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168 ATTO QUINTO
Mi resi allor, che a torto

Mi lagnai del tuo cor. Scoprii l’inganno
E ne pagai col mio cordoglio il danno.
Alessandro. Quello stesso Alessandro
In me vedi, o Statira,
Che ad onorarti e consolarti aspira.
Se il padre tuo furente
Mi tornò a provocar; s’ei nuovamente
Derelitto fuggì, colpa (lo vedi)
Non può dirsi di me. La pace offerta
Nuovamente esibisco a Dario, al regno,
In mercè del tuo cor.
Statira.   Pria che t’inoltri,
Un momento mi aspetta. (va verso la scena
Alessandro.   (E che far pensa?)
Statira. Riconosci costei? (accennando Rossane
Alessandro.   Sì, mi rammento,
Che una volta l’amai.
Statira.   L’ami tu ancora?
Alessandro. No, Statira il mio cor soltanto adora.
Statira. Senti. (a Rossane
Rossane.   Ah! tu mi nutristi
Di novelle speranze. (ad Alessandro
Statira.   A lui s’aspetta
Fare il nostro destino. Io non mi offendo
Di una suddita e schiava
Al confronto venir. D’un Alessandro
L’amore ha forza tale,
Che far ti può d’una regina eguale.
Ma dicesti tu stessa,
Che decider dovea di lui l’affetto.
Parli Alessandro; io la sentenza aspetto.
Rossane. Ah! signor, per pietà...
Alessandro.   Soffrilo in pace,
Dubbio il mio cor forse pur anco inclina;