Gli elogi del porco/Capitolo secondo
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CAPITOLO SECONDO
diretto al medesimo
Illustrissimo Signor Dottore Rettore
GIAMBATTISTA ARALDI
sotto il nome
DI UN POETA ANONIMO
MA VERAMENTE COMPOSIZIONE
DI TIGRINTO BISTONIO
Autore del Capitolo primo.
Illustrissimo Sig. Sig. Padron Colendissimo.
Dal gran Buratto, che il bel fior sol coglie.
Quel, che mi consola, si è che potrei darmi alle mosche in qualche maniera; ma per non entrar nell’un via uno, e così non finirla mai più, me la ingojerò in santa pace, e chi le ha avute se le tenga, e il Ciel lo benedica. Un Capitolo mena tutto il fracasso. Un Amico mio parziale me l’ha comunicato; ed io in su due piedi ne ho subito fatta copia, ed è la compiegata, che spedisco a V. S. Illustriss., perchè abbia come un seguito dell’Opera, e si sollevi qualche poco dalle continue, e tutte nobili sue occupazioni, ridendo alle spese di due stempiati Farfallonisti Porcini. Quello di che la supplico per carità, si è, che il tutto rimanga segreto, anche a misericordia di quel po’ di concetto, in che taluno mostra buonamente di tenermi, preoccupato per mia buona sorte da una oppenion troppo facile, e generosa. Ma con V. S. Illustriss., che mi conosce, che sa quanto io sia da poco, e che nella magistrale Arena sua Filosofica m’ha sofferto con tanta pazienza per un mero Piedistallo, od un Piccion di gesso, la cosa diversifica, e tollero di arrossire, e di scoprirmi per tambussato. Ma in tale stato ancora spero, che V. S. Illustriss. non si scandalizzerà poi tanto, che abbia io a rimaner privo della sua buona grazia, che valuto d’assai; ed a quella raccomandandomi, col solito invariabile rispetto rimango.
Divotiss., ed Obbligatiss. Servidore |
RISPOSTA CRITICA, E SUSSIDIARIA
AL CAPITOLO
Di Rime quella tale infilzatura,
3Un gran marrone a sdiricciar prendesti.
T’ingolfasti in un mar, che fa paura,
Con provvision meschina di biscotto:
6Stolto chi nell’oprar non ha misura.
Ma transeat: ogn’Asino ha il suo trotto;
Il peggio è l’impostura, onde l’adorni,
9Larga, e ritonda più dell’O di Ghiotto.
La Musa uno stival? La scacci, e scorni?
Porco, e Cignal non son tra lor parenti?
12E i Padri Achei son tanta feccia, e corni?
Amico, tu m’hai pieno: i tuoi accenti
Fan che dall’unghie io del Leon decida;
15Dal morso imparo a giudicar dei denti.
Vi son le Muse, e senza la lor guida
Mal si reggono in alto i voli ascrei,
18Son Corvi i Vati, e raglio i Carmi, e strida.
Figlie son tutte del maggior de i Dei
Sagre ad ogni Cantor, e già invocate
21Negl’argomenti più superbi, e bei.
E quante volte non le avrai seccate
Tu stesso, e fatte morfie a collo torto,
24O Correttore della nostra etate?
Tu che alla Grecia poi fai sì gran torto,
E Platon poscia ad imitar ti prendi,
27Che fosse Greco ancor non t’eri accorto?
O un tanto Eroe tra que’ minchion comprendi,
E sei un empio; o t’era ignoto affatto,
30E un Cavol fritto, un Gocciolon ti rendi.
Qual poi t’investe frenesia da matto,
Una sol spezie d’Animai volendo,
33Che in due vada distinta ad ogni patto?
Tu d’Istorie non sai, a quel che intendo:
Ne’ tempi, che parlavan francamente,
36Ardea tra’ Porci un battibuglio orrendo;
E se un antico Traduttor non mente,
Per giovinetta, e amabil Porcellina
39Nacque lo spaventevole accidente.
Questa era ricca come una Regina,
E maritarla il Padre non volea
42Con alcun di que’ Porci da dozzina.
Ma degl’Amanti il novero crescea,
E quella scaltra a tutti fea d’occhietto,
45E cose grandi a tutti promettea.
Un ve n’avea di più leggiadro aspetto,
Che più le fea del cascamorto intorno,
48E di muschio sapeva, e di zibetto.
Ma il saggio Padre dubitando un giorno
Non s’appiccasse il foco nella paglia,
51E non gliene venisse un qualche scorno,
Pensò di contentar tanta canaglia,
Dicendo: I’ vò concederla in isposa
54A quel che in Giostra fra di Voi più vaglia.
Dai quattro Venti battaglioni a josa
Si vedean comparir nel gran steccato
57D’una prosopopeja ardimentosa.
Di denti acuti era ciascuno armato,
Ed eran questi la sua spada, e lancia;
60Lo schioppo ancor non erasi inventato.
S’incominciaro a sbudellar la pancia
L’un dopo l’altro, e per due mesi intieri
63Equilibrò Vittoria la bilancia.
Proteggea Marte que’ polputi, e neri,
Gli agili proteggeva il Dio Nettuno,
66E Bacco i men silvestri, e i meno altieri.
Ma in fra que’ Paladini alzossen’uno,
Che fin metteva a così lunga festa,
69Facendo un repulisti di ciascuno;
Quando fuor del terren sparsa la testa
Di polve immonda uscì Madre Natura,
72E disse: ah Giove, che matteria è questa?
Se manca il Porco, io veggio addiritura
Il miser’Uom a carestia soggetto,
75Veggio, Signor, che a mille guai non dura.
Disse, e Giove provvide, appena detto,
Col fulminar quell’infelice Amante
78Di tanto scempio sconsigliato effetto.
Marte il suo stuolo inviperito, e ansante
Trasse ne’ boschi, e si chiamar Cignali,
81E li fece terror di quelle piante;
Nettuno a’ suoi donò le squame, e l’ali,
E alla schiera de’ Pesci gli aggregò,
84Avvezzandoli all’onde, al nuoto, ai sali;
Bacco sparsi pe’ campi i suoi lasciò,
E al primiero occupante Villeresco,
87Non volendo ammattir, gli abbandonò.
Ma Tu, Poeta mio, guardi in cagnesco,
E mi squadri ingrugnito la persona?
90Veggio, che ti confondo, e ti rincresco.
Ma senti; un Uom, che vive alla carlona,
I cocomeri in corpo non si tiene,
93E vuol sua libertade, e si sbottona.
Dunque da un Tronco sol vedi che viene
Il lignaggio porcin per cammin dritto;
96L’autor di questa Istoria era d’Atene.
Il fatto in prische lamine è descritto,
Che esposte un giorno in Tebe a vile incanto
99Trasportò Tolomeo dentro l’Egitto;
E Cleopatra, ond’aver sempre accanto
Quel buon Guerrier di Marc’Antonio, un dono
102Gli fè di quelle, e l’obbligò poi tanto.
Ma sta, che io pure Encomiator mi sono
D’un tanto Eroe; giungiam le destre, Amico,
105La Critica si ponga in abbandono.
Di litigar già non m’importa un fico,
Nè gl’impacci del Rosso io mai mi piglio,
108Non voglio alla mia Porta alcun intrico.
Bada se io son discreto, io sol mi appiglio
A intrecciar nuove laudi al Porco nostro,
111Che tu ad arte lasciasti, o per consiglio;
E già incomincio: o del miglior mio inchiostro
Vien, caro Porco, alto principio, e meta;
114Non mi negate, o Musa, il favor vostro.
Dormiva Enea, quando dall’onda queta
Del vicin fiume il Tiberino Dio
117Surse quant’era in aria augusta, e lieta,
E parlò: Figlio d’una Dea, d’obblio
Spargi i danni sofferti, alfin giungesti,
120De’ Latin, de’ Laurenti, e voto mio.
Nessun timor tue degne imprese arresti,
Questo è il fin de’ travagli, e Ascanio il figlio
123Fia che dopo trent’anni quì sen resti.
Gli Dei son paghi, del Divin consiglio
Che in tuo sollievo si dichiara, avrai
126Prove evidenti nell'aprir del ciglio.
Accolta sotto un’Elce troverai
Candida Scroffa, e alle sue poppe appresso
129Trenta bianchi suoi Parti ancor vedrai.
Il segno è quel, che un giorno Ascanio istesso
Fonderà d’Alba il memorabil Regno,
132Vinta l'Invidia, e l'Oppressore oppresso.
Tacque, e a suo tempo si avverò quel segno;
Ti ringalluzza, o Porco mio, che sei
135De' Numi i ciechi arcan di adombrar degno.
Potean valersi d’altre bestie i Dei,
D'Aquila, di Colomba, ovver di Toro,
138A lor già cari, o de' sagrati Augei.
Tu fosti il sol tra quell'immenso Coro,
Forse che in Terra tu gli avrai sfamati
141Quando tante zizzanie ardean tra loro;
E come in gozzoviglia saran stati!
E trinciando, e pappandoti a due mani,
144Le dita alfine si saran leccati!
Fu Publio Servio il primo infra i Romani,
Che in tavola ti mise intiero arrosto,
147E poi con simmetria ti pose in brani;
Ma proibita dai Censor ben tosto
Venne l'idolatrata imbandigione,
150Perchè di troppa spesa, e troppo costo.
Era tutto il tuo ventre un gran cassone
D'ova, di teste, Beccafichi, e ancora
153V'era di scelte carni ampia mistione;
Ed in proverbio tu passasti allora
Per il Porco Trojan, perchè ripieno
156Come il Caval, che trasse Ilio a mal’ora;
E molto prima, di cent’anni almeno,
D’una pari vivanda i Greci usaro
159Il lor Convito a mantener più ameno.
Plinio insegnò, che di sapori avaro
Non sei, e che valenti Professori
162Cendieci in le tue Carni ne trovaro;
Ond'è, che Tito Quinto escito fuori
Ad affrontar d'Antioco le Genti,
165Che nella Grecia fean tanti rumori,
Gradì tra mille offerte, e complimenti
D’un certo Calcidense un ampio invito
168A eletto pranzo in cima agli ori, e argenti;
E nel mirar un numero infinito
Di vivande diverse, ch' ei tenea
171Di trecento Animai, giacque stordito;
E se quel Signorotto non gli fea
Toccar con man, che tutto era porcino,
174Mangiar l'Affrica in bestie si credea.
Nell'Umbria, e nella Marca ogni mattino,
Che sia festivo, in mezzo della Piazza
177Havvi di cotti arrosti un Magazzino,
Per cui la Povertà con poco sguazza
Senza far di pignatta in la giornata,
180E in tre o quattr'ore il Magazzin si spazza.
La Dose di sue carni in Francia è grata,
E in Carta grande, e in Gallico dialetto
183Il Real Cucinier l'ha già stampata.
Cochon de lait à l’Allemand = e suo precetto;
Cochon en galantine = jambon roti =
186Boudin blanc, et noir = Boccon perfetto.
Che poi di lui non dicono ognindì
Dale, Schroder, e James, e Aldrovando?
189Per lui la Drogheria s’incivilì.
Come Cignale, un bene memorando
Fa co’ denti, col fiele, e con l’urina,
192E sin sterilitade ei mette in bando;
E come abitator d’onda marina,
Pe’ tumor freddi il Grasso suo si dice
195Un non plus ultra, una bontà divina;
E alfin di meraviglie una Fenice
Come Porco nostran forz’ è che passi,
198E chi langue, e chi è sano il benedice.
Per lui l’Imbiancator le spese fassi,
E privo del fuo pelo il Calzolajo
201Non fora il cuojo, e alle bestemmie dassi;
E sporco, e bianco come un ver Mugnajo
Un abito riman, se sciorinato,
204Ei non lo purghi, e nol ritorni gajo.
Ma vieni in scena, o illustre Cervellato,
Che da Milan sei detto Milanese,
207Balsamo della lingua, e del palato.
Regal Milano, il nome tuo è palese
Fin dove erge la Fama i voli suoi,
210Di Lombardia già principal Paese.
Fur Regi, Imperadori, e Duchi i tuoi
Arbitri, e Reggitor, e il Mondo sà,
213Che puoi far, che puoi dir ciò, che tu vuoi.
Pur non sdegnar ch' io dica verità;
T'accresce il Porco con simil boccone
216Un quinto almeno d’Immortalità.
Nè te, Parma gentil, in un cantone
Deggio lasciar, cui celebrar cotanto
219Arrigo, Sansovin, Livio, e Strabone.
Me la perdoni quel famoso, e santo
Della natura imitator Correggio,
222Se lo passo in silenzio in questo Canto;
La gloria sua, la tua grandezza io veggio,
Ma questa volta, alma Cittade eletta,
225Tentar di lode altro cammino io deggio;
Che la mia Rima è a celebrar costretta
Del mio Campione altro novel portento,
228Tua Bondiola ammiranda, e tua Spalletta.
Ma pian per carità, piano un momento;
Che tentazioni, e che flagei son questi?
231Sfido a maggior cammin l’instabil vento.
Tu ancor, Lucania, in mio pensier ti desti?
Della Grecia maggior tu parte un giorno,
234E tante brighe co’ Romani avesti.
Bella Provincia, il cui Terreno adorno
Appenin parte, e di Vigneti onusto
237Sparge ricchezza, e amenitade intorno.
Te ognor beata, che l’Impasto augusto,
Della prima Salsiccia immaginasti,
240In piccoli Cilindri immenso gusto.
Ah! che a ragion tuo nome le donasti
( Se pur Varon non ci affibbiò bugia )
243Da Lucania Lucanica chiamasti.
Vanta il tuo Cotichin, Modena mia,
Del Popol di Quirin Colonia antica,
246Bruto ancor negli Elisi oh! non t’obblia;
Quel Cotichin, bisogna pur che il dica,
Al cui confronto, salva la tua gloria,
249La tua gran Secchia io non valuto cica.
Ma di lui già ne fece alta memoria
Ne’ giorni addietro altro Cantor Toscano,
252E gli fè strada alla ventura Istoria.
E dove lascio sotto il Ciel Germano
Il tentator Westfalico Prosciutto?
255Il Firentin Salame, ed il nostrano?
Oh, caro Porco, tu fe’ dappertutto,
Ogni mestier del favor tuo si abbella,
258Or consistente, or liquido, or distrutto.
Ma i maggior fatti a celebrar mi appella
Lei, che sul picciol Ren siede, ed impera,
261Madre d’Arti, e d’Eroi Felsina bella.
Lei d’origin già Greca, e già Guerriera,
Che il Sacro accolse Tridentin Senato,
264E un Rè in catene assoggettossi altera.
Ecco un Popolo vasto radunato,
Ecco di Palchi un ordin teatrale,
267E ogn’ angolo, e balcon tutto addobbato.
La diresti una Fiera, un Carnovale,
E Carrozze, e Cavalli, e Nobiltà,
270Messi a giorno di Festa trionfale.
Numerosa, ondeggiante, e audace sta
Nel rispondente Piano sottoposto
273Ciurmaglia berettina in quantità;
Che fischia, e chiama, e ferma attende in posto
Qualche cosa di grande a far discesa:
276Le Trombe annunciatrici han già risposto
Piovono Augelli, e come Santi in Chiesa,
Alzan, stese le mani, in su le braccia,
279E fan salti per aria a farne presa.
Quinci vedi ammaccarsi e naso, e faccia,
Suonan le schiene ai pugni tempestosi,
282Van per l’aria i cappelli, i crin, le straccia.
Alfin tutto si calma, e tra i clamosi
Evviva popolari, alta, eminente,
285Tutta infiorata, come son due Sposi,
Spettacol giunge alla vogliosa gente,
Sempre assistenti i primi Padri istessi,
288D’un Porco una gentil Figlia innocente.
Cesar perdona: a Te non fur concessi
Tanti in Roma splendor, quando tornasti
291Le Gallie, il Ponto, Affrica, Egitto oppressi.
Ma già piombasi al baffo, e sparsi, e guasti
Si veggono i be’ quarti imbrodolati,
294Nessun va a male, e se ne fan de’ pasti;
E per l’ampio recinto in cento lati
Fremon gli elogi a quell’eccelsa Estinta,
297Che a Bologna rammenta i tempi andati:
Che volontaria a lei diedesi vinta
Faenza, rotti i Lambertacci arditi,
300E molta Setta Gibellina estinta;
E fur due Porci ad onta ambo rapiti
Sola cagion del glorioso acquisto:
303Il Sigonio, e il Vizan scrisserlo uniti.
Popolo delle belve immenso, e misto,
Nessun di voi con vostra flemma, e pace,
306Più del mio Porco in tanto onor fu visto;
Nè già villano, e sconoscente ei giace,
L’inclita Mortadella a lei riserba,
309Ella il pregio ne intende, e sen compiace.
Porco immortal! Bestia per sin superha
D’aver Tullio, e Marzial Panegiristi,
312Con Giuvenal, lingua ad ognun sì acerba.
Di te più volte i Dei furono visti
Far uso allor, che vollero vendette,
315E aprir nel Mondo oscuri giorni, e tristi.
Arcadia il fa, che fu tanto alle strette,
D’Erimanto lo sà la selva annosa,
318Lo san di Meleagro le saette;
Quando la Dea Diana disdegnosa
Contro Oeneo, che dispregiarla ardio,
321Mosse un Cignal di forza spaventosa.
Al Popol d’Heraclea, già sacra al Dio
Figlio di Giove, e dell’incauta Alcmena,
324Il Coccodrillo era nefando, e rio.
Mostro, che ammorba l’infiorata, e amena
Sponda del Nil, nato a tremendo orrore
327Dell’Uom, di cui sempre la pancia ha piena;
E perchè il Porco il mobile megliore
Era in Egitto onde ridurlo a morte,
330Passava in lode, ed in comune onore.
Allor quando a fior d’onda, e a lunghe, e torte
Striscie si scuote il Coccodrillo, e l’onda
333Balza fremendo al flagellar sì forte,
Il Pescator, che dalla scelta sponda
Scoprillo, inverso lui scaglia lontano
336Carne di Porco, e in lei grand’amo affonda;
E affin ch’ei trovi quel nuotante brano,
A colpi di baston fa urlar sul lido
339Giovin Porchetto, ch’egli tien per mano.
Quel mostro Amfibio al conosciuto grido
Simpatico per lui, colà si addrizza,
342E trova, e ingozza quel boccone infido.
E giù lo scaraventa, e appien s’infizza;
Quinci lo tragge il Pescatore a riva,
345Mentre or si torce, or si profonda, or guizza,
E gli getta su gli occhi, allorchè arriva
Di fango impiastro, che a tal uso fece,
348L’accieca, il ferma, e poi di vita il priva.
Chi fu cagion, che al fren si assuefece
L’indomito Caval? Fedra lo conti,
351Classico Autor, che denigrar non lece.
Del caldo Estate ad evitar gli affronti
In certa pozza il Porco erasi fitto,
354L’ombra godendo de’ vicini monti;
Quando giunse il Caval, che avea diritto
Per un lungo possesso entro quel fosso,
357E gliene fece un capital delitto.
Vennero a sfide, e quel terren fer rosso
Di sangue alterno; ma il Caval da vile
360Cedette il campo, e se la fece addosso;
E corso all’Uom, con portamento umile
Chiedendo aita, sovra il dorso il prese,
363E mosse a vendicar l’atto incivile:
Ma fatte ch’ebbe l’Uom le sue difese,
Bel bello il morso introducendo in bocca,
366Schiavo per sempre, e prigionier sel rese.
Ma troppo lunga è omai la Filastrocca,
Non è la via dell’orto il compimento,
369Vi suderebbe un Talenton di brocca:
Nè tu, mio Porco, andar ne dei seontento
Ch’ anzi ell’ è gloria dell’Eroe lodato,
372Che manchi il lodator nel gran cimento.
Ogni gioco più corto è ancor più grato;
Quì chiudo il sacco, e quel che è scritto è scritto:
375Rida chi vuol, che non farà peccato,
E a chi non piace, mi rincari il fitto.