Il "genio" in guerra

Regio Esercito Italiano

1919 Indice:Il "genio" in guerra.djvu Prima guerra mondiale Il "genio" in guerra Intestazione 4 settembre 2021 100% Da definire


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Il “GENIO„


in GUERRA








A cura della Sottosezione P.
Del XXIX Corpo d'Armata. [p. 5 modifica]



«Del consueto spirito di sacrificio hanno dato prova in ogni occasione i reparti del Genio di tutte le specialità, attendendo impavidi ai compiti loro sotto il fuoco nemico, sempre pronti ad impugnare i moschetti e a combattere con la fanteria».

(Comunicato Diaz del 21-7-1918).


Combattere e costruire.

La genialità del nostro popolo di artigiani unici al mondo, (ne sono testimoni la ferrovia del Pacifico, la torre Eiffel, la vetta della Jungfrau) e di costruttori risorge spontanea dalle profondità della stirpe. Il nostro esercito ripercorre vie romane con ragioni romane: combattere e costruire. Perchè non credere, dunque, che in questi coraggiosi e formidabili costruttori riviva un poco della logica e dell’ardimento potente dei «metatores» di Cesare?

Trovano le vie scavate dalle mine, sepolte dalle frane, sventrate dalle granate, trovano i ponti spezzati in due, gli archi in frantumi, le grandi gabbie metalliche contorte sopra i piloni diruti, trovano le ferrovie interrotte, le rotaie divelte, le stazioni ridotte ad un mucchio di rovine inservibili.

Subito, rapido, tranquillo e paziente, il lavoro di ricostruzione incomincia. Tutto si ripulisce e si riordina. Quello che è straordinario, in tutto questo vasto congegno d’opere, non è tanto la loro moltitudine nè la rapidità con cui vengono eseguiti, quanto la loro solidità, la perfezione con cui sono architettate e costruite. Anche nelle più insignificanti e frettolose — in una passerella, [p. 6 modifica]per esempio, gittata con poche assi sopra un fossato — vedete non so che singolare cura della perfezione; l'istinto di toccar subito la forma più logica e insieme più armonica, un calcolo minuto e geniale dell’effetto e dei mezzi. Pare che il soldato italiano non sappia lavorare nel provvisorio, che tutto quello che fa sia per sempre.

Veramente, oggi si capisce che «costruire» è ancora un privilegio della nostra razza.

Questi sono bene gli uomini che fino a ieri hanno emigrato a costruire i tunnels, i viadotti, le strade, le case in tutto il mondo.

In una guerra come la nostra, in cui la strategia pare al tutto quasi sostituita, e la tattica e le opere accessorie hanno un valore immenso, non è a stupire che l’arte dell’operaio-soldato sia assurta a fastigi di suprema importanza.

Chi lo ha visto all’opera ha, deve avere, profondamente sentito l’orgoglio della razza, la meravigliosa ricchezza di risorse fisiche e morali, la sapiente agilissima duttilità di energie che caratterizza l’artiere italiano.

Cervesato


Fra i valorosi del Genio.

Che cosa abbiano fatto le truppe del Genio durante le offensive ultime sugli Altipiani, sul Montello, sulla Piave, è difficile dettagliare. Soldatini spesso distaccati e lontani gli uni dagli altri, soldatini perduti nelle viscere delle montagne vicino alle perforatrici, lungo le strade, sui pali telegrafici o sul percorso delle linee telefoniche, sui fiumi e sui torrenti, presso le passerelle e i ponti, questi soldati sono stati più che meravigliosi, e se ebbero varie citazioni all'ordine del giorno del Comando Supremo se le son ben guadagnate. Sugli Altipiani sono soldati del Genio che combattono come fanti; sul Montello sono soldati del Genio che, pur circondati dal nemico, si difendono a tutta oltranza, ma continuano imperterriti a trasmettere messaggi ed ordini ai Comandi. Sono soldati del Genio che sulla Piave gettano ponti e costruiscono passerelle mentre la mitraglia tempesta e le granate lascian cadere dall’alto la loro mortifera gragnuola.

Ad esaltare l’eroismo di questi soldati, veri e forti cooperatori e collaboratori per la vittoria, bene ha fatto il Comando della VI Armata organizzando la cerimonia che in onore dei prodi del Genio si svolse in una conca alpina ad un tiro di fucile dalle linee che sugli altipiani oggi saldamente teniamo. In una vasta prateria, tra le malghe dilaniate dal tiro del cannone, erano raccolti i soldati del [p. 7 modifica]Genio, i minatori, gli zappatori, i telegrafisti, i motoristi, i fotoelettricisti, i radiotelegrafisti, i lanciafiamme, e persino gli umili lavoratori dipendenti da una delle divisioni che più ha dato opera alle azioni di guerra sugli Altipiani. Le truppe erano schierate in quadrato e su uno dei lati aperti in quattro archi di quercia e di alloro erano riprodotti grandi affreschi del pittore-soldato Ceccarini, illustranti le gesta dei soldati del Genio. Sotto quest’arco verdeggiante presero posto le alte Autorità militari. Alla cerimonia presiedeva il Comandante il Corpo d’Armata operante in quella zona degli Altipiani, ove veniva svolgendosi la cerimonia che consisteva nella comunicazione dell’encomio del Comandante l’Armata all’arma del Genio e nella distribuzione di doni in oggetti e in denaro ad ufficiali e a soldati. Parlò ai soldati il generale Motta. Il Generale esaltò l’eroismo dei singoli battaglioni, ricordò gli elogi ad essi tributati dal Comandante dell’Armata e riferì l’encomio del Comando di Corpo d’Armata ricordando come anche Comandi di Divisione, di Brigate e di Reggimento gli avessero comunicato il loro entusiasmo per l’opera meravigliosa spiegata dal Genio. E chiuse il suo dire con queste parole: «Io, vostro Comandante, sono altero e fiero di Voi; con truppe pari a Voi, l’agognata mèta, a cui tutti da tempo aneliamo, non può mancare; i vostri continui, tenaci e valorosi sforzi, il vostro costante ed indefesso lavoro, l’animo vostro indomito, ne ho sicura fede, saranno presto illuminati dalla più fulgida luce meridiana di una radiosa completa vittoria».

E così, con questa simpatica cerimonia è stata anche festeggiata l’arma del Genio, che (come ben scrisse un valoroso capitano di fanteria che aveva avuto volontari, fra i suoi fanti, soldati del Genio) ha dato prove di insuperabile valore «poichè sempre allo spirito del dovere ha saputo unire la capacità, l’intelligenza, la tenacia e l’eroismo».

(Dal «Popolo d’Italia» del 1-7-18).

Bianchi Emilio.

Scopriamoci il capo alla memoria del soldato BIANCHI EMILIO da Ancona. Era uno zappatore dell’84 Compagnia del Genio.

Di lui è tutto detto nella motivazione con cui gli veniva conferita la medaglia d’oro:

«Sempre primo ove più grave era il pericolo, raggiungeva, sotto violento fuoco, la trincea nemica. Colpito da una granata avversaria che gli asportava la gamba sinistra, con mirabile sangue freddo estraeva dalla tasca un coltello, e, tagliando i lembi della carne sanguinante, alzava nella mano destra la gamba [p. 8 modifica]mozzata, gridando parole magnifiche di incoraggiamento ai propri compagni. Rivoltosi poi al proprio Ufficiale, esclamava: «Viva l’Italia!». Il giorno seguente perdeva la vita».

Hudi Log, 24 maggio 1917.

(Dispensa 86, 29-11-1917, del Bollettino Ufficiale).


Bevilacqua Luigi.

Altro eroe, decorato con la medaglia d’oro: BEVILACQUA LUIGI, da Sant’Odorico, frazione Flaibano (Udine), sergente in un reggimento del Genio. «Volontario di guerra, dette costante esempio delle più elette virtù militari. Guastatore volontario del reticolato nemico a Monte Piana (luglio 1915); collaboratore preziosissimo alla costruzione dell’osservatorio avanzato del San Michele (novembre 1915); minatore di eccezionale tenacia al cavernone di quota 219, ove, allo scoperto, tra il grandinare dei proiettili, aprì con mazzetta e pistoletto lo sbocco stabilito, dopo che il perforatore era stato distrutto da una granata avversaria (19 agosto 1917); lavoratore e fante all’occorrenza, tutta la sua opera fu di abilità e di ardimento. Fiero del proprio compito cui prodigò ogni sua energia, due volte ferito (il 16 agosto 1916 a Gorizia, il 6 settembre 1917 a quota 241), due volte rinunciò di essere allontanato dal suo posto. Capo squadra incaricato dell’apprestamento di un’interruzione, sotto il fuoco e i tentativi d’irruzione dell’avversario, incitò i suoi uomini e condusse a termine il proprio compito, segnalandosi come sempre, e dando prova di perizia e coraggio (Isonzo, 8 ottobre 1917). Nella sfida continua e tenace al pericolo, cadde da valoroso mentre, in una zona molto avanzata, apprestava nuove e valide difese».

Basso Piave, 24 febbraio 1918.

Il maggiore Fiore.

Che messe superba di eroi ha data la battaglia del Montello e della Piave!

Lo ha proclamato il bollettino di Diaz: Tutti i combattenti, tutti i comandi, tutti i servizi han fatto il dover loro!

Il Genio anche in questa battaglia ha scritto una delle pagine più gloriose, ed ha dato una delle più simpatiche figure alla schiera immortale dei caduti per la vittoria del Piave. [p. 9 modifica]

Il maggiore FIORE cav. MARIO, comandante di quel battaglione zappatori del Genio, che fu già citato nel bollettino all’ammirazione del paese, cadde colpito da mitraglia nemica. Era un momento in cui le condizioni della lotta erano estremamente difficili. Il maggiore Fiore non esitò un istante ed accorse dove più aspro era il combattimento: calmo e sereno, fra una tempesta di fuoco, aveva più volte ispezionata la linea, incuorando ed incitando i forti Zappatori.

Alle raccomandazioni di prudenza consigliata dalla sua qualità di comandante di una importante unità, aveva risposto: «Qui bisogna morire, e io preferisco morire tra i miei soldati». Ad un ufficiale inviato da un Alto Comando, il quale, date le condizioni del terreno, aveva manifestato qualche dubbio sulla resistenza del battaglione, ordinò: «Vada a dire al suo Generale che qui il nemico non passerà: la linea la difenderemo coi nostri petti».

Tenne la parola; cadde colpito al petto; ma il nemico non passò.

Il prode Ufficiale era di Napoli, poco più che trentenne. La sua vita fu tutta un ardore di patriottismo, in una fede purissima, nei destini d’Italia.

Colpito al cuore, morendo coi movimenti incomposti del braccio che fu forte, sembrava incitare ancora i suoi prodi.

I quali lo adoravano. E quando il nemico fu scacciato, i suoi Zappatori ne raccolsero le spoglie sacre, le seppellirono nel povero cimitero di . . . . e vi eressero con le proprie mani un tumulo, monumento guerresco di devozione e di ammirazione.

(Dal «Popolo d’Italia» del 30-6-18).

Trincee, baracche e gallerie.

Quanta terra e quanta roccia hanno scavato i Minatori e gli Zappatori del Genio! Basti pensare che solo nei primi due anni di guerra furono costruiti più di tremila chilometri di trincee, numerosi ricoveri, gallerie, cannoniere in caverna, postazioni di mitragliatrici, ecc. E quante baracche sono state costruite? In un solo inverno ne furono approntate tante da poter accogliere oltre un milione di uomini ed assorbirono 300 mila metri cubi di legname, 20 tonnellate di materiali metallici, e stuoie, feltri, cartone, lastre eternit, per una superficie di 66 milioni di metri quadrati.

Tali opere richiesero il trasporto in zona di guerra di una enorme quantità di materiale, oltre l’impianto di segherie, fornaci, laboratori meccanici, fabbriche di cemento, ecc.´ [p. 10 modifica]

Per avere soltanto un’idea dei lavori da mina basta dire che in un anno solo fu impiegato l’esplosivo bastante a demolire 10 milioni di metri cubi di dura roccia. La famosa mina del Castelletto ingoiò la bellezza di 35 tonnellate di esplosivo...

ZAPPATORI E MINATORI.

Chi sa di Loro? E pur su l’ardue chine
vennero i forti a le possenti lotte
con la materia; le rombanti mine
fra le balze mugghiar fumide e rotte.

Ecco: la via per le foreste alpine
corre; s’addentra ne la cupa notte
de la montagna e l’ultimo confine
rade a l’abisso che i torrenti inghiotte.

Chi sa di Loro? E pur facile un passo
dier qui a le genti, e, vinta la natura,
le frontiere segnar d’un breve sasso.

Io penso, o ignoti, al dì che, ne la gloria
del redento lavor fatta secura,
sorga al mondo per Voi la nova storia.

Giovanni Bertacchi.


Strade, ponti e ferrovie.

Il soldato italiano ha dovuto vincere la montagna prima di vincere il nemico.

La montagna si può vincerla e superarla con un po’ di ardimento e con molta pazienza; ma vincerla e restarvi richiede sforzi inauditi. Per trasportare migliaia di uomini, macchine, quadrupedi, cannoni, munizioni sui nostri monti, è stato necessario improvvisare strade da per tutto.

Chi ha visitato la nostra fronte è rimasto ammirato del prodigio compiuto dal Genio del nostro Esercito coadiuvato da tutte le altre armi.

«Dove la strada finiva, perchè in pace finiva o quasi la vita, bisognava riprenderla e farla salire, scavandola di traverso nella roccia, sostenendola con argini, difendendola contro le frane e contro le valanghe. Alla fine del 1916 altri 1000 chilometri di strade´`´ [p. 11 modifica]erano stati costruiti, senza contare tutte quelle che ciascun reparto di fucilieri, di alpini, di artiglieri aveva costruito da sè per collocarsi nelle posizioni più avanzate, per portare cannoni sui picchi più alti, e ogni chilometro di nuova costruzione aumentava quel più gran lavoro che era ed è la manutenzione della strada, per la quale ogni mese oltre le braccia dei soldati, che maneggiavano egualmente il fucile, la picozza e La cura climatica del Telegrafista. la vanga, occorrono 20 operai e non meno di 150 mila metri cubi di ghiaia, con migliaia di carri e carrette, con macchine cilindratrici, carri-botte da inaffiamento, sfangatrici, ecc. La nemica della strada, la neve, fu combattuta ora per ora, giorno per giorno. Dove non era possibile lo sgombero, si lasciava lo strato per le slitte. Dove nemmeno questo era possibile, si adoperavano le gallerie coperte, precedentemente preparate con robuste travature e tettoie o si scavavano decisamente nuove gallerie nella neve stessa alte 2 metri e che hanno corso il fronte per centinata di chilometri.

Così, anche nell’inverno, il colossale movimento celato alla vista del nemico da alte pareti di stuoie che si elevano lungo le strade nei tratti scoperti, non ha mai cessato un istante: regolare, ostinato, ordinato, silenzioso, dando uno spettacolo caratteristico, che conferisce alla retrovia italiana una regolarità tipica di calma intelligente e resistente.

Cento ponti nuovi per una lunghezza di circa tre chilometri e 300 ponti ripiegabili, senza contare quelli di barche gettati dai Pontieri o quelli di legno e a palafitte, si sono aggiunti alle nuove strade.

E con lavori imponenti, che rimarranno solenne testimonianza di tutto lo sforzo di civiltà che la guerra italiana ha voluto sempre [p. 12 modifica]proporsi, furono costruiti canali per completare e sviluppare la navigazione fluviale tra il Po, l’Adige, il Tagliamento, le lagune e l’Isonzo, tanto che nell’ottobre del 1916 si potè raggiungere un movimento mensile di materiale trasportato sui natanti non inferiore alle 50 mila tonnellate.

Il mezzo del rifornimento è nel trasporto. La rete della ferrovia della zona di guerra dovette essere integrata da centinaia di chilometri di nuovi binari di corsa, di raccordo, di raddoppio. Nelle stazioni già esistenti furono moltiplicati i piani caricatori e gli scambi e furono costruite centinaia di nuove stazioni. L’enorme quantità di materiale e di uomini, intensificato nell’inverno, durante il quale i soldati godettero tutti di licenze per ritornare alle loro famiglie, fu sostenuto con perfetta regolarità. In una sola delle principali stazioni di Tappa nel medio Isonzo, dall’ottobre al febbraio, passarono 17 mila ufficiali, 380 mila soldati, 19 mila operai borghesi, impiegati nei lavori delle retrovie, 29 mila quadrupedi e 2500 carri di materiale».

(Da «La guerra d’Italia» del Touring Club Italiano).


La Gioconda: Cielo e mar.....

“Decauville„            e teleferiche.


Il Genio italiano ha impiegato con vera genialità teleferiche e ferrovie «Decauville» nella zona d’operazioni.

Le Decauville vennero adottate in pianura e in montagna e condotte fin nelle posizioni più avanzate.

Nell’inverno del 1916 funzionava già una rete di 400 chilometri, e nella zona di una sola Armata il movimento raggiunse la circolazione normale di 40 locomotive e 1400 vagoncini. Tale sistema permise in pochi mesi il trasporto di circa 150 mila tonnellate di materiale.

Le teleferiche sono quasi [p. 13 modifica]una specialità della nostra fronte. I nostri Teleferisti sono stati semplicemente prodigiosi.

Vennero lanciate teleferiche dove un tempo nessuno sognava di arrivare.

Ostacoli fluviali, burroni, precipizi vennero superati in breve tempo. Così vennero assicurati i rifornimenti nelle zone montane a dislivelli quasi fantastici.

Vennero fatti impianti permanenti in alta montagna che raggiunsero la lunghezza di 10 chilometri. Altri impianti, facilmente trasportabili, seguono le truppe ed hanno la lunghezza di circa un chilometro.

Nell’inverno del 1916 operavano già 500 impianti di teleferiche capaci di trasportare 15 mila tonnellate di materiale al giorno.

Inoltre funzionavano altre 200 teleferiche a mano e a contrappeso.

In alcune zone alpine il dislivello medio per teleferica è di circa 600-700 metri.

Abbiamo pure teleferiche che superano dislivelli di 1000, 1200, 1400 e persino 1500 metri.

In qualche località montana le linee salgono ad altitudini varianti fra 2000 e 3000 metri; nell’Alta Valtellina parecchi impianti sorpassano anche i 3000 metri.


GENIO.


     Con fede assidua, infaticabilmente
Scolpisce la sua pietra e su v’incide:
«Per la Vittoria» e la Vittoria arride
Del nostro Genio all’opera sapiente.

     Sul glauco Isonzo, sotto la rovente
Furia del piombo che dilania e uccide,
Gli eroici pontieri, ne l’ardente
Giornata di Gorizia, l’austro vide.

     Non vide i minatori al Col di Lana,
Ma li sentì nel boato del monte
Ruggir come leoni di sotterra.

     O Genio nostro! le tue sacre impronte
Scorgeranno i venturi nella frana
Che stritola gli Absburgo in questa guerra.

Giovanni Dalle Bande Azzurre.

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Telefoni e telegrafi.

Il pane, l’acqua, la strada, le munizioni sono indispensabili al combattente.

Ma non bastano: occorrono comunicazioni telegrafiche e telefoniche. Dall’osservatorio e dalla trincea più avanzata al Comando delle grandi unità, i Telegrafisti hanno fatto correre una enorme quantità di fili telegrafici e telefonici che irretiscono tutta la zona di guerra come i nervi irretiscono il corpo umano. Contro ogni violenza di tempesta e di fuoco nemico tutti i fili debbono essere mantenuti in vita ad ogni costo. La rete di guerra dell’inverno 1916 correva sulla nostra fronte per 40 mila chilometri di linee, con oltre 100 mila chilometri di filo collegati da 15 mila apparecchi telefonici e oltre 20 mila apparecchi telegrafici.

Zappatori.

La guerra moderna ha fatto rilevare tutto il valore del contributo d’intelligenza e di lavoro dato dai due primi reggimenti del Genio.

Nell’apertura dei più aspri valichi, e nelle concezioni più ardite di opere che resteranno a dire una volontà che tanto seppe volere; nelle difese che il più nobile amore di figlio seppe dare alla sua terra; in quelle che il livido nemico di nostra gente guarda attonito levarsi a pochi passi da lui sempre maggiori all’alba di tutti i giorni; nelle fatiche durate, nel sacrificio di tutte le notti, nella sonorità delle ore più tragicamente tranquille, tra il badile e l’arma; dovunque sia necessario vincere, l’infaticato artefice del trionfo porta la sua opera ed il suo sangue. Sono gli uomini che già han levato ieri contro il sole le opere della civiltà, e reso le forze della natura fattrici di benessere e di ricchezza, quelli che oggi, paghi di umiltà e di silenzio, portano su ogni lembo di terra l’opera aspra e febbrile, come bandiera sacra della Libertà.

Zappatori del Genio oramai significa fucilieri del Genio. Sul Montello, sul Grappa e sulla Piave, se non volessimo ricordare i magnifici cimenti dei primi tre anni di guerra, ne abbiamo avute prove luminose.

Zappatore, prendi pure a braccetto il Fante: è un’onore che ti spetta!

Gli Zappatori del III Battaglione Genio, la mattina del 9 di [p. 15 modifica]giugno, attendevano la loro ora sul Montello. L’attesa, com’è costume per il soldato del Genio, era fatica senza pari in opere di rafforzamento.

Viene il momento buono: ed ecco che debbono combattere come compagnie di fucilieri. E che entusiasmo negli assalti, che fede nella santità della causa italiana, che voluttà di sacrificio nel ricacciare il feroce invasore!

E quando si ritirarono gli Zappatori?

Allorchè furono ridotti a 80 uomini guidati soltanto da 4 ufficiali superstiti.

Se volessimo ricordare tutti i soldati e gli ufficiali del Genio Zappatori caduti in combattimento o sul lavoro, feriti e mutilati, dovremmo dedicarvi più pagine, e questo sarà certo fatto a suo tempo. Il nome degli ufficiali CAMPOSAMPIERO EUGENIO da Padova, SANGIOVANNI EVARISTO da Torino, DUGNANI RAUL da Milano, MESSINA GIUSEPPE da Monte San Giuliano, PICCHIONI GIOVANNI da Roma, PASINI GINO e VERMIGLI ULDERICO da Ascoli Piceno sono soltanto i più noti.

Così pure se nominiamo il caporal maggiore GIRONI GIOVANNI da Milano, il caporale SELVAGGIO CORRADINO da Praj (Novara) e i soldati PORTALE MARIANO da Maleto, GRASSI FERDINANDO da Farini d’Olmo e GENNARI AUGUSTO da Saludeccio (Forlì), tutti caduti sul campo dell’onore, è solo per ricordare una piccola parte della nobilissima schiera.

E quanti dovremmo ricordarne che, fieri quanto il tenente DE PONTI NICOLÒ da Longano e i soldati PUGGIONI COSTANTINO e PINTUS GIUSEPPE da Cagliari, feriti più volte ritornarono all’assalto con rinnovato ardimento!

Ma dei mille e mille soldati della tempra di CIVELLI DANTE da Albiolo che per mesi e mesi non ebbero altro compito che quello di aprire il varco alle fanterie andando a portare tubi di gelatina esplosiva sotto i reticolati nemici, chi scriverà mai tutto il bene che meritano e chi esprimerà mai a pieno tutta la riconoscenza del Fanti e quella del Paese?


... «Per il valoroso contegno tenuto nella battaglia merita onore di speciale citazione il 9 Battaglione Zappatori del Genio»....

(Comunicato Diaz del 23-7-1918).


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... «Il 72 Battaglione Zappatori combattendo a fianco della fanteria confermò ancora una volta lo spirito di sacrificio e di valore dell’arma del Genio.»

(Comunicato Diaz del 21-7-1918).


... «Ai reparti Zappatori del Genio già nominati per le loro azioni di combattimento debbono aggiungersi i Battaglioni: 3, 12, 19, e 80; la 47.ª e la 217.ª Compagnia.»...

(Comunicato Diaz del 24-7-1918).


Minatori.

Quando si parla di Minatori del Genio il pensiero generalmente corre al sublime sacrificio di Pietro Micca, a gallerie sotterranee interminabili, a pozzi profondi pieni di umidità appena rischiarati dalla fiammella di una lampada, a mine e contro-mine poderose; vien fatto subito di ricordare la mina del Castelletto che distrusse in un attimo tutti i ricoveri e tutte le difese nemiche, quelle di minor proporzione del Pasubio e di altre località montane, le interruzioni stradali e di ponti fatte brillare durante il ripiegamento dall’Isonzo, il ponte di Vidor ed altre opere distruttive del genere.

Soltanto coloro che hanno vissuto la guerra sanno che il compito dei Minatori è ancor più esteso, e va dalla improvvisazione di ricoveri e trincee di prima linea ad opere difensive più complesse, dalla costruzione di strade d’ogni specie alla costruzione di baracche, gallerie, cannoniere, postazioni di mitragliatrici, ecc. Tanti anche non sanno dei fidi Motoristi — inseparabili alleati dei Minatori — che in molte località della nostra fronte si sono spinti con i loro gruppi perforatori fin sotto le linee nemiche trovandovi qualche volta morte gloriosa come il motorista VIOTTOLO GIUSEPPE da Caltagirone, esponendosi sempre a qualunque sacrificio in piena fratellanza colle armi combattenti.

Come gli Zappatori, anche i Minatori hanno dovuto per molto tempo trasportare la loro parte di tubi di gelatina esplosiva sotto i reticolati nemici, quando per distruggerli non si usavano ancora [p. 17 modifica]i mezzi che si usano oggi. Non solo; anche i Minatori hanno dovuto più volte mettere in un canto mazza e pistoletto, miccia ed esplosivo, imbracciare il moschetto e partecipare ad assalti o ad azioni difensive. Lo sanno il tenente SCANNO FLAVIO da Cagliari, i sergenti BAGNA CARLO da Murisengo (Alessandria) e CAGNARDI PIETRO da Ghemme (Novara), che, con tanti altri, Il Minatore: — Che, s’è rotto il motore?
Il Motorista: — No, è scoppiato un 105.....
Il Minatore: — Menomale!
si distinsero in campo; lo seppero i volonterosi che caddero coll’arma in pugno come GIANNECCHINI NELLO da Arezzo e PIRONI NATALE da Novara.

Quando il Minatore è al suo posto in lavori di mina non per questo può dirsi più al sicuro, tutt’altro! Sempre e dovunque egli è circondato da insidie. Gelatina gelata, miccia che fa delle sorprese, mine che scoppiano per incidenti imprevisti prima del tempo, gas mefitici che si sprigionano in gallerie sotterranee, sorgenti d’acqua che scaturiscono improvvisamente in fondo ai pozzi, roccie che franano e qualche volta... complimenti di contro-mine nemiche: ce n’è per poter dire che il Minatore espone la vita anche quando è lontano dalla prima linea. Ma il Minatore non si preoccupa tanto facilmente; tuoni il cannone o rombi la mina, per lui è lo stesso! [p. 18 modifica]


Telegrafisti.

Telegrafisti, Telefonisti, Guardiafili: tutta una famiglia a cui si possono bene aggiungere anche i Radiotelegrafisti! Che irretiscano di fili la prima linea e la retrovia, che adoperino l’apparato Morse o afferrino onde di pensiero vibranti nello spazio con l’apparato Marconi, che trasmettano, ricevano, o intercettino, che svolgano la loro opera nelle cabine appollaiate sulle creste alpine, in case dirute o in centralini incavernati, i soldati telegrafisti sono elementi indispensabili per la vita di un esercito in guerra.

Ad essi è affidato un compito delicatissimo, per assolvere il quale occorre alto spirito di disciplina, senso di responsabilità, indiscussa attaccatezza alla causa italiana.

Il Guardiafili: — Mica ce faccio caso; tanto ero abbituato alla Girandola der Pincio.... Un ordine trasmesso o ricevuto male o troppo tardi, una parola fraintesa, una cifra sbagliata, un segreto di servizio affidato per leggerezza alla curiosità di un estraneo, una notizia diffusa troppo presto possono essere causa di danni incalcolabili. Difatti, quando il nemico riesce a sapere dove si trova un centralino telefonico importante o un ufficio telegrafico, cerca di colpirlo, perchè sa che in tal modo, almeno finchè non si ristabiliscano le comunicazioni, impedisce il collegamento tra le linee ed i Comandi, tronca per così dire i nervi che portano le sensazioni al cervello e da questo provocano movimenti in tutto il corpo per gli atti di offesa e di difesa.

Il nemico, anche, se può, tenta di far lanciare per mezzo del telegrafo e del telefono da suoi emissari inafferrabili notizie false e allarmanti, per agitare gli spiriti, intorbidare le coscienze, generare confusioni, contrasti, scoramenti. Più di una volta in questi ultimi tempi ha tentato di far esagerare le nostre vittorie o di diffondere inopportune [p. 19 modifica]certezze di pace allo scopo di deprimere gli animi non appena la verità vera venga da tutti risaputa.

Ma i nostri Telegrafisti han cuore e coscienza e per giunta sono quanto mai scaltriti da un lunghissimo tirocinio. ..... Eppoi lo chiamano telegrafo senza fili!

Comprendono così bene l’importanza delle loro mansioni, che dalle loro file sono emerse simpatiche figure di eroi che la Patria non dimenticherà.

Eroi per la fermezza con cui sono rimasti al loro posto sotto lo infuriare del fuoco nemico, all’apparecchio o all’aperto, per camminamenti e trincee, a riparare guasti, a stendere nuove linee.

Il soldato NOVATI ARTURO, da Meda, va ricordato tra i più degni: onorando la sua memoria si onorano anche coloro i quali compiendo gli stessi eroismi sopravvissero e danno tuttora valido contributo al proprio Paese.

«Comandato in una notte di luna a stendere una linea telefonica per collegare due nostri piccoli posti avanzati, sotto il fuoco di fucileria di tiratori nemici appostati su rocce dominanti l’unica mulattiera su cui dovevasi stendere la linea stessa, compreso soltanto dalla necessità di compiere il mandato ricevuto, il NOVATI eseguiva con calma il proprio lavoro. Colpito da una fucilata nemica, incurante di sè continuava nel suo compito ed incoraggiava i compagni, finchè, perdute le forze, dovette essere trasportato al più vicino posto di medicazione, ove, non appena giunto, spirava.»

E quanti mutilati si onorano di essere appartenuti al Genio telegrafisti! Per tutti basterà ricordare il capitano DALL’ARA DANTE da Reggio Emilia, — oggi presidente della Lega Nazionale tra i mutilati, feriti e invalidi di guerra — simpatica figura [p. 20 modifica]di combattente sempre in prima fila dove ci sono disagi e pericoli da affrontare, sempre pronto dove urge moltiplicare l’attività ed il sacrificio.

Ma non si può chiudere questo capitolo senza una parola per quei Telegrafisti che al momento decisivo della battaglia — come il caporale DONATELLI ALCEO da Mantova, caduto in combattimento nelle memorabili giornate del Montello — non seppero resistere al desiderio d’imbracciare un fucile e di tuffarsi nella mischia desiderosi di offrire il meglio di se stessi alla grande causa italiana.


«Pagine gloriose ha scritto l’arma del Genio nell’attuale guerra seguendo le sue nobili tradizioni e irradiandole di luce novella. Quando sarà possibile di sapere nei più minuti particolari ciò che ha dato di lavoro, di pazienza, di tenacia, di sangue, l’arma del Genio alle vittorie italiane, l’ammirazione sarà profonda, la gratitudine imperitura.

«Preparatrice paziente, cosciente, generosa di vittoria, ecco come si dovrebbe definire l’arma italiana del Genio.»

(Da «La Guerra d’Italia» del Touring Club Italiano).


Lanciafiamme.

Siamo nel dicembre del 1917.

Il nemico vuol forzare nel settore di Monte Zomo. La prima ondata nemica nel pomeriggio del 5 viene arrestata da due apparecchi lanciafiamme. (Contro un nemico che ha inventato ogni sorta di strumenti diabolici siamo stati costretti ad adoperare armi uguali di difesa e di vendetta).

Il tenente del Genio CORRADO SERGIO, che aveva diretto quell’operazione, rimaneva sul posto semi-asfissiato.

Poco dopo il nemico sferra una seconda ondata, e riesce a penetrare nella caverna dove si trovavano i nostri apparecchi.

L’ufficiale viene fatto prigioniero e trasportato in barella da quattro portaferiti austriaci verso Asiago.

Ma ecco una provvidenziale granata italiana che scoppia a breve distanza; i portaferiti, che non vogliono aspettare la seconda, abbandonano senz’altro la barella...

Il tenente Corrado, rimasto solo, infila il cappuccio del cappot[p. 21 modifica]to, e, forte della oscurità della notte e della sua conoscenza della lingua tedesca, riesce a confondersi fra i rincalzi del nemico che affluivano in valle Ronchi ed a raggiungere poi la nostra linea di Val Frenzela.

Le sue preziose informazioni permettevano poco dopo alla nostra artiglieria di concentrare un fuoco violento sui rincalzi nemici.

A Collina di Selz la notte dal 26 al 27 aprile 1916 il soldato TENERINI PIETRO da Bagnara (Roma) nella sua qualità di vedetta e di portalanciafiamme si trova a pochi metri dal nemico. Una bomba a mano gli esplode a pochi passi e lo lascia tramortito al suolo.

Appena riavutosi, invece di pensare a curarsi, ancor tutto coperto di terra, riprende il suo posto e con un ben diretto getto di fiamme sugli avversari che tentavano di avanzare li mette in fuga.

A Casa Diruta (Gorizia) nella prima quindicina del maggio 1917 la Brigata Lambro è messa a dura prova dalle molestie nemiche. I nostri stanno saldi, ma il momento è difficile. Ecco che il nemico vuol contrattaccare.

Il tenente PASTELLI GIUSEPPE, comandante una sezione lanciafiamme, si offre per far funzionare un apparecchio. L’operazione riesce: la linea nemica viene scompigliata e l’irruzione delle fanterie può avvenire con successo. Ma la lotta si fa accanita: si combatte per il Fortino. Il tenente Pastelli coi suoi fidi vuol rimanere egualmente in linea con i Fanti. Eccolo sulle trincee sconvolte dalle bombarde e dalle granate nemiche che incita i soldati all’assalto.

Una pallottola di mitragliatrice austriaca lo colpisce alla fronte. Egli cade mentre i nostri stanno per avere il sopravvento.

Pontieri.

Uno dei più grandi giornalisti italiani, che seguì da vicino la vittoriosa avanzata della Bainsizza, ebbe l’impressione che le sorti delle operazioni vennero decise la notte del 18 Agosto 1917, «in quella notte fantastica, leggendaria, solcata da luci apocalittiche in cui la prima barca, fra nembi di fumo, ha portato sulla riva sinistra dell’Isonzo un pugno di uomini, la prima pattuglia di arditi». [p. 22 modifica]

Chi conosce la gola orrida e profonda in fondo alla quale scorre l’Isonzo fra Pod-Selo e Canale — inguadabile e rapinoso tra aspre pareti di roccia —, chi ha visti i formidabili bastioni fortificati della catena dello Jelenik dominanti interamente e sinistramente il corso dell’acqua, sarebbe tentato di esitare nel credere che i nostri Pontieri siano riusciti a costruire, sotto furiose raffiche di fuoco e con tanta fulmineità, solido passaggio ai nostri valorosi bersaglieri. Una favola del Gozzi: L’acqua, il fuoco, l’onore.
Il Pontiere: — L’onor lo salvo mi.

La notte del 19 Agosto 1917 non sarà dimenticata nella storia della grande guerra e l’eroismo del 2 e del 4 Battaglione Pontieri rimarrà fulgido tra i tanti di cui va intessendosi la corona d’alloro dell’Esercito Italiano, esempio incomparabile di quanto possano la audacia disposata alla genialità latina, il sentimento del dovere animato dall’amore per la grande causa di giustizia per cui combattiamo.

Il coraggio e il valore dei Pontieri venne provato fin dai pri[p. 23 modifica]mi tempi della guerra sull’Isonzo, dove non solo c’era da sfidare la mitraglia nemica, ma l’impeto travolgente del fiume.

Quando il lancio di un ponte appariva impossibile, e le nostre truppe dovevano passare ad ogni costo, i Pontieri provvedevano con barche a remi e non abbassavano certo la testa al sibilare dei proiettili nemici.

Da Canale al mare si può dire che non vi sia stato tratto del fiume dove la loro attività non si sia mostrata indispensabile.

Quasi tutti i ponti distrutti dagli Austriaci — centinaia! — furono ricostruiti dagli Italiani e ve ne erano d’ogni specie: di legno, in muratura, di cemento armato, di ferro...

Chi ha visto l’ardita passerella lanciata sulle rovine del ponte sotto Plezzo, fatto saltare dal nemico, e quella costruita con rapidità ed audacia inverosimile a monte di Salcano; chi ricorda il ponte di Idrisca e quello di Gorizia, tanto per citare i più importanti, costruiti sotto la furia del fuoco avversario con sacrificio di sangue, deve convenire che il Genio Pontieri ha scritto una bella pagina nella storia della nostra guerra.

Nè può essere dimenticata tutta l’opera che i prodi soldati hanno compiuto in silenzio sulla Piave, i servizi importantissimi resi lungo l’Adige — ricognizioni, ponti scorrevoli, sbarramenti, ecc. — e anche fuori d’Italia, dovunque sventoli la bandiera del nostro Esercito glorioso.

Fotoelettricisti.

Molti che non conoscono la vita dei soldati delle varie specialità del Genio credono che i militari addetti ai fotoelettrici siano addirittura dei privilegiati. Gettar fasci luminosi nelle tenebre, nel cuore della notte, frugare sulle vette, nelle valli, nei fiumi, per l’aria, nelle boscaglie, scovare il nemico coi suoi ordigni di guerra, sorprendere le sue pattuglie, scoprire i movimenti delle truppe, identificare velivoli e aeronavi nel cielo, svelare ogni minaccia, al vento, al gelo, sotto la pioggia, sotto la tormenta non si direbbe un passatempo... Tutt’altro!

E se lo spazio ce lo consentisse potremmo registrare in questo opuscolo gesta bellissime ed eroiche di molti Fotoelettricisti.

Quelli che furono nelle prime linee del Carso, quelli che furono sul Grappa, sul Montello, sulla Piave, sull’altipiano di Asiago, in Val Lagarina, sul Pasubio, ecc., possono ben vantare la loro parte di contributo alla guerra. [p. 24 modifica]

Quanti gli ufficiali che, pur vedendo la propria stazione fatta segno a tiri continuati e bene aggiustati dalle artiglierie nemiche, sono rimasti al loro posto, anche sotto insenso bombardamento per non far mai mancare l’importante servizio!

Quanti gli Ufficiali, come ATTISANI ALBERTO da Palmi, che, sotto il fuoco micidiale del nemico, in mezzo a gravi difficoltà di terreno, riuscivano a ricuperare tutto il materiale delle stazioni Pontiere: — Ò quasi finito.
Minatore: — Finalmente!
Pontiere: — Aspetta....
fotoelettriche, anche quello caduto momentaneamente nelle mani dell’avversario! E quanti i militari — gli anonimi, e per questo anche più meritevoli — che, come il caporale TROMBETTI ARMANDO da Bologna, hanno fatto funzionare gli apparecchi, pur sanguinanti per le ferite, anche quando sono rimasti senza comandante e senza graduati, esposti all’ira nemica!

Ci piace qui ricordare specialmente un bel tipo d’italiano nato nel Brasile: il soldato ASPERTI GIOVANNI.

Il 3 gennaio del 1917 il nemico tentava un attacco a Dosso Casina. Il soldato ASPERTI si comportò in modo ammirevole dimostrando un sangue freddo e uno spirito altruistico non comune. Più [p. 25 modifica]di ogni altra parola d’elogio valga la motivazione con cui gli veniva conferita una ricompensa al valore: «Durante un attacco nemico, manovrò con perfetta calma e con piena efficacia un proiettore sprovvisto di comando a distanza, sotto violento fuoco che colpì a morte il proprio ufficiale comandante, ferì lui stesso in più parti e mise fuori servizio l’apparecchio. Ciononostante diede esempio di forte animo soccorrendo, incurante di sè, il proprio superiore, e dolendosi soltanto di non poter più accudire al suo proiettore». Il Fante: — Non stuzzicare i cani che dormono.
Il Fotoelettricista: — Non li stuzzico; cerco soltanto di illuminarli.


.... «Le sezioni fotoelettriche hanno reso utili servizi compiendo con abnegazione il loro dovere».

(Comunicato Diaz del 23-7-1918).


Ferrovieri.

A tutta prima l’opera dei Ferrovieri del Genio non appare nella sua importanza a quanti guardino soltanto le linee generali dei fatti. Perchè i soldati del 6.º Reggimento Genio sono stati impe[p. 26 modifica]gnati rarissimamente in combattimento e solo per caso, certuni ritengono di secondaria importanza l’opera loro. Invece in molte circostanze non si sa se possa ritenersi più meritorio combattere da una trincea o lavorare regolarmente e senza soste nelle stazioni di testa ed oltre, sotto il tiro e senza alcuna difesa.

Dopo la presa di Gorizia furono i Ferrovieri che riattarono la «Cormons-Gorizia» e la linea Pedecarsica con rapidità meravigliosa. In caso di bisogno.... tutti i Ferrovieri possono spingere.

Dopo l’occupazione dell’altipiano della Bainsizza il riattamento del tronco Gorizia-Canale allestito fulmineamente costò la vita a parecchi soldati del Genio.

Durante la ritirata di Caporetto — dopo i prodigi dei nostri soldati questo nome non ci turba più — l’opera delle compagnie ferrovieri per i lavori di sgombero, di ricupero di treni e materiali, per le interruzioni eseguite fu degna del maggior encomio.

Ma dovunque, appena si guardi un po’ da vicino le necessità della guerra moderna, si rivela l’attività dei Ferrovieri, dall’amplia[p. 27 modifica]mento, o addirittura dalla costruzione di nuovi impianti di carico e scarico nelle stazioni avanzate, alla creazione di stazioni nuove; dall’impianto di ferrovie «Decauville», a quello di binari nuovi per raccordi a magazzini, ospedali o per installazioni di batterie pesanti d’artiglieria; dall’improvvisazione di piani caricatori provvisori, all’aiuto prezioso durante carichi intensi nelle stazioni, alla illuminazione notturna con appositi fari, ecc.

Solidarietà d’armi.

Una nota simpatica di cameratismo con le fanterie: soldati ed ufficiali del Genio ànno fatto volentieri a gara per recarsi a compiere operazioni di guerra insieme con i Fanti. Giovani esuberanti, che per la loro coltura o per attitudini e capacità particolari vennero assegnati all’arma del Genio, mal sopportano in certi momenti l’attesa interminabile dei lavori nelle immediate retrovie della prima linea, e se si offre loro la possibilità di andare di pattuglia, di fare un colpo di mano, un «prelevamento», un assalto vi si recano come a festa.

Il soldato PICCOLO ANGELO da Treviso volle precedere le prime ondate di assalto delle fanterie in una azione in cui era anche impegnata una squadra di arditi del Genio. Giunse fra i primi nella trincea nemica ed ivi affrontò cantando la morte.

Il capitano SCHIAVONI MICHELANGELO da Ripabottoni cadde a Lucatic in testa a truppe di assalto di fanteria «tutti incorando, tutti trascinando con il suo entusiastico ardore, da tutti ammirato».

Il sergente MUZIO EMILIO da Milano andò a snidare con la sua squadra i nemici e li mise in fuga con bombe a mano e combattè fin quando non cadde colpito a morte.

Il caporale PACELLA VINCENZO, di propria iniziativa, si gettava con impeto meraviglioso contro una mitragliatrice nemica fin quando cadde colpito a morte.

Il caporale RIGHINI PAOLO da Milano, sebbene non comandato e nonostante fosse gravemente ustionato, si offriva di portare all’assalto uomini di altri reparti, e, conquistati i trinceramenti nemici, li sorpassava e sapeva mantenervisi stabilmente dimostrando abilità di comando e coraggio singolari.

E quanti, come il capitano ORLANDO LUCIANO da Caronia, hanno lasciato i lavori a cui erano preposti per accorrere con un fucile nelle trincee avanzate, confondendosi con gli eroici Fanti; e quanti, come il sottotenente TODESCO MAGGIORINO da So[p. 28 modifica]lagna, hanno assunto in momenti decisivi il comando di compagnie di fanteria rimaste prive di ufficiali e sono rimasti al posto di combattimento anche se feriti finchè la sorte della battaglia non fosse decisa; e quanti, come il sottotenente SINIGALLIA ERMANNO da Padova, sotto bombardamento nemico, pur avendo mansioni in luogo sicuro, radunavano e riconducevano al fuoco soldati dispersi, incitandoli con la parola e l’esempio alla resistenza e cadevano colpiti da piombo nemico nell’infuriare della lotta!

Di un altro tipo di volontario bisogna far menzione in questo capitolo: il volontario che ha la sua... specialità e che prova una vera ebbrezza nel prodigarsi in imprese piene di rischio. Un gruppo di fanti (allo Zappatore): — Si va all’assalto!
Lo Zappatore: — Infilo la giubba, prendo il moschetto e vi raggiungo.

Il tenente FLORIO ATTILIO da Napoli è uno dei volontari del genere più rappresentativo. La sua specialità sono i reticolati nemici elettrizzati. Egli ne ha studiata la sistemazione con grande passione e tenacia. Ma non a tavolino. Ha eseguito numerose ricognizioni oltre le nostre linee, ha partecipato a parecchie imprese [p. 29 modifica]di arditi, ha insomma studiato sul posto. Bisogna vederlo: opera la deviazione della corrente elettrica con calma e prontezza sorprendente. Fatta la sua parte, più d’una volta ha atteso impassibile il ritorno delle nostre pattuglie sotto il fuoco delle mitragliatrici. In una ricognizione, or non è molto, precedeva il reparto d’assalto ed operava a pochi passi dalle vedette nemiche ed in pieno giorno l’interruzione della corrente elettrica del reticolato, essendo in tal modo fattore primo ed indispensabile del brillante successo dell’azione. Gli è stato spesso degno compagno nelle ardue imprese un tenente dei Minatori: RENATO INDRIZZI da Foggia.

Ufficiali e soldati... specialisti in qualche cosa se ne trovano tra i Minatori e i Pontieri, fra i Telegrafisti e gli Zappatori, tra i Pompieri e i Fotoelettricisti, un po’ da per tutto insomma. E non vogliamo contare di proposito quelli che preparano importanti ordigni bellici nei laboratori, quelli che studiano ed approntano mezzi offensivi e difensivi dei quali non è ancor prudente parlare.

Esempi.

La natura dei lavori affidati al Genio sembra che abbia sviluppato tra ufficiali e soldati un particolare senso altruistico degno della più grande considerazione. Sono, difatti, frequentissimi atti di valore che rivelano qualità morali superiori, utili non solo in guerra, ma anche, se non specialmente, nella vita civile. Non è eroe soltanto chi si lancia primo all’assalto, chi cattura nemici, chi espone la propria vita per recar danno all’avversario in azioni di guerra; lo è altresì chi affronta la morte per salvare un compagno o un superiore, per evitare una catastrofe che possa comunque danneggiare altrui.

Non ci è dato registrare che una parte degli eroismi del genere a noi noti, mentre siamo certi che i più significativi sono insaputi perchè gli umili fanno quasi sempre il bene per il bene, perchè le anime ben nate si prodigano in opere di fraternità senza desiderio di elogi e di ricompense.

Il soldato FLORES FRANCESCO da Flumini Maggiore (Cagliari), visto che alcuni commilitoni erano stati sepolti sotto le macerie di una trincea per lo scoppio di una granata nemica, accorreva subito in loro aiuto, incitando i compagni a seguire il suo [p. 30 modifica]esempio, e traeva in salvo due graduati. Ferito gravemente alla testa e alla faccia colla perdita dell’occhio destro, con grande stoicismo diceva: «Mi dispiace di essere stato ferito, perchè non posso andare lassù!» E indicava la posizione nemica.

Il soldato MITRUCCIO ANTONIO da Nociglia (Lecco), facente parte di una squadra incaricata di trasportare a spalle una barca sull’Isonzo, si comportò con coraggio e slancio, mentre infuriava il tiro nemico. Pur essendo ferito gravemente ad una gamba, non appena sentì la voce del suo ufficiale pure ferito, si trascinò sino a lui, tentando di soccorrerlo. Morto poco dopo l’ufficiale per una nuova scarica di fucileria avversaria, volle trascinarsi ancora sebbene il terreno s’arrossasse del suo sangue, per avvertirne il proprio capitano.

Il soldato PIGNOTTI OMERO da Firenze gettavasi vestito nell’Isonzo in soccorso d’un compagno che, già scomparso in acqua profonda tre metri, stava per affogare. Raggiuntolo e coraggiosamente schermitosi del tentativo d’avvinghiamento, lo afferrava per un braccio, e dopo viva lotta lo traeva semi-svenuto a riva, dove gli praticava la respirazione artificiale, riuscendo così a trarlo in salvo.

Il soldato CASAVECCHIA LUIGI da Pocapaglia (Cuneo) veniva travolto con molti altri sotto la rovina di una baracca colpita in pieno da un proiettile di grosso calibro. Appena si vide tratto dalle macerie, accortosi che lì presso pericolava un altro sepolto, dava opera a liberarlo benchè grondante sangue e spasimante per più ferite egli stesso. Essendo riuscito con fatica e pericolo a liberarlo, lo portava da solo in un posto di medicazione. Quasi non gli paresse compiuta neppur allora l’opera di fraterno soccorso, faceva ritorno al luogo della sciagura. Ivi le forze fisiche, indebolite dalla perdita di sangue e dal dolore, furono meno salde del suo animo eroico e cadeva svenuto.

Quando un magazzeno d’approvvigionamenti s’incendia, quando va in fiamme un deposito di benzina o una polveriera, quando un fiume straripa, quando una valanga precipita dal monte, quando franano case o esplodono mine premature nelle gallerie sotterranee, il soldato del Genio è sempre fra i primi al posto del sacrificio.

E anche contro l’insidia crudele dei gas introdotta nella guerra dal nemico il soldato del Genio pone con saldo animo la sua volontà di bene. Sappiamo di molti casi, come quelli che fruttarono ricompense al valore ai militari PETRELLA SEBASTIANO, BALDUCCI BENEDETTO, CIFRA COSTANTINO, BARGIGIA [p. 31 modifica]LUIGI, in cui l’essere rimasti al proprio posto dove occorreva emanare ordini o comunque assolvere impegni bellici ha significato la salvezza d’interi settori.

Anche sono note prove sublimi d’attaccatezza al proprio dovere come quelle del soldato CASALI ALDO da Gadesco che, impegnatosi di portare un ordine, sebbene ferito fino al dissanguamento, non sosta finchè non assolve il suo mandato; del capitano CORINALDESI FERRUCCIO da Senigallia, che, ferito in tutt’e due le gambe, resta sul posto fino a quando non ha riferito sui lavori eseguiti e non ha fatto la consegna al successore; del caporale CERESETTI AGOSTINO da Brescia, che per incorare i suoi uomini a lavorare sotto il tiro nemico rimane esposto con indifferenza al pericolo finchè non cade colpito mortalmente; del caporal maggiore PETRICCA BENIAMINO da Civitella Roveto che offre la sua giovane esistenza per soccorrere il suo capitano ed altri ufficiali rimasti sepolti tra le macerie per lo sfondamento di una tana provocata da granata nemica.

Il sottotenente SCORCIA GIUSEPPE da Bari e i suoi Lanciafiamme provarono anche una volta a Nova Vas nel novembre del 1916 cosa valgano i soldati del Genio in combattimento.

Gli apparecchi avevano funzionato fino all’ultimo momento. Si avvicinava l’ora dell’assalto alle posizioni nemiche. I Lanciafiamme, fatta la loro parte, potevano trarsi dalla battaglia.

Ma Scorcia Giuseppe vuol seguire la sorte della fanteria e nell’impeto di un assalto dona la sua ardente giovinezza alla Patria.

I Centurioni.

Oggi non si fa la guerra soltanto con i cannoni, le schioppettate e le bombe a mano; non si muore soltanto nel combattimento: lo sa ogni combattente.

I «centurioni» combattono la loro guerra sul lavoro e muoiono: anche, senz’armi, ma con in pugno gli ordegni del lavoro.

È stato visto alla nostra fronte, lo hanno rilevato di recente sulla fronte francese dove i nostri maturi soldati han pagato alla causa degli Alleati tributo d’opere mirabili e di sangue. [p. 32 modifica]

Il nostro centurione è della stessa razza di quella che in tempi di pace emigrava dall’Italia per andare a costruire le strade e le ferrovie, per andar ad alimentare di lavoro i grandi cantieri ed anche per andare a zappare — semplicemente — in Francia, nel Belgio, in Germania; è della stessa razza di quella che ha costruito due terzi delle ferrovie americane, che ha dissodati e resi floridi terreni che oggi danno da vivere a tutti gli Alleati, migliaia e migliaia di chilometri quadrati di sterili pampas. È sempre il nostro lavoratore italiano, unico al mondo, per modestia, per intelligenza e per bravura; è sempre quel nostro lavoratore che trasformato in sterratore, in muratore, in artigiano ieri era ricercato e preferito a tutti gli altri per lavorare la terra in pace, ed oggi, trasformato in soldato, viene ricercato e preferito per lavorare la terra in guerra.

Per la grandezza d’Italia.

Soldato del Genio che tornerai fra poco al lavoro dei campi e delle officine, ricorda che la tua attività sarà ancora indispensabile alla grandezza del nostro Paese.

Dopo la guerra che à reso potente e rispettata la nostra Patria, un’altra guerra devi combattere per rendere proficuo il tuo lavoro, vivida la tua intelligenza, ardente il tuo desiderio di sana emancipazione.

Abbiamo frantumato gl’Imperi più temuti della terra? Abbiamo raggiunto i confini segnati dalla natura e dalla storia all’Italia? Abbiamo restituito a libertà Popoli oppressi da secoli? Abbiamo contribuito validamente a salvare l’Europa dalla schiavitù a cui voleva condannarla il militarismo tedesco?

Non basta; non dobbiamo riposare o trastullarci nella festa della vittoria.

Una sola maniera di festeggiare il grandioso evento ci è lecita, ed è la maniera dei popoli che debbono assolvere una grande missione di civiltà nel mondo: camminare risoluti per le vie più aspre, allenarci a maggiori cimenti in ogni campo della umana attività, moltiplicare lo sforzo per sviluppare la nostra potenza.

Perchè la grandezza e l’onore della Patria saranno la tua grandezza e il tuo onore. [p. 33 modifica]