Elementi di economia pubblica/Parte prima/Capitolo III

Parte prima - Principj e viste generali

Capitolo III - Della popolazione

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Cap. III. — della popolazione.

29. Riservando tutte le conseguenze e principj, che si possono dedurre dai superiori ragionamenti, alle successive [p. 236 modifica]parti di pubblica Economia che andremo divisando secondo la sopra espressa distribuzione, riprendiamo ora per mano l’interessante oggetto della popolazione.

30. Prima di tutto è necessario vedere in qual maniera una qualunque popolazione naturalmente si distribuisca in un paese. Le riduzioni de’ popoli selvaggi si sono formate nei luoghi ne’ quali la natura offriva più spontaneamente i mezzi di provvedere ai bisogni di quelli, vicino ai fiumi ed alle fonti, lungo il mare, sulle colline che offerivano comodi pascoli alle mandre, o nelle fertili pianure, o nelle valli, o fra i monti di difficile accesso ai nemici. Queste riduzioni furono prima erranti e vagabonde, finchè la moltiplicazione e l’urto di molte ne’ medesimi luoghi, oltre le difficoltà medesime della natura che impediva il progredire più avanti, le fece quasi retrocedere e fissarsi stabilmente. L’agricoltura finalmente, e colla lunghezza de’ suoi lavori e col lento periodo delle sue riproduzioni, le abituò ad una fissa dimora; ed il nome di nazione, che era prima personale ed errante, divenne in seguito locale e stabile. Si sono dunque stabiliti in ogni tempo i villaggi più o meno grandi, in proporzione del numero delle persone che lavoravano le terre circondarie. Perchè era naturale che gli uomini, o per dir meglio le famiglie, invece di abitare ciascuno nel centro della sua terra, cercassero, per la propria sicurezza e per la comunicazione più facile degl’interessi loro, di abitare vicini gli uni agli altri, per poi disperdersi soltanto nei tempi dei rispettivi lavori. Era naturale altresì, che coloro le di cui terre erano troppo remote dai villaggi, cosicchè il tempo dell’andarvi più lungo, come ancora la maggiore difficoltà del trasporto delle dettate alle proprie abitazioni li rendesse di peggior condizione degli altri, dovessero allontanarsi a poco a poco per avvicinarsi alle proprie terre e riunirsi insensibilmente a formare un altro villaggio. Così successivamente molti se ne sono formati. In ciascheduno di questi villaggi dovevano ridursi parimenti quegli artigiani che fornivano le cose di più giornaliero bisogno ai lavoratori o ai piccoli proprietarj delle terre residenti in essi. Il commercio reciproco di questi villaggi, la voglia comune a tutti di esibire a molti compratori [p. 237 modifica]le proprie merci per ottenerne, se non dall’uno, almen dall’altro, un miglior vantaggio, dovettero stabilire fra molti villaggi in alcuno d’essi, cioè in quello che era di più breve e di più comodo accesso a tutti gli altri, un centro di comunicazione e di ritrovo degli abitanti della campagna. Egli è naturale che i più ricchi fra quelli e i più industriosi vi si stabilissero, come più a portata di fare i loro commercj e d’intromettersi in quelli degli altri. A misura che l’uomo diventa più agiato si allontana dal penoso travaglio della terra e lo confida a qualche altro più povero, col quale ne divide il frutto. Da ciò ebbero origine li borghi e le piccole città, nelle quali risiedono i più grossi proprietarj delle terre, gli artigiani che forniscono i comodi della vita ai ricchi, o che fanno una gran provvisione di opere e di prodotti per distribuirle poi in dettaglio ai più piccoli commercianti o alle subordinate classi de’ manifattori: ragione naturale della disuguaglianza delle famiglie, e del ritiro per così dire al centro delle più ricche e più possenti per maggior loro comodo. Crescendo finalmente la disuguaglianza dei beni per la disuguale successione delle famiglie, per la dissipazione ed indolenza degli uni, per l’economia ed attività degli altri, i più grandi proprietarj delle terre, i quali un maggior numero di bisogni ed una vita più raffinata e remota dagli umili e rozzi usi del volgo gettava in braccio alla noia compensatrice delle diverse condizioni degli uomini, per l’ambizione di distinguersi a gara e di sovrastare alle classi laboriose de’ loro simili, dovettero riunirsi a poco a poco insieme, e risiedere vicino alla sorgente delle leggi, vicino alle supreme magistrature, onde occuparsi del comando ed estender la sfera dei loro piaceri estendendo il loro potere. Ecco l’origine delle città grandi, e per conseguenza o attualmente o una volta capitali.

31. Da questa storica analisi delle differenti distribuzioni delle popolazioni ne nasceranno i seguenti corollarj:

i. I villaggi e le popolazioni saranno tant’e tanto più frequenti, quanto le terre saranno più divise fra molti proprietarj, o almeno fra molti lavoratori che le facciano valere per i proprietarj medesimi; ma questi stessi villaggi [p. 238 modifica]più numerosi saranno però composti di più pochi abitatori. Per lo contrario se la natura della coltivazione è tale, che le terre non sieno fra molti divise, allora i villaggi saranno più rari, ma ciascheduno d’essi più folto d’abitatori.

ii. Le arti naturalmente e gli artigiani si stabiliranno dove lo smercio delle opere loro si renda più facile, e li trasporti più comodi e meno dispendiosi. Si vedrà in appresso, trattandosi delle manifatture, l’uso di questo corollario.

iii. Le popolazioni sono ancora relative alle differenti direzioni che danno i proprietarj delle terre ai loro prodotti, agli usi ed alle fantasie che il loro ozio può soffrire.

iv. Le popolazioni sono ancora differenti secondo le diverse nature de’ governi, il che non è scopo dell’economia pubblica l’esaminare.

v. È da osservarsi moltissimo, che la popolazione ha naturalmente certi limiti, al di qua e al di là de’ quali non può oltrepassare. L’uomo, tal quale si conserva e si propaga, è un risultato di quelle cose che sono atte alla di lui nutrizione. Queste cose sono prodotte dalla terra, e la terra può crescere la sua riproduzione fino ad un certo segno, ma non indefinitamente, e l’uomo ha bisogno dell’aiuto d’altri animali e della propagazione loro in suo servigio, e questi consumano necessariamente parte di questi prodotti. Dunque la popolazione crescerà sino a che possano crescere i mezzi della sussistenza, e questi mezzi in un dato luogo possono crescere, primo, finchè la terra sia giunta al suo colmo di feracità per mezzo della perfezione dell’agricoltura; secondo, finchè vi possano essere prodotti trasportabili da un altro in questo luogo in pagamento de’ servigi ed opere fatte in favore di stranieri coltivatori e proprietarj, e questi salarj e questi servigi ed opere saranno proporzionate al numero appunto di que’ coltivatori e proprietarj, anch’essi limitati in numero dai mezzi di sussistenza somministrati dalle rispettive loro terre.

Finalmente la propagazione della nostra specie può diminuire, ma non indefinitamente, almeno prescindendo dalle indefinite e straordinarie rivoluzioni fisiche o morali, perchè le medesime intrinseche cagioni che fanno diminuire i mezzi [p. 239 modifica]di sussistenza, come l’avvilimento del valore de’ prodotti e la difficoltà della circolazione, che riduce in poche mani la ricchezza rappresentativa, sono quelle che isolano la nazione ridotta a questo stato da tutte le altre, onde ritornano ad essere sovrabbondanti quei mezzi stessi che prima erano scarsi. È perciò egualmente stolida la paura di coloro che temono ad ogni minimo cambiamento di politiche costituzioni di veder sparire le popolazioni, come è chimerica la speranza di quelli che facendo centro e scopo unico della politica la moltiplicazione del popolo, si danno a credere che quello possa indefinitamente crescere, e cresciuto basti questo solo perchè ogni felicità ed ogni bene ne derivi in tale nazione. Egli è chiaro adunque che la popolazione essendo una conseguenza degli accresciuti mezzi di sussistenza, piuttosto che questi essere una conseguenza di quella, si deve aver per punto fisso e reale d’ogni ricerca e d’ogni regolamento l’accrescimento di questi mezzi di sussistenza, che da niente altro che dalla terra si possono ottenere, e lasciare il resto alle cure segrete ed imperscrutabili della natura perpetuatrice delle generazioni. In ogni luogo, dove un uomo ed una donna possono discretamente vivere, ivi si fa un maritaggio, dice Montesquieu. Quello dunque che andremo or ora divisando, intorno principalmente alle differenti cause morali spopolatrici, deve esser preso con moderazione; non quasi che noi intendessimo che queste atte fossero a levar gli uomini di sopra la terra ed a desertar le città e le provincie, ma solamente come cause che diminuiscono la popolazione, fra quei limiti ne’ quali ella può crescere e diminuire. Così il lusso delle nozze, così il celibato di libertinaggio sono cause diminuenti la popolazione; ma egli è da osservarsi che ambedue queste cause non si verificano, che in alcune classi le meno numerose. Alla campagna, nella quale sta il forte della popolazione, ognuno si marita; non è dunque la scarsezza de’ matrimonj che più frequentemente forma la spopolazione, ma il pronto deperimento de’ miseri figli di miseri padri, ma l’emigrazione, ma il dispettoso abbandono d’una terra inzuppata di lacrime, che spopolano quelle provincie nelle quali si vegga sensibilmente mancare il popolo. [p. 240 modifica]

32. Se la popolazione è utile per l’aumento del travaglio che produce naturalmente, lo è ancora perchè rende più sicuro e forte il paese. I pesi pubblici non aumentano in proporzione dell’aumentata popolazione, ma invece la consumazione aumenta in questa proporzione. Ora la consumazione accresciuta, massime interna per il risparmio delle spese di commercio e di trasporto, aumenta il valor venale de’ prodotti, e questi prodotti sono quelli che alla fin fine pagano i pesi pubblici, come chiaramente si vedrà a suo luogo. Dunque, quando la quantità de’ pesi pubblici non eccesa il suo natural limite, è utile per questo titolo l’accrescimento di popolazione. Da ciò si vede quanto sia importante il conoscere quali siano le casue spopolatrici delle nazioni.

33. Varie sono le cause spopolatrici; altre fisiche, ed altre morali.

Fra le cause fisiche, la prima può annoverarsi essere il clima e la situazione malsana. I paesi rinchiudi tra monti che fermino i vapori esalanti dalla terra, e le terre paludose e ripiene d’acque stagnanti, sia naturalmente, sia artificialmente per alcuni generi di coltura, sono quelle in cui costantemente le malattie sono più frequenti, e per conseguenza le morti. L’allontanamento delle colture richiedenti acque stagnanti dalle popolazioni cittadinesche e più frequentate, sarebbe un ottimo provvedimento, quando fosse sostenuto con quel vigore che il sacro motivo della salute pubblica richiede, malgrado le querule rappresentanze degli interessi privati; ma il più delle volte non è necessario d’offendere la proprietà e l’uso libero di quella, senza del quale esse diventa un nome vano. Per garantire dall’infezione d’un clima basta lasciare il corso più libero ai generi di nutrimento, e per conseguenza all’aumento nel valor venale di quelli, perchè si veggano intorno alle città prosperare le colture sane ed asciutte. Una delle grandi opere che cambiano la faccia delle nazioni, è quella di dar corso alle inutili impaludate acque, e di condurle in utili canali che servano di facile trasporto e di fecondatrice irrigazione, dove l’arte e la coltura lo richiegga.

Si pretende che le città grandi aumentino e conservino [p. 241 modifica]la loro popolazione a spese delle provincie e della campagna, avendo elleno sempre bisogno di nuove reclute, poichè le malattie che nascono dalla troppo frequenza d’un popolo cencioso e miserabile, l’accrescimento dei vizj distruttori, la crapula, il libertinaggio violento e micidiale nel popolo per l’addensamento delle passioni stesse rodenti la vita, e sconnettitrici con intime scosse gli elementi primitivi della macchina nelle persone inerti e disoccupate, fanno sì che la mortalità sia maggiore nelle città che fuori, a segno che in alcuni paesi la sproporzione arriva da 25 a 43. Il buon ordine e la costanza d’alcuni provvedimenti possono rimediare in parte a queste cause spopolatrici; il che si vedrà dove si tratta dell’interna polizia.

34. Seconda cagione fisica spopolatrice sono le malattie epidemiche e i morbi contagiosi. Alle prime si rimedia colla perfezione e buon regolamento della medicina, ai secondi colle provvidenze economiche. La medicina si perfeziona collo studio dell’anatomia, della storia naturale, della chimica, e colla ricerca esatta delle proprietà ed azioni dei corpi; e tutte queste cognizioni non si perfezionano senza che l’esatto ragionamento e lo spirito della filosofia abbiano il primo grado di stima fra gli uomini. Le scienze tutte debbono essere protette; col premio si ricompensano le fatiche, colla speranza si animano le ricerche: ma le scienze non vogliono essere pedanteggiate. Tutta la politica del legislatore si riduce a moltiplicare i mezzi dai quali scaturisce la curiosità, a sottrarre a poco a poco la stima pregiudicata delle cognizioni inutili ed inesatte, ed in fine a moltiplicare gli azzardi che producono gli uomini abili e valorosi. Il salutare fermento d’una discreta libertà fa cadere gli errori e ripullulare la verità, meglio che tutte le prescrizioni e i precetti che limitano l’espansiva forza degl’ingegni, e raffreddiscono quel calore salutare prodotto dalla varia agitazione delle menti.

Ma la medicina più dall’esperienza, che dai ragionamenti prende la sua perfezione. I fenomeni dunque a lei appartenenti non sono mai abbastanza pubblici e noti. Se dobbiamo sperare che il tempo possa produrre un freno alle ma[p. 242 modifica]lattie ed un limite alla mortalità spopolatrice, lo dovressimo aspettare da un regolamento che obbligasse i medici tutti a tessere una storia delle malattie che intraprendono a curare, senza però renderli risponsabili del buono o cattivo esito dei mali, fuori dei casi d’un’evidente malizia o di un equivoco inescusabile, per non allontanare molti dallo studio d’una scienza importante e restringerla in mano di pochi, il che sarebbe fatale al progresso di questa, come di tutte le altre; essendo proprietà delle scienze in generale, che molti debbano saper male o mediocremente, perchè alcuni pochi sappiano bene ed eccellentemente. In questa maniera avremmo un deposito d’esperienze, per cui i mali presenti servirebbero di norma e d’istruzione ai secoli avvenire. In questa maniera è nata la medicina, in questa solamente si perfezionerà: tutte le cose ordinariamente si perfezionano, quando invece d’alterare e di scambiare, si aiuta e si moltiplica ciò che le ha fatte produrre.

Le provvidenze economiche poi allontanano ed estirpano i morbi contagiosi. La peste Orientale dalle salutari provvidenze dei sovrani, dalle cure assidue e vigilanti delle nazioni marittime d’Europa è tenuta lontana. Il vaiuolo che decimava le popolazioni, coll’inoculazione, invenzione benefica della vanità e galanteria, è divenuto una leggiera malattia, che previene la naturale e violenta. Tante opere eccellenti pubblicate e le felici e tranquille esperienze, se due se ne eccettuino molto equivoche che nella nostra città si sono fatte, assicurano della bontà d’un metodo che il grido delle illuminate nazioni ha approvato: se non che alcuni ignoranti fremono di vedere sottratta alla loro giurisdizione una malattia sì lunga, e per conseguenza così perniciosa e sì violenta.

35. Altri disordini fisici serpeggiano nelle nazioni e ne mietono insensibilmente la popolazione. Quanti ciarlatani che si millantano de’ secreti, che affettano una scienza occulta e misteriosa, della quale pur troppo si è data occasione al popolo di crederne la realtà coll’assoggettare le menti unicamente all’autorità, quasi mai alla ragione! Lasciamo stare i brevi, le false orazioni, gl’incantesimi ed altre fole, che [p. 243 modifica]alla crescente luce di questo secolo svaniscono anche dalle menti le più credule e prevenute; ma qual cieca confidenza non si ha talvolta alle più vili feminucce, a uomini erranti e però sempre sospetti, che erbe ed empiastri ci offrono da ogni parte? La mano risoluta del legislatore deve annichilare sì fatte imposture, di cui tanti funesti effetti si sono veduti e per cui tante vittime si sono sacrificate da sè medesime alla trepida loro credulità. A quanti errori e a quanta ignoranza non era una volta esposta l’epoca la più pericolosa per due persone, cioè quella del nascimento d’un uomo? Una delle più saggie provvidenze, che si sian date nel nostro paese, si è quella di dare un’istruzione particolare e regolare e ragionata alle levatrici, che prima ad una cieca consuetudine erano abbandonate.

A quale incuria ed a quali pregiudizj la tenera infanzia non è assoggettata? Il rinchiudere i bambini ed il soffocarli in un inelastico calore, che opprime, appassisce e ne discioglie la ancora imperfetta organizzazione, e privarli dell’aria libera ed elastica, elemento sviluppatore ed animatore dei corpi viventi: l’imprigionare i loro corpicciuoli fra le fasce, che all’espansiva forza del loro accrescimento pongono un limite: il rinchiuderli e serrarli fra quei rigidi inviluppi che chiamansi busti, che le belle forme naturali viziano, e disturbano quel moto d’inquietudine che i fanciulli hanno dalla provvida natura ricevuto, per cui i muscoli tutti crescono di forza, di duttilità e di pieghevolezza: l’alienare dal proprio seno, e dall’inimitabile vigilanza materna sottrarre i pargoletti, che ad un mercenario amore si consegnano; tutti questi errori e pregiudizj, con un grosso numero d’altri, hanno già esercitata la penna dei più illuminati filosofi, e qui basta l’averli accennati e certamente invano, perchè la luce ancor vacillante della scienza, la voce ancor fiacca e tremante della ragione, le scosse interrotte dell’eloquenza non bastano a disciogliere il glutine della consuetudine e della prevenzione.

36. Le cause morali poi della spopolazione sono molto più numerose e difficili a togliersi. Nei mali morali è ben raro che si rimonti alle cagioni, le quali stanno inviluppate [p. 244 modifica]e nascoste fra le abitudini le più care e famigliari, e qualche volta fra le leggi più antiche e più rispettabili.

37. Prima causa morale spopolatrice è la barbarie e l’ignoranza. I popoli barbari ed ignoranti, privi di tutti i piaceri dei popoli colti che dissipano e disperdono il condensamento delle passioni, le hanno violenti e distruttive. Ignorano le cagioni dei mali e la sorgente dei beni; sagrificano dunque tutto ciò che ha l’apparenza dei primi a tutto ciò che sembra essere fra i secondi. Induriti ad una vita aspra e limitata ai più inesorabili bisogni, preferiscono l’ardire all’industria, il coraggio subitaneo del cuore alla lenta sagacità dell’intelletto; fra essi giacciono oscure le arti tranquille e sedentarie, e le lunghe e tarde ricompense della laboriosa agricoltura sono ignorate e neglette. Le storie ci provano le nazioni barbare sempre spopolate; le emigrazioni stesse settentrionali provano piuttosto barbari fuggenti dalla natura distrutta per depredare la natura colta, che una immensa popolazione.

38. Seconda causa morale spopolatrice sono le maniere differenti delle nozze, rese più rare in diversi paesi da molte cagioni.

La prima cagione comprende tutte quelle che diminuiscono il valore dell’industria, perchè rendono impossibile al povero il mantenimento d’una famiglia. È necessario che la massima attività d’un cittadino abbia tanto valore di mantenere una moglie e tre figliuoli almeno, per ottenere l’accrescimento di popolazione. Allora l’uomo naturalmente si abbraccia al partito per lui consolante di procurarsi una stabile compagna ed un aiuto ne’ suoi figli in tempo della vecchiaia. L’idea di un piccolo impero domestico, l’idea molteplice e chiara d’una ordinata famiglia, modificano e restringono il vulgivago istinto naturale. Dunque perchè le nozze siano incoraggite è necessario che il valore minimo del massimo travaglio d’un uomo rappresenti almeno cinque alimenti giornalieri, date le differenti maniere di vivere delle differenti classi di uomini. Non ho calcolato in questo assioma il travaglio delle donne, le quali, disoccupate per lo più dal travaglio, hanno le domestiche incumbenze e la cura dei parti [p. 245 modifica]in tutte le differenti epoche. Ho ancora calcolati come uguali i cinque alimenti, quantunque nei figli siano minori e successivi, perchè il di più serve alle crescenti ed indispensabili necessità della vita, oltre l’alimento medesimo.

Secondo cagione di rarità di nozze è la comoda vita dissoluta, che dall’accorto legislatore non sarà frenata con assoluti e diretti divieti che la rendono più preziosa alla reattiva immaginazione, ma con ostacoli indiretti che deviino a poco a poco dal tumulto e dal disordine, verso l’ordine pacifico e la soave tranquillità delle unioni conjugali, l’ardente gioventù.

Terza cagione di rarità di nozze, diciamolo arditamente, sono gli ostacoli troppo frequenti che si pongono alla libera scelta dei soggetti, per la creduta prudenza di avere per primo scopo le circostanze accessorie delle nozze. Io non pretendo con ciò, nè di rovesciare l’ordine stabilito, nè d’incoraggire l’immatura gioventù ad un nodo tanto più fatale, quanto irremediabile e pericoloso nel calore d’una passione predominante in una età tenera ed inesperimentata; ma so bene che si possono stabilire varj regolamenti, per i quali, concessa una più libera scelta, si diano provvidenze proporzionate alla distanza che passa fra le classi contraenti. Quanto poi risguarda all’impetuosa giovanile buona fede nel correre in un laccio rovinoso, suppongo il freno delle leggi e l’autorità paterna non illimitata nè capricciosa, ma fino all’età in cui l’uomo è capace di reggere sè stesso, e di contrapporre con maturità motivi a motivi, ragioni a ragioni.

Quarta cagione di rarità di nozze è il soverchio lusso e la pompa superflua con cui sono celebrate nelle classi più elevate, da cui prendono esempio le inferiori. Le doti divengono sempre enormi, si cercano le più pingui a preferenza d’ogni altra più naturale considerazione, e queste rimangono esauste coll’estinguersi delle tede nuziali, invece che dovrebbero essere irremissibilmente messe a rendita per sostenere gli accresciuti pesi domestici ed assicurare alla donna, che ha meno risorse e meno libertà dell’uomo, un qualche sicuro alimento.

Quinta cagione di rarità di nozze è l’enorme disugua[p. 246 modifica]glianza dei beni, originata dalla indistinta e capricciosa libertà di testare. Data la proprietà dei beni, una disuguaglianza diviene inevitabile nella società. Alcune famiglie s’ingrandiscono coll’estinguersi di alcune altre, e l’economo e l’avaro prepara i suoi tesori al dissipatore. Le differenti situazioni contribuiranno sempre ad accrescere una tala disuguaglianza. Aggiungo di più che nelle circostanze nostre presenti, nelle quali, data la proprietà dei beni e dato l’arbitrio ai particolari di disporre a capriccio di tali proprietà, l’immagine seducente di vivere senza travaglio si moltiplica co’ proprietarj di rendite ereditarie, è necessaria una disuguaglianza che animi ed irriti quelle passioni che scuotono la voluttuosa indolenza di chi è indipendente dai primarj bisogni; è necessario che il piccolo reddituario non sia abbastanza filosofo per contentarsi della placida mediocrità del suo stato, e che alla vista d’uno più ricco di lui s’animi d’irrequieta emulazione per pareggiarlo; è necessario che tutte le classi dei cittadini amino d’entrare nella classe superiore, e che veggano ciò essere il premio della fatica e dell’industria, piuttosto che l’invidiata combinazione di fortunate circostanze. La troppo moltiplicità e bizzarria de’ fedecommessi ammucchia su poche teste, rende perpetuo in alcune famiglie ciò che dovrebbe essere la speranza e lo scopo di tutte, e che con assidua circolazione dovrebbe accumularsi e dividersi continuamente. Una famiglia, che assorbisca le rendite di 20 famiglie comode, non fa tanto vantaggio come queste lo farebbero. Abbiamo detto che le classi utili debbono essere tanto più numerose ed incoraggite, quanto più sono vicine alla classe produttrice ed alimentatrice; ora venti famiglie hanno più bisogni che mettono in moto queste classi, che non una famiglia sola quantunque ricca come le venti. Aggiungasi, che invece che la natura tende d’una famiglia a formarne molte, i troppi vincoli posti alle terre, il consacrarle all’ingrandimento d’un nome ed al lusso svogliato d’un primogenito, tendono di molte a farne una sola. La povertà de’ cadetti serpeggia umile ed oscura tra l’oro e la pompa fraterna; ond’essi, condannati ad uno sterile libertinaggio, all’ambizione del nome sacrificano i premj della fatica e dell’industria, o si [p. 247 modifica]arruolano per necessità a quelle classi alle quali una matura considerazione e superiori motivi dovrebbero condurre.

39. Terza causa spopolatrice è la troppa diffusione del celibato. Uomo intollerante, sospendi la tua collera! Io venero la santità del celibato religioso; ma sarà sempre vero, che la troppa diffusione anche di questo sarà nocevole alla santità medesima d’un tale stato; sarà sempre vero non esser questa la vocazione generale a cui gli uomini sono chiamati, che contraddirebbe alla natura, che renderebbe inutili le due metà del genere umano, che delle città farebbe un claustro, delle nazioni un esercito di cenobiti. Non è dunque un’eresia il condannare la soverchia diffusione di questo stato, come lo sarebbe il non crederne la santità e la perfezione, e la spirituale preminenza. Non è dunque un’eresia l’asserire, che il sovrano ha dalla pienezza del suo potere, dall’inalienabile obbligo di conservare la sua nazione, dall’indipendente sua autorità che Dio e la ragione gli hanno concesso, l’assoluto diritto di mettere un freno e limitare questo stato, secondo la prudenza e la sapienza dei motivi che lo animano.

Se questo stato si diffonde di troppo, esso diventa piuttosto apparente che reale. Le facili e tenebrose risorse del libertinaggio compensano una privazione, e la natura si rivendica, ma a carico altrui e senza raccoglierne alcun frutto. Non parlo di quel sacro celibato che nelle più auguste funzioni della religione si occupa; non parlo di quello, che lontano dal tumulto seducente della frequenza, si conserva incontaminato fra gli appartati ritiri d’una mesta solitudine; ma parlo di quello, che usurpando la considerazione dovuta al vero celibato religioso, grandeggia nella società solamente per scelta calcolatrice d’interesse, non per intima spinta di motivi sovra umani. Dico che in questo caso il celibato o è religioso affatto, e le distinzioni mondane e i premj sociali sono alieni del tutto dal suo scopo; o è secolare e realmente profano, e allora dovrebbe cedere in tutte le occasioni alla classe perpetuatrice, dovrebbe soffrire dei pesi maggiori che ridondassero in vantaggio delle classi maritate e bisognose di soccorso. I vantaggi dei cittadini debbono essere proporzionati alle azioni utili che essi fanno nella città: princi[p. 248 modifica]pio, di cui tutte le conseguenze ci condurrebbero ben lontano.

Si è parlato delle cagioni della rarità delle nozze; ma quali saranno i mezzi onde siano incoraggite? Onde prenderà il legislatore il sacro fuoco col quale si accendono in tutte le famiglie le faci nuziali? Rispondo: la mano che solleverà l’industria, e che darà il moto alle arti e alle fatiche, la stessa saggia mano che distribuirà sopra d’un gran numero di persone i mezzi di sussistenza, quella sarà che i nodi maritali moltiplicando fra le occupazioni utili e proficue, sottrarrà dall’inerzia e dall’opinione gli alimenti usurpati dalla infeconda dissolutezza. Oltre di ciò, è necessario che questo stato perpetuatore del genere umano sia fra le condizioni della vita sopra ogni altro onorato. Perchè abbandonarlo totalmente ai sentimenti della natura o alla calcolatrice indagine dell’interesse, mentre taluni senza i gravi e più sublimi motivi, per un volubile entusiasmo e per una libertina avversione ad ogni legame, osano sottrarre una serie di generazioni, che aspettano di respirar aura vitale, dagli oscuri recessi dell’insensibilità ed inazione, e carpiscono le distinzioni le più lusinghiere, invece che dovrebbero sovente a quella oscurità condannarsi cui condannano una numerosa posterità? E perchè ad uguaglianza di merito non si preferisce il cittadino che ha dato pegni ed ostaggi alla società e che ne forma una parte più sensibile, all’isolato ed indipendente celibatario? Perchè al cicatrizzato e benemerito soldato non si possono concedere e terre e moglie, onde in pace finire quei giorni che egli ha incominciati fra il tumulto, fra il sangue, fra le angosce d’una vita durissima e le scosse alternative d’un timido onore e dell’amor della vita? Dirassi, ove avremo i fondi, ove troveremo i premj? Rispondo, dappertutto ove sono terre che non sono d’individui, dappertutto ove sono stabilimenti nei quali l’inerzia è premiata e incoraggita, e riposa indolentemente sull’origliere della pubblica beneficenza.

Rispettabile union coniugale, tu i popoli dalla vita promiscua ed errante richiamasti: tu dalla vista inattiva del presente alle mire perpetuatrici e miglioratrici del futuro l’attività degli uomini provocasti: tu il furente sentimento d’amore [p. 249 modifica]sotto la tranquilla dolcezza d’una soave abitudine mansuefacesti: per te la solitudine domestica, dove la dispettosa idea della nostra piccolezza e la tormentatrice immagine dei mali che ci assediano, ci convelle e ci crucia, viene cambiata in una società dolce, intima e sicura, alleviatrice dei dolori, eccitatrice delle più tenere affezioni, adiutrice nei bisogni e nelle necessità: per te le cieche spinte d’un bisogno predominante vengono rallentate ed ordinate sotto il freno delle leggi e sotto l’ordine sociale, ed il furore delle esclusive passioni, che isolano gl’individui dalle mire comuni, è prevenuto e impedito: per te la fervida gioventù rientra in sè medesima, riordina le proprie idee, e calma ed equilibra il sorbollimento delle proprie affezioni: per te il vecchio cadente, da cui tutta la natura si stacca e si allontana, trova nell’antica compagna un’immagine ed un ricordo de’ primi anni suoi, e li piange e si consola. O umile padre di famiglia, o artigiano incallito nell’affumicata tua officina, io rispetto il rozzo tuo abituro, esso è il tempio dell’innocenza e dell’onestà; quando tergendo il sudore dalla fronte dividi un ruvido pane a’ tuoi figli, ai figli dell’industria e della patria, che levano le tenere loro mani per ricercartelo; quando io contemplo l’amorosa sollecitudine della tua fedele compagna, acciò la semplicità del governo tuo domestico ti sia leggiera ed utile, allora io mi risveglio dall’ammirazione che in me destava la contemplazione del sequestrato cenobita, che ha saputo trionfare della natura e della società, che con sì possenti inviti a sè lo richiamavano.

40. Quarta causa di spopolazione è quella sorta di lusso che alimenta le classi meno utili, a spese di quelle che più lo sono; quelle spese che attaccano la produzione nella sua sorgente, che sottraggono quella ricchezza primitiva che serve di fondamento alla coltura, ed è necessaria a perpetuare la riproduzione. Ma di ciò si parlerà più in dettaglio, ove tratteremo dell’importante articolo del lusso, materia difficile non per altro, se non perchè la maggior parte degli scrittori ha mancato di analizzare la mutabile e complicata di lui natura.

41. Quinta causa spopolatrice sono le emigrazioni. Que[p. 250 modifica]ste da varie sorgenti sono prodotte. i. Dalla mancanza di sussistenza e di travaglio, sia assoluta, sia relativa, cioè quando popolazioni intiere fossero costrette a sostituire ad un travaglio più facile uno più penoso e difficile immediatamente. È inutile di parlarne: tutta la scienza ne deve fornire i rimedj. ii. Dalla grandezza eccessiva o dalla odiosità con cui sono levati i tributi; e di ciò sarà parlato nel trattato delle finanze. iii. Dalle leve troppo grandi e troppo indiscrete de’ soldati. È necessità indispensabile per la nazione d’essere armata; egli è un sacro dovere di tutti i cittadini di vegliare alla conservazione del sovrano, delle leggi, della forma stabilita di governo: ma vi deve essere una proporzione tra il numero de’ soldati e la popolazione. Egli è difficile il fissarne la vera con precisione; basti per ora il sapere che i politici fissano come ragionevole quella di 1 sopra 100, onde in una popolazione di 1,200,000 uomini, per esempio, lo stato militare dovrebbe essere di 18,000. La vita militare è sterile necessariamente; la durezza della vita, la modicità della paga, la mobilità della dimora rendono lo stato di famiglia quasi incompatibile con quello stato. Sembra che gli oziosi e i vagabondi dovrebbero essere i primi soggetti alla leva militare, avanti che all’artigiano dalla sua officina, all’agricoltore dall’aratro, e ad ambidue dal seno delle famiglie desolate fosse permesso di sottrarsi ne’ momenti d’ubbriachezza e di momentanea seduzione. Ma tutto ciò che potrebbe dirsi intorno alla materia di reclutar soldati senza violenza, spesse volte necessaria in un genere di vita dove i più gran rischi alle più grandi fatiche son riuniti, mi devierebbe troppo dal mio soggetto.

42. Sesta causa finalmente di spopolazione è l’accrescimento della città a spese della campagna e delle arti di quella. Il soverchio ammucchiamento degli uomini rende più cari i mezzi di sussistenza; mezzi di sussistenza più cari significano che una maggior quantità di travaglio rappresenta un minor numero d’alimenti di quello che dovrebbe rappresentare. Allora si abbandonano le arti utili e produttive, e gli uomini corrono nelle città dove le arti dell’ozio e dell’intemperanza somministrano facili e grandiose ricompen[p. 251 modifica]se. Dunque, mancati i mezzi di sussistenza, crescerà l’apparente popolazione, diminuirà la vera e reale.

43. A queste annoverate si possono ridurre le cause principali spopolatrici. Si sono indicati, strada facendo, molti rimedj; ciò che ci resta a dire riguardo ad essi darà detto più opportunamente nelle altre parti di questi elementi. Ora solamente, dovendoci affrettare a parlare con qualche dettaglio dell’agricoltura, in quanto ella riguarda l’economia pubblica, ci basterà di riflettere che ogni paese deve conoscere la quantità della sua popolazione, sia in generale, sia in dettaglio, più esattamente che sia possibile. Dico in dettaglio, perchè un tale dettaglio indica le disuguali distribuzioni, le quali se non sono proporzionate alle circostanze fisiche del territorio, ma solamente in grazia di leggi parziali, non fanno che caricare una parte a spese di un’altra, e con ciò circoscrivere la maggior quantità di vataggio che potrebbe ricavare uno Stato dal fondo totale della propria industria e del proprio terreno. Col dettaglio della popolazione si arriva facilmente a conoscere le cause particolari spopolatrici per rimediarvi, il che invano si ricercherebbe dalla vaga e generale notizia della totale popolazione.

44. In varie maniere può determinarsi la quantità di popolazione di uno Stato.

i. Per l’attuale enumerazione, la quale sarà tanto più inesatta quanto la provincia sarà più estesa. La trascuranza è inevitabile in tutte le persone che non agiscono per proprio interesse; le negligenze inevitabili delle persone incaricate si moltiplicano col numero delle persone medesime; moltissimi particolari hanno interesse di celarsi, molti corpi lo fanno per politica e per timore, sovente ingiusto, per cui credono importante d’essere stimati miserabili e pochi. In una gran provincia molti sono gli assenti e quelli che vanno e vengono i quali variano considerabilmente la popolazione. Io accenno tali difficoltà, meno per farle credere insuperabili, che per indicar i punti di vista onde evitarle.

ii. Dallo stato delle anime, che si tiene dai parrocchi. Gli ecclesiastici campano in parte sulle epoche fondamentali della vita umana, nascita, matrimonj e morte; essi hanno [p. 252 modifica]dunque un massimo interesse di sapere il vero numero componente questo ramo ubertoso di loro giurisdizione. Essi per conseguenza ci possono somministrare le più esatte notizie, e lo potrebbero molto di più quando quest’importante incumbenza di padri e di pastori fosse appoggiata a persone d’una sufficiente coltura, le quali obbligate dall’autorità del principe, padre dello Stato e protettore supremo della religione, tenessero questi registri non secondo la mera eventualità, ma distintamente ed ordinatamente.

iii. Si può calcolare ne’ paesi dove sia capitazione. Nel nostro paese vi sono le teste censibili per la campagna, per i soli maschi dai 14 anni sino ai 60. Per ogni testa bisogna computare, oltre di quella, due donne, un vecchio e tre ragazzi tra maschi e femmine; gli uni per gli altri fanno in tutto 7 persone. Dunque, moltiplicando per 7 il numero delle teste censite, avremo appresso a poco il novero della popolazione della campagna, e parimenti le teste censite de’ luoghi particolari.

iv. Si numera la popolazione numerandola a case o fuochi, come si suol dire; ad ogni fuoco si sogliono assegnare, l’uno per l’altro, 5 persone.

v. Dalla quantità di consumazione universale d’un particolare prodotto. Il calcolo è più incerto se parte d’un tal prodotto si estrae, ancorchè siavi un dazio su tale estrazione, perchè i contrabbandi considerabili lo rendono equivoco. Lo è ancora quando, oltre la consumazione universale, si riscontrano manifatture e consumazioni particolari per il lusso e capriccio delle persone comode.

È bene di calcolare in tutte queste differenti maniere colla maggior esattezza la popolazione, perchè un metodo ratifica l’altro, e questi calcoli servono di base a tutte le particolari operazioni economiche, e formano gli elementi della così detta Aritmetica Politica, la quale sola può rendere utili ed applicabili le teorie della scienza economica. Quando per queste differenti strade si sia arrivato appresso a poco al medesimo risultato, possiamo essere sicuri della popolazione d’un paese. L’ultima precisione nelle masse grandi non è possibile nè importante nella quantità, ma è altret[p. 253 modifica]tanto necessaria nella qualità; perchè ad ogni minima differenza quella non cangia la natura degli effetti, ma ogni minima differenza di questa è un punto di divergenza verso una nuova serie di cause e d’effetti.

45. Avendo ritrovato in un libro francese, peraltro di poca importanza, intitolato Principj d’un buon governo, stampato in Berlino nello scorso anno 1768, una nota assai interessante compilata su diversi autori intorno a diverse proporzioni fra la nascita, matrimonj e morte, ho creduto opportuno di tradurla e di aggiungerla in questi Elementi. Essa può servire di base a molte ricerche, e ci confermerà in quella massima, che l’azzardo è una parola vuota di senso solamente relativa alla nostra ignoranza della cause, e che ciò che noi chiamiamo eventualità e fortuna sia soggetto a regole costanti e periodiche fissate dall’ordine eterno e dalla suprema provvidenza d’un Dio regolatore.

«Il rapporto de’ morti a quelli che restano in vita in un anno è alla campagna come 1 a , ossia ; ed anno comune, prendendo dieci anni misti di buoni e cattivi, come 1 a 38 , o circa; nelle piccole città , ed a Berlino ; nelle grandi città come Londra, Roma ec. o . Nelle provincie intiere questo varia: si può prendere come un rapporto mezzano o .

»Il rapporto de’ matrimonj al numero degli abitanti in un anno ha una gran varietà, perchè in alcuni paesi si fa un matrimonio su di 80 persone, in un altro non ve n’ha che 1 sopra 100 a 115. Nelle piccole città della Marca di Brandeburgo si fa un matrimonio sopra 98 persone; a Berlino sopra 110; alla campagna sopra 108; a Londra come 1 a 106; nelle piccole città d’Inghilterra come 1 a 128; in Svezia come 1 a 126; in Olanda come 1 a 64: il che non si può attribuire, che alla facile sussistenza che il commercio vi procura.

»Il rapporto de’ matrimonj ai bambini, per tutta la durata del matrimonio, è assai generalmente nelle provincie grandi dai 1 a 4, o sia di 10 a 41; benchè vi sia qualche differenza secondo i luoghi e i tempi, non si osserva che la campagna abbia del vantaggio a questo riguardo sulle città. [p. 254 modifica]

»Il rapporto dei bambini ai viventi durante un anno è nei villaggi d’Olanda come 1 a 23 ; o . In quindici villaggi vicino a Parigi come 1 a 22 ; in 20 città del Brandeburgo come 1 a 24 ; in Svezia come 1 a 28 , o ; in Inghilterra come 1 a 28 , o : secondo King e secondo Short come 1 a 29 , quasi ; in 1098 villaggi brandeburghesi come 1 a 30; a Berlino come 1 a 28; a Roma come 1 31 . La varietà essendo di a , sarebbe difficile di voler stabilire una regola generale; il rapporto medio potrebbe essere di 1 a 26, o 28.

»Per il rapporto dei bambini alle famiglie, si consideri, che i vedovi e le vedove continuano a governare le loro famiglie, e che per ciò vi sono più famiglie, che matrimonj. Secondo Short, una famiglia è composta di 4 persone alla campagna, o sia in 10 famiglie 44 persone, e nelle città due famiglie consistono in 9 persone. Secondo King, una famiglia fra le persone del comune è composta di 3 , fra le persone di condizione di 5 , e in generale l’una per l’altra di 4 ; ossia 53 persone in 13 famiglie.

»Il rapporto dei bambini alle famiglie è di 10 a 65 nelle città nelle città, ed alla campagna di 10 a 67: generalmente di 10 a 66. Il rapporto di quei che muoiono ai bambini in un anno è di 10 a 12, o 13, o anche 100 a 120, o 130; d’onde ne nasce l’aumentazione del genere umano, che in meno di 100 anni potrebbe andare al doppio se non vi fossero al mondo diversi ostacoli al suo accrescimento. Nascono in generale più maschi che femmine, 21 maschi sopra 20 femmine, o 26 maschi sopra 25 femmine, ciò che fa vedere che la poligamía è contraria alle mire della natura. Ecco ancora un rapporto che merita l’attenzione di quei che governano; cioè dei ragazzi che muoiono nel seno delle loro madri, a quelli che muoiono appresso le nutrici. Secondo l’Autore degli Interessi della Francia male intesi, è di 3 a 5, ciò che è confermato da Deparcieux.»

A queste notizie credo che sarà utile di soggiungere una tavola della probabilità della vita umana, cioè da tal’età di ciascun uomo sapere quanti anni può egli sperare ancora di vita; questa tavola è cavata dal Libro del signor Deparcieux su questo argomento. [p. 255 modifica] [p. 256 modifica]

I numeri 1, 2, 3 ec., fino al cento nel margine dinotano l’età per tutte le altre colonne. La larghezza di ciascheduna delle gran colonne è suddivisa in tre altre. I numeri della prima di queste tre colonne dinotano la quantità delle persone che restano ad ogni età; per esempio, secondo Kerseboom, di 1400 fanciulli nati, non ve n’ha che 1125 che arrivino all’età d’un anno completo: 1075 all’età di due anni: 964 a quella di 5 ec. Secondo l’ordine stabilito a norma della lista delle Tontine, di 1000 reddituarj che hanno l’età di 3 anni, ne muoiono 30 il primo anno, 22 il secondo, e così in seguito; quindi non ne restano che 948 all’età di 5 anni, 880 all’età di 10, 734 a quella di 30 ec. Si può dunque scommettere 726 contra 8, o 90 contra 1, che un reddituario dell’età di 30 anni, non morrà nello spazio d’un anno, perchè di 734 reddituarj dell’età di 30 anni ve ne saranno 726 che faranno guadagnare, e 8 che faranno perdere. Pare che si potrebbe col mezzo del suddetto esempio, servendosi dell’ordine di mortalità del signor Kerseboom, trovare la scommessa che si può fare sopra l’età d’un marito e di sua moglie. Non si allontanerebbe dal vero per gli abitanti della campagna; ma nelle città le donne sono un poco più esposte degli uomini, finchè elleno sono in età d’aver figliuoli, perchè, non allattandoli, gli accidenti prodotti dal latte cagionano in esse delle gran rovine, ne fanno morir talune o indeboliscono considerabilmente il temperamento delle altre.

La terza colonna d’ognuna delle due grandi, contiene la vita media delle persone di tutte le età, cioè il numero d’anni residuo di vita d’ognuno, uno compensando l’altro; per esempio, secondo Kerseboom, le persone d’età d’anni 50 hanno ancora a vivere anni 19 e 5 mesi: ecco la regola per trovare la vita media di 118 reddituarj ottuagenarj. Si sommino insieme tutti i numeri delle persone che restano in vita ogni anno, cominciando da quella di cui si cerca la vita comune inclusive fino all’ultima; nel caso proposto si sommino i numeri 118, 101, 85 ec. La somma che sarà 612, si divida per 118, il primo di quelli che si sono sommati, che è il numero del problema, ed il quoto che sarà 5 anni e 2 [p. 257 modifica]mesi, dai quali detratti sei mesi, il residuo 4 anni e 8 mesi è la vita media comune ricercata. Si levino 6 mesi dal quoto, perchè con questa maniera di calcolare si suppone che tutti muoiano al fin dell’anno, invece che si deve supporre che muoiano alla metà; si sono perciò computati 6 mesi di più, che vanno levati dal quoto fatta la divisione.

La tavola del signor Kerseboom serve per tutti indistintamente, poichè oltre le osservazioni fatte sopra le liste delle Tontine e rendite vitalizie, si è servito dei lumi comunicatigli dai letterati d’Inghilterra, oltre moltissime riflessioni fatte sopra le liste di mortalità dell’Olanda, Francia, e d’una porzione della Germania; può dunque servire di norma generale, quando il clima non facesse nascere nuove difficoltà ed inesattezze.

La tavola del signor Deparcieux serve per i reddituarj vitalizj, i quali in pari numero muoiono più tardi degli altri, perchè: i. i parenti che danno danaro a censo vitalizio in testa d’un loro ragazzo, fanno l’investita per quello che è di miglior complessione, e generalmente quelli che sono d’una salute delicata vivono meno degli altri. ii. Quelli che fanno l’investita in testa propria, non la fanno se temono di malattia. iii. Quelli che danno danaro a censo vitalizio, non sono nè i gran signori, nè i miserabili, la salute de’ quali è in cattivo essere per lo più in un’età avanzata, de’ primi per troppa abbondanza, de’ secondi per troppa indigenza; ma sono i buoni cittadini, che hanno un’onesta mediocrità fra questi estremi.

L’Autore da 3700 ragazzi, nati a Parigi, ha trovato che la vita comune è di anni 21 mesi 4, compresi gli aborti, e non compresi questi, anni 23 mesi 6; dalla parte di Laon la vita media de’ ragazzi è di 37 anni, e d’anni 41 nella Bassa Linguadoca. A Parigi i bambini delle persone comode muoiono meno di quelli del basso popolo. I primi prendono le balie in Parigi e nei contorni, sempre a portata di vedere i loro figliuoli; ma il popolo minuto non potendo far questa spesa, non li vede che quando sono slattati. In generale, ne muore più della metà a balia, il che deriva in gran parte dal difetto di cura di queste donne. Sia il lor latte cattivo, vec[p. 258 modifica]chio o insufficiente, o che si slattino i bambini troppo presto, o dando porzione del loro latte ai proprj figliuoli, pregiudicano a quelli per cui sono pagate, essendo i parenti troppo lontani per abbadarvi. A questo non vanno soggetti i figliuoli di quelle madri, che vivendo alla campagna allattano i proprj figli; ma nei contorni di Parigi i figli della povera gente vivono in generale meno che nelle provincie lontane. Le madri de’ contorni di Parigi fanno il mestier di balie, slattano i loro bambini in capo a 5 o 6 mesi, gli ammazzano per così dire, e lor guastano il temperamento non lasciando loro il naturale nutrimento per tutto il tempo necessario, sostituendovene uno che non è a portata del loro stomaco ancor troppo debole per digerirlo, o che non digeriscono che con fatica. Dipende singolarmente da questo punto principale la longevità della vita. Nelle provincie lontane gli uomini sono robusti e vigorosi, e faticano egualmente e comunemente con forza e coraggio all’età di 70 o 80 anni, come nei contorni di Parigi all’età di 50 o 60.

Là gli uomini grandi e ben fatti sono tanto comuni, quanto gli uomini piccoli e malsani ne’ contorni di Parigi. Egli è vero che vi sono molte donne, che per il loro stato o per naturale impossibilità non possono allattare i proprj figli. Ma ve ne sono altresì molte, alle quali non dovrebbe essere permesso di confidarne la cura ad altre. V’ha anzi in ciò un difetto di tenerezza, che fa vergogna all’umanità. Ogni altro dovere non dovrebbe egli cedere a questo nel cuor delle madri tenere ed affettuose? I doveri del rango o le ragioni d’interesse sono elleno in Francia, e soprattutto a Parigi, d’un’altra specie che in Germania, in Olanda, in Inghilterra ec., dove quasi tutte le donne, fin quelle della maggior distinzione, allattano i proprj figliuoli? Nel 1743 la principessa di Nassau figlia del re d’Inghilterra allattava ella medesima la principessa d’Oranges sua figlia, ed il duca d’Orléans reggente era stato allattato da madama principessa Palatina sua madre: esempj così lodevoli e così rispettabili non dovrebbero essere più imitati che non sono? Le donne sono elleno meno madri in Francia, che ne’ suddetti paesi? E se si trovano di quelle, alle quali questo ti[p. 259 modifica]tolo rispettabile non ispiri tanta tenerezza che basti per far loro adempire il primo ed il più caro di tutti i doveri, sarà biasimabile una esatta polizia che vi dasse provvedimento? Ne risulterebbero molti vantaggi: le madri ed i figliuoli sarebbero reciprocamente più attaccati e godrebbero d’una miglior salute; elleno ne avrebbero meno e ne alleverebbero di più, e lo Stato avrebbe più sudditi. Mi sono diffuso sopra le vite medie, perchè è troppo generalmente dilatato il pregiudizio che la vita comune de’ bambini in generale è molto minore; gli uni la dicono di 14, altri di 15, ad altri di 16 anni. Il mondo non riceve impressione che per quelli che muoiono, sopra tutto se sono reddituarj vitalizj, perchè alla morte d’ognuno di questi si grida che lo Stato guadagna a far delle rendite vitalizie; non si abbada mai a quelli che godono d’una rendita vitalizia durante 60 e 80 anni e più, che non è così raro come si suppone; ma non si vuole abbadare a quelli che vivono molto; si teme in ciò, come in tutte le altre cose, di trovar delle ragioni che distruggerebbero i pregiudizj adottati.

Il signor Deparcieux soggiunge, che dalle moltiplicate osservazioni fatte sopra i necrologj comunicatigli da diversi ordini religiosi, risulta che generalmente i religiosi vivano ora più lungamente che altre volte, e che le monache vivano più dei frati; il che sembra confermare quello che dice il signor Kerseboom, che un numero qualunque di donne vivano più tra loro, che un numero pari d’uomini secondo la proporzione di 18 a 17. Ei dice che tutte le donne, che nascono in un luogo, vivono quanto gli uomini; ora il numero de’ maschi che nascono in un luogo durante un lungo periodo d’anni, è al numero delle femmine come 18 a 17 in circa, come si è osservato in Inghilterra, e si può vedere alla fine della seconda edizione dell'Analisi de’ giuochi d’azzardo del signor di Montmor. Ma se egli è vero che tutte le donne insieme vivano quanto tutti gli uomini, le loro nascite essendo a quelle degli uomini come 17 a 18, bisogna che la lor vita media sia a quella degli uomini come 18 a 17. Tutto il mondo crede che l’età di 40 o 50 anni sia un tempo critico per le donne; non so se esso lo è per [p. 260 modifica]loro più che per gli uomini, o più per le donne del secolo che per le religiose; ma in quanto a queste ultime non se ne accorge, confrontate le liste della loro mortalità con quella degli altri.

Il signor Deparcieux ha osservato ancora, che sul principio i religiosi e religiose muoiono meno che i secolari, ma quando arrivano all’età di 45 in 50 anni, muoiano molto più presto; e ciò deve esser così per tre ragioni. — i. I claustrali sono molto meglio scelti de’ reddituarj, ed oltre alla visita, sono obbligati sotto scrupolo di coscienza a dir se credono d’avere qualche malattia segreta, ed il noviziato serve tanto ai superiori per provare la salute ed il temperamento de’ novizj, quanto a questi ultimi per provar la regola. — ii. Quando i claustrali hanno passato un tempo di 15 o 20 anni, la loro salute comincia ad alterarsi per le astinenze, digiuni, fatiche e più di tutto per la mancanza di cura esteriore del loro corpo, di cui la maggior parte non si piccano gran fatto. — iii. Quelli che un buon temperamento fa arrivare ad un’età un po’ più avanzata, potrebbero andar più oltre se avessero nei conventi mille piccole dolcezze che non hanno, e che i secolari trovano a casa loro, non solamente i ricchi, ma quelli ancora che non sono che mediocremente agiati, e perfino i semplici artigiani che sappiano tener un buon sistema d’economia. Avendo Deparcieux paragonato gli ordini di mortalità de’ religiosi e quello de’ reddituarj con quello del signor Kerseboom, rilevò essere un pregiudizio il credere che i claustrali vivano più de’ secolari; scelti come sono, dovrebbero viver molto più o aver le loro vite medie molto più lunghe di quelle de’ reddituarj, ma in fatto sono più corte. Nasce questo errore dal non giudicare che dalle apparenze. Vi sono, a dir il vero, de’ vecchi claustrali, ma molto meno che non si crede; questo è un fatto che non di può porre in dubbio, senza negare l’esattezza de’ loro necrologj.

Secondo l’ordine del signor Kerseboom, se si supponga che nascano in una città 1400 fanciulli in un anno, e che in casa nè entri, nè esca alcuno, vi saranno 1125 ragazzi di un anno, 1075 di due, 1030 di tre anni ec. Som[p. 261 modifica]mati questi numeri assieme, l’aggregato 48,956 sarà la quantità di persone di ogni età che sono in quella città. Ma siccome muoiono ogni anno quanti ne nascono, cioè 1400, di cui 275 il primo anno di fanciullezza, 50 nel secondo, 45 nel terzo e così in seguito, come è notato nella colonna de’ morti; dividendo come sopra la somma 48,956 per ciò che ne nasce e ne muore ogni anno, il quoto 35 dà a divedere che nasce e che muore ogni anno la 35ma parte degli abitanti di essa città. Se da questo quoto 35 se ne diminuiscono sei mesi, si avrà di nuovo la vita media come per l’avanti. Soggiunge il Deparcieux, che si suppone che il numero de’ nati eguagli ogni anno quello de’ morti, perchè quantunque perisca tutto quello che nasce, è fuor di dubbio che il numero delle persone viventi andrebbe aumentandosi, se non succedessero tratto tratto degli accidenti, come guerra, peste, fame e simili mali, che diradassero gli uomini; si aggiunge, per i paesi cattolici, l’aumento che produrrebbero tutte le figlie che si chiudono ne’ conventi, se elleno di maritassero in luogo di farsi monache, e seppellire con sè stesse anche la loro posterità; e ciò non ostante, quando la pace dura assai, non si mandano delle colonie a popolare altri paesi? È dunque vero che in un tempo uniforme il mondo deve andare aumentandosi, ovvero che i nati ogni anno devono superare i morti; ma la differenza che questo aumento recherebbe alla conseguenza che si cava dall’accennata supposizione, può essere riguardata come niente per il soggetto di cui si tratta, poichè tutto ciò non si deve riputare che come un appresso a poco.

Nelle città grandi, come Parigi, Lione, Rouen, Bordeaux, dove è sempre un gran concorso di gente, il numero de’ morti è minore che nelle città piccole, perchè supposto che nelle città piccole ne muoia , come si vede nell’ordine stabilito della mortalità dal Kerseboom, ne morrà al più nelle città grandi per due ragioni. i. V’ha continuamente in queste città una quantità considerabile di persone che viaggiano, padroni, servitori, operaj che non vi rimangono che un dato tempo, e quindi se ne ritornano a casa [p. 262 modifica]loro o altrove. È vero che durante il loro soggiorno la morte può coglierli egualmente che i proprj abitanti, ma si rifletta che quelli che viaggiano lo fanno in quell’età nelle quali è minore la mortalità; non si viaggia, ordinariamente, prima dei 15 o 18 anni, e si esce poco fuor del proprio paese dopo i 40 o 50; sicchè i viaggiatori d’ogni sorta vanno nelle città grandi dopo aver passata la mortalità dell’infanzia, e se ne ritornano prima che arrivi la mortalità della vecchiaia: d’altronde quelli che viaggiano, sono quasi tutte persone che sono in buono stato di salute. — ii. La più gran mortalità essendo sempre ne’ bambini, succede che in Francia ella è molto minore nelle città grandi in proporzione di quello che dovrebbe essere, che altrove, perchè si mandano ad allattare i bambini 4, 6 e 10 leghe lontano, da dove non si richiamano che all’età di 2, 3 o 4 anni, e allora ne son morti più della metà per le ragioni sopra allegate. Questo numero si trova rimesso da altrettante più o meno persone, le quali abbandonano la campagna per venire a stabilirvisi, la maggior parte operaj o servidori d’ogni sesso, che arrivano all’età di 15 o 18 anni, dopo essere evasi in casa propria alla mortalità dell’infanzia. Quindi ne segue, che le città grandi scarseggiano di persone dalla nascita fino all’età di 15 o 18 anni in proporzione di ciò che ve n’ha nelle altre età.

Il parroco di San Sulpizio di Parigi ha fatto stampare lo stato de’ battezzati e de’ morti dal 1715 fino al 1744. Si vede da questo stato che nello spazio di 30 anni sono morte in quella parrocchia 17 donne nubili, maritate e vedove all’età di 100 anni, e solamente 5 uomini; sono morte 126 donne, e solo 46 uomini al di là de’ 90 anni; le donne vivono dunque più lungamente degli uomini.

Il numero totale degli uomini d’ogni stato è minore di quello delle donne 934; vi sono avanti l’età di 10 anni 96 fanciulli morti più che figlie, e più giovani scapoli morti fra i 10 e 20 anni che figlie o donne; non sembra adunque che questa età sia più critica per i giovani che per le figlie. Vi son 10,137 donne, 8,751 uomini morti dopo i 30 anni. Se il numero delle donne morte in ogni età in particolare fosse proporzionale a quello degli uomini riguardo alle due somme [p. 263 modifica]totali 10,137 e 8,751, che restano a morire dopo i 30 anni, dovrebbero esservi 2,556 donne morte dai 30 fino ai 45 anni, e non ve n’ha che 2,315; dovrebbero esservene 3,042 dai 45 fino ai 60, e non ve n’ha che 2,442. Se si deve giudicare adunque da questo stato, l’età di 30 e 60 anni è più critica per gli uomini che per le donne. Il numero totale degli uomini scapoli morti è maggiore di quello delle figlie, perchè vi son più giovani che non si maritano che figlie; dippiù la cura di San Sulpizio è piena di case grandi, in cui sono molti servidori tanto maschj come femmine nubili. Si vede da questo stato d’anime meno uomini maritati morti, che donne maritate, perchè vi sono ben più uomini che si maritano due o tre volte, che donne: essendo i primi molto più soggetti delle donne a trovarsi vedovi in un’età poco avanzata, a cagione delle conseguenze de’ parti; e perchè eglino trovano più facilmente da rimaritarsi che le donne vedove, soprattutto se queste sono cariche di figliuoli, perciò si vedono più vedove che vedovi. Vi sono più donne, che uomini maritati, morte prima de’ 20 anni per due ragioni. i. Perchè si maritano più figlie che giovani prima dei 20 anni. ii. Le conseguenza de’ parti sono, come si è detto altre volte, funestissime alle donne che non allattano i proprj figliuoli. Le due medesime ragioni sussistono sino ai 30 e 45 anni. Il numero degli scapoli morti dopo i 20 anni è un po’ più della metà della somma degli uomini maritati e vedovi, morti dopo la medesima età. Non v’ha che 6 scapoli e 43 mariti e vedovi che abbian passato i 90 anni. Il numero delle figlie morte dopo i 20 anni è quasi il quarto della somma delle donne maritate e vedove morte dopo la medesima età; non vi sono però che 14 figlie, e vi sono 112 donne che abbiano passati i 90 anni. Sembra dunque confermarsi quanto ho detto di sopra, che si vive più nel matrimonio che nel celibato. In 30 anni sono stati battezzati nella parrocchia di San Sulpizio 69,600 bambini, de’ quali 35,531 maschi e 34,069 figlie; il che è appresso a poco come 24 a 23.

Dal 1720 in poi si battezzarono ad anno comune in Londra 17,600 bambini all’anno, e muoiono 26,800 persone. Invece dagli stati dell’anime delle parrocchie di Parigi si rile[p. 264 modifica]va, che si battezzano in questa città un anno per l’altro 18,300 ragazzi, e muoiono 18,200 persone. Il numero de’ forastieri è appresso a poco eguale nelle due città. Ma a Londra le madri allattano i proprj figliuoli, e per questo vi si ha in generale la mortalità di quelli che vi nascono e di quelli che vengono a stabilirvisi; in luogo che a Parigi le madri non allattando i loro bambini, non si ha la mortalità di quelli che muoiono a balia, de’ quali il numero è grande.