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GLI AMORI DI ALESSANDRO 167
La pietà che mi usasti.

Ti perdono, ti assolvo, e ciò ti basti.
Policrate. Oh! pietà senza pari, o saggio, o degno
Di posseder del vasto mondo il regno.
Va, combatti, trionfa, in avvenire
Cambierò il genio mio,
E mi farò macedoniano anch’io. (parte

SCENA VIII.

Alessandro, Efestione, Megabise e Soldati.

Efestione. Te da un nuovo periglio

Preservò il giusto Ciel. Guardati, e in tutti
L’inimico paventa.
Alessandro.   A questo patto
Io la vita non curo. Il temer sempre
Peggio è assai della morte;
È il timor forastiero a un’alma forte.

SCENA IX.

Statira, e detti; poi Rossane.

Statira. Signor, dei passi miei

Varie son le ragioni. Io nel vederti
Dovrei fremer d’orror, pensando a un padre
Soggiogato da te; dovrei del regno
Abborrir l’inimico, il vincitore;
Ma rammentomi ancor del tuo bel core.
So la pietà che avesti
Altre volte di noi; per me, pel regno,
Pel genitore istesso,
So che la pace offristi,
Nè cangiare ti ponno i nuovi acquisti.
So ben che di te indegna