Capitolo quinto: I due pèchés mignons della vecchiaia

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Capitolo quinto: I due pèchés mignons della vecchiaia
IV VI


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Capitolo V.

I DUE PÈCHÉS MIGNONS DELLA VECCHIAIA

la gola

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Le plaisir de la table est detous les àges, de toutes les conditions, de tous les pays ed de tous les jours; il peut s’associer à tous les autres plaisirs et reste le dernier pour nous consoler de leur perte.

Brillat-Savarin

 

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Da buon cristiano aborro i peccati mortali e credo di non averne mai commessi in mia vita, così come spero di non commetterne mai in avvenire; ma adoro i peccati veniali, che sono come chi dicesse il sole della vita, e senza i quali i più tra gli uomini rinuncerebbero a far la loro comparsa sul nostro pianeta.

Prima però di dirvi quali e quanti sieno questi peccati veniali, intendiamoci bene sui peccati mortali, onde non avvenga confusione.

I miei peccati mortali non sono quelli della Chiesa apostolica romana, ma di un’altra chiesa più grande e soprattutto più alta; in cui entrano cristiani e ebrei, mussulmani e buddisti, purché prima di entrarvi si sieno levate le scarpe della superstizione e abbiano adottato il dogma del non far soffrire anima viva. [p. 76 modifica]

Dunque i miei peccati mortali sono questi:

1.° Far soffrire.

2.° Esser superbi.

3.° Esser vili.

4.° Non amare la patria.

5.° Non credere nell’ideale.

6.° Non credere nel progresso.

7.° Mentire.

Quanto ai peccati veniali, non ve li posso dir tutti, perchè da soli farebbero un volume e ve li dirò un’altra volta.

Essi sono i nei, che messi in buon posto e su una bella faccia, la rendono bellissima. Sono i chiaroscuri del paesaggio, sono l’amaro del caffè e il moscatello dell’uva, sono il sale della sapienza e la grazia della bontà; sono sale ed aroma; sono il vino del desinare; sono insomma tutto ciò che v’ha di meglio nella vita.

So anch’io che senza di essi l’uomo sarebbe perfetto; ma allora non sarebbe più un uomo, ma un angelo, e fino ad ora nella vita breve vissuta dall’umanità, siamo ancora lontani lontani dal metter le ali. [p. 77 modifica]

Gli angeli poi hanno un grave difetto, quello di volar via, quando vogliamo acchiapparli. Ne nasce qualcuno anche fra gli uomini e specialmente fra le donne; ma quaggiù sulla terra, quando camminano tra noi, si sporcano i piedi, perchè c’è troppo fango, e ne hanno un gran schifo e volan via: volan lontano, poggiando per poco sulle vette illibate e candide del Monte Bianco o dell’Everest e là li vediamo librar le ali d’argento per pochi istanti e dopo essersi scosso il fango terestre dai piedi, se ne vanno forse in un pianeta migliore dove non c’è fango.

Per ora almeno, il sole ha le sue macchie e l’uomo buono e bello ha i suoi peccati veniali, che lo aiutano a tollerar la vita e talvolta bastano a farla felice.

Fra essi ve ne son due, prediletti dalla vecchiaia, e sono la gola e l’avarizia; e noi li studieremo l’uno dopo l’altro, perchè il nominarli non basta; perchè i peccati veniali sono come le grandi virtù, ed hanno forma e indole diversa; tanto che possono essere antipatici o simpaticissimi, possono far del male e far del bene. [p. 78 modifica]

La gola è larga dispensatrice di gioie grandi e piccine al vecchio; anzi egli gode di questi piaceri più del fanciullo, che è distratto, più del giovane troppo occupato dei suoi amori, più dell’adulto che deve dedicare il suo tempo a farsi un posto al sole.

Tutti i sensi impallidiscono nel vecchio; meno il gusto, che in lui si affina anzi con l’esperienza e con l’attenzione.

La gola sotto alcuni rapporti è meglio dell’amore; primissima fra le voluttà, arciprimissima fra i bisogni umani.

Amore e gola hanno un prima, un mentre e un poi; ma quanto diversi questi prima, questi mentre, questi poi!

Nell’amore il prima è spesso un prurito che fa male o un uragano che schianta gli alberi e rovina le messi. Il mentre è dolcissimo, ma ahimè, dura troppo poco. Non dirò con l’epicurea francese, che cela ne dure que le temps d’avaler un œuf, ma dobbiamo pur confessare, che il men- [p. 79 modifica]mentre si misura non a giorni, nè a ore; ma con l’orologio a minuti secondi.

Il poi, poi, è ora acido, ora amaro: nei casi più fortunati è un languore, cioè una forma di stanchezza. Nei casi più disgraziati, che pur son frequenti, è un dolore o un pentimento o l’uno e l’altro insieme.

Nella gola invece delizioso è il prima, più delizioso il mentre, deliziosissimo il poi.

Il vecchio, quando si sveglia al mattino, fra i crepuscoli che gli aprono le porte della giornata, vede sempre per prima cosa la sua colazione e il suo pranzo.

È d’inverno, e pensa ad una lepre in salmì o ad una beccaccia lardellata di prosciutto, dorata dal grasso di uno spiedo sapiente e adagiata sopra una fetta di pane aromatico, croccante, profumatissimo.

È d’estate, e pensa ad una pesca morbida e vellutata come la rosea guancia d’una bella inglese o come il roseo e grasso cuscino d’una giovane olandese. [p. 80 modifica] Vede i denti e le labbra, che s’affondano in quella benedizione di Dio e sente il succo nettareo, che inonda la bocca e sgocciola per ogni lato.

Ma nè una beccaccia, nè una lepre, nè una pesca bastano al pranzo, e il vecchio epicureo studia gli accordi e le melodie delle note diverse, che dovranno formare la musica della colazione e quella del pranzo.

Ieri il desinare fu troppo leggero. Una zuppa, una sogliola fritta e un beccaccino gli hanno lasciato il corpo troppo leggero e il ventricolo non sazio. Converrà che oggi il pranzo sia un po’ più serio e converrà pensare a un gigot di montone o a una lingua di Zurigo adagiata in un letto di cavolini di Bruxelles. Degli ovoli ben pepati alla gratella potranno servire di fritto.

Ma per prepararsi degnamente ad assaporare e a digerire questo pranzo forse un po’ pesante, converrà che la colazione sia più leggera del solito, benchè l’appetito sia impertinente e esigente.

E qui una nuova e lunga meditazione [p. 81 modifica] su questa prima parte della giornata. Una sogliola no, perchè l’ho mangiata ieri. Mangerò una piccola frittata al prosciutto e una costoletta di vitello ai ferri. — Finalmente colazione e pranzo sono fissati e il piano di battaglia è ottimo. Unità nella varietà; sapori diversi che fanno melodia di note deliziose.

Il vecchio goloso si veste, prende il suo caffè e va egli stesso al mercato, perchè non lascia mai al cuoco l’onore e il compito difficile di scegliere il pesce, il selvaggiume e la frutta.

Gira e rigira; tutto guarda e tutto pesa con la bilancia dell’occhio, del naso e del tasto. Salutato da tutti i rivenditori, che lo conoscono come un antico e prezioso cliente, non si lascia sedurre mai nè dai sorrisi più amorevoli, nè dalle offerte più insinuanti; ma da solo e senza riguardi giudica e manda.

Ha scoperto un pesce spada, non apprezzato nè conosciuto nella città dove vive e che è giunto per caso. Egli ne conosce tutto il valore e se l’ha comperato.

Ha trovato una pernice paffutella [p. 82 modifica]proprio nel punto giusto di maturità e l’ha comperata.

Ha scoperto da un ortolano un piccolo cestino di funghi dormienti. Son cresciuti sotto le nevi dell’Apennino e nel freddo silenzio dell’inverno hanno maturato i più dilicati aromi del monte e degli abeti.

Ah quanta ignoranza nel volgo dei cuochi e delle cuoche!

Il buon vecchio è andato un po’ tardi al mercato; eppure gli hanno lasciato intatto quel tesoretto. Li farà friggere e gli parrà di mangiare la più delicata e squisita cervella.

Dal fruttaiolo ha preso due pesche sole, scelte fra cinquanta. Una pera burrona, delle noci fresche, del ribes e una banana. Quei frutti faranno un bel quadretto, colorito e profumato e quei grappolini di rubino messi fra le pesche, la pera e la banana sembrerà che ridano, come labbruzze di bambini festanti.

Si può metter tanta poesia e tanta estetica nei preparativi di una colazione e di un pranzo, quanto nel comporre una sinfonia, una romanza o un inno. [p. 83 modifica]

E sinfonie e romanze ed inni cantano ad una tavola ben apparecchiata. Cantano le lodi alla natura proteiforme e creatrice, che colla lenta pazienza dei forti prepara all’uomo i succhi profumati, le carni tenerelle e le polpe voluttuose, che attraverso al tempio del palato danno a noi nuovo sangue, nuovo calore e nuova vita.

La tavola è un’ara, su cui la natura offre all’uomo il più giocondo, il più prezioso tributo, e in cui si compie la più sublime trasformazione delle forze.

Il mentre è più delizioso del prima. Questo è la speranza: quello è la fede.

Il giovane che col respiro soffocato, col cuore palpitante, con le mani fredde aspetta la donna che ama, se può parlare dice a se stesso: Venga quest’ora e poi ch’io muoia! Uno di questi minuti e poi la morte!

Il vecchio che si siede a tavola, non ha il respiro affannoso, nè il cuore turbato, nè le mani fredde; ma distende il tova[p. 84 modifica]gliolo sulle ginocchia con studiata lentezza, e tirando su dai precordii un profondo sospiro, si guarda intorno, aspirando tutti gli odori presenti e futuri, che vengono e verranno dalla cucina.

Quegli odori son buoni, son gravidi di promesse, e il vecchio si stropiccia le mani davanti alla zuppa profumata, che deve aprire le porte a tutte le voluttà gastronomiche, che con ordine sapiente si succederanno le une alle altre.

Quelle voluttà or profonde, or delicate, ora intense, ora vaporose si succedono è come onde tranquille di un mare allegro. Non uragani, nè lampi, nè fulmini; ma ondulazioni soavi e molli, che scacciano un piacere, per darcene uno maggiore.

Nell’amore il rapimento, nella gola il possesso. Nell’amore siam foglie vibranti di voluttà, ma trasportate da una bufera che è più forte di noi. Gaudenti, inebriati; ma posseduti. Nella gola, padroni noi stessi del nostro piacere, che governiamo a nostro capriccio, col timone in mano; sempre padroni del dove, del come, del quando. [p. 85 modifica]

Nell’amore, felici, ma schiavi di una potenza troppo potente; nella gola, felici e padroni della nostra felicità. Nell’amore, il troppo, che ci rovescia a terra, che ci capovolge, che fa naufragare il nostro Io nell’onda tumultuosa e tiranna. Nella gola, il molto, ma un molto tutto nostro e che possiamo far riposare a nostro capriccio.

Come è deliziosa quella nota eterea di un sorso di dorato Sauterne, che ci lava bocca e lingua dal saporoso gusto di una rosea trota. Come è austero quell’amaro di un Bourgogne premier cru, che si marita col succo nettareo di un petto di beccaccia! E quei tartufi che alternano il loro profumo, che sembra l’etere della terra, con le carni soavi di un grasso tacchino; e quel pasticcio di Strasburgo, che si discioglie nella nostra bocca, come la carezza innamorata di una donna libertina; e tutta quell’infinità di sapori odorosi e di saporosi odori, che fanno del nostro palato una serra calda piena di fiori inebbrianti; e quelle estasi profonde, senza delirii e senza stanchezze, non sono forse tutto un poema? [p. 86 modifica]

Di certo, il vecchio fortunato che può mangiar bene e senza rimorsi, se pranza solo, tiene aperto il libro immortale del Brillat-Savarin1 dove si legge:

Il gusto, così come la natura ce l’ha dato, è ancora quello dei nostri sensi, che ben considerato, ci procura più godimenti degli altri:

1.° Perchè il piacere di mangiare è il solo, che goduto con moderazione, non sia seguito dalla stanchezza.

2.° Perchè è di tutti i tempi, di tutte le età e di tutte le condizioni.

3.° Perchè si gode necessariamente almeno una volta al giorno e può ripetersi, senza inconvenienti, due o tre volte al giorno.

4.° Perchè può associarsi a tutti gli altri e può anche consolarci della loro assenza.

5.° Perchè le impressioni che ci dà sono in una volta sola più durevoli e più ubbidienti alla nostra volontà.

6.° Finalmente, perchè mangiando noi proviamo un certo benessere indefinibile [p. 87 modifica] e particolare, che sgorga dalla coscienza istintiva; perchè mangiando noi ripariamo alle nostre perdite e prolunghiamo la nostra esistenza.

Il nostro vecchio non si vergogna di esser goloso. Quando l’arte asseconda la natura e ci procura piaceri innocenti, deve anzi renderci fieri di esser uomini, e di avere col nostro intelletto allargato tutte le frontiere del sensibile e del soprasensibile.

Egli ha letto e riletto le pagine dedicate dal Brillat-Savarin al fagiano e vuole regalarle ai lettori italiani (e sono molti) che non le conoscono e non le hanno degnamente apprezzate e assaporate:

“Le faisan est une ènigme dont le mot n’est rèvèlè qu’aux adeptes; eux seuls peuvent le savourer dans toute sa bontè.

Chaque substance a son apogèe d’esculence: quelques unes y sont dèja parvenues avant leur entier dèveloppement, comme les câpres, les asperges, [p. 88 modifica] les perdreaux gris, les pigeons à la cuillier, etc.; les autres y parviennent au moment où elles ont toute la perfection d’existence qui leur est destinée, comme les melons, la pluspart des fruits, le mouton, le boeuf, le chevreuil, les perdrix rouges; d’autres enfin quand elles commencent à se décomposer, telles que les nèfles, la becasse et surtout le faisan.

Ce dernier oiseau, quand il est mangé dans trois jours qui suivent sa mort, n’a rien qui le distingue. Il n’est ni si délicat qu’une poularde, ni si parfumé qu’une caille.

Très à point, c’est une chair tendre, sublime et de haut goût, car elle tient à la fois de la volaille et de la venaison.

Ce point si dèsirable est celui où le faisan commence à se dècomposer; alors son arome se dèveloppe et se joint à une huile qui, pour s’exalter, avait besoin d’un peu de fermentation, comme l’huile du cafè, que l’on n’obtient que par la torrèfaction.

Ce moment se manifeste aux sens des [p. 89 modifica]profanes par une legère odeur et par le changement de couleur du ventre de l’oiseau: mais les inspirés le devinent par une sorte d’instinct qui agit en plusieurs occasions et qui finit, par exemple, qu’un rôtisseur habile décide, au premier coups d’oeil, qu’il faut tirer une volaille de la broche ou lui laisser faire encore quelques tours.

Quand le faisan est arrivé là, on le plume et non plus tôt, et on le pique avec soin, en choisissant le lard le plus frais et le plus ferme.

Il n’est point indifférent de ne pas plumer le faisan trop tôt; des expériences très-bien faites ont appris que ceux qui sont conservés dans la plume sont bien plus parfumés que ceux qui sont restés longtemps nus, soit que le contact de l’air neutralise quelques portions de l’arome, soit qu’une partie du suc destiné à nourrir les plumes soit résorbé et serve à relever la chair.

L’oiseau ainsi préparé, il s’agit de l’étoffer, ce qui se fait de la manière suivante. [p. 90 modifica]

Ayez deux bécasses, désossez les et videz les de manière à en faire deux lots: le premier de la chair, le second des entrailles et des foies.

Vous prenez la chair et vous en faites une farce en la hachant avec de la moelle de bœuf cuite à la vapeur, un peu de lard râpé, poivre, sel, fines herbes, et la quantité de bonnes truffes suffisante pour remplir la capacité intérieure du faisan.

Vous aurez soin de fixer cette farce de manière à ce qu’elle ne se repande pas en dehors, ce qui est quelquefois assez difficile, quand l’oiseau est un peu avancé. Cependant, on y parvient par divers moyens, et entre autres en taillant une croûte de pain qu’on attache avec un ruban de fil et qui fait l’office d’otturateur.

Préparez une tranche de pain qui dépasse de deux pouces de chaque côté le faisan couché dans le sens de sa longueur; prenez alors les foies, les entrailles de bécasses, et pilez-les avec deux grosses truffes, un anchois, un peu [p. 91 modifica]de lard râpé et un mourceau convenable de bon beurre frais.

Vous étendez avec égalité cette pâte sur la rôtie, et vous la placez sous le faisan préparé comme dessus, de manière à être arrosée en entier de tout le jus qui en découle pendant qu’il rôtit.

Quand le faisan est cuit, servez — le couché avec grâce sur sa rôtie, environnez-le d’oranges amères, et soyez tranquille sur l’évenement.

Ce mets de haute saveur doit être arrosé, par préférence, de vin de crû de la haute Bourgogne; j’ai dégagé cette verité d’une suite d’observations qui m’ont couté plus de travail qu’une table de logarithmes.

Un faisan ainsi préparé serait digne d’être servi à des anges, s’ils voyageaient แ encore sur la terre comme du temps de Loth.

Que dis-je! l’expérience a été faite Un faisan étoffé a été exécuté, sous mes yeux, par le digne chef Picard au château de la Grange, chez ma charmante amie madame de Ville- Plaine, et [p. 92 modifica] apporté sur la table par le majordome Louis, marchant à pas processionnels. On l’a examiné avec autant de soin qu’un chapeau de madame Herbault; on l’a savouré avec attention et pendant ce docte travail, les yeux de ces dames brillaient comme des étoiles, leurs lévres étaient vernissées de corail, et leur physionomie tournait à l’extase.

J’ai fait plus: j’en ai presenté un pareil à un comité de magistrats de la cour suprême, qui savent qu’il faut quelquefois déposer la toge sénatoriale, et à qui j’ai démontré sans peine que la bonne chère est une compensation naturelle des ennuis du cabinet. Après un examen convenable, le doyen articula, d’une voix grave, le mot excellent! Toutes les têtes se baissèrent en signe d’acquiescement, et l’arrêt passa à l’unanimité.

J’avais observé, pendant la déliberation, que les nez de ces vénérables avaient été agités par des mouvements très prononcés d’olfaction, que leurs fronts augustes étaient épanouis par une sérénité [p. 93 modifica] paisible, et que leur bouche véridique avait quelque chose de jubilant, qui ressemblait à un demi- sourire.

Au reste ces effets merveilleux sont dans la nature des choses.

Traité d’après la recette précédente, le faisan, déjà distingué par lui même, est imbibé, à l’exterieur, de la graisse savoureuse du lard qui se carbonise; il s’imprègne à l’intérieur des gas odorants qui s’échappent de la bécasse et de la truffe. La rôtie, déjà si richement parée, reçoit encore les sucs à triple combinaison qui découlent de l’oiseau qui rôtit.

Ainsi de toutes les bonnes choses qui se trouvent rassemblées, pas un atome n’échappe à l’appréciation, et attendu l’excellence de ce mets, je le crois digne des tables les plus augustes.„

Chi ha scritto queste pagine condite di così fino epicureismo, per esse sole meriterebbe di passare all’immortalità; ma [p. 94 modifica] la sua squisita ghiottornia non gli impedì di essere uno degli uomini più rimarchevoli del suo tempo (1755-1826). Fu deputato agli Stati Generali; poi all’Assemblea Costituente, Consigliere di Cassazione e quel che più importa magistrato liberale e coraggioso; nemico d’ogni violenza, venisse poi dall’alto o dal basso. Queste virtù rare in ogni tempo gli valsero l’esiglio. A Nuova York visse dando lezioni di francese e suonando nei teatri. Ritornato in patria fu nominato segretario dello Stato Maggiore dell’armata francese in Germania, poi commissario del governo presso il tribunale di Seine et Oise e dopo il 18 brumaio passò alla Corte di Cassazione, dove visse gli ultimi venticinque anni della sua vita.

Quanto alla sua virtù di scrittore basti citare ciò che lui scrisse il più grande forse dei prosatori francesi, il Balzac:

“Depuis le seizième siècle, si l’on excepte La Bruyère et La Rochefoucauld, aucun prosateur n’a su donner à la phrase française un relief aussi vigoureux. Mais ce qui distingue principale[p. 95 modifica] ment l’œuvre de Brillat- Savarin, c’est le comique sous la bonhomie, caractère spécial de la littérature française dans la grande époque qui commença lors de la venue de Catherine de Médicis en France. Aussi, plaît-elle encore plus à la seconde lecture qu’à la première.„

Eppure vi sono molti idioti che credono la gola un peccato mortale e degno solo di gente volgare e di tipo molto basso. Essi forse non hanno mai letto la sentenza del gran cuoco Brillat-Savarin:

Les animaux se repaissent, l’homme mange, l’homme d’esprit seul sait manger.

Dove però la gola stravince nelle sue dolcezze l’amore è nel poi.

Il vecchio che ha pranzato bene, che ha nascosto le fatiche della digestione con una tazza ardente di ottimo caffè, si siede o meglio si sdraia, abbandonandosi alle infinite delizie del chilo. Se parla, risponde a mezz’aria e come in sogno e adagiando [p. 96 modifica] tutte le membra nelle profondità voluttuose di una poltrona o di un’agrippina, cade in estasi. Estasi di compiacenza: compiacenza di aver adempito molto bene ad uno dei doveri massimi dell’uomo animale e di aver goduto uno dei più grandi piaceri dell’uomo intelligente.

E i piaceri per lui hanno sempre il carattere di un frutto proibito; ciò che li acuisce, li affina e direi li spiritualizza.

Per mangiar molto, per mangiar bene com’egli ha fatto, ha dovuto fare i conti con la gotta e col ventricolo non più vigoroso come a vent’anni. Egli ha dovuto ricordare i consigli del medico e i precetti dei libri d’igiene studiati da lui con largo benefizio d’inventario. Nel piacere goduto c’è un po’ di birichineria. Egli l’ha fatta in barba all’igiene e alla Facoltà di medicina, e la facile espansione del suo ventricolo e il languido tepore che lo innonda per ogni parte gli danno la beata sicurezza, che anche questa volta avrà saputo canzonare Esculapio e i suoi sacerdoti.

Fra un dormiveglia saporoso e soporoso e un ricordo di altri pranzi egualmente [p. 97 modifica] fortunati, gli passano dinanzi tutti i sapori e gli odori della mensa abbandonata da poco.

Ah quel Sauterne come gli ha imbalsamato le labbra, la lingua, il palato! Come ha salutato festosamente l’ultimo profumo di quella trota tenerella, là in fondo alla bocca; proprio sulle frontiere del sensibile e dell’incosciente. Pareva del Chateâu-Yquem!

E quell’ala dorata di fagiano, quanti aromi nettarei aveva assorbito! Aveva in sé i profumi del tartufo e della beccaccia, che gli avevan tenuto compagnia nel sapientissimo laboratorio di un’aulica cucina!

Quanti ricordi di voluttà recenti, quanti progetti giocondi di peccati futuri!

Purché non venga la gotta, purché non faccia un’indigestione...

Ma l’ala del sonno si posa sulle palpebre del vecchio beato, confondendogli sapori, odori e paure.

E tutta quella beatitudine goduta senza tradire l’amico, senza prostituire il corpo alla compera della voluttà; una festa senza rimorsi, una vittoria senza morti e senza

Note

  1. Physiologie du gout.