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xxiii. |
Illustrissimo Sig. Sig. Padron Colendissimo.
Hi non fa non falla, dice il Proverbio. Ogni campo ha la sua ortica. Il Capitolo, che ebbi l’onore d’inviare, giorni sono, a V.S. Illustriss., è stato concio per le feste. Un Critico Anonimo l’ha attaccato di fianco alla Prussiana, e l’ha cannonato a subisso spiatellatamente. A dire il vero tanta franchezza mi ha sorpreso, e tanto più, che trattavasi di cosuccia privata, e giù alla buona. Ma che s’ha a fare? Io non sono l’Archimandrita, nè il Factodo de’ Rimatori eccellenti, nè tampoco la farina più pretta, che uscisse mai
Dal gran Buratto, che il bel fior sol coglie.
Quel, che mi consola, si è che potrei darmi alle mosche in qualche maniera; ma per non entrar nell’un via uno, e così non finirla mai più, me la ingojerò in santa pace, e chi le ha avute se le tenga, e il Ciel lo benedica. Un Capitolo mena tutto il fracasso. Un Amico mio parziale me l’ha comunicato; ed io in su due piedi ne ho subito fatta copia, ed è la compiegata, che spedisco a V. S. Illustriss., perchè abbia come un seguito dell’Opera, e si sollevi qualche poco dalle continue, e tutte nobili sue occupazioni, ridendo alle spese