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erano stati costruiti, senza contare tutte quelle che ciascun reparto di fucilieri, di alpini, di artiglieri aveva costruito da sè per collocarsi nelle posizioni più avanzate, per portare cannoni sui picchi più alti, e ogni chilometro di nuova costruzione aumentava quel più gran lavoro che era ed è la manutenzione della strada, per la quale ogni mese oltre le braccia dei soldati, che maneggiavano egualmente il fucile, la picozza e La cura climatica del Telegrafista. la vanga, occorrono 20 operai e non meno di 150 mila metri cubi di ghiaia, con migliaia di carri e carrette, con macchine cilindratrici, carri-botte da inaffiamento, sfangatrici, ecc. La nemica della strada, la neve, fu combattuta ora per ora, giorno per giorno. Dove non era possibile lo sgombero, si lasciava lo strato per le slitte. Dove nemmeno questo era possibile, si adoperavano le gallerie coperte, precedentemente prerate con robuste travature e tettoie o si scavavano decisamente nuove gallerie nella neve stessa alte 2 metri e che hanno corso il fronte per centinata di chilometri.
Così, anche nell’inverno, il colossale movimento celato alla vista del nemico da alte pareti di stuoie che si elevano lungo le strade nei tratti scoperti, non ha mai cessato un istante: regolare, ostinato, ordinato, silenzioso, dando uno spettacolo caratteristico, che conferisce alla retrovia italiana una regolarità tipica di calma intelligente e resistente.
Cento ponti nuovi per una lunghezza di circa tre chilometri e 300 ponti ripiegabili, senza contare quelli di barche gettati dai Pontieri o quelli di legno e a palafitte, si sono aggiunti alle nuove strade.
E con lavori imponenti, che rimarranno solenne testimonianza di tutto lo sforzo di civiltà che la guerra italiana ha voluto sempre
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