Elementi di economia pubblica/Parte prima/Capitolo II
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Capitolo II - Della natura del travaglio e della consumazione
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Cap. II. — della natura del travaglio e della consumazione.
19. Ho posto per principio generale di tutta la scienza non la massima quantità di travaglio generalmente, ma la massima quantità di travaglio utile, ed ho, cred’io, sufficientemente determinata l’idea di questa utilità. Perchè la terra coltivabile produca, sono necessarie alcune spese, e quanto maggiori sono queste spese in paragone del prodotto totale, tanto meno resta di avanzo sul prodotto medesimo; quanto meno resta di questo avanzo, tanto minor ricchezza si potrà contrattare coi prodotti utili delle altre terre, e darsi in salario all’arti che rendono utili questi prodotti, e tanto meno resta di tributo da darsi al sovrano per le innumerabili e necessarie spese della pubblica sicurezza e tranquillità. Perchè le opere della mano e dell’industria abbiano una continua prosperità, bisogna che molti siano coloro che facciano uso delle opere di quella; perchè molti facciano questo uso, è necessario che ciascun’opera sia fatta nel minor tempo possibile e colla minore spesa possibile: ma non si può far uso di queste opere se non pagandole; e pagare non si possono, se non si danno prodotti delle terre o almeno rappresentazioni in quelli convertibili, il che è lo stesso. Dunque quanto maggior tempo e maggior spesa consuma un’arte, tanto maggior prodotto di terra si darà per quella, e perciò tanto meno ne resterà da convertirsi in altre arti ed in altre successive opere; dunque generalmente quel travaglio sarà meno utile, che potendo in più breve tempo e da un minor numero di persone essere fatto, lo sarà più lungamente e da più persone.
20. Non occorre che io qui mi dilunghi a sviluppare ciò che chiaramente e diffusamente deve esserlo nelle parti di questi elementi destinate a trattare dell’agricoltura e delle arti, nelle quali saranno tolte di mezzo quelle obbiezioni che si possono fare: la natura di questa scienza, come d’ogni altra che non sia vana ed illusoria, è di formare un tutto talmente riunito, che sia d’uopo di comprenderlo nella sua totale estensione per essere perfettamente convinti delle grandi verità ch’ella contiene. È solamente opportuno di entrare alquanto più addentro nella natura e distribuzione di quelle spese, che essenzialmente sono necessarie per ottenere una qualunque siasi produzione della terra o opera della mano dell’uomo.
21. Il tempo rinnova il bisogno degli uomini, e la vita di quelli non si prolunga che colla distruzione e alterazione de’ corpi che sono atti ad assimiliarsi alla propria loro sostanza. Un uomo non solamente si nutre e propaga la sua stirpe; ma si veste, edifica e cerca di vivere comodamente, e di modificare e di applicare a sè stesso tutte le cose in maniera che gli eccitino sensazione piacevole. Ora non si può ciò ottenere gratuitamente, bensì col mezzo dell’azione del travaglio. Bisogna dunque, durante questo tempo, nutrir sè stesso e gli altri che contribuiscono al soddisfacimento di questi bisogni e comodi. Io ho bisogno, per esempio, di vestirmi; in primo luogo, io debbo fornire al sartore tutte le materie e gl’ingredienti necessari; in secondo luogo, io debbo mantenerlo per quel tempo che egli consuma travagliando; e non solamente io lo nutro, ma gli do una parte, proporzionata al tempo che egli impiega in mio servizio, di vestito, di alloggio o di che altro gli occorre. Egli stesso impiega una parte di quel che gli do a nutrir altri che gli forniscono l’occorrente; così successivamente. Se noi riflettiamo a questa serie di pagamenti, troveremo due elementi distinti che entrano in ogni opera: l’uno sarà la materia prima prodotta dal suolo, la quale è modificata secondo l’uso richiesto; la seconda sarà il nutrimento, che va successivamente consumandosi da tutti quelli che direttamente o indirettamente contribuiscono al travaglio di questa materia prima. Questo nutrimento, in primo luogo, è somministrato anch’esso dalla terra; in secondo luogo, è differente dalla materia prima impiegata al lavoro, in quanto quello immediatamente si consuma, e questa non è consumata ma lavorata, o sia mutatane solamente la forma acciò sia atta all’uso destinato. In ogni pagamento, cioè in ogni passaggio di una produzione da una mano nell’altra, vi è sempre una parte del suo valore, ossia di quanto è stimata, che si ferma per convertirsi in alimento o in immediata consumazione. Onde se dal valore di qualunque opera si sottragga il valore della materia prima, tutto il restante rappresenterà la somma delle cose consumate, ossia degli alimenti di tutte le persone che hanno direttamente o indirettamente contribuito al travaglio. Dunque l’alimento o la consumazione può dirsi il rappresentatore universale d’ogni sorta di travaglio, e la quantità di quello rappresenterà la quantità di questo; dico l’alimento o consumazione, perchè molte cose si consumano che non sono alimento, quantunque vadano sotto la stessa considerazione: per esempio, le legna che si abbruciano.
22. Avendo dunque veduto che fra le persone che entrano nel travaglio d’una cosa qualunque non vi debbono essere compresi solamente i travagliatori di quella ma ancora coloro che forniscono il vitto, il vestito egli altri comodi e necessità della vita ai primi, e così successivamente quelli che li somministrano a quest’ultimi; saranno quindi tanto più numerosi gli alimenti rappresentanti la quantità di travaglio di ciascuna cosa, quanto è più grande la distanza d’una sorta di travaglio dall’ultima classe dei producitori degli alimenti fornitici dalla terra.
L’alimento degli uomini può essere più largo ed abbondante, può essere più ristretto e scarso, può essere mezzo grossolano, può essere più. Le ultime classi degli uomini, prescindendo dai profitti casuali, possono dunque col risparmiare una parte di alimento e accontentarsi del più comune, riserbarsene una porzione del più scelto da contrattare in altri usi. Questa è la prima origine d’ogni profitto, da cui scaturiscono successivamente i primi guadagni onde supplire agli altri bisogni.
23. Questi ultimi producitori rappresentano dunque realmente il travaglio e le fatiche di tutte le altre classi prese insieme; dunque questa classe debb’essere necessariamente la più numerosa. Ma siccome ella medesima per i bisogni più grossolani della vita ha duopo di molte altre, come per esempio di quelle che forniscono il vestito o simili, così dietro la prima, la più numerosa sarà quella che somministra le cose più necessarie agli uomini dopo l’alimento, appunto perchè fu immediata rappresentatrice di quello; e così discorrendo di mano in mano si arriverà a questa non volgare osservazione, che le classi delle persone che travagliano debbano essere tanto meno popolate, quanto è maggiore la loro distanza dalle classi immediatamente alimentatrici. Da qui si vede la mutua dipendenza di tutte le arti, che a guisa di piramide non a disuguali ammucchiamenti debbono essere elevate ed incoraggite dal saggio legislatore. Ben è vero, che essendo fattizia e non stabilita nella natura delle cose la divisione delle nazioni, il travaglio non rappresenta solamente la quantità di cose consumabili prodotta dal proprio paese, ma ancora quella che è prodotta da un altro; onde, consumate le cose del paese proprio, il soverchio delle opere e delle fatiche delle diverse classi rappresenterà la quantità delle cose consumabili che possono fornire le nazioni per le quali si travaglia. Ciò nonostante, se noi considereremo le terre forastiere somministranti l’alimento rappresentatore del soverchio travaglio di una nazione, come facienti realmente un corpo solo colle terre alimentatrici della nazione medesima, noi troveremo sempre la classe producente l’alimento la più numerosa, e la classe lavoratrice la meno numerosa, in proporzione della distanza sua della produzione immediata dell’alimento medesimo. Il soverchio dunque del travaglio sopra del bisogno della propria nazione le sarà tanto più utile, quanto questo soverchio sarà nelle classi sempre più vicine a rappresentar la propria proporzionata quantità di alimento. Primo, perchè essendo queste le più numerose, la distribuzione degli utili cadrà sopra un maggior numero di persone, il che servirà ad incoraggire più immediatamente i lavori più necessarj e più utili. Secondo, perchè l’accrescimento delle arti inferiori, cioè più vicine alla produzione dell’alimento, anima le superiori; ma l’accrescimento di queste non anima egualmente quelle. La superiorità de’ loro guadagni mettendole nel caso di supplire fuori di Stato alla più parte dei bisogni, le classi loro intermedie possono essere forastiere piuttosto che nazionali, ed essere più utili all’altrui che alla propria nazione.
24. Da questi ragionamenti, i quali spero che colla loro fecondità ne compenseranno la astrusità apparente, che coi futuri dettagli svanirà del tutto, da questi, dico, ne nascono due importantissime conseguenze:
i. Che le classi operatrici sono ancora tanto più utili, quanto più sono inanellate l’una dentro l’altra, in quella proporzione che abbiamo già divisata, perchè allora solo producono la massima quantità e varietà di travaglio utile, e perciò la massima e la più giusta distribuzione di alimento. Quindi, fuori di questi casi, le classi che non sono comprese in questa catena non interrotta di opere e di lavori, non sono utili e da proteggersi se non in proporzione della necessità loro, o in quanto contribuiscono ad animare la serie delle classi operatrici ed alimentatrici.
ii. Che l’aumento della popolazione aumenta il travaglio, perchè la sempre presente necessità della sussistenza, e l’abitudine cara e quasi indistruttibile degli uomini al suolo natale gli agita per ogni verso e li stimola a procacciarsi i mezzi più sicuri per vivere, quando viziose cagioni politiche non consacrino l’inerzia e premiino la indolenza, o non irritino gli uomini alle emigrazioni. Con più sicura ragione però si può dire: che la quantità di travaglio aumenta piuttosto la popolazione, che non la popolazione la quantità di travaglio; perchè la maggiore quantità di travaglio rappresenta un maggior numero d’alimenti, e la quantità del popolo è proporzionata sempre alla quantità dell’alimento: dove questo è facile e sovrabbondante, il popolo v’accorre da tutte le parti al di fuori, e dentro l’invincibile istinto propagatore non trova ostacoli fisici a svilupparsi, quando i morali non si oppongano alle forze perpetuatrici della natura. La soverchia popolazione può essere a carico della nazione quando non sia l’effetto dell’accresciuta quantità di travaglio, perchè l’alimento del soverchio ozioso sarà a spese dell’utile; ma la popolazione, comunque grande si supponga, sarà sempre vantaggiosa a sè medesima quando sia l’effetto dell’aumentata quantità di travaglio, perchè allora col numero crescono i mezzi della sussistenza e felicità di ciascuno.
25. Ho detto che nello stimare il travaglio è necessario aver riguardo al tempo in cui dura il travaglio medesimo, perchè l’alimento è un bisogno costante e periodico: bisogna ancora parimenti aver riguardo al tempo del travaglio delle arti inferiori fino all’ultima. Sonovi pure alcune altre considerazioni che entrano nella stima del travaglio; per esempio, la maggiore o minore quantità dell’opera stessa, e la maggiore o minore capacità che vi si richiede; i pericoli e i rischj che si corrono nel travagliarla, sia per la fragilità della materia prima, sia per qualche circostanza estrinseca o intrinseca che la rende mal sana o nociva. Ho detto nello stimare il travaglio, perchè altre considerazioni entrano nella stima delle cose, come l’abbondanza o scarsezza di quelle, la maggiore o minore ricerca, il trasporto, ed altre quantità per le quali si determina il valor relativo, di cui parleremo a suo luogo.
26. Non è dunque possibile il fissar con precisione aritmetica il valore intrinseco delle fatiche degli uomini. Un tal valore varia secondo la varia bontà delle terre, e secondo la varia maniera di vivere di quelli che le lavorano o fanno lavorare, degli artigiani che ne manifatturano i prodotti, dei proprietarj delle terre che fanno valere e le terre e i prodotti medesimi; e queste differenti maniere di vivere dipendono dalle circostanze fisiche e morali d’ogni paese. Perchè un tal calcolo potesse accostarsi alla matematica precisione sarebbe necessario: prima, un esatto catastro di tutte le terre e della quantità media degli annui loro prodotti; 2° un numero esatto di tutta la popolazione, distinta e numerata per le di lei diverse classi; 3° il valore del mantenimento e la quantità dell’annuo travaglio di ciascun artigiano. Volendosi, per esempio, sapere il valore adeguato del travaglio d’un agricoltore, bisognerà prima cercare un villaggio ove le terre siano di mezzana bontà; distinguere i lavoratori capaci di lavorare da quelli che non lo sono, come il fanciullo ed il vecchio decrepito che sono dai primi mantenuti; esaminare quanta estensione di terreno lavora ciascheduno d’essi, e la quantità di prodotto d’un tal terreno; separare il di lui alimento, quello delle persone, alla mancanza del lavoro delle quali egli deve supplire, il prezzo dell’alloggio, del vestito di tutte queste persone, e il prezzo di tutte le masserizie più grossolane, siano dimestiche, siano da lavoro, da ciò che egli paga al padrone della terra ed al sovrano. Per valutare il vestito, l’alloggio ec. di questi lavoratori, cioè per sapere a quanto di alimenti o di cose consumabili corrispondano, conviene paragonare la somma dei bisogni secondarj, cioè di quelli che non sono alimento degli agricoltori, colla quantità del lavoro dei manifattori immediati. Il valore del travaglio d’un vestito il più grossolano e rozzo dell’ultimo lavoratore di terra deve rappresentare quelle porzioni d’alimento del pastore delle pecore, del cardatore della lana, quelle del filatore, del tintore, del tessitore del panno, quelle del sartore, che corrispondano al tempo che hanno impiegato a contribuire ad una tale operazione.
Io ho voluto a bella posta entrare in qualche dettaglio su questa interessante discussione, in primo luogo per indicare la necessità e la massima importanza di avere un’esatta notomia di tutte le minute fibre del corpo politico, ed un’analisi esatta della nazione, e che da ciò solo dipende la sicurezza e l’ordine che si deve tenere nelle operazioni politiche destinate ad incoraggire il travaglio degli abitatori; in secondo luogo, per far vedere che alcune teorie non sembrano a taluno troppo metafisiche ed aeree, se non per altro, perchè non hanno l’abitudine di racchiudere sotto nomi generali la folla de’ particolari, mancando di quell’attenzione che si richiede a scorgere le somiglianze e i rapporti occulti delle cose.
27. Dalle precedenti deduzioni noi caveremo due generali corollarj, di cui faremo uso nel progresso. — i. Che le arti fra le nazioni sono ordinariamente proporzionate al bisogno che se ne ha, e che per accrescere queste arti fa duopo accrescere i bisogni corrispondenti ed i mezzi onde nutrirle, sia incoraggiandoli cogli esempj e coi premj, rare volte coi comandi, sia levando gli ostacoli al naturale progresso dei bisogni medesimi.
ii. Che i bisogni di prima e seconda necessità sono determinati da tutte le classi di persone, ma quelli di terza ed ulteriore necessità sono determinati quasi totalmente dalla classe de’ proprietarj delle terre, siano nazionali o forastieri; le loro mode, i loro capricci e la voce di mille passioni si fanno sentire nella tranquillità d’una vita inoperosa, e questa voce regge le arti tutte e le anima o deprime a suo talento. I proprietarj delle terre hanno ancora, se non tutta, almeno una grandissima influenza sulle arti di prima e seconda necessità, non solo perchè queste arti sono contigue e concatenate colle altre, ma perchè i proprietarj delle terre possono dare differenti direzioni e far produrre differentemente la terra a tenore de’ loro usi, della volontà loro e della necessità momentanea, la quale è per lo più l’unico determinativo delle umane azioni.
28. Per sempre più approfondire questo soggetto giova qui il ripetere ciò che abbiamo di sopra dimostrato, cioè che il valore di ogni travaglio si riduce finalmente a sottodividersi in una certa quantità d’alimenti e di cose consumabili, e per conseguenza che il guadagno degli artigiani consiste nell’attrarre a sè un equivalente di più o meno alimenti, i quali poi, dedotta la propria porzione, vanno cambiando e ricambiando per procurarsi i comodi della vita. Ma in qual maniera le diverse arti attraggono a sè più o meno quantità di tali rappresentazioni di alimenti? Rispondo che ciò nasce primieramente dalla differenza del tempo che è necessario alla produzione o al lavoro delle cose. Frattanto che in un anno un agricoltore travaglia appena per cavare di che mangiare o di che ruvidamente coprirsi, il fabbricatore dei panni ed il sartore in un anno travagliano più pezze di panno e più vestiti, che servono a più agricoltori. Il travaglio di pochi giorni de’ primi equivale al travaglio di molti mesi de’ secondi; il lavoro di più fra questi rappresenta il lavoro d’un solo fra quelli. Nasce in secondo luogo, dalla maggiore o minor durata delle cose medesime lavorate. I prodotti della terra sono utili a misura che sono consumati; i prodotti delle arti lo sono a misura che sono durevoli. Supponiamo per un momento, ciò che non è possibile d’accadere, la troppa moltiplicità di quei lavori, cioè che vi fossero tanti sartori, tanti falegnami, quanti agricoltori; allora la moltiplicità sarebbe dannosa a quelli che ricercano il loro vantaggio; allora, moltiplicando all’eccesso la quantità della merce, ve ne sarebbe oltre la ricerca, ed i travagliatori dovrebbero quindi sospendere il lavoro sino allo smaltimento considerabile di tali merci: in un anno non travaglierebbero che pochi mesi, il restante sarebbero oziosi; allora il travaglio di pochi mesi in un anno arriverebbe a corrispondere al travaglio d’un anno intiero d’un agricoltore.
Ma il lavoro degli uomini è sempre il meno gratuito che sia possibile; ciascuno travaglia in proporzion dell’utile che ne spera, e perciò dello smercio che prevede possano avere i proprj lavori. Diremo in conseguenza, che le arti si mettono da sè medesime al necessario equilibrio, se le cattive leggi e le viziose operazioni politiche non le sbilanciano. Le operazioni economiche si riducono a non permettere e moltissime a non fare: quali siano si vedrà in appresso.
Ultima conseguenza di quanto si è detto, sarà che se l’agricoltore, sia nazionale, sia forastiere, non travaglia al di sopra del necessario al proprio alimento, egli toglie altrettanti alimenti a tutti gli altri quanto minor travaglio egli fa; toglie perciò altrettanti lavori dalle arti, annichila una parte della riproduzione, dunque una parte della vera ricchezza, dunque una parte della nazione medesima.