Gli elogi del porco/Capitolo primo
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CAPITOLO PRIMO
INDIRIZZATO DALL’AUTORE
All’Illustrissimo Signor Dottore Rettore
GIAMBATTISTA ARALDI
Elemosiniere, e Segretario di S. A. S.
LA SIGNORA
PRINCIPESSA EREDITARIA
DI MODENA.
Illustrissimo Sig. Sig. Padrone Colendissimo.
Scorta, e Maestro anche a Color, che sanno.
Ma se per mia fatalità tali mie rime dovessero piuttosto moverla a noja, ed a sbadiglio, imploro sopra loro in questo punto, e l’obblivione, e le alici, nè si parli di esse mai più, e solo mi compatisca, e me la perdoni; e potrò ben meritarlo, se l’unico mio fine è stato quello di convincerla, che in me, piucchè un Verseggiatore, Ella vi tiene Persona, che si pregierà d’essere in ogni tempo per inclinazion, per dovere, e per inalterabile ossequio
Divotissimo, ed obbligatissimo Servidore |
IN LODE DEL PORCO
Oh! questa volta nò non me l’accocchi,
3Se non la sputo già crepar mi sento.
In argomenti, o perigliosi, o sciocchi
Io non ti azzardo: e poi, Signora mia,
6Ognun può far de la sua pasta gnocchi.
Dielsà se tenga a onor tua compagnia;
Ma se mi fai dell’Aristarco addosso,
9Oh! bacia il Chiavistel, vattene via.
Io mi son un, che mai non bevo grosso,
La dico qual la sento, o adesso, o poi,
12E so senza di quel, che aver non posso.
Credi che un Vate i movimenti suoi,
L’Estro, l’ardir dal tuo favore attenda?
15Pianta queste carote ai Greci tuoi.
Pria che sua spoglia ad informar discenda
Alma quaggiù, fra le rotanti sfere,
18Forz’è, che d’armonia tutta s’ accenda;
E se talor noi la vediam giacere,
O schiva, o indifferente al suono, al canto,
21L’organo è in colpa, a cui dee soggiacere.
In vita mia non m’ hai fatto altrettanto;
Basta; intendesti: il favellare or torco
24Al grande Eroe, ch’or su mie rime ha il vanto.
Parlo di Te, mio rispettabil Porco,
Onor de la quadrupede Famiglia,
27Benchè di fuori impiastricciato, e sporco;
Che tu vivi alla buona, e senza briglia
Di moda, e servitù, che tanto annoja;
30L’usanza tua di libertade è figlia;
E Plinio insegna, che un calor da Boja
Sempre t’investe, ond’è, che poi ti piace
33Nel Pantano smorzar sì crudel noja.
Roma, Epidauro con sua buona pace
Adorár Serpi; idolatrò l’Egitto
36Gatti, Cipolle, e il Coccodrillo edace:
Lodò l’Orzata in voce, ed in iscritto
Ippocrate; e Caton quel fier Romano,
39Per un Cavolo sol sariasi fritto.
Diocle alla Rapa, e il Vate sovrumano
Primo Cantor delle Trojane imprese
42Fece a’ Topi, e a’ Ranocchj onor sovrano.
Era appresso di Fania un Crimen lese
Biasmar l’Ortica, e della Innamorata
45Il Passere a eternar Catullo prese.
E qual non fè ridevole frittata
La Grecia allor, che in le celesti Volte
48Pose di Bestie quella ria brigata?
E Granchio, e Pesci, e Capricorno, e in folte
Giubbe ardente Leone, e Scorpio, e Toro,
51Orse, e Monton con ampie corna avvolte.
Ai Tessali il Cavallo era un tesoro;
Un Cane in Samo era il più dolce oggetto,
54E un Asino in Arcadia era in decoro:
E Tu, mio caro Porco benedetto,
Tu che devi passar per la maggiore,
57Tu l’estremo sarai, sarai negletto?
Nò, fin che avrò parole, avrò vigore,
Presente me non ti vedrai schernito,
60Fosse del gran Mogol l’Imperadore.
I tuoi affronti io legherommi al dito,
E ti sarò difese sbombardate,
63Sebben io sembri un bel Peto vestito.
Ma dove incominciar tue lodi ornate?
Tu solo nasci al Bene universale,
66E sei nella natura un altro Acate.
Per giovare a ciascuno a Te non cale
Menar tuoi giorni più d’un anno, e mesi,
69E ti soggetti a un colpo capitale.
Tu se’ venduto a oncie, a libbre, a pesi,
E sino i peli tuoi al Villanello
72Sono un tesor sul Canovajo stesi,
E se non è Galeno un Ravanello,
Solea un Atleta infin da fanciullino
75Mangiar tue Carni, ond’esser forte, e snello.
Sembri raschiato un candido Armellino,
E sembri aperto ricca Galleria,
78A pompa, e gloria del saper divino.
Son tutte le tue parti in simmetria,
E la Macchina tua si estima assai
81Dalla tagliente rossa Notomia.
A ogni figura accomodar ti sai,
Arrosto, Fricandò, Lesso, Bragiole,
84E sempre piaci, e non disgusti mai.
Mastro lo Cuoco senza Te non suole
In Pranzo signoril figurar bene,
87Ne fa scialacquo, ed il Padron sen duole.
Ma se da le tue carni a noi sen viene
Il non plus ultra de la Meraviglia,
90Il Cotichin, che più bramar conviene?
Oh Cotichin, null’altra a Te somiglia
In fragranza, e in sapor vivanda eletta!
93Quando tu giungi inarca ognun le ciglia.
I grati effluvj ad assorbire in fretta
Si spalancano i tubi ambi nasali,
96E un Oh comune il godimento affretta;
E tosto in bocca, e giù per li canali
Delle gole bramose l’acquolina
99Si sentono venire i Commensali:
E fossevi ancor latte di Gallina,
Ed in piatto real vergin Fagiano,
102A te la preminenza si destina.
So ch’è un error da far sparar la mano,
Dir che non hai, Geometria sicura,
105Un Cilindro più bel dentro il tuo piano;
Ma se tornar potesse all’aria pura,
E ne pappasse una sol volta ancora,
108Euclide lo faria prima figura.
Quindi a ragion l’Oltramontan l’onora,
E lo manda al Paese ov’è in concetto,
111E il Lombardo terreno ivi s’adora.
Quì dir potrei, che nel Bochard ho letto,
Che moderni Scrittor son di sentenza,
114Che il Porco in Israel fosse interdetto,
Perchè volesse il Ciel con l’astinenza
Da sì grato boccon, ch’Ei più nel zelo
117Spiccasse di pietade, e d’obbedienza.
Ma non vogl’io metter la bocca in Cielo;
Non è questo un latin per la mia classe,
120Come non è Bochard il mio Vangelo.
Se la Macchina mia lo comportasse,
E che l’erario poi men floscio fosse,
123Vorrei, che ognindì meco si trovasse;
Ma un ostinata malandrina tosse,
Che nacque meco, e meco morirà,
126Mi trattien nel più bel sovra le mosse;
Che quel dì, che ne gusto, mi si fa
Tal mancanza affannosa di respiro,
129E smania tal da movere a pietà.
Non però mai col Cotichin mi adiro,
Esso in colpa non è, nè da lui scende
132D’uno scompiglio tal sì crudel tiro.
In se d’aromi quantità comprende,
Col piccante, adurente, caloroso
135Schiacciato Pepe, che la lingua offende,
L’attraente boccon, caldo, spongioso,
Dell’Esofago passa pel sentiero,
138A sue parti irritabili nojoso.
Queste in un moto impetuoso, e fiero
Scuoton le annesse col Diafragma istesso
141Per mirabil consenso, e magistero.
Quinci di linfa spremimento accesso
Apresi al petto, e vi si arresta, e ammette
144Un coagol più viscido, e più spesso;
Ed è quello il catarro, che poi mette
Co’ polmonari bronchi già ingombrati
147Ancora le vescicole alle strette;
Che all’aer necessario contrastati
Vengon gli ingressi allor, per gli anelosi
150Moti di spirazion difficultati.
Ma nella messe altrui la falce io posi:
Haller, perdona, al Precettore or fatto
153Cagion d’invidia giù frà mirti ombrosi.
Torniamo a bomba, e stiamo al primo patto,
E senza la girata del Can grande
156In iscena l’Eroe torni issofatto.
Medicina fedel, da cento bande
In tua provincia qual valor non conta?
159Lemery ne raccolse opre ammirande.
La bollitura sua vomiti affronta,
L’ulcere degli orecchj il fiel risana,
162E il tardo crine ad allungarsi appronta.
Terge, e assoda le piaghe in foggia strana
Liquido Lardo di sua feccia privo,
165E del Vajuol le bollicelle appiana.
E’ ammolliente, annodin, risolutivo
Suo grasso; e al nasal sangue, e a squinanzia,
168E a rogna il fuo escremento è un sanativo.
Di lui parli la saggia Economia,
E l’industre Mecanica ingegnosa,
171Che in Terra, e in Mare il favor suo desia.
Tu che al nome di Porco schizzinosa
Musa, t’aggrinzi, sentine una grossa,
174Tu sai di Porco in testa a tutta josa;
Quando per farti più lisciata, e rossa
T’affidi alla Toletta la mattina,
177E t’emendi, e t’ajuti a tutta possa,
Dimmi, quel fusto onde il Topè strofina,
E te lo assesta il Parrucchier d’Apollo,
180Che imbianca poi di polve sopraffina;
E i ciondoli all’orecchio, e il vezzo al collo
Quinci ti poni, e di Sussì, o Lillà
183L’ampio Andrienne, e il Plettro ad armacollo,
Che Diamine cos’è? Musa, si sà:
Un impasto gli è quel, dov’ entra, e lega
186Del lui sugo adiposo quantità;
E con esso la fronte ancor si frega
Berecintia, Giunon, Venere amante,
189E con mille composti entrar può in lega.
Sin l’immondizie a cento frutti, e piante
E’ un Elisire, un Balsamo sincero
192D’olio, e di sal volatile abbondante.
Ha nel Cembalo ancora ministero;
Della cotenna sua scaglie or si fanno
195D’un movimento elastico, e leggiero,
Che spinger senza penne, e accoglier sanno
Le lingue de’ rostrati salterelli,
198Che l’auree corde a vellicar sen vanno.
Oh Cembalo immortal, che scuoti, e svelli
Dal più cupo letargo, e l’alma, e i sensi,
201O tu pianga, o t’accenda, ovver favelli!
I pregi tuoi son portentosi, e immensi,
E tuo m’avrai Panegirista eterno,
204Ma chi ti può lodar quanto conviensi?
So, che talun per ignoranza, o scherno
Dirà, che Vener fè sì gran fracasso,
207E giurò al Porco un odio sempiterno;
Poiché il bel Cacciator mandò a patrasso
Nel bosco istesso, ove la scaltra Dea
210Con lui si tratteneva in certo chiasso:
Ma quell’era un Cignal, che non avea
Co’ Porci nostri alcuna parentela,
213Anzi tra loro inimicizia ardea.
So pur, che ad impetrar l’ampia tutela
Di Cerer bionda, allor che Aprile usciva,
216In bianco vel con lampana, e candela,
Roma un Porco immolava, e ciò veniva,
Perchè le biade amica difendesse
219Dal grugno suo, che via se le carpiva;
Ma se custode a’ Porci dato avesse,
O posto i Seminati entro clausura,
222Roma provvisto avrebbe al suo interesse.
Che far contro un istinto di natura?
Me la perdoni di Guirin la gente,
225In questa parte non fa gran figura.
Ma quando ei fruga, e scava arditamente,
Non la fa allor da buon Mineralista,
228Il Tartufo estraendo sì eccellente?
Ah! che a ragion quel Miserel si attrista,
E borbotta pian piano ognor tra se,
231Vedendo, ch’egli è sempre per la pista.
Chi mangia a due ganascie, un Porco egli è;
Porco chi ha sempre il gorguzzule in molle;
234Porco chi scarno in pria, grasso si fè:
Porco chi non ha il sangue, che gli bolle;
Porco chi lascia un peto in abbandono,
237Porco il Melenso, il Brodoloso, il Molle.
Si sa, che il sonno è di salute un dono,
Pur vedi maldicenza! I dormigliosi
240Comodi porci intitolati sono.
Oh costumanze! oh tempi ingiuriosi!
Oh lingue nate del buon gusto a scorno!
243Ma saldi, o Porco mio, tai Ser Brigosi,
Che dan la quadra, e sembri loro un corno,
Ti mangierian su i muri ancor dipinto:
246Tu fa l’orecchie da mercante intorno,
Che con costor, chi non li cura ha vinto.