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162 ATTO QUINTO
Timida meno incoraggir m’intesi,

M’avvezzai alla pugna, e un’asta e un ferro
Mi parea desiar. Finchè pendeva
Dubbioso il destin, per Alessandro
Palpitavami il cor; ma quando il vidi
Alzar la spada, e penetrar furente
Fra le schiere nemiche, e trarsi seco
I guerrieri festosi, ad un trionfo
Mi parea di volar. De’ tuoi Persiani
Già previdi il destin; rotti e dispersi
Furo in brevi momenti, e la vittoria
Dichiararsi volea pel nostro campo.
Ma si oppose al valor novello inciampo:
Un esercito intero
Di donne armate a guerreggiare avvezze,
Affrontaro Alessandro; una di quelle
Vibrò il dardo fatale
Che Alessandro colpì. Quelle feroci
Amazzoni chiamate,
Coll’armi avvelenate
Usano di pugnar. Ma vano al fine
Fu dell’empie il furor; le donne altere
O trafitte restaro o prigioniere.
La vittoria è compiuta,
I Macedoni han vinto. Il re glorioso
Torna trionfator. Ma oh Dei! nel mondo
Piena felicità sperar chi puote?
La sua vita è in periglio, e questo solo
È a funestar bastante
Ogni vivo piacer. Pietosi Numi,
Serbate i giorni suoi
Di un che vi onora, e che somiglia a voi.
Statira. Sì, Rossane, gli Dei
Son per esso impegnati; avranno in cura
Una vita a lor cara; e tu disgombra