Gli amori di Alessandro Magno/Atto IV

Atto IV

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Atto III Atto V

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ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Al suono di strumenti militari si vedono in marcia i soldati di Alessandro; alcuni levano i padiglioni, altri uniscono gli attrezzi militari, poi

Alessandro, Efestione, Leonato, e seguito d’altri Guerrieri.

Alessandro. Su via, moviamo il campo

Da questa terra, indegna
Della nostra pietà. Di Dario in traccia
Vadasi omai, e a Babilonia altera
Rechi l’estremo fato
De’ Macedoni invitti il braccio armato.
Efestion, qui resta

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In difesa d’Arbela; a te consegno

Le due germane principesse altere.
Vo’ che sien rispettate; a lor si renda
Il meritato onore,
Ma rispettino anch’esse il vincitore.
Tu, Leonato, conduci
Di Babilonia ai liti
I miei guerrier più arditi. Olà, Rossane (a una Guardia
Sappia che altrove il piede
Si destina portar, segua ella pure
Nel mio cocchio real le armate schiere.
Faccia ogn’un che mi ascolta, il suo dovere.
Leonato. Signor, se mel concedi,
Grazia ti chiederò.
Alessandro.   Di’ pur; che brami?
Leonato. Al governo d’Arbela,
S’Efesdon l’accorda, e se a te piace,
Volentier resterei.
Efestione.   Sire, non meno
Oso anch’io di pregarti. Il campo armato
Bramerei di seguire.
Alessandro.   Intendo, intendo.
Uno seguir vorrebbe
Di Rossane la traccia, e l’altro aspira
Con Barsina restar. Dimmi, vedesti
Le superbe germane
Dopo le prove che ne diero ardite
Del lor furore insano? (a Leonato
Leonato. Tentai fin’or di rivederle in vano.
Alessandro. Lasciale delirar. Fuggi, e l’amore
Non seduca il tuo cor. Sì, lo confesso,
Peno anch’io nel privarmi
Della vaga Statira, e pur mi è forza
L’inimica lasciar. L’onor mel chiede,
E l’amor della gloria ogni altro eccede.

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Efestion, tu pure

Ceder devi al destin. Della mia schiava
Non dispongo per or. Rimani, e il cenno
Eseguir ti prepara. Amici, il fine
Delle vostre fatiche
Sollecitare io bramo;
Ad acquistar nuovi trionfi andiamo.
(suonano gli strumenti e si mettono in marcia

SCENA II.

Megabise e detti.

Megabise. Signor, di donne armate

Vago stuolo al tuo campo inoltra il piede,
E di teco parlar da lor si chiede.
Alessandro. Donne armate! Miei fidi,
L’intrapreso cammino or si sospenda,
E alle belle guerriere onor si renda.
Megabise, concedi
Alle donne l’ingresso.
Megabise. (Anche a un forte guerrier piace il bel sesso). (parte
Leonato. (Questa remora forse
Mi potrebbe giovar).
Efestione.   (Beltà novella
Potria farlo scordar del primier foco).
Alessandro. Cedete, amici, all’eroine il loco.
(I Soldati si schierano intorno. I Capitani si ritirano e lasciano passar nel mezzo le Donne. Le Guardie portano da sedere per tutti.

SCENA 111.

Talestri, Ardena con altre sue Amazzoni, e detti.

Talestri. Prode, invitto Alessandro, il tuo gran nome,

Il tuo valor, le tue vittorie conte

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Penetraro al confin del Termodonte.

Noi le Amazzoni siamo; il nome nostro
A te ignoto non credo. Avrai contezza
Di quel regno per noi lieto e felice,
In cui ad uomo penetrar non lice.
Di Talestri regina
Udisti forse a ragionar?
Alessandro.   Novella
Ebbi del suo valore.
Talestri.   Ed io son quella.
Alessandro. O degna che la terra
Ti obbedisca e ti onori. A te dovuto
Offre il cor d’Alessandro umil tributo.
Talestri. Dal Caucaso gelato
Con trecento compagne
Scesi sol per vederti. Il nostro campo
Impaziente aspetta
Sentir da noi come Alessandro approvi
Delle donne il coraggio; e s’ei non sdegna
Della gloria immortal far parte altrui,
Von le Amazzoni mie pugnar con lui.
Alessandro. Chi ricusar potrebbe
Compagnia sì preziosa?
Leonato.   Avverti, o sire,
Che delle donne il micidial valore
Non giunga in prima a debellarti il core.
Ardena. Chi sei tu che presumi
Far da satrapo al re? Credi tu forse
Che del suo core il dono
Possa avvilir la maestà del trono?
Non mirerebbe il mondo
Il maggior de’ viventi in Alessandro,
Se il genitor Filippo
Non avesse ad Olimpia il core offerto;
E tu che il sesso nostro

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Mostri di paventar, dai chiaro segno,

Che sei d’amor come di gloria indegno.
Leonato. Ah! non sai che pur troppo...
Alessandro.   Olà, ti accheta.
(a Leonato
La regina favelli, e i suoi disegni
Piacciale di svelar.
Talestri. Sai che il mio regno
Dell’Ircania al confin, cui bagna il Fasi,
Da più secoli esclude
Col rigor più severo
Destra virile a regolar l’impero.
Pur necessario è a noi,
Per conservar la specie,
Di natura seguir le leggi e i riti,
Dal regno uscendo a procacciar mariti.
Si dividono i parti. Ai genitori
Mandansi i maschi suoi,
Ed il sesso miglior riman per noi.
Efestione. Perdonami, regina, il miglior sesso
Credi tu il femminile?
Ardena.   E dubitarne
Mostri tu che favelli? A tuo dispetto
Confessare lo dei. Che manca in noi
Di quel bel che tu vanti? Ingegno ed arte
E valore e virtù regna del pari
Nella donna e nell’uomo: e se le vostre
Femmine voi serbate a vita oscura,
Colpa è solo dell’uom, non di natura.
Una pasta medesma, un spirto istesso
Forma entrambi i due sessi, e in noi prevale
La pietà, la dolcezza,
L’amor, la tenerezza.
Efestione. Sì, negar non si puote...
Alessandro.   Il tempo invano

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Non si perda così. Parli Talestri,

Ella sola si ascolti.
Talestri.   Oh! quai speranze
La mia patria (ormò, se unir concedi
I Macedoni invitti
Alle Amazzoni nostre! Oh! quai donzelle
Valorose sublimi
Uscirian dal mio sen, se un Alessandro
Non isdegnasse il nodo
Di Talestri che l’ama! Io nell’offrirti
La destra mia non ho rossor. Si accenda
Di vergogna plebea, chi d’amor vile
Nutrisce il cor. Me passion non sprona,
Ma desio della gloria. Amo Alessandro
Vincitor della terra, e il casto affetto
Per amor della patria io nutro in petto.
Leonato. E il mio signor dovrebbe
Dopo i primieri amplessi
La sposa abbandonar?
Ardena.   Miglior ventura
Questa fora per lui. Solete pure
Voi colle donne ingrati,
Voi languidi mariti,
Colle spose mostrare i cuor pentiti.
Alessandro. Quel che talor per sdegno
Nascere in voi potria, duro sarebbe
Per costume soffrir. Regina, il dono
Della forte tua destra
Disprezzare non so; ma ad un tal patto,
Soffrilo senza orgoglio,
Perder del cuor la libertà non voglio.
Ardena. Ecco di qual virtude
Son capaci gli eroi del viril sesso.
Ciascun pensa a se stesso,
Non alla gloria altrui. Sol dalle donne

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Sono i frequenti sacrifizi usati,

Per compiacer, per favorir gl’ingrati.
Alessandro. Se ti accende, reina,
Desio di gloria, e se pugnar vuoi meco,
Vieni; a parte t’invito
Delle conquiste mie.
Talestri. No no, il valore (s’alzano
Delle Amazzoni invitte
Non ha d’uopo di te. La gloria nostra
Abbastanza fin’ora
Nota si rese, e fe’ tremar la terra;
Tu se sdegni la pace, avrai la guerra.
La ragion delle genti
Libero mi assicura
Dal tuo campo il ritorno. Alle trecento
Mie compagne men riedo, e in breve aspetta
Del disprezzo scortese aspra vendetta. (parte
Ardena. Sì sì, verrem fra poco
A provarci con voi. Vedervi io spero
Avviliti tremar. Vano è il coraggio
In faccia nostra, e il pentimento è tardo.
Noi vinciamo coll’armi e collo sguardo. (parte

SCENA IV.

Alessandro, Efestione, Leonato, Soldati come sopra.

Alessandro. Libero si conceda

Alle Amazzoni il passo. Io colle donne
Infierire non soglio; e se l’ardire
Porterà l’armi loro in faccia mia,
Questo mio cor conosceran qual sia.
Il cammin si riprenda; assai perdemmo
Tempo fin’ora inutilmente, andiamo;
Nella via della gloria ancor noi siamo.
(s’incamminano per partire

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SCENA V.

Barsina e detti.

Barsina. Fermati un sol momento, (a Leonato) Ah! non so come

Uno stimolo interno
Superare mi faccia il mio rossore.
Non mi guida l’amor, ma il proprio onore.
Dimmi tu, pria che il piede
Tragga da noi lontan. Dimmi, spietato,
Perchè il mio cor tentasti
D’ingannare così? (empre a Leonato
Leonato.   Non t’ingannai,
Se d’amarti, Barsina, io ti giurai.
Barsina. Ma, se mi ami, crudel, perchè a Statira
Favellare d’amor?
Alessandro.   Come? che sento?
Leonato. T’inganni; alla germana
Io d’amor favellai?
Barsina.   Sì, d’Alessandro
Il labbro menzogner le stesse voci
Con entrambe sciogliendo, ad ambe ingrato
L’arte crudel per ingannarci hai usato. (a Leonato
Alessandro. Con chi parli, Barsina?
Barsina.   Il labbro mio
Parla con Alessandro.
Alessandro.   E quel son io.
Barsina. Tu Alessandro? E costui? (accenna Leonato
Alessandro.   Leonato è quello,
Principe a me vassallo.
Barsina.   (Oh mio rossore!)
Leonato. Principessa, perdona...
Barsina.   Ah! mentitore,
Ora scorgo l’inganno. Odimi, o sire,
Col nome d’Alessandro

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Mi allettò quel ribaldo; alla germana

Creder fec’io che amore
Mi giurassi tu stesso. Ella si accese
Contro te di furor. Perdemmo entrambe
Di tua bontà, di tua clemenza il frutto;
È quel perfido cor cagion di tutto.
Fermati, non partir, lascia ch’io torni
A svelare a Statira il tristo inganno:
L’altrui colpa non cada in nostro danno. (parte

SCENA VI.

Alessandro, Leonato, Efestione, Soldati.

Alessandro. Che facesti, Leonato?

Leonato.   Amor perdona,
Che spronommi a mentir. Negava il grado
Ad altri palesar. Sol d’Alessandro
Credea degno il suo nome. Il suo bel volto
M’invogliò di saperlo. Ah! tu conosci
Quanta forza ha l’amor sul nostro core.
Alessandro. Non perdona Alessandro a un mentitore.
Vattene; dal mio campo
Ti licenzio per sempre.
Leonato.   Andrò fra l’armi
La mia colpa a purgar. Vietar non puoi,
Che un eroe sfortunato
Per te vada a incontrar l’ultimo fato. (parte

SCENA VII,

Alessandro, Efestione, Soldati; poi Megabise.

Alessandro. Pria di partir si veda

Nuovamente Statira. Ella a ragione
Parlò meco sdegnata, e non condanno,

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Se credeami infedel, quel ciglio altero.

Efestione. (Sovra il cor di Rossane ancora io spero).
Megabise. Sire, di Dario il nome
Suona al monte ed al piano. Uscito al fine
Dagli occulti recinti,
Vien la sua sorte a ritentar. Si uniro
Le Amazzoni con lui; fiera battaglia
Aspettare ti dei.
Alessandro.   Nuove vittorie
Mi offeriscono i Numi; andiamo, amici,
Noi pugnerem sotto i medesmi auspici.
(al suono di militari strumenti partono tutti in ordinanza

SCENA VIII.

Appartamenti reali.

Statira e Barsina.

Statira. E fia ver quel che narri?

Barsina.   Ai numi il giuro.
Statira.   Leonato t’ingannò?
Barsina. Sì, d’Alessandro
Fingendo il nome e simulando amore,
Mi fe’ cader nel sventurato errore.
Statira. Alessandro dov’è?
Barsina.   Sul campo.
Statira.   E come
Favellasti con lui?
Barsina.   Nel campo io stessa
Mi portai risoluta.
Statira.   E superasti
Il rossore, il timor?
Barsina.   Dei passi miei
Scorta furo, cred’io, gli eterni Dei.
Statira. Sì, sì, la provvidenza

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Tal’or sprona e consiglia. Andiam, Barsina.

Alessandro si veda.
Barsina.   Ah! tu puoi farlo,
Che piacesti a suoi lumi. (sospirando
Statira.   A parte meco
Del felice destin tu pur sarai.
Barsina. Io sarò sfortunata, e tu godrai.
Statira. Ma oimè! sovvienimi or ora,
Che eccitai con un foglio
L’ire del padre mio. Chi sa se Besso
Sia partito per anco? Olà! (chiama

SCENA IX.

Niso e dette.

Niso.   Signora?

Statira. Hai novella di Besso?
Niso.   A noi lontano
Per tuo cenno ne andò.
Statira.   Del padre mio
S’ebbe notizia ancor?
Niso.   Veniva io stesso
A parlarti di lui. Dario, il re nostro,
Guida l’oste ad Arbela, ed a momenti
Verrà il nemico ad affrontar.
Statira.   Oh stelle!
Alessandro lo sa?
Niso.   Pur troppo, e incontro
Risoluto gli corre. A fiera pugna
Li prevedo vicini.
Barsina.   Oh Dei! serbate
Vivo il mio genitor.
Statira.   Serbate, o Numi,
Salvi entrambi gli eroi.

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Barsina.   Divisi i voti

Porge dunque il tuo core ai sommi Dei!
Statira. Degni sono ambidue dei voti miei.
Niso, saper procura
Quel che accade sul campo.
Niso.   Ad obbedirti
Vigile mi vedrai. (parte
Barsina. Dì felice per me non verrà mai. (parte

SCENA X.

Statira, poi Policrate, poi Lisimaco, poi Niso.

Statira. Di quai triste avventure

Fu Leonato cagione! Ei non previde
Tante rie conseguenze, Il mentir sempre
Fonte fu de’ disastri.
Policrate.   Ah! principessa,
Rasserena il tuo cor. Dario ha sconfitto
Del nemico gli arcieri. Inonda il campo
De’ Macedoni il sangue; invan si sforza
Alessandro di unire
Le disperse falangi, ed è in procinto
Di chieder pace il vincitore al vinto.
Statira. Lo sapesti di certo?
Policrate.   Io ho veduto...
Lisimaco. Ah! Statira...
Statira.   Che fia?
Lisimaco.   Dario è perduto.
Policrate. Non è ver.
Statira.   Ma che narri?
Lisimaco.   Al primo incontro
Il Macedone invitto
Pose in fuga i Persiani. Orrenda strage
Fe’ di loro Alessandro. Il re infelice

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Salvasi con la fuga; e se la sorte

Non si cangia per lui, preda è di morte.
Statira. Misero genitor! Niso, deh! vieni;
Della pugna che rechi?
Niso.   I due nemici
Si affrontaro a pugnar. Dell’un, dell’altro,
Prove diè di valor la mano esperta,
E pende ancora la vittoria incerta.
Statira. Ah! chi può prestar fede
Al vostro vaneggiar? L’uno sostiene
Perdente il genitore,
L’altro il fa vincitore, e Niso in dubbio
Vuol d’entrambi il destin. Se non avete
Fondamento miglior, stolti, tacete. (parte
Lisimaco. Dice a te. (a Policrate
Policrate.   Con te parla. (a Lisimaco
Niso.   A me rassembra
Che sian le voci sue
Giustamente rivolte ad ambidue. (parte
Policrate. Se Alessandro per anco
Vinto non è, vinto sarà, lo giuro. (parte
Lisimaco. Vincer deve Alessandro, io son sicuro. (parte


Fine dell’Atto Quarto.


Note