta e più pallida che non fosse. L’occhio era spaventosamente aperto e i muscoli del volto contratti.

Fissò prima la madre che era ricaduta sui guanciali, ferma, rigida, poi il medico e domandò con voce indefinibile di terrore e di dolore: — È morta? —

— In questo momento, figliuola. Oramai è il mattino. —

Allora ella levò le braccia disperata e poi le posò sui guanciali e si buttò faccia a faccia contro [p. 69 modifica]a la morta e gridò e chiamò la madre e la bagnò di grande pianto.

La morta si puntava stecchita sui cuscini.

Già da la via, rumori di voci e di carri, squilli freschi di campane, fruscii di passi annunziavano la nuova alba squallida e lutolenta.



Il cadavere fu portato via ed il dottore per molte settimane nè vide nè ebbe notizia alcuna de la infelice giovane.

Ma un giorno ritornò in quelle sue stanze fredde, piene di morte; e riprese la vita di prima, ed era così stanca e disfatta che il dottore ne ebbe pietà, e vincendo ogni ritrosìa, le si proferse apertamente amico e la pregò di tenerlo in conto di fratello o di padre, se più così le fosse piaciuto.

Ed ella che era sola e triste, accettò.

Si vedevano sovente. Egli passava molte ore da lei, ed ella veniva a trovarlo. [p. 70 modifica]

Miss Nelly aveva ventisette anni. — Proprio ventisette — diceva sorridendo; — non pare, non è vero? Sembro molto più vecchia. —

Ma al soave tepore dell’amicizia quella austera e patita figura di donna si era sciolta come neve, sì che sorridendo le brillava ne gli occhi e nel volto una luce di giovinezza serena e verginale.

L’uso di una vita affaticata ed umile aveva forse fatto ignorare a lei stessa che era giovane e piacente, ma rifioriva all’affetto come ligustro di campo quando torna il buon tempo.

Sed Cynarae breves annos fata dederunt!

Il dottore con la grossa mano lambendo que’ suoi capelli fini e biondi, e vedendo il suo sorriso, diceva che ella era ancora bambina, anzi la sua bambina.

Ella raccontò la sua storia che era assai semplice: suo padre era stato per più di trent’anni precettore in una scuola di Edimburgo. Lavorava tutto il giorno per mantenere la sua famigliuola e tener lieto il suo nido. Era un uomo sempre sereno, quasi felice; — e diceva sovente a la figliuola: — Vedi: la virtù, la modestia ed il sapere [p. 71 modifica]sono i soli e veri beni che l’uomo deve cercare, e così facendo, la benedizione del Signore sarà sempre su di noi e su la nostra casa e su la tua testolina bionda. —

E però seguendo questa sua idealità pietosa e ostinata, avea voluto che ella fosse cresciuta semplicemente virtuosa, modesta e colta.

Morì lasciando molta eredità di affetti e di bontà, ma nemmeno uno scellino. Allora la figliuola e la madre si ridussero a Londra in cerca di lavoro; ed ella viveva e manteneva quella povera vecchia dando lezioni di tedesco, di spagnuolo e di pianoforte, che il padre tutti i suoi risparmi li avea consumati nel farla istruire e darle dei buoni maestri.

Del resto nel racconto che ella fece non una parola di sfiducia o di rimprovero per alcuno: solo si doleva che i suoi genitori la avessero lasciata così sola e così presto, e perchè non li avrebbe più riveduti. Ricordava gli anni passati, quand’era giovanetta, in Edimburgo: v’era una casa piccina ed un orticello, una stanzetta da pranzo con un bel lume! Suo padre avea una bella barba bianca [p. 72 modifica]e, dopo il desinare, si sedeva su di una poltrona vicino al piano e voleva che lei sonasse e non si stancava mai d’ascoltare: quello era il suo unico svago, perchè avea tanto lavoro, povero vecchio! La mamma poi, con una gran cuffia bianca in testa, lavorava svelta svelta, zitta zitta sotto la lampada. Povera mamma, anche lei! Ed evocando quei cari ricordi, divagava in essi come nell’abbandono di un sogno, e talvolta lagrimava; e il dottore lasciava che raccontasse per ore continue e se piangeva, la lasciava piangere e le teneva strette le mani. Così in quella intimità buona fra l’esule e l’orfana trascorsero alcuni mesi.



Ora fu proprio passione d’amore? Io non saprei davvero dire. Ma penso che fu un bisogno di caldo perchè la donna si abbandonò fra le braccia di lui ed egli la baciò in bocca e la fece sua — non un desiderio di carnalità. [p. 73 modifica]

Egli era oramai maturo d’anni e di costumata vita e miss Nelly la considerava come una figliuola, nè d’altra parte in lei mai si erano avvertiti quei fremiti pudibondi che fanno accorta la vergine de la vicinanza dell’uomo.

Ma quella volta la giovanetta era più sconsolata che mai e la sera era fredda e tetra: da’ suoi capelli fumava un profumo di giovinezza e di primavera e le sue lagrime domandavano dei baci ed ella avea molto freddo.



Quand’egli la andò a trovare ne la sua stanza, che vi si era rinchiusa e più non si faceva vedere, le disse: — Ora ti conviene, Nelly, diventare la sposa d’un povero e vecchio esule. Lo vuoi tu? —

Ed ella rispose di sì.

Si sposarono, e dopo alcun tempo, nacque un figliuolo. [p. 74 modifica]


Il dottor Lorenzo era vissuto fino allora con alcune poche migliaia di lire che possedeva del suo; ma dopo quegl’anni d’esiglio il tenue peculio era sul finire, e però ella, visto il loro misero stato, licenziato che ebbe il suo appartamento, si ridusse contenta in quello del marito: due stanze in tutto.

Da allora, ogni mattina, per l’immenso grigio veniva la Miseria e batteva imperiosa a la porta di quelle due stanze, perdute nell’alto de la città immane tra la caligine.

E ogni mattina il bimbo destandosi sorrideva fuori de gli stracci che l’avvolgevano, e quando il bimbo sorrideva, gli occhi di lui si riempivano di pianto e si impietravano per non lagrimare.

Invece la giovane donna si era tutta obliata ne la sua maternità: per lei il sole entrava a torrenti ne la stanza, le pervinche ed i gigli fiorivano, [p. 75 modifica]le rondini cantavano a prova quando il bimbo sorrideva.

La Miseria, bieca e rigida, batteva la diana a la squallida dimora; ma la donna non la udiva. Scaldava i pannilini al fuoco, cuciva le cuffiettine, racimolando le gale ed i nastri fra i suoi vecchi abiti di quando era giovinetta, e cantava certe sue cantilene dolci e vaghe che le rifiorivano ne la memoria, finchè il bimbo si era addormentato.

Se poi il sole appena rompeva le nebbie, diceva tutta ridente al marito: — Oggi è un bel giorno. Porterò il bimbo ai giardini. Vedi che bel vestitino gli ho fatto! Io sembrerò la domestica, ma non importa. —

Quel bimbo la struggeva tutta: le portava via il latte, il calore, le carni; e quando sorridendo diceva: — Vedi il bimbo come sta bene? — quel suo sorriso faceva lagrimare.

Il vecchio cospiratore fremeva pensando a quelle due fragili e adorate esistenze, incoscienti entrambe e non curanti del mondo, che si appoggiavano sicuro a la sua impotente vecchiezza.

Se un giorno fosse mancato il pane o il fuoco, [p. 76 modifica]la donna sua non se ne sarebbe forse nemmeno avveduta e sarebbe morta cantando le sue cantilene d’amore al bimbo, così come muore la passera nel nido sovra i suoi piccini quando il gelo la coglie.

E si avanzava cupamente nel pensiero de le sue sventure con istraziante voluttà: vedeva la sposa ed il bimbo distesi sul letto; poi lui si puntava la canna d’una pistola a la tempia e stramazzava ai piedi del letto.

Chi in quella città mostruosa si sarebbe accorto di quei tre cadaveri? chi li avrebbe coperti e buttati ne la fossa?

Fissava fuori de la finestra quella interminabile fila di comignoli e di tetti che si confondevano ne le brume de la sera (nell’interno non si udiva che il borbottare d’una pentola e la nenia de la madre che vagheggiava il bimbo) e lo vinceva un desiderio di sole, di caldo, dove quelle due povere vite potessero rifiorire.

Che cosa gli importava di quel superbo regno di Britannia, cinto dal cupo oceano, che si scaglia verso i ghiacci del polo e s’incorona di nebbia? [p. 77 modifica]che cosa gli giovavano tutte le libertà di cui quella terra fu nutrice, le navi infinite che convergono ai suoi porti da tutti i mari del mondo, le mille macchine di ferro con i loro milioni di macchine umane che non cessano il loro lavoro mai? Oh meglio (pensava) la vecchia Italia, divisa, soggetta ai tiranni, ma benedetta dal sole! Laggiù se non si concede di essere liberi cittadini, si può almeno essere liberi mendicanti. E la vedeva lontana lontana la dolce patria e gli pareva che per giungervi avrebbe dovuto camminare sette anni (come dice la fola), e consumare sette scarpe di ferro.

Oh come allora l’imagine de la libertà politica de la patria impallidiva di contro a quel bianco volto di bimbo, a quella stanca figura di donna!



Per qualche tempo si temperò un poco de la sua tristezza e si fece cuore; e perchè come medico era più valente di quello che le circostanze [p. 78 modifica]in cui visse non avrebbero fatto supporre e parlava spedito l’inglese, così trovò modo d’esercitare la sua professione e campare meno male la vita. Ma vedendo che con gli anni la sua donna deperiva ed il bimbo cresceva esile e stentato e aveano bisogno d’altro cielo e d’altra vita, si decise di far ritorno al suo paese, dove i parenti e gli amici non solo lo affidavano di un sicuro lavoro, ma anche di aiuto e di conforto per i suoi, nel caso che egli avesse a mancare. Fu uno strazio per il suo orgoglio, ma la pietà de la famiglia la vinse su di ogni altro sentimento.

V’era in Roma un prelato che era suo lontano congiunto, e che egli conosceva per uomo dabbene e di cuore: gli espose il suo stato, pregandolo che intercedesse per lui: esser pronto anche a fare atto di sottomissione, se ne fosse stato richiesto, pur di potere rimpatriare sicuramente. Gli fu risposto in modo benevolo: sarebbe stato fatto il possibile per adempiere al suo desiderio, e nel tempo stesso erano dal vecchio prelato descritte minuziosamente tutte le pratiche da compiersi. Nè andò molto che da la legazione de la sua [p. 79 modifica]provincia gli giunse una lettera come di condono, e non molto appresso gli fu offerta una condotta medica nel contado ove dimorava G. Giacomo, come è detto nel principio di questo capitolo.



Il ritorno fu lungo e triste, perchè la donna gravemente infermò per viaggio, nè vide il bel paese, di cui tanto avea udito ragionare. Morì in una città di Provenza, e il dottor Lorenzo consumò tutto quel poco che gli rimaneva perchè la sua donna avesse un angolo fiorito e tranquillo in quel cimitero, dove nè egli nè il figliuolo sarebbero forse più ritornati a pregare.



Ora conviene dire di un prete che era parroco di quella terra da molti anni: si chiamava Don Leonzio ed era grande amico di G. Giacomo.

Avea circa sessant’anni; alto, scarno, con una fronte adusta e sottile, i capelli quasi bianchi, [p. 80 modifica]spioventi a ciocche rade giù pel cranio sino a le spalle: una grande energia gli si leggeva nel taglio sottile de le labbra e ne la luce de le pupille che mal si celavano sotto le ciglia folte.

Vestiva con una certa austera eleganza pretesca e nel portamento e ne l’andare lo sorreggeva una dignità signorile e quasi sdegnosa: antico prete, che avea avuto troppo sottile ingegno e troppo studio per la sua condizione e però era triste e pieno d’ombra.

Di lui si sapeva che era stato prolegato in alcune città de le Marche e de l’Umbria e che nel reprimere ogni moto liberale, avea spiegata una sagacia ed una risolutezza violenta e spesso crudele; ma dopo l’avvento di Pio IX al pontificato, o perchè la sua intransigenza spiacesse al nuovo Papa, o piuttosto perchè gli avvenimenti de gli anni ’48 e ’49 lo avessero disilluso, il fatto è che già da quel tempo si era dimesso da ogni pubblico ufficio; avea chiesta ed ottenuta una pieve da amministrare nel suo paese natio e quivi si era ritirato sdegnosamente.

Quella desolata figura nera di prete, la si vedea [p. 81 modifica]passare per i sentieruoli e per le viottole che serpeggiavano presso de la parrocchia: sentieri dove il biancospino fioriva co’ suoi fiorellini amari e la madreselva s’intrecciava in alto odorosa ai viticci de le viti: ma egli non sentiva, forse, che la sferza di questo antico sole che scioglieva e scaldava le sue vecchie membra.

E per quelle vie, dinanzi al prete ambulante al sole, passava spesso il medico col suo figliuolo sul baroccino al trotto del cavalluccio slombato. Il fanciullo era già alto per la sua poca età: ma pallido pallido con i capelli biondi spartiti su la fronte e ravviati con molta cura. Indossava de gli abitini semplici e pur eleganti, che facevano contrasto con la giacca di fustagno del babbo; cioè un giubbetto turchino scuro con un collare di tela insaldata e candida, le scarpine lucide, le calze nere, tese ed allacciate sopra il ginocchio.

Chi pensava a quelle piccole cose de la mondizia del bimbo? Forse era l’anima de la madre morta, che riviveva in una femminea cura del vecchio padre.

Ed il prete, per avventura, lesse in quella faccia irsuta del medico un dolore antico ed un grande [p. 82 modifica]amore, e il dottor Lorenzo ebbe come pietà di quel prete che si avviava trasognato e solo verso la morte.

Da ciò ne avvenne che il vecchio liberale ed il parroco reazionario si salutassero; e, quando il bisogno de l’ufficio loro lo richiedeva, ragionassero con maggior benevolenza che da prima non si sarebbe pensato.



G. Giacomo poi, che subito aveva stretta relazione col dottore, era rimasto come incantato di quel ragazzino che spicciava a stento le parole de la nostra lingua, e parlava così spedito in inglese; idioma incomprensibile pel dabben uomo, e si divertiva e rideva a farlo ragionare con que’ suoni gutturali ed aspri, specie poi a vederlo così serio e compassato com’era; e ogni volta che passava per la sua villa, gli regalava de le belle noci o un canestrino d’uva o in altro modo gli faceva festa.

Che anzi quando il dottore un giorno gli disse che voleva mandare il suo figliuolo in un collegio [p. 83 modifica]a Torino e che stava in gran pensiero per la ristrettezza dei mezzi, G. Giacomo pur obbiettandogli la tenera età del fanciullo, gli si proferse spontaneamente di aiutarlo: ci avrebbe pensato lui per il corredo e dove il dottore non fosse arrivato a pagare la pensione, egli fornirebbe il rimanente.

Il dottor Lorenzo non ebbe cuore di rifiutare un’offerta che gli si porgeva così spontanea e cordiale, ed accettò ringraziando e commosso.

Il corredo venne allestito, ed un bel giorno padre e figlio partirono.

Quegli ritornò dopo una ventina di giorni e riprese la cura de la sua condotta.

Il cavallo lo trascinava su per le erte o lungo le vie piane e diritte, ma il cuore di lui era lontano lontano.