Gli amori di Alessandro Magno/Atto V

Atto V

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Atto IV Nota storica

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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Cortile nella reggia di Dario.

Statira, poi Policrate.

Statira. Misero genitor! la terza volta

Già sconfìtto rimase, e il vincitore
Baldanzoso ritorna. Eterni Dei,
Quando mai della Persia
Finiran le sventure? Ah! serbi almeno
Il nemico Alessandro
Della stessa pietà fecondo il seno,
Torni ad amar Statira,
Torni la pace ad esibire al regno,
E col mio genitor plachi lo sdegno.

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Policrate. Ah! Statira!

Statira.   Che rechi?
Policrate.   Apportatore
Son di triste novelle.
Statira.   Oh dei! qual nuovo
Infortunio ci accade!
Policrate.   Il ver pur troppo
Vanto io sol di saper.
Statira.   Mi trema il core.
Policrate. Alessandro di Dario è vincitore.
Statira. Altro non sai?
Policrate.   Ti sembra
Novità indifferente?
Statira.   È nuova tale
Di cui piena è la reggia; e tu presumi
D’esserne il solo apportator?
Policrate.   Mi basta
Che conosci, che vedi,
Che verace son io più che non credi.

SCENA II.

Lisimaco e detti.

Lisimaco. Principessa, mi spiace (quasi correndo

Essere il primo apportator funesto
Di spiacevole nuova al tuo bel core.
Alessandro di Dario è vincitore.
Statira. Tardi venisti a simulare, ingrato,
Il piacer che ne provi. È già diffusa
La novella per tutto.
Lisimaco.   Ecco una prova,
Quando ognuno lo sa,
Ch’io non soglio narrar che verità.

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SCENA III.

Rossane incatenata fra Guardie, Niso, e detti.

Niso. Principessa, ogni speme

Si è perduta per noi. Torna Alessandro
Ricco di nuove palme; il signor nostro
Salvasi colla fuga, e noi vedremo
Il vincitore altero
Contro noi più sdegnato e più severo.
Ecco della mia fede,
Ecco un’opra novella. In quella schiava
Riconosci Rossane. In ceppi avvinta
Del macedone amante
La bella fiamma io ti conduco innante.
Serbala in tuo potere, e se Alessandro
Usa con te lo sdegno,
Vendica i torti tuoi con un tal pegno.
Lisimaco. Con licenza. (a Statira, partendo con ansietà
Statira.   Ove corri?
Lisimaco.   Ah! mi consolo
Che narrerò questa novella io solo. (parte

SCENA IV.

Statira, Rossane, Policrate, Niso, Guardie.

Statira. Ti avvicina, Rossane.

Rossane.   Eccoti innanzi
Un’innocente tua nemica. Io sono
Tua rivale, lo so; so che Alessandro
Arde per te d’amore,
Ti offrio la destra, e ti ha promesso il core.
Ma quell’amore istesso,
Quella destra e quel cor che offre a Statira,
Si rapisce a Rossane; e altrui non puote

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Giurar novella fede

Senza prima tradir chi a lui la diede.
Tu sei figlia di re. Figlia son io
D’un illustre guerrier. La sorte ingrata
Del poter d’Alessandro
Schiavi rende i vassalli; e tu medesma
Tal sarai, se l’affetto
Non favella in tuo pro. Pensa, Statira,
Al periglio in cui vivi; usa pietade,
Se ti cal di ottenerla. In libertade
Del macedone eroe si lasci il core,
E del nostro destin decida amore.
Statira. Alessandro dov’è?
Rossane.   Dolente, afflitto
Lo lasciai fra i soldati.
Statira.   E perchè afflitto
Fra le palme e i trionfi?
Rossane.   Acuto dardo
Punsegli il manco lato,
E si teme quel dardo avvelenato.
Statira. Dubbio tal d’onde nacque?
Rossane.   Estratto a forza
Dalla piaga lo strai, tutte s’intese
Le membra intirizzir. Scorrer pel sangue
Parvegli udire un foco,
Che avvampavagli il seno a poco a poco.
Alla smania, all’affanno,
Sopraggiunse il sopor. Livido in volto
Gli occhi tenea socchiusi, e di sua vita
Fece ognun dubitar. Taluno accorse
Con spiritosi arcani
Ad offrirgli riparo, e parve alquanto
Sollevato mirarlo. I suoi guerrieri,
Intrecciati gli scudi,
Reggerlo agiatamente

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Procurar sulle spalle. Io per trovare

Medico più efficace al suo periglio,
Preso da amor consiglio,
Sola tentai l’incognito cammino,
E guidommi fra ceppi il mio destino.
Statira. Tu Policrate, amico,
Tu della medic’arte
Celebre osservator, va ad Alessandro,
E in nome mio gli porta
Co’ tuoi farmaci aiuto, e lo conforta.
Policrate. Io?
Statira.   Sì, tu della Persia
Medico il più eccellente. A te commetto
Questa cura onorata, e tu lo scorta,
Niso, ad Alessandro1.
Policrate. Ad Alessandro
La salute recare! Ah! che far deggio?
In un grande cimento or io mi veggio, (parte con Niso

SCENA V.

Statira, Rossane e Guardie.

Statira. E tu fosti nel campo

Dove si combattea?
Rossane.   Sì, principessa,
Fra i Macedoni invitti
Tanto anch’io mi avanzai, che l’occhio sempre
Alessandro scorgea. Le prime file
Quando vidi avanzar, quando s’intese
Fender l’aria dai strali, e i primi colpi
Le milizie vibrar, terror mi fece
Lo spettacol novello. A poco a poco

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Timida meno incoraggir m’intesi,

M’avvezzai alla pugna, e un’asta e un ferro
Mi parea desiar. Finchè pendeva
Dubbioso il destin, per Alessandro
Palpitavami il cor; ma quando il vidi
Alzar la spada, e penetrar furente
Fra le schiere nemiche, e trarsi seco
I guerrieri festosi, ad un trionfo
Mi parea di volar. De’ tuoi Persiani
Già previdi il destin; rotti e dispersi
Furo in brevi momenti, e la vittoria
Dichiararsi volea pel nostro campo.
Ma si oppose al valor novello inciampo:
Un esercito intero
Di donne armate a guerreggiare avvezze,
Affrontaro Alessandro; una di quelle
Vibrò il dardo fatale
Che Alessandro colpì. Quelle feroci
Amazzoni chiamate,
Coll’armi avvelenate
Usano di pugnar. Ma vano al fine
Fu dell’empie il furor; le donne altere
O trafitte restaro o prigioniere.
La vittoria è compiuta,
I Macedoni han vinto. Il re glorioso
Torna trionfator. Ma oh Dei! nel mondo
Piena felicità sperar chi puote?
La sua vita è in periglio, e questo solo
È a funestar bastante
Ogni vivo piacer. Pietosi Numi,
Serbate i giorni suoi
Di un che vi onora, e che somiglia a voi.
Statira. Sì, Rossane, gli Dei
Son per esso impegnati; avranno in cura
Una vita a lor cara; e tu disgombra

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Per te stessa il timore. Olà! soldati,

Scioglietele dal piede
Quelle ingiuste catene; andiam, vedrai
Di una che tua rival resa è d’amore,
La virtude qual sia, qual sia il mio core. (parte
Rossane. Gratitudine merta
Chi scioglie dal mio piè le rie catene.
Tutto gli cederò fuor che il mio bene. (parte

SCENA VI.

Campo d’Alessandro, con padiglioni; Alessandro portato sopra gli scudi da’ suoi Soldati al suono de’ militari strumenti; Efestione seguito dai Guerrieri.

Efestione. Signor, qual ti risenti

Nelle membra e nel sen?
Alessandro.   Robusto è il fianco;
Quel primiero sopor più non m’opprime;
Sol coi palpiti suoi minaccia il core
Qualche assalto novello.
Efestione.   I Dei pietosi
Abbian cura di te.
Alessandro.   Diasi riposo
Alle stanche milizie. Ogni soldato
Per tre giorni riceva
Doppia la paga usata. A spose, a figli
Dei periti guerrieri
Diasi per quattro lune
La mercè degli estinti.
Sieno sepolti i vincitori e i vinti.
Efestione. Oh pietade! oh clemenza! a te, signore,
Pensi men che ai soldati.
Alessandro.   I miei guerrieri
Son le delizie mie. Da lor conosco

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L’illustre allor che mi circonda il crine;

E l’acquisto di un uom di gloria degno
Calmi assai più, che conquistare un regno.
Efestione. Deh! quell’amor che senti
Per li vassalli tuoi, volga uno sguardo
AI tuo fedel Leonato. Ei nella pugna
Segnalò il suo valor.
Alessandro.   Sì, l’ho veduto
Nei cimenti scagliarsi, e il proprio sangue
Spargere innanzi a me. Contento io sono
Torni al campo Leonato, e gli perdono.
Efestione. Amici, il lieto avviso
Rechisi al capitano. (alle Guardie, una delle quali parte

SCENA VII.

Megabise e i suddetti, poi Niso e Policrate.

Megabise.   Invitto sire,

Due che Statira invia,
Braman di favellarti.
Alessandro.   Oh di Statira
Nome grato al mio cor! Vengano.
Megabise.   Entrate.
(verso la scena
Niso. Signor, la principessa
Primogenita a Dario, inteso il colpo
Che le membra non men che il cor ti opprime,
Manda per tua salute
Questi del nostro clima
Medico illustre di saper ripieno.
Policrate. (Nel mirarlo mi sento ardere il seno).
Alessandro. Grazie rendi a Statira. Altri soccorsi
Ebb’io finor2 ma d’una man sì cara

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Non ricuso il bel don. (a Niso) Recami, o saggio,

I tuoi farmaci egregi; è a te già nota
La cagion dell’interno ardor ch’io sento, (a Policrate
Policrate. (No; capace non son di un tradimento).
Alessandro. Hai rimedio opportuno?
Policrate.   Eccolo, o sire,
Questo ti gioverà. (gli dà un vasetto di licore
Bevilo in faccia mia.
(una Guardia dà un foglio a Megabise
Megabise. Questo foglio, signor, a te s’invia.
Alessandro. Da chi?
Megabise.   Un Perso lo diede,
Poscia involò da questo campo il piede.
Alessandro. Leggasi, (legge piano) (Oh dei! che sento?)
Dimmi tu, qual t’appelli? (a Policrate
Policrate.   Policrate son io.
Alessandro. Parla il foglio di te.
Policrate.   Se mai gli audaci...
Alessandro. Non rispondere ancor. L’ascolta, e taci. (legge
“Alessandro, ti guarda
“Da un medico sospetto,
“Che Policrate ha nome. A te nemico
“Si è mostrato mai sempre. In festa e in gioco
“Fu allor, che ti suppose
“Dolente, perditore, e fu veduto
“Nei giorni a te infelici
“Vestir in gala, e banchettar gli amici.
“All’incontro qualora
“De’ tuoi prosperi eventi
“Sentiva a ragionar, pallido in viso
“Di venia pel dolor. Le notti intere
“Bestemmiando vegliava. E fin tre giorni,
“Quando in Persia facesti il primo acquisto,
“Piangere in casa e digiunar fu visto.
“Quel che di ciò ti avvisa,

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“È il poeta Lisimaco, il più vero

“Adorator sincero
“Del tuo valor, di tua pietà; colui
“Che ad ogni tua vittoria ebbrio festante,
“Canta, esulta, si gloria, ed è baccante.
Ora di’, che rispondi?
Policrate.   A’ piedi tuoi,
Alessandro, mi getto, e ti confesso
L’odio contro di te. Del tuo maestro
Son nemico giurato, e in grazia sua
Senza ragione alcuna
Abbonisco il tuo nome e tua fortuna.
Alessandro. Perfido, si rinchiude
In questo vetro infame
Forse la tua vendetta?
Policrate.   Ah! no, signore;
Dammelo e in tua presenza
Voglio in questo provar la mia innocenza.
Tutto lo beverò. (beve
Alessandro. Fermati; e avesti
(lo trattiene dopo che ha bevuto un poco
Malgrado l’odio tuo tanta virtute,
Di recar i suffragi a mia salute?
Policrate. Questo poi no. Confesso (si alza
Franco la verità; se risparmiarti
Ho saputo la morte; alla tua vita
Non per questo pensai. Nel picciol vaso,
Signor, te ne assicura,
Poco vino meschiai con acqua pura.
Alessandro. Perchè valerti insano
D’invezion sì triviale?
Policrate. Per non farti, signor, nè ben, nè male.
Alessandro. Vanne, tu non sai essere,

Nè innocente, nè reo. L’odio che avesti
Contro di me, compensa

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La pietà che mi usasti.

Ti perdono, ti assolvo, e ciò ti basti.
Policrate. Oh! pietà senza pari, o saggio, o degno
Di posseder del vasto mondo il regno.
Va, combatti, trionfa, in avvenire
Cambierò il genio mio,
E mi farò macedoniano anch’io. (parte

SCENA VIII.

Alessandro, Efestione, Megabise e Soldati.

Efestione. Te da un nuovo periglio

Preservò il giusto Ciel. Guardati, e in tutti
L’inimico paventa.
Alessandro.   A questo patto
Io la vita non curo. Il temer sempre
Peggio è assai della morte;
È il timor forastiero a un’alma forte.

SCENA IX.

Statira, e detti; poi Rossane.

Statira. Signor, dei passi miei

Varie son le ragioni. Io nel vederti
Dovrei fremer d’orror, pensando a un padre
Soggiogato da te; dovrei del regno
Abborrir l’inimico, il vincitore;
Ma rammentomi ancor del tuo bel core.
So la pietà che avesti
Altre volte di noi; per me, pel regno,
Pel genitore istesso,
So che la pace offristi,
Nè cangiare ti ponno i nuovi acquisti.
So ben che di te indegna

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Mi resi allor, che a torto

Mi lagnai del tuo cor. Scoprii l’inganno
E ne pagai col mio cordoglio il danno.
Alessandro. Quello stesso Alessandro
In me vedi, o Statira,
Che ad onorarti e consolarti aspira.
Se il padre tuo furente
Mi tornò a provocar; s’ei nuovamente
Derelitto fuggì, colpa (lo vedi)
Non può dirsi di me. La pace offerta
Nuovamente esibisco a Dario, al regno,
In mercè del tuo cor.
Statira.   Pria che t’inoltri,
Un momento mi aspetta. (va verso la scena
Alessandro.   (E che far pensa?)
Statira. Riconosci costei? (accennando Rossane
Alessandro.   Sì, mi rammento,
Che una volta l’amai.
Statira.   L’ami tu ancora?
Alessandro. No, Statira il mio cor soltanto adora.
Statira. Senti. (a Rossane
Rossane.   Ah! tu mi nutristi
Di novelle speranze. (ad Alessandro
Statira.   A lui s’aspetta
Fare il nostro destino. Io non mi offendo
Di una suddita e schiava
Al confronto venir. D’un Alessandro
L’amore ha forza tale,
Che far ti può d’una regina eguale.
Ma dicesti tu stessa,
Che decider dovea di lui l’affetto.
Parli Alessandro; io la sentenza aspetto.
Rossane. Ah! signor, per pietà...
Alessandro.   Soffrilo in pace,
Dubbio il mio cor forse pur anco inclina;

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Ma prevale a una schiava una regina.

Efestione. (Torno a sperar).
Rossane.   (Oh stelle!
Sventurata ch’io son!)
Statira.   (Che bel piacere
In faccia a una rivale
Vincere, trionfar!) Ma dove mai
Sarà il mio genitore?
Senza lui non poss’io dispor del core.

SCENA X.

Megabise e detti; poi alcuni Persiani con un bacile coperto ed un foglio.

Megabise. Signor, Besso dal campo

Del Persiano sconfitto
Manda a te questo foglio, ed a te solo
A questi servi suoi scoprire impose
Quel che recan celato.
Statira.   Ah! il cor mi trema.
Alessandro. Leggasi. „Al re del mondo
“Besso umile s’inchina. Un testimonio
“Novel della sua fede
“Recagli in questo dono,
“E gli assicura della Persia il trono.
Statira. Stelle! il mio genitor. (agitata
Alessandro.   Scoprasi. Oh Numi!
(si scopre la testa di Dario
Dario morì di tradimento. Ah! indegno,
Perfido, micidial! Figlia infelice,
Piango il tuo genitor. Piango te stessa,
Piango il destin funesto
Di un nemico tradito. Ah Besso ingrato!
Tu mi togliesti il vanto

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Di placare quel cor, di farmi degno

D’immortal gloria restituendo un regno3.
Toglietemi dagli occhi
Lo spettacolo orrendo. Il teschio illustre
Nella tomba si rechi
Dei sovrani di Persia. Innanzi al regio
Mausoleo si preparino
Due magnifici altari:
Uno eretto alla pace,
E l’altro alla vendetta.
Besso inumano, aspetta,
Che dell’opera tua barbara, indegna,
Sia la morte crudel mercè condegna.
Tergi le belle luci,
Sventurata Statira. Al tempio andiamo:
Noi sovrani, noi re, mortai pur siamo. (parte
Statira. Deh chi di voi m’aita,
Onde mover il passo?
Efestione.   A lei porgete
Opportuno soccorso. (alle Guardie, che assistono Statira
Statira.   Oh Dei! perdute
Ho le belle speranze. A me non lice
In sì funesto evento
Più di nozze parlar. Rossane, oh Dio!
Abbi almeno pietà del dolor mio.
(parte sostenuta da Guardie
Rossane. Sì, pietade risento,
Benché siami rivai.
Efestione.   Pietosa a tutti
Ti mostrerai, Rossane,
Fuori che a me?
Rossane.   Ma ti par questo il tempo
Di rinnovarmi i tuoi deliri? Ah taci,
Io non posso soffrir gli amanti audaci. (parte

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Efestione. E pur chi non è audace,

Non può sorte sperar. Ma in ogni guisa
La mia fiamma è da lei spenta o derisa. (parte

SCENA XI.

Tempio col mausoleo de’ monarchi di Persia, e due altari con ara accesa.

Alessandro, Megabise, Leonato, Policrate, Lisimaco, Niso, seguito di Macedoni e Persiani, Ministri e sagrificatori.

Alessandro. Persi, è morto il re vostro. Io nel suo sangue

Non immersi la spada. Un tradimento
Trasse al vostro signor l’alma dal petto;
E vendetta dell’empio io vi prometto.
Ecco la tomba augusta
Ove il teschio regal di Dario è chiuso;
Ecco l’are fumanti, una all’irata
Nemesi, il Cielo impegna
Contro i rei traditori, e l’altra il dono
Della pace comun dai Numi impetra.
S’odano i voti a rimbombar sull’etra.
Delle donne l’aspetto
Oggi al tempio s’ammetta, e sian le afflitte
Principesse infelici
Presenti anch’esse ai sospirati auspici.

SCENA XII.

Statira, Barsina, Rossane, Talestri, Ardena, Soldati.

Statira. Deh! non voler, signore,

Funestar col mio pianto
Della pietà, della vendetta i riti.
Barsina. Misero padre mio!
Alessandro.   Del dolor vostro
Troppo è giusto il motivo, e non ardisco

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Gli opportuni consigli

Usare ancor per moderarlo. Eppure
Se aver compagni alle sventure è spesso
Un conforto agli afflitti, ecco, mirate
La regina Talestri
Prigioniera fra ceppi.
Talestri.   Il mio rossore
Supera ogni altra pena.
Ardena.   Ah! che il vedermi
Agli uomini soggetta è smania tale,
Che la morte sarebbe il minor male.
Rossane. Chi mendica il conforto
Dalle sventure altrui, vegga in Rossane
Una donna infelice,
Cui la pace del cor sperar non lice.
Statira. No, Rossane, t’inganni, il tuo dolore
Non uguagliasi al mio. Tu speri ancora,
lo per sempre ho perduto
La ragion di sperar. Mi chiede il padre
Vendetta e non amor. Finche non vedo
Sparso del traditore il sangue infame,
Non ascolto del cor tenere brame.
Ecco l’ara, ecco il Nume. Il giuramento,
Gran genitore, accetta.
Giuro la tua vendetta. (s’odono tuoni, e si vedono
lampi; trema il tempio, si oscura la scena
Oimè, tu sdegni,
Padre mio, le mie voci? 1 voti miei
A te cari non sono?
L’amor mio ti sdegnò? Padre, perdono.
Oimè! (s’apre la tomba
Barsina.   Ahi qual spavento!4
Alessandro. Ecco l’ombra di Dario.

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SCENA ULTIMA.

L'ombra di Dario esce dal mausoleo, e detti'.

Ombra. I voti tuoi

Mi son cari, o Statira. Un giuramento
Non esigo da te. La mia vendetta
Ad Alessandro procacciar si aspetta.
Tu al vincitor la destra
Porgi pur, tei concedo; egli n’è degno.
Abbia pace il tuo core, e pace il regno.
(l’ombra sparisce
Statira. Oh portento!
Barsina.   È sparito?
Policrate.   Oh caso strano!
Lisimaco. Voi vi stupite in vano. In questo regno
L’ombre son familiari. In Babilonia,
Del regal mausoleo ch’ivi s’ammira,
L’ombra di Nino favellò a Semira.
Alessandro. Principessa, che dici?
Statira.   Al padre mio
Son disposta obbedir.
Alessandro.   Dinanzi al Nume
A te porgo la destra.
Statira.   Ah del mio nodo
Sei contenta, Barsina? (allegra
Barsina.   Oh assai ne godo. (ironica
Alessandro. Se Leonato non sdegni,
Merta il prence il tuo cor.
Barsina.   Tu ne disponi.
Alessandro. Porgi ad essa la destra. (a Leonato
Leonato.   Eccola, irato
Vedrò più il ciglio tuo? (a Barsina
Barsina.   Ti ho perdonato.
Rossane. Ed io, signor, scordata

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Sono affatto da te? (ad Alessandro

Alessandro.   Vedi; il destino
Non si puote fuggir. S’Efestione
Non sprezzassi così...
Rossane.   Se per destino
Amor fa i nodi sui,
Per destino il mio cor si doni a lui.
Efestione. Sì, la destra mi porgi, e poi col tempo
Questo destin ch’è delle nozze autore,
Nel tuo bel sen può divenire amore.
Alessandro. Si convertano in gioia
Tutti i nostri sospiri. A voi concedo,
Amazzoni guerriere,
E vita e libertà.
Ardena. È giustizia codesta, e non pietà.
Lisimaco. A te dunque permetti,
Grande illustre Alessandro,
Che offra la Musa mia de’ carmi un dono.
Alessandro. No, facile non sono
A lasciarmi adular. Di voi poeti
L’arti conosco usate,
Non apprezzo le lodi interessate.
Bastami che dal mondo
Condannato non sia. Bastami solo,
Che sien non disaccetti
Ai saggi spettatori
D’un Alessandro i fortunati amori.


Fine della Tragicommedia.


Note

  1. Così nel testo.
  2. Nel testo: fin ora.
  3. Così nel testo.
  4. Così nel testo.